Recensioni per
Quelle camere d'albergo
di Melisanna

Questa storia ha ottenuto 22 recensioni.
Positive : 22
Neutre o critiche: 0


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Recensore Junior
03/01/23, ore 21:17

Ed ecco Kojiro che cresce. Un capitolo di risalita, faticoso come un allenamento fatto con masochismo,, che alla fine ti lesiona i legamenti.
Un capitolo di cose estranee, di disconoscimenti, di fratture, un capitolo per metabolizzare che certi passi sono in avanti e non è ammesso ritorno. 
Lo realizza alla fine, ma tutto il capitolo tende, inesorabilmente, verso questa verità, creando un'infinità di cesure e di stacchi. Imparando ad accettare il dolore come parte della vita cosa che Jun, ma Kojiro lo sa, ha sempre saputo fare. 
Ed è Jun che mette il punto alla fine, pur estraneo alla spirale di Kojiro, pur arrivando solo alla fine, è lui che chiude il cerchio, che alla sua perfezione non rinuncia, che capisce che rovinarsi entrambi non avrebbe senso. Forse farà ridere ma Kojiro mi ha fatto pensare ad Anna Karenina, capace di gettarsi a capofitto nella tragedia perché incapace di vedere in prospettiva la sua vita, di proiettare nel futuro le conseguenze dei propri sentimenti. Per fortuna Jun non è uno sprovveduto come Vronsky e arriva per dare a Kojiro la misura di tutte le verità.
Poteva finire così, nel buio, sapendo che dopo un po' gli occhi si abituano.
Ma c'è l'immagine finale di Tadashi, che è sempre lì, e aspetta. E' sempre lì e quello che dà non pretende che torni indietro. E' lì senza egoismo, con dedizione e con una solidità di cui nessuno gli ha mai dato credito, ma in quell'immagine finale, e nella sua luce, è evidente.
Noi restiamo a chiederci se quello che ci è stato raccontato fosse amore oppure no.
E io rispondo di sì. Da ambo le parti. Violento, nocivo e impossibile.
Grazie, è una storia bellissima. Vera e bellissima.

Recensore Junior
03/01/23, ore 21:03

Inizio col dire che questo è il mio capitolo preferito perché, dei due protagonisti, il mio preferito è Jun. Jun vestito della sua perfezione e obbligato a coltivarla, a curarla, a ripararla. Jun che accusa gli altri di trattarlo come una veste di seta quando lui stesso non fa che camminare lungo un binario, deviando quel poco che basta per illudersi di cambiare percorso senza deragliare. Jun che gioca con Hyuga (non Kojiro) e intanto però costruisce un'ossessione. E quell'ossessione non è Hyuga, ma è la propria libertà.
Gli piacciono le donne, e sua moglie. Gli piacciono ma uno dei motivi per cui gli piacciono è che occupano esattamente il loro posto del mondo, fanno parte dei binari, sono "giuste" molto più del corpo virile di Kojiro, del suo scopare brutale, del rischio di farsi scoprire e rovinarsi. E ama Midori, intensamente, perché solo con i figli si può amare in quel modo, senza riserve e senza paure, se non quella di vederseli sottratti. E con Midori Jun può vestire di altruismo e amore la propria immensa debolezza, di non sapersi vedere perfetto, non più di quanto Kojiro sappia verdersi adeguato.
Jun che guarda oltre la maschera di Kojiro in cerca di se stesso, di un tributo, di un apprezzamento, di un'adorazione illeciti, indesiderati, involontari e pericolosi. Perché la perfezione ti ricopre d'oro e finisci per non respirare più. Questa parte è stupenda, sia come lessico, che come ritmo, una spirale discendente in cui la riuscita dell'impresa di seduzione è l'inizio di una caduta. Sotto gli abiti firmati di Jun c'è l'amarezza di essersi costruiti perfetti e poi non riuscire a riconoscersi e tutto questo lo rende così umano da far male al cuore.
Decisamente, il mio capitolo preferito.

