Ciao,
Eccomi per l'ABC. Ho aperto questa storia perché incuriosita dall'introduzione, per via di ragioni puramente personali: sto attraversando un lutto. Domani è già un mese e a me sembra ieri.
Credo che tu abbia descritto bene l'impasse terribile in cui sono intrappolati tutti coloro che subiscono un lutto, di qualsiasi genere: è la battaglia fra la vita che va avanti e costringe anche a te a farlo e quella parte di te che invece vorrebbe totalmente farsi investire da questo dolore, accoglierlo e lasciare che logori dentro a poco a poco, ancora di più. Hai descritto questa sensazione con un'immagine che ho trovato molto bella, molto significativa e straziante nel suo essere suggestiva: "Lottiamo per istinto, perché davanti agli occhi degli altri è bene fingere che vada tutto bene, ma forse in realtà vorremmo solo lasciarci trascinare dalla corrente senza opporre resistenza, almeno finché non troviamo risposte alle nostre domande, almeno finché non riusciamo ad accettare la realtà." Quest'immagine, questa percezione del sé come un vascello che vorrebbe arrendersi alla corrente, è qualcosa che ho sentito intimamente, essendo io in questo momento molto coinvolta.
Ma è vero anche ciò che dici dopo, riguardo al fatto che non resistiamo per la società, per gli amici, per la memoria di chi è scomparso: resistiamo soprattutto per noi, per mantenere almeno un piccolo fragile equilibrio, quel tanto che basta per andare avanti, per vivere; perché è tragico e meraviglioso, ma la vita non si ferma solo perché quella di qualcuno a cui vogliamo bene si è fermata.
Un altro tema che hai toccato è quello di un altro profondo, profondissimo strascico che la morte lascia con sé: immagino che in un caso come questo, quando una persona si toglie la vita, le domande per chi resta siano ancora di più e ancora più dolorose, con tutti quei "e se avessi fatto?" che diventano una personale tortura. Tuttavia, persino nelle altre situazioni, ho avuto modo di notare che la morte lascia sempre delle questioni aperte, irrisolte, che non troveranno mai risposta; la mia, quella che non mi dà pace, è non sapere quale ultimo volto abbia visto la persona che ho perso, accompagnata dalla totale e pesantissima consapevolezza che si trattava di un volto sconosciuto. Purtroppo non so praticamente nulla o quasi nulla degli ultimi giorni di questa persona, anche se è morta in ospedale (o forse, di questo periodo, proprio perché è morta in ospedale). L'altra è "cosa sono stata io per questa persona?".
Senza divagare, credo che tu, avendola provata, abbia trattato bene la questione del senso di colpa del sopravvissuto nei casi di suicidio; si vede la tua volontà di andare fino in fondo a quel sentimento e di guardarlo negli occhi per poi arrivare all'unica risposta possibile, racchiusa in questa frase: "[...] Mi chiedo se avrei dovuto amarlo di più, più apertamente, più istintivamente. Ma sono quasi certa che non sarebbe servito a nulla [...]"
Ho poi apprezzato anche questo passaggio "Ogni giorno faccio tutto quello che devo fare, cerco di tenere il passo. Non voglio rischiare di svegliarmi un giorno dal torpore e scoprire che sono caduta ancora più in basso, che sono rimasta a fissare il vuoto troppo a lungo.": è un'altra sensazione molto comune durante il lutto, una sensazione che io, che ho dato un esame da 12 cfu a meno di una settimana dal decesso, non posso non dire di aver provato intensamente. Se ci lasciassimo davvero trascinare come un vascello, perderemmo infatti la connessione con la nostra realtà, che alla fine è ciò che ci tiene vivi.
Mi sono molto rivista anche nel passaggio in cui dici di cercare questa persona in tutte le cose che amava e che amavi: ci sono cose che amavo che, da un mese a questa parte, non hanno più lo stesso significato. Certe cose cambiano e accettarlo è l'unico modo per sopravvivere.
Il tuo stile è molto curato, introspettivo, e credo che tu abbia trattato, in poche righe, il tema della perdita con una delicatezza ed un tatto assolutamente immane.
Alla prossima,
Desy |