Questa è una recensione molto difficile, vuoi perché sono agli inizi e vuoi perché non ho mai dato un giudizio così negativo, se devo dirla tutta. L'introduzione, in verità, era molto promettente, mi sarei aspettato una storia certamente macabra, ma capace anche di sondare nel lato oscuro dell'animo umano, dentro cui si cova una violenza istintiva e folle. E, ad essere sinceri, il soggetto alla base del racconto (un regista di snuff movie intenzionato a realizzare il suo "capolavoro") l'ho anche trovato interessante. Molto simpatiche le citazioni alla cultura di massa (il film di Quentin Tarantino, ad esempio) o i nomi stravaganti trovati ai personaggi (Risaia, che sembrerebbe alludere al suo comportamento sciocco o Anzio, come la località in provincia di Roma). Insomma, le buone intenzioni non mancano e lo devo riconoscere. Purtroppo, quello che non mi è proprio piaciuto è la forma. Per carità, il mio non è un discorso moralista, e tantomeno non vuol esserlo. Io stesso, in alcuni miei testi ho usato, laddove serviva, un linguaggio scurrile. Il problema è l'eccesso. E questo eccesso mi ha reso molto difficile la lettura del racconto, su certi passi mi sarò dovuto soffermare almeno un paio di volte. Mi rendo conto della necessità di dover trasmettere una sensazione di sgradevolezza dovuta al contenuto della storia, ma questo linguaggio così esagerato, unito anche alla ripetività di certi concetti (il bambino, all'inizio, che se l'ha fatta addosso, ad esempio: lo si poteva scrivere una volta e sarebbe apparso sufficiente, non ripetere più volte il medesimo concetto con altrettanta volgarità. Non so se l'obiettivo voleva essere quello di scandalizzare, o comunque di lasciare una sensazione di disagio. Se è così, l'obiettivo è stato sì raggiunto, ma scapito di una narrazione difficile da seguire e messa, a mio avviso, in secondo piano. Spero che non se ne prenda a male per il mio giudizio.