Recensore Junior
03/01/23, ore 20:43

Ero stata tentata di recensire questo capitolo dopo la prima lettura, poi mi sono imposta di non farlo, ma di arrivare alla fine. La verità è che questa storia è talmente equilibrata che i singoli capitoli, e il primo in modo particolare, funzionano come one shot.
Premesso che non conosco il fandom se non per sentito dire, la storia non ha davvero bisogno di una conoscenza pregressa, perché i personaggi, per lo meno i principali, vengono fuori in tre dimensioni in queste pagine. Non posso dirti quanto siano canon, ma posso dirti che sono molto credibili.
Credibili per le ambiguità e i sentimenti irrisolti e ignorati sono all'ordine del giorno e questa relazione fra Jun  e Kojiro, l'inadeguatezza dell'uno specchiata nella condiscendenza dell'altro, e l'incapacità di entrambi di privarsi del contatto, di una fisicità che non è sfogo ma negazione. 
E sullo sfondo Tadashi, che non chiede ma offre, che non pretende ma aspetta. Quando sono tornata indietro a rileggere, mi sono accorta di come questo personaggio sia presente da subito, ma in qalche modo emerga pian piano nella consapevolezza di Kojiro, prima sullo sfondo, quasi come una vittima ingenua , poi come motore degli eventi e infine, quasi come un'ancora, una bussola verso porti migliori, verso le scelte che fanno crescere.
Jun mi piace moltissimo, ha il fascino dei personaggi prigionieri delle proprie ombre, che amano ciò che disprezzano, rivolto all'esterno (Kojiro), ma anche all'interno (se stesso).
E Kojiro resta passivo, a guardare l'altro rivestirsi senza riuscire a fermarlo, per paura di essere messo davanti a uno specchio e scoprire (ma lo sa già) di non essere abbastanza. E' passivo anche quando l'occasione della vita gli cade sui piedi. Passivo e masochista, nel nascondersi dietro un ultimatum.
Ho tanto apprezzato anche il fatto che l'omosessualità sia un problema, per una persona esposta come uno sportivo, che non sia rose e fiori. E a me quel Jun realista fino in fondo, che affonda senza pietà facendosi male anche lui, piace da matti.

Recensore Master
01/09/22, ore 22:37

Rieccomi. Ho amato, amato tantissimo tutti e tre i capitoli di questa storia. Intensi ma bilanciati, capaci di svelare tanto senza mostrare tutto. Parli di una relazione clandestina, che ha dei lati cupi e torbidi, ma ne esce delicata e dignitosa, non scade mai. Il dolore di Kojiro qui si sente, tanto. Esasperato dal senso di alienazione dopo l'impatto con un paese straniero, in una squadra di prima categoria, dove ti analizzano e ti scartano, per il momento. Dove capisci che forse hai fatto tutto sbagliato. E dove ti senti solo che più solo non si può, lontano dai pochi amici e tanti fratelli (qui il mio cuore ha proprio fatto un battito più forte), e sembra impossibile stringere legami di qualsivoglia tipo con persone così diverse. Tadashi una sorta di angelo caduto dal cielo, una roccia che sostiene Kojiro quando sta per crollare, che riesce a tenerlo in piedi e a dargli quello di cui ha bisogno. Che sembra accettare di prendere solo il poco che può ricevere. Che sa cosa fare sempre nell'interesse di Kojiro, con tutto. Un po' madre e un po' amante. E che viene messo da parte quella notte, quell'unica notte, in cui Misugi torna nella stessa camera di Kojiro con gli occhi scuri e febbrili. E io li vedo, li vedo benissimo, uno di fronte all'altro, lui in boxer e a torso nudo che accenna ad arretrare e fa una fatica tremenda perché per lui è una cosa innaturale ma vuole permettere a Jun di entrare, ancora. E lo struggimento, e il dolore di quell'addio l'ho sentito tutto addosso.
E ho provato sollievo leggendo le ultime righe, in cui Tadashi c'è, è sempre lì, e riprende Kojiro per mano e lo riporta nella realtà, e lui sorride senza sentirsi un ladro.
Grazie.
Sei stata una meravigliosa scoperta.
(Recensione modificata il 08/09/2022 - 07:06 pm)

Recensore Master
26/08/22, ore 21:32

Jun, che è come una veste di seta, bello, prezioso e delicato, da maneggiare con cura. Guardato con adorazione dai Weimaraner, dalla tata, da Yayoi, da Midori. Midori adorabile, che lo adora come una bimba di tre anni può adorare il suo papà. Come fa Jun a gestire tutto? A cenare con la moglie, perfetta nei suoi tailleur pastello e décolleté di vernice, avvocato divorzista di successo che smaschera consorti fedifraghi e li fa pagare, tanto. Con la moglie che gesticola con le bacchette, con gli orecchini a forma di conchiglia e il diamante, che potrebbe anche sapere chi ha di fronte ma forse no. Jun la ama, ama da morire Midori, ama la sua vita. E come potrebbe fare altrimenti, è la perfezione, di forma e di sostanza… Jun che ha una doppia vita, un segreto sporco che poi così sporco non sembra più, che quando fa sesso con Kojiro mostra una nuova identità, sconosciuta a chi lo guarda con occhi adoranti a casa. Che crudele ironia, che sia riuscito a fargli male davvero con le parole, in quella camera d’albergo, quando è stato così brutale ma onesto. Eppure, me lo domando anch’io, anch’io mi chiedo se tra i due non sia proprio lui quello condannato alla lacerazione perpetua.
Ti ho già scritto che Misugi non è un personaggio esattamente nelle mie corde eppure qui mi piace, mi piace da morire perché gli hai strappato via quell’aura quasi ultraterrena che lo accompagna e lo rende ai miei occhi mr perfettino detestabile e lo hai insozzato rendendolo umano, vizioso e finalmente ricco di sfumature. Mi piace davvero tanto come scrivi.

