Recensioni per
Into the darkness
di pattydcm

Questa storia ha ottenuto 37 recensioni.
Positive : 37
Neutre o critiche: 0


Devi essere loggato per recensire.
Registrati o fai il login.
[Precedente] 1 2 3 [Prossimo]
Nuovo recensore
16/01/20, ore 19:42
Cap. 15:

Ciao, ho finito ora la tua storia. Scritta bene, scorrevole e alla fine piuttosto in linea con quelle della serie. Loro sono stati per tutta la storia molto teneri l’uno con l’altro, in particolare Sherlock, spaventato dalla sua nuova condizione che ha fatto cadere un po’ di barriere. Non ho capito se avrà un seguito o meno, ma i nostri ragazzi sono comunque insieme e intenzionati ad affrontare così le sfide che immancabilmente arriveranno. Grazie per averla scritta e condivisa.

Recensore Master
12/05/19, ore 16:32
Cap. 15:

Il capitolo ha uno dei punti di forza nell’udienza in cui viene giudicato O’Nell e Sh è testimone d’accusa.
L’andamento del dibattito mi ha riportato al clima quasi grottesco del processo a Moriarty in TRF, in cui si assiste alla performance di uno Sh brillante e, ovviamente, in netta superiorità intellettiva rispetto alla Corte , ma ad armi pari con Jim. Due intelligenze ovviamente eccezionali che, per questo, pur essendo impiegate in circostanze diverse e con motivazioni opposte, si attraggono nella loro somiglianza.
Dunque è un gustosissimo duello quello a cui assistiamo nell’aula del processo, tra il nostro consulting e l’avvocato della difesa.
Ho trovato geniale la motivazione che, in pratica, ha fatto perdere la credibilità al legale di O’Nell, oltretutto una motivazione ridicola e senza particolare dignità “giuridica” (“…chi, come lei, è solito correggere il primo caffè…”).
Come ho già scritto sopra, hai richiamato in modo molto vivace la scena di quanto abbiamo visto in TRF, con uno Sh costantemente “border line” per quanto riguarda il suo comportamento verso il giudice, con la schiacciante superiorità intellettuale nei confronti del povero avvocato che, tutto sommato, qui già ha l’onere di difendere qualcuno d’indifendibile.
Inoltre, molto IC, anche qui ritroviamo la vigile attenzione di John che, quasi maternamente, a furia di rimbrotti e di raccomandazioni, cerca di limitare i danni causati dall’intelligenza di Sh, lasciata andare a “ruota libera”.
Hai seminato di segnali inquietanti, come quel “ti brucerà il cuore” di moriartyana memoria, il capitolo ma vi hai opposto la figura statuaria di uno Sh arricchito dal valore della sofferenza che, indimenticabile quel momento, di fronte al delirio di O’Nell ed a quel malvagio riferimento, si toglie gli occhiali scuri e gli rivolge un’occhiata glaciale con i suoi mitici occhi, già in via di guarigione. Scena molto, molto intensa, questa.
Ma, splendida e toccante è ancora di più la sequenza di Sh e John al bagno, in cui il consulting depone la sua maschera di arrogante, per quanto effettiva, superiorità, e si abbandona all’affetto rassicurante del suo “conduttore di luce.
Bello immaginarlo mentre si lascia chiudere nell’abbraccio dell’altro, finalmente libero di esprimere tutta la sua umanità.
Molto importante questo momento, sempre ai fini di una travolgente Johnlock, anche perché Sh scaccia le nubi d’ansia e di angoscia che continuavano a turbare il suo John per l’esperienza vissuta con Bryan.
Infatti sappiamo che a Watson è rimasto il trauma della scoperta del suicidio di quel tale perché temeva di riviverlo, ovviamente con effetti molto più devastanti, anche a causa della cecità di Sh e dei suoi postumi.
Holmes l’ha intuito e lo rassicura (“…Io non ti lascio, John…”) con parole che, sinceramente, hanno il potere di commuovermi anche perché provenienti da chi non ha mai voluto avere a che fare con i sentimenti.
Efficace, alla conclusione del capitolo, il modo con cui hai sviluppato l’atteggiamento di Sally, donandole una credibile parvenza di normalità e di sensibilità.
Non voglio essere retorica, ma quando un qualcosa di spessore finisce, come questa long, mi rimane sempre un sapore di nostalgia e di malinconico senso di perdita.
Sarà perché tratta quella che, secondo me, è una delle più belle storie d’amore, cioè quella tra Sh e John, sarà, anzi, è perché tu sai costruire vicende originali e credibili e scrivere con uno stile che bypassa il cervello ed entra direttamente nel cuore. Brava.

