Eccomi qua! Il problema del tempo è che scarseggia sempre e comunque: o ce lo si prende oppure è lui a prendersi noi.
Prendi queste mie note come consigli ad maiora.
Comincio innanzitutto con un’osservazione positiva: io sono una cialtrona e, dunque, postando la mia canzoncina – che è un pochettino una grandissima cialtronata – mi ero immaginata uno sviluppo sulla goliardata andante e che finisse ineluttabilmente a tarallucci e vino; tu, invece, mi hai piacevolmente sorpresa prendendola sul serio ed inserendola organicamente, come un attimo di respiro, un piccolo sorriso, in un contesto serio e drammatico.
Ci sono, però, a mio parare, diverse cosine migliorabili e da riguardare in questa tua. Occhio alle questioni tipografiche, ché potrebbero sembrare quisquilie, ma non lo sono, perché per certi lettori (alza la manina) spezzano il filo della lettura – ed una pagina sciatta è, a prescindere, poco piacevole da vedere. Al punto fermo segue la maiuscola. Occhio alla tastiera, che fa scherzi bizzarri (e.g. quel “soognare” immediatamente prima del “due anni dopo”). Occhio anche a certe spaziature, che sono talvolta saltate – e.g. “celebraronodopo”, nell’ultimo paragrafo.
Fin qui non c’è niente che non si risolva ad un’attenta rilettura, così come sono probabilmente risolvibili alcune delle questioni strutturali che, almeno in me personalmente, inducono una certa perplessità.
Perché Maria dice “quanto sei stupido” prima di vedere che il messaggio è una canzoncina stupida? Michele aveva il proprio telefono con sé e non si fa sentire per due anni, riemergendo dal limbo per mandarle una canzonetta? Non sembra molto plausibile; o almeno non lo è senza costruire una descrizione dettagliata di uno stile di guerra che, per rendere accettabile una cosa del genere, deve essere estremamente diverso da quello cui siamo abituati. A leggere un qualunque romanzo o guardare uno dei film buoni sulle guerre trascorse – limitiamoci a quelle novecentesche e contemporanee –, si nota che una delle cifre più pressanti sono i tempi morti, gli spazi tra una battaglia e l’altra, tra un’incursione o un’operazione e quella successiva; c’è sempre una certa tensione o una certa alienazione che viene col trovarsi al fronte, ma si ha il tempo di scrivere una lettera alla moglie, alla sorella, alla fidanzata, alla commara, etc., e di ricevere risposta (cfr. Il classico “Dear John”, che dalla Seconda Guerra Mondiale è diventato idiomatico del lasciare qualcuno, almeno nell’Inglese Americano), per non parlare del telefonare o videochiamare a casa nelle guerre degli anni duemila. Tutta questa tirata per dire che il fatto che questo tizio sia sparito per due anni, in una guerra futura, richiede una spiegazione.
Perché i piccioncini aspettano altri due anni per sposarsi, finita la guerra? Qual è il contesto socio-culturale che giustifica una scelta del genere? Forse ci sarebbe stato da spenderci qualche parola in più, per domare la curiosità, se non lo scetticismo, di chi legge.
Curiosità logistica, dovuta alla mia più assoluta ignoranza di tutto ciò che concerna piccoli umani sotto l’età della ragione: come fanno i gemellini appena nati a fare da paggetti?
Il problema principale, secondo me, è che la Terza Guerra Mondiale non è sviluppata: il lettore ignora le premesse, le cause scatenanti, gli schieramenti, le tecniche belliche, perché Mario vada in guerra e Maria no (stiamo parlando del futuro, non del 1940! E anche lì, c’erano infermiere, crocerossine, resistenza, truppe speciali – chiediamolo alle russe!), chi vinca ‘sta guerra, con che gruppo combatta Mario – i nomi dei suoi amici sono molto internazionali: come? perché? Il tutto è ambientato in uno stato multietnico/multiculturale?. Questa mancanza di sviluppo del contesto bellico, che dovrebbe essere la spina dorsale della storia, svuota di spessore anche i personaggi e le loro azioni.
La mia impressione generale è che la tua idea avrebbe avuto forse bisogno di più spazio per essere sviluppata nei termini in cui sembri presentarla, ovvero una storia d’amore piuttosto classica ai tempi della guerra, narrata cronologicamente, con inizio, sviluppo e conclusione. Sono tutti temi complessi che, per essere raccontati tradizionalmente, richiedono più spazio ed articolazione e che, alla fine della fiera, si prestano poco alla stringatezza del racconto brevissimo.
Ho provato ad essere dettagliata e puntuale perché spero che queste mie note non siano demoralizzanti, ma che possano esserti utili come uno spunto du riflessione per i tuoi lavori futuri.
Grazie ancora di esserti cimentata con Gira l’elica! |