Recensore Master
21/08/22, ore 00:44

Ciao Melisanna, eccomi anche qui. Dopo aver letto con immenso piacere 'Aka, Toro' non ho potuto fare a meno di approdare a questa storia.
Comincio subito col dirti che amo, amo in modo assoluto il tuo Kojiro. Con la sua energia e il fuoco che scorre sotto la pelle, le sue ritrosie, la sua ruvidezza.
Non ho invece mai amato particolarmente Jun Misugi, così composto, bello, corretto, nobile, fragile ma redento. L'ho da sempre trovato irritante. Ma tu gli hai saputo dare una dimensione tutta nuova, l’hai rivestito di malizia, di sesso, di cose torbide che addosso a lui stanno divinamente. La sua cultura e la sua eleganza a contrasto con la sua doppia vita e doppia coscienza. È fantastico. Ed è fantastica la coppia.
Il momento della proposta di andare a giocare in Europa, nella Juventus, è arrivato. Forse il sogno di sempre, ma un sogno veramente in grande che fa paura per le incertezze che porta, per il salto nel buio, perché significa forse chiudere una relazione d’amore, anche se clandestino.
Kojiro innamorato, Jun diviso a metà. Jun che conduce una vita perfetta, che è sposato con una moglie che immaginiamo lo adori e che ha una relazione con il compagno di squadra da ormai due anni, di nascosto dal resto del mondo. Ed è freddo e spietato quando senza usare mezze misure fa a pezzi in modo razionale quel rigurgito emotivo che ha portato Kojiro a rompere gli argini e a chiedere di più dal loro rapporto.
Molto riuscito il personaggio dell’agente, efficiente e devoto. E ho apprezzato anche gli interventi degli amici storici Ken e Takeshi, leali e presenti, il primo più fermo, l’altro più possibilista.
E il tuo stile, beh, penso che il tuo modo di scrivere sia uno dei migliori che io abbia trovato da queste parti. Sofisticato senza mai diventare pretenzioso, ottimo bilanciamento tra dialoghi e descrizioni, i particolari e le messe a fuoco sempre significative e mai a caso. E le ripetizioni, una sorta di cantilena che inchioda il lettore a certe parole, e a quello che si trascinano dietro.
Bello, bellissimo.

Recensore Master
24/12/18, ore 11:59

Ho trovato questa chicca e non sono più riuscita a smettere di leggere. Magnifico il modo in cui descrivi Kojiro, credo che tu lo renda alla perfezione in ogni sua sfumatura e tormento. La nostalgia di casa, l’amore sofferto per Jun, la sensazione di estraneità in Italia, e quel senso di smarrimento per aver fatto tutto nel modo sbagliato.
Io ora ti chiedo una cosa, un regalo di Natale: scriveresti un seguito su Kojiro e Takeshi? Li amo alla follia, il personaggio di Takeshi è palpabile da quanto è ben strutturato e vorrei tanto un happy ending per loro due. Un sequel, questo mi piacerebbe. Che ne pensi? Grazie mille a prescindere 😊