Recensore Master
11/05/19, ore 22:42
Cap. 15:

buonasera cara
ho visto la tua storia consigliata nella classifica recensori e ho pensato di dare un'occhiata... e ho fatto molto bene
l'ho letta tutta d'un fiato, è bellissima dolcissima e molto innovativa
la personalità di Sherlock è perfetta. forte davanti alle difficoltà fisiche, fragile pensando di perdere il suo John e generoso con quell'odiosa di sally
la scena del suo salvataggio è stata la più bella
e quella sexy di una delicatezza unica
sono felice di aver letto, e spero di leggerti di nuovo presto
baci,
setsy

Recensore Master
11/05/19, ore 22:12
Cap. 14:

Dall'atmosfera carica di tensione emotiva ed erotica che ha caratterizzato la conclusione del precedente capitolo, qui siamo riportati nella realtà, molto meno rassicurante, del caso. Le indagini sono concluse, l'accusato è già nelle mani degli inquirenti. Ma c'è un problema: O'Neel appare perso nel suo mondo, senza alcun contatto ed interesse con ciò che lo circonda.

Ritroviamo, invece, uno Sh ricaricato dalla certezza che il buio si sta allontanando da lui e più che mai teso a capire le motivazioni soprattutto del folle gesto contro di lui. Accanto gli poni uno splendido John cui basta un gesto per comunicare la sua sicurezza e la sua protezione.
La scena del confronto tra il consulting ed il folle criminale l'ho centellinata parola per parola, tanto l'hai saputa costruire con minuzia e senso di attesa e di tensione.

Dal dialogo, che si snoda con livida energia tra loro, emerge una visione inquietante di un "criminal consulting" che compie azioni malvagie solo per il gusto di fare del male. Qui, però, il suo intento era più mirato e cioè colpire gli occhi "stregati" di Sh per creare il vuoto attorno a lui o, meglio, allontanare John, il vero motivo per cui Sh si è accorto di avere un cuore.
E Moriarty odia tutto ciò che fa riferimento al calore dell'umanità e dei sentimenti.

Via via, il ritratto di O'Neel viene definito con la tua consueta capacità di ricostruire scenari psicologici credibili. Così emerge il suo passato dai toni foschi, caratterizzato da una serie di situazioni dolorose che, innestandosi su un substrato di grave instabilità, ha alimentato un’evidente deviazione verso la follia. O almeno penso questo, poi tu, sicuramente, hai motivazioni più mirate e corrette delle mie ma la tua acutezza e preparazione nel definire le personalità, soprattutto le più "differenti", mi stimolano sempre a cercare di seguire, in modo costruttivo, le vicende che racconti ed i personaggi che vi sono coinvolti.
Così tento di pensare oggettivamente a quanto proponi, soprattutto dal punto di vista psicologico, per seguirti meglio nell’introspezione in cui ti muovi agilmente.
Tornando alla scena dell’interrogatorio da parte di Sh, trovo che quest’ultimo spicchi, statuario, nella sua determinazione e nel suo autocontrollo nel far confessare tutto al folle e risalire alla figura diabolica di Moriarty.
La strabiliante capacità deduttiva del nostro consulting dà una sferzata all’andamento della scena perché Holmes capisce immediatamente che O’Nell ha organizzato due grandiose e devastanti esplosioni.
Addirittura emerge il forte dubbio che il superiore di Greg sia corrotto e stia dalla parte di Jim.
Alla fine del capitolo mi sembra veramente di sentire le risate agghiaccianti del povero pazzo.
Bravissima.