Recensore Master
12/04/18, ore 12:27

Ed eccoci arrivati alla fine di questa piccola, quanto incisiva incursione nella vita di queste due persone. La palla torna a Kojiro – inutile dirlo, è lui il vero perno della questione – e, con lui, tocchiamo con mano quanto l’essere umano persegua una certa strada salvi ritrovarsi a dover fare dietro-front per evitare guai ancora peggiori di quelli che si è sinora arrecato.
Il problema (se non il Problema, quello con la dignità della maiuscola, per intenderci) è che quando finiamo quaggiù non abbiamo un libretto delle istruzioni, niente che ci dica, anche a grandi linee, quello che occorre fare. Così si va per tentativi e se una cosa porta a casa un risultato buono, si persegue per quella strada, come un martello che batte sulla testa di un povero chiodo. Ora, i chiodi son fatti d’acciaio e non si rompono spesso, ma spaccano i supporti di legno a cui li inchiodi, o si piegano contro quelle pareti troppo resistenti. E l’unica cosa che puoi fare, da bravo martello, è quello di non essere troppo duro, col tuo povero chiodo, e raddrizzare la rotta appena possibile. Quando un medico dal nome impronunciabile ti dice che ti sei massacrato le gambe a furia di tirare calci come un mulo, ad esempio. O quando capisci che il calcio non è solo picchiare un povero pallone e spedirlo dentro la rete avversaria, ma anche tattica, strategia, lavoro di cervello. O quando realizzi che nelle squadre in cui hai sinora giocato ti prendevi sulle spalle la responsabilità dell’intero gruppo, e che, invece, negli squadroni ultra blasonati esistono comparti ben definiti, ognuno col proprio ruolo. Insomma, se si ha l’intelligenza di fermarsi, prima dell’inevitabile, ci si salva. Ed è stata questa, la scelta di Jun, solo che Kojiro ci ha messo un po’ per capirlo.
Ognuno ha i suoi tempi, e se Jun ha capito subito (più o meno) che la loro relazione fosse arrivata al capolinea, Kojiro, no. Kojiro è andato avanti a battere come un martello che s’è perso il suo chiodo e ha dovuto inventarsi nuove cose da fare, anche solo prendere un treno puntuale nel suo ritardo (eh…) o mettersi a studiare daccapo gli schemi, la tattica e le strategie. O trovare un altro chiodo che scacciasse il precedente, o meglio: che ne prendesse il posto lasciato vacante, e non c’è niente di peggio di qualcosa che d’improvviso si svuota e non si ricolma. È come andarcene in giro con un buco nella pancia, nella gamba, nella testa. Ti senti mancante. Sei mancante. Un po’ come quando da bambino ti cadeva un dente e la lingua andava ad infilarsi in quello spazio improvvisamente vuoto.
E ti senti un ladro, sì, perché non è quello, il corpo che vorresti davvero stringere, perché se lo stringi, quel corpo così caritatevole da lasciarsi accarezzare, è perché ti manca un altro corpo. Perché è quel corpo, che cerchi nelle pieghe altrui. E lo sai. E la generosa, paziente compagnia di un altro corpo è solo un palliativo, per te, ma lo scrupolo di star approfittando dei sentimenti altrui viene eccome. Però continui. Però ti abitui. Però, alla fine, capisci che quello di prima era una aprentesi destinata a finire, per mille ragione, era una storia ad orologeria, che funzionava secondo dati parametri e dati prerequisiti; ma aveva una data di scadenza che ci siamo ostinati ad ignorare, perché non ci faceva comodo. Se tutti noi sapessimo come, dove e quando un rapporto finirà (e i pianti, le litigate, le urla e le gastriti che questo ci procurerà) non credo ci innamoreremmo tanto facilmente. Anzi.
Però, grazie al cielo, la Vita è una gran signora e preferisce lasciarci nel dubbio. Beatissimo dubbio, santo subito.
Questa storia in tre atti m’è piaciuta molto. Parla di qualcosa di quotidiano - la fine di una storia d’amore, un lutto, la sua elaborazione ed il suo superamento, qualcosa che si può ritrovare in qualsiasi canzone del repertorio italiano (anche se molti cantautori indugiano nel rigirarsi il coltello nella piaga, va detto) - ma è il modo in cui lo fa, in cui parla a chi la legge, a fare la differenza. Tocchi diversi aspetti di vita reale, vissuta: l’ossatura di questa storia funziona perché parla al vissuto di tutti noi, sia in presa diretta, sia per interposta persona, ché tutte noi abbiamo passato intere serate a fare da spalla all’amica che aveva rotto coll’ennesimo fidanzato sbagliato, con un barattolo extra large di gelato alla vaniglia e una scorta di fazzoletti degna di Rossella O’Hara.
Gli amori finiscono, muoiono e noi possiamo solo risorgere da quelle ceneri, diversi, ché quando un amore muore si porta appresso un pezzetto di noi; ma è come se, in questa crisi, noi si abbia perso qualcosa che non andava più bene (il dente da latte di cui sopra) perché siamo noi ad essere cambiati, perché è la Vita che ce lo impone (e sì, sarà anche una gran signora, ma sa essere una bastarda mica male, quando ci si mette).
Ho apprezzato davvero tanto la mancanza di una riconciliazione tra Kojiro e Jun, non perché Mr Heart of Glass mi stia antipatico, tutt’altro: tu me lo hai reso interessante, e di ciò ti ringrazio; mi è piaciuta l’assenza dell’happy ending da romanzetto rosa perché questa è una storia di crescita, e se Kojiro fosse ritornato con Jun (anche ammesso che Jun fosse ammattito strada facendo e avesse mollato Yayoi e figlioletta fuori scena – e non te l’avrei perdonato, un simile fuori scena, perché ci avresti privato di un bel momento d’introspezione –), non avremmo avuto alcun avanzamento, solo un ripiegare sulle posizioni iniziali. Che può andar bene, capiamoci: ma la storia non alludeva a questo, e non vi alludeva sin dalle prime battute. Era chiaro e palese che i due non si sarebbero riconciliati come amanti, e sei rimasta fedele al racconto. I personaggi sono cresciuti, sono diventati persone diverse, hanno fatto scelte diverse, si sono detti addio. E sono andati avanti, come succede nella vita reale.
E, lo confesso, mi sono sentita vicina a Kojiro vedendolo leggere il Genji Monogatari sul treno, ché era la stessa cosa che facevo io, da matricola, quando la mattina raggiungevo l’università ad orari indecenti (essendo un tipo crepuscolare, penso che dovrebbe essere vietato alzarsi prima delle otto del mattino. Minimo) ed il treno si perdeva per binari tutti suoi, arrivando alla stazione con un ritardo cronico di almeno un’ora. Almeno.
In conclusione, questa storia è stata una bella scoperta. Spero di leggere altro, di tuo, su Kojiro, ché lo hai reso fedele al personaggio, scevro di isterie, ringhi e quant’altro: hai mantenuto la sua natura nervosa, da tigre in gabbia, alle volte, senza scadere nel cliché. E non è cosa da tutti.
Alla prossima!

Recensore Veterano
05/04/18, ore 21:55

E finalmente arrivo anch'io a scrivere la recensione dell'ultimo capitolo di questa magnifica storia. Un capitolo per nulla scontato, che mi è piaciuto davvero tantissimo. Il tuo stile è eccelso: riesci a utilizzare le ripetizioni per amalgamare i pensieri e per dare un'incredibile musicabilità al narrato. Davvero bravissima: dire elegante è dire poco.
Ma veniamo alla storia. Questo Kojiro mi ha fatto tenerezza, nel suo "aver sbagliato tutto". Parli dei suoi muscoli, ossa e articolazioni, ma quelle stesse strutture fisiche sono la sua anima: rotta, raffazzonata, che ha accettato il dolore perché necessario, perché comunque presente in ogni momento della sua vita, perché gli ha lasciato dei segni che a loro volta generano dolore. Questa sofferenza pare il bozzolo che la crisalide deve ora spezzare: non più un toro, ma un bruco che deve aprire le ali e diventare farfalla. E il percorso straziante della sua guarigione è magnifico: è sempre lui - non può cambiare troppo, in fondo! - che cammina per Torino con il cappuccio tirato sugli occhi, ma ora ha tempo e il tempo lo schiaccia. Deve imparare i suoi tempi: quelli dell'allenamento e quelli del recupero, quelli dell'attesa e quelli della riflessione. Fino a che muscoli, ossa e articolazioni si riprendono e i conti aperti rimangono solo quelli dell'anima. Che iniziano a lenirsi con Tadashi, i libri e i viaggi e un ritorno a casa di due settimane per stare con chi gli ha sempre voluto bene. Tadashi è magnifico nel suo offrirsi, nel suo amore senza condizionamenti, nella sua devozione. Fin troppo perfetto, forse perché sa che quel rapporto è ancora professionale, anche il sesso lo è, sennò Kojiro non si sarebbe sentito un ladro. Poi arriva l'addio con Jun, il momento di verità di quella storia: i limiti di Jun, del suo coraggio - che è vero che ne ha sempre avuto tanto e non si è mai arreso, ma non può lasciare Yayoi e la sua famiglia perfetta, forse meno libero dei suoi cani perché anche lui pare al guinzaglio ora. Perché ammette a Kojiro che gli è mancato. E le lacrime di Kojiro... quel "ti ho amato" (scusa, cito a memoria)... bellissimo! Credo che sia in quel momento che la farfalla si libra in volo per la prima volta: il bozzolo di dolore si è rotto e non è più necessario. E con Tadashi, forse, non sarà più solo sesso. Magnifica storia e bravissima tu!

Recensore Master
26/03/18, ore 14:28

La chieve di volta di questo capitolo è tutta racchiusa negli orecchini che sfoggia Yayoi. Una conchiglia, splendida splendente, che luccica al sole per quei piccoli granelli di sabbia incastrati sulla sua curva. E la vita di Jun è una conchiglia, splendida, madreperlacea, delicata, ché spesso, quando prendi tra le dita quelle conchiglie a torciglione finisce che possono rompersi, o possono ospitare un povero paguro.
La domanda che sorge spontanea è: che c'è dentro alla conchiglia di Jun?
Un mondo che gli altri non conoscono, nemmeno sua moglie; o forse sì, e Yayoi è abbastanza saggia da lasciare a suo marito sufficiente guinzaglio per fargli credere di avere tutta la libertà di questo mondo, almeno fino a quando la corda non diventerà troppo stretta e allora lui tornerà all'ovile.
È una visione molto adulta e cinica, questa, ma molto credibile.
Jun si ritrae dentro la corazza, dentro la conchiglia, quando Kojiro gli sbatte in faccia la sua paura; ma Jun capisce che Kojiro parla per paura, perché crescere spaventa e la vita, alle volte, ci chiama a compiere delle scelte che fanno tremare i polsi delle vene. Solo che Kojiro, come recita un proverbio giapponese, è troppo vicino alla luce del faro per vedere bene; Jun, invece, si trova alla giusta distanza per compiere la scelta di darci un taglio, ché Jun ha capito: non è per amore o per un sentimento d'affetto che gli ha fatto quella sparata, ma per paura. E sì, Kojiro sarà anche la scopata più intensa e meravigliosa della sua vita, ma non è abbastanza per amndare a gambe all'aria un matrimonio, la conchiglia in cui il paguro Jun si trova a proprio agio e ha costruito la propria nicchia ecologica, cuccioli compresi.
Sì, tutti vedono in lui una veste di seta, una di quelle che le mamme regalano alle figlie in vista del loro matrimonio, per la prima notte di nozze o la luna di miele, ma che le figlie lasciano in fondo ad un cassetto per paura che si possa sciupare, ché la bellezza e la preziosità di quella veste non sta nella veste stessa, ma nel fatto di possederla. È come un vaso Ming: tu metteresti dei fiori, in un vaso Ming? Certo che no, ma lo posizioneresti dove tutti possono ammirarlo (ed ammirare il tuo patrimonio, ça va sans dire).
Ma quello che mi ha fatto gelare il sangue nelle vene è stata la precisazione che Jun stesso fa di Yayoi, chiedendosi quanto ci fosse di premura e quanto di calcolo nella rivelazione che la ragazzina fece al suo amico di sempre circa le condizioni di salute di Jun. Mi si è ghiacciato il sangue perché è lo stesso, identico pensiero che ebbi a nove anni; meno cinico, d'accordo, ma ebbi il dubbio lo stesso, ché non racconti una cosa del genere se non vuoi avere qualcosa in cambio. Ingenua, certo; premurosa, senza dubbio; ma rivelare ad un estraneo qualcosa che il diretto interessato tiene a mantenere segreto (in fondo, Jun è un principe, no? E si è mai visto un principe sfruttare biecamente i propri lati deboli?) sottintende un calcolo di qualche tipo.
Mi permetto di citare Vasco Rossi: tutti quanti sono degli eroi

quando vogliono qualcosa, beh

la chiedono, lo sai

a chi può sentirli

e Yayoi sapeva che avrebbe trovato una sponda amica in Tsubasa, o sarebbe rimasta zitta.
In questo capitolo tornano le ripetizioni a ritornello, e ciò mi piace: è la tua firma, quello che ti fa riconoscere nella folla, e mi piace - moltissimo - come hai modulato questo tocco, questa pennellata, adattandolo al carattere di Jun; se il capitolo precedente, dedicato al punto di vista di Kojiro, aveva un ritmo più ossessivo, con un battere e levare serrato, quello di Jun è ugualmente incisivo, ma, tuttavia, meno tormentato, martellante, angoscioso, pur riuscendo a far trasparire il suo, di malessere.
Passerò a commentare anche l'ultimo capitolo (che ho letto di fila, approfittando di una notte d'insonnia); questa storia è stata una piacevole scoperta. Complimenti davvero.

Recensore Master
23/03/18, ore 13:51

Salve!
Sono capitata su questa storia per caso, su segnalazione di Kara, e ne sono rimasta piacevolmente colpita. Jun Misugi non è esattamente my cup of tea, tuttavia mi piace il tuo Jun, che resta un principino di fatto, e non solo dal punto di vista di Kojiro.
Mi è piaciuto moltissimo questo tuo flusso di coscienza, che prosegue e procede come se fosse una canzone, e le ripetizioni fossero una sorta di ritornello che ritorna a ricordarci un tassello importante della storia (i pantaloni su misura, il borsello di pelle, Jun, Jun, Jun…). Il flusso di coscienza non è una tecnica facile, affatto, ed è sempre un piacere vedere come scorre liscia – come l’olio sul pane, si direbbe – quasi volesse abbracciarti, quasi come se le cose fossero sempre andate così.
Trovo i personaggi credibili nella situazione in cui li hai messi e credibili nell’essere fedeli a loro stessi, Kojiro con quel suo modo di fare ruvido, Jun col suo essere un principino, sì, ma anche qualcuno di logico e analitico; Takeshi che cerca di trattenere Kojiro, e Ken che parla poco, ma quando lo fa è un ottimo caporal maggiore. Persino Wakabayashi ne esce bene, e spesso, quando in campo – quando in scena - c’è Kojiro, Wakabayashi ne esce colle ossa rotte (non che lui sia esattamente Mister Nicey Mc Nice, va detto). Ho trovato un bell’equilibrio in questa storia, lo stesso che si ritrova in una bella canzone – non nel tormentone estivo, sia chiaro – in un bicchiere di Rémy Martin degustato con calma e languore, alla luce del camino.
Complimenti davvero.