Recensore Master
11/05/19, ore 16:15
Cap. 13:

Ed ecco che ritroviamo John dopo che, mi sembra per due capitoli, l’abbiamo lasciato su una poltrona in sala d’attesa dell’ospedale, sfinito dagli avvenimenti e dalle condizioni di Sh, ancora una volta travolto dagli eventi del pazzo dinamitardo.
Già dalla scelta di alcuni termini (“…silenzio sornione…passi leggeri…saporito profumo di caffè…”), si comprende che l’incubo è finito ed ora, l’unica cosa sulla quale concentrarsi, è la cecità di Sh, a proposito della quale sta crollando il muro dell’impossibilità di una guarigione.
È un capitolo, questo, in cui riprendi tutti i fili delle tematiche che hanno costituito il percorso su cui si é snodata la tua long. Anzi, quasi tutti, perché quello che riguarda la parte "crime " l'hai già "annodato" alla sua conclusione positiva: il dinamitardo è stato catturato ed il caso è stato brillantemente risolto.

Ora, rimangono due filoni importanti e già si può intuirne lo sviluppo. Uno è la cecità di Sh, elemento che hai gestito in modo credibile e verosimigliante in quanto, l'illuminazione improvvisa dei suoi occhi, non è stata assolutamente incredibile ma frutto di un decorso cui hai fornito spiegazioni mediche sicuramente non banali o fuori dalla realtà. Hai citato, infatti, tramite l’oculista, il responso sorprendente riguardante l’embolia ecc ecc, , e tutto ciò che è collegato a questo evento e, anche se non ho cercato informazioni a riguardo perché non mi sarebbe servito a gustare di più la tua splendida storia, ho avuto un quadro, pure medico, ripeto, credibile. Ed hai condotto Sh sulla via della riconquista della luce, attraverso tappe graduali, significative fatte da lampi improvvisi, dolori inspiegabili, fino ad arrivare ad una prima, commovente, visione di ombre.
L’asso che hai presentato sul “tavolo” narrativo, inoltre, è stato quello di aver caratterizzato il comportamento del consulting di una decisa volontà di riprendere il suo lavoro, anche se privato di un senso fondamentale, e tutto, comunque, legato alla preziosa presenza del suo “conduttore di luce”.
L'altro filone narrativo, fondamentale, riguarda la Johnlock. Infatti, qui, te ne sei occupata senza più problemi di dinamitardi, d’ospedali, di crisi depressive o presunte tali. Ora che la speranza che Sh possa tornare a vedere èp più concreta che mai, i due sono, finalmente, liberi di esprimere ciò che provano l’uno nei confronti dell’altro. Emergono così ed essi ne parlano, le loro paure, i loro timori ma, soprattutto, la reciproca necessità di essere insieme, totalmente. Ed ecco la bella scena in cui Sh si veste per uscire dall’ospedale, in cui s’intrecciano meravigliosamente richiami erotici, giochi di seduzione, desiderio di sentirsi davvero in due. Ti è bastato il semplice gesto di iinfilarsi la camicia, di abbottonarla e d’infilarla nei calzoni per caricare al massimo di tensione seduttiva la scena e per far uscire di testa il nostro John, esempio chiaro e lampante di un’umanità immediata, senza sovrastrutture razionali.
Non che lui sia un uomo semplice, ovvio, ma sicuramente più sensibile nell’immediatezza ai richiami di quella che è la fisicità. Sh lo rappresenti più reticente ma, davvero, più pericolosamente seduttore del suo povero coinquilino.
E nel loro chiarirsi ci fornisci un’interessante rilettura di ciò che abbiamo gustato in ASIP, riportandoci nel clima ormai mitico delle prime due Stagioni.
Trovo coerente il richiamo a Moriarty, non è da dimenticare, infatti, che la sua ombra malvagia ha costituito l’importante filo conduttore delle vicende ed ora che Sh potrà recuperare, sia pure in parte, la vista è logico che senta la necessità di scendere nuovamente nel campo di battaglia ed accettare la sfida del criminal consulting.
Dicevo più sopra che il riferimento a Moriarty l’ho trovato corretto perché è lui che costituisce la motivazione per cui i due di Baker Street si sentono impegnati in una guerra.
Dal primo episodio della prima Stagione BBC, è quasi sempre presente, anche se come ombra a tratti più sfumata, per culminare nella tragica rappresentazione vista in TRF e, indirettamente, in TFP.
Se non ricordo male, lo percepiamo in TBB solo nell'ultima scena, per niente in THOB ma il suo malefico influsso avvelena tutta l’atmosfera ma anche carica di adrenalina l’agire di Sh e, di conseguenza, quello di John.
Qui mi viene in mente la scena di TAB, più fedele al canone di Doyle, in cui i due geni, uno del crimine e l’altro suo degno avversario, si affrontano sullo sfondo delle cascate. Si accende una lotta furibonda ed omicida e qui i Mofftiss inseriscono, genialmente a mio parere, John che difende Sh di fronte ad uno sconfitto Moriarty.
Sconfitto non solo dal punto di vista dell’azione criminale ma, e forse soprattutto, da quello umano. Egli, infatti, si ritrova decisamente solo mentre chi ha davanti non lo è perché Watson appare quasi una sorta di magnifico angelo custode.
Scusa se mi sono dilungata ma le ultime osservazioni le ritengo necessarie ai fini di una recensione più completa. Se non avessi scritto ciò che mi ha suscitato il loro citare Moriarty, non sarei stata soddisfatta.
Peccato che questa splendida storia volga al termine…
(Recensione modificata il 11/05/2019 - 09:47 pm)