Recensore Master
22/03/18, ore 02:36

Kojiro.
Ah. Kojiro.
Mamma la mazzata che gli hai mollato in questo capitolo, e il dolore profondo, la pena, che io ho provato per lui durante l'ultima betalettura. Per lui è stato come prendere un tir in piena faccia, scoprire che tutto quello che ha sempre fatto, cui Kira lo ha sottoposto, cui si è sottoposto di sua spontanea volontà... gli ha quasi distrutto la carriera. Fisicamente, lo ha inguaiato, nonostante sia stato proprio quello a farlo arrivare dove è ora, alla Juventus. E questa sua ricerca del dolore, questa sua convinzione che senza la sofferenza lui non si meriti niente è terribile e sottile, proprio come il rapporto che Kojiro ha con Jun. Durante tutta la storia non ho fatto che trovarlo struggente, questo rapporto. Autolesionista, masochista, sadico. Assolutamente affascinante e vero in tutto ciò che ha avuto da offrire.
Ora, invece, Kojiro si trova in questo paese straniero e troppo rumoroso e pieno di contatti indesiderati, che in Giappone non sono contemplati, a sentirsi dire di avere i piedi di un vecchio, a sentirsi dire che non può giocare ma deve riabilitarsi, a sentirsi dire che tutto quello che ha fatto non è servito a niente. Distruttivo, da esser messo con la faccia sotto un tacco a spillo e ripetutamente calpestato.
E poi, in tutto questo disastro della sua vita, c'è qualcuno che riesce a tenerlo in riga, a mettere ordine di continuo, in maniera discreta. Qualcuno che gli tiene in ordine e salda insieme la vita stessa. Tadashi. Ma che gioiello è? Te l'ho detto anche in una recensione precedente: è un personaggio che è comparso a poco a poco, diventando una presenza fondamentale per Kojiro e per il lettore stesso, perché ci ha permesso di sapere che Kojiro non era solo e perduto, ma aveva sempre lui accanto.
Lui che sa tutto quello di cui Kojiro ha bisogno, lui che gli dice di andare a trovarsi qualcuna, lui che Kojiro lo guarda quando Kojiro non se ne accorge - o lui pensa che non se ne accorga -, lui che, alla fine, se è proprio di un uomo ciò di cui Kojiro ha bisogno è lì lo stesso, apposta per lui. E io credo di aver sperato che finisse in questo modo, la storia, già da meno di metà capitolo in poi. <3 Perché era chiaro che Jun, per quanto possano aver avuto dei sentimenti, essersi amati l'un l'altro, essersi sentiti liberi di essere loro stessi, non erano destinati a finire insieme. Non potevano. Jun non voleva, ha la sua famiglia cui pensare e non l'avrebbe tradita. E non mi sento di dargli torto. Alla fine, tra i due, forse chi non si riesce davvero a liberare sé stesso è proprio Jun. Mentre il Toro, Kojiro, lui la sua strada per la libertà la trova, finalmente.
Si rimette in forma, anche se non in formissima ma ok, va bene lo stesso. Ha Tadashi al suo fianco, quello che sa sempre ciò di cui ha bisogno e che, sul treno, quando gli fa quel discorso giuro che mi ci sono sciolta da morire e avevo l'espressione della felicità, perché sì.
Mi è piaciuto un sacco il modo in cui Kojiro parli di sé come un ladro nei confronti di Tadashi. Nel suo prendere in maniera esclusiva, senza dare nulla. E invece non si rende conto che ha iniziato a dare nel momento stesso in cui si sente in colpa e si dà del ladro.
Tensionissima, invece, quando Jun e Tadashi discutono in maniera molto formale e Kojiro li osserva da lontano. Forse posso dire di non approvare la scelta che Kojiro fa di stare con Jun, ma credo che a quel punto fosse necessaria. L'addio. Se lo dovevano, un addio come si deve, in cui ognuno poggia la propria maschera da qualche parte; Jun non va via di fretta, Kojiro non lo guarda.
Hanno avuto, fino in fondo, una grande storia. Se la sono meritata, l'hanno vissuta ed è finita. Ognuno ha la propria vita da vivere con la persona giusta al proprio fianco.
Chi facendo il padre, e chi non sentendosi ladro.
E' stata una bellissima fanfiction, ed è stato per me un vero onore e piacere poterla betare (e mi scuso ancora un sacco per il tempo impiegatoci T_T). *___* grazie per averci raccontato questo seguito di "Aka Toro", ma spero che non vorrai sparire dal fandom per altri anniiiii \O/ Nuooooh T_T <3
Strabravissima <3 <3 <3

Recensore Master
21/03/18, ore 09:09

In generale, non amo quando un personaggio viene completamente stravolto, come Jun in questa storia, ma non sono riuscita a smettere di leggere, quindi tanto di cappello.

Recensore Master
20/03/18, ore 16:14

Ed eccoci alla fine, mi spiace devo dire, mi piacevano il tuo Kojiro e il tuo Jun.
Vediamo come vive (male) Hyuga in Italia. Vediamo come affronta tutto, come si barcamena tra gli allenamenti, troppo pochi, le visite con il fisioterapista e il medico. Ci fai sentire tutta la sua solitudine, la sua rabbia, la sua frustrazione. Fino a quella sera, la sera che si 'sfoga' con Tadashi. Il manager attento che non si sorprende, che non lo respinge, un po' perché gli piace, e un po' perché sa cosa lo può calmare e decide di aiutarlo... ancora...
Ma ecco il ritiro e tutto quello che comporta, il rivedere Jun, l'apprendere che non è cambiato il modo di guardarlo, ma capire che è strano vedere lui e il manager parlare, il passato e il presente. L'amore/sesso e il sesso/con qualcosa di non definito ancora.
Ma alla fine è proprio Misugi ad andare da lui.
A presentarsi con gli occhi che descrivi come febbrili e mi sembra proprio di vederli, mentre li punta su di lui quasi con la paura di venir respinto ma così non è. E nonostante io sapessi che Kojiro non l'avrebbe respinto, mi sono ritrovata a pensare che forse un po' sarebbe stato bene a Jun un bel due di picche, ma poi Kojiro non avrebbe sopportato il dubbio 'se l'avessi fatto? e se avessi lasciato che entrasse?'
In bilico fino all'ultimo, fino a quel mezzo passo indietro che li riporta alle camere d'albergo, ma ora con rabbia e frustrazione non più solo sesso/amore.
Finalmente Jun parla, si confida e dall'altro lato abbiamo Hyuga che capisce che è davvero finita... non più Jun, mai più. Questo vale più di mille parole. Più dell'addio.
Grazie per questa storia breve ma intensa.
Grazie del sorriso finale di Kojiro che torna in Italia per iniziare finalmente a vivere a pieno la nuova avventura con accanto il manager intelligente e attento che lo aiuta in tutti i sensi.
Un bacio.
Guiky80

Recensore Veterano
20/03/18, ore 15:03

Avevo letto il capitolo quando l'avevi postato ma, dannazione!, il tempo per fare tutto è sempre troppo poco e alcune cose rimangono per forza in secondo piano.
Cosa dire... in realtà tantissimo ma la lettura di questo capitolo mi ha lasciato senza parole.
Senza parole, per lo stile che, come ti avevo già scritto, mi piace davvero molto: curato, elegante e, scusa se mi ripeto, maturo.
E personale. Bellissimo.
Già è raro trovare storie ben scritte nel fandom, tra errori grammaticali, di sintassi e personaggi caratterizzati con il culo, ma trovare storie con uno stile impeccabile e personaggi delineati magnificamente è quasi impossibile.
E Jun... be' trovo sia davvero magnifico. Hai dato vita a un personaggio caratterizzato in modo magistrale, con i suoi punti di forza, le sue debolezze e i suoi lati oscuri. Lati oscuri che, più di tutto il resto, lo rendono vero e reale.
Jun che ha sposato la moglie per amore, Jun che, come ogni uomo che si rispetti, ama alla follia sua figlia e farebbe di tutto per non perderla, Jun che è e rimane un essere umano e non il principe perfetto che tutti credono.
Jun che, in quanto umano, non ne può più di essere considerato come una statuetta di porcellana, bellissima ma fragile da tenere chiusa in una teca, e vuole vivere.
Jun che soddisfa questo desiderio di vita nella sua relazione con Kojiro. Perchè è questo che, credo, più di tutto gli offre la sua relazione con l'attaccante: la vita, la vita vera, quella che non lo considera come un oggetto prezioso e fragile da tenere al sicuro ma che lo coinvolge, lo ingloba e lo costringe a lottare per affermare se stesso, come facciamo un po' tutti, lottando contro le avversità che ci troviamo davanti giorno dopo giorno.
Hai dato vita a un personaggio che, nonostante tutto, rimane IC dalla punta dei piedi alla cima dei capelli.
Come dissi tempo fa a Melanto, leggo te e mi passa la voglia di scrivere, sul serio, perchè certi livelli non credo proprio di poterli raggiungere.
(Recensione modificata il 20/03/2018 - 03:05 pm)

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