Recensore Master
08/05/19, ore 16:55
Cap. 12:

Un capitolo svelto, questo, quasi di raccordo tra gli ultimi avvenimenti "esplosivi", la condizione di Sh ed il procedere verso la soluzione del caso. Fai entrare il nostro Greg e, con lui, accedono alla scena la praticità, l'onestà, la positiva umanità che l'hanno sempre connotato.
Dal capitolo precedente ci accompagni qui grazie alla figura di Mycroft che se ne va e ci lascia con lo yarder.
 L'atmosfera perde la tensione e lascia filtrare la concreta speranza che il consulting torni a vedere.
In questi ultimi capitoli hai lasciato sullo sfondo John, "praticamente svenuto" in sala d'attesa e "ormai fuso con una delle poltrone". Infatti hai dato risalto, oltre naturalmente a Sh, a due figure fondamentali nel caratterizzare la storia e cioè Mycroft e Lestrade.

Inoltre inserisci una specie di "coro", come nelle tragedie greche, che qui non interviene direttamente ma che è indispensabile allo sviluppo narrativo, in questo momento, alla risoluzione del caso del dinamitardo.
Sono gli "irregolari", quelli la cui presenza troviamo spesso nel canone della BBC, sono “invisibili” ai più ma hanno con Sh un legame particolare.
Egli se ne serve per le sue indagini e, addirittura, se non ricordo male, come abbiamo saputo da lui stesso in TEH, come supporto per realizzare il finto suicidio giù dal tetto del Bart’s.
Sicuramente, la sua frequentazione con loro risale a molto prima, agli anni della tossicodipendenza conclamata, nel periodo prima di conoscere John, da giovanissimo, probabilmente.
Sì perché ci immaginiamo uno Sh, negli anni dell’adolescenza e in quelli immediatamente successivi, come un ribelle, in opposizione alle direttive della sua famiglia. Dunque aperto ad ogni esperienza, alla ricerca di qualcosa per cui valesse la pena usare la sua eccezionale intelligenza ed ecco, probabilmente, la sua frequentazione con chi vive ai margini del sistema e, tutto sommato, pur nell’indigenza, è libero di fare ciò che desidera.
E gli “irregolari” così, li ritroviamo come elemento fondamentale e molto IC nella risoluzione anche di questo caso.
Addirittura ci pensano loro ad impartire una prima “punizione” al colpevole (“…gliene hanno date tante da ridurlo male…”) e credo che tu abbia pensato ad una lezione non tanto per i crimini commessi ma, soprattutto, per ciò che il dinamitardo aveva causato a Sh.
Mi è piaciuto, dunque, il tuo “rinforzare” la connotazione IC del consulting riportando, nello sfondo e nell’azione, delle figure che diventano quasi di riferimento.
Apprezzo, davvero, la tua capacità, sicuramente di matrice professionale, di cercare delle motivazioni a comportamenti, che appaiono inspiegabili, nel passato di chi compie cose che sembrano completamente irrazionali. Infatti, per quanto riguarda O’Neel, gli costruisci un tristissimo passato da orfano, con esperienze in istituto.
Non che sia giustificabile un comportamento criminale ma certi atti affondano, purtroppo, in un terreno oscuro in cui la presa di coscienza delle responsabilità individuali è avvelenata da elementi esterni, incontrollabili da parte di chi ne è vittima.
Il capitolo si chiude con un qualcosa d’inatteso che c’induce ad una forte curiosità: Sh chiede un favore a Greg.
E, come Lestrade, siamo veramente curiosi di ciò che verrà richiesto da chi, come pensa lo yarder, non gli ha mai avanzato domande del genere.

Recensore Master
07/05/19, ore 22:57
Cap. 11:

Ci accoglie all’inizio di questo capitolo la stessa atmosfera del primo, caratterizzata da “rumori ovattati e lontani” e dal “bip cadenzato delle apparecchiature mediche”. Ancora un risveglio di Sh dall’incoscienza dovuta ad un trauma, ancora quegli occhi bendati che non gli permettono di capire cosa sia successo.
Comunque già percepiamo in lui una più tangibile voglia di alzarsi da quel letto e di prendere contatto con la realtà, anche quella del caso.
Ma ci sono altri sintomi che lo incuriosiscono e che si ricollegano alle ombre che, prima di svenire tra le braccia di John, riusciva ad intravvedere.
Inoltre tu inserisci un nuovo elemento nella percezione della sua disabilità e cioè la mancanza del dolore che lo aveva tormentato al risveglio precedente.
Come dici con precisione tu, niente più “aghi incandescenti” né bruciore al volto. Ci sentiamo talmente immedesimati nella scena che riusciamo, per questo, a tirare un sospiro di sollievo e ci permettiamo di sperare che il buio si allontani dai suoi occhi.
Andando avanti nella lettura, cogliamo che il punto di forza, in questo capitolo, è il personaggio di Mycroft che tu tratti sempre con profondità e rispetto dell’IC. Ma qui, in modo particolare, ne hai saputo esprimere la complessità della gestione del suo lato emotivo che, nei confronti del fratello minore, è particolarmente messa alla prova.
Pur nel suo rifugiarsi perenne in quello che è l’algido autocontrollo della sua identità di “iceman”, Mister Inghilterra non riesce a chiudere del tutto le sue difese di fronte ad uno Sh vinto dalla tragicità della sua condizione. Non solo, ma il lodarlo per il suo essersi dimostrato eccezionale, probabilmente anche per il salvataggio di Sally, davvero è un’incrinatura importante nel muro di ghiaccio della sua imperturbabile, ma apparente, lontananza rispetto a ciò che lo circonda.
La scena tra i due fratelli, entrambi personaggi complicati e, per questo, così affascinanti, si articola in un dialogo scarno, del resto perfettamente coerente con il loro carattere. Inoltre hai impreziosito il tutto con l’inserimento di gesti che, considerando la reciproca difficoltà ad esprimere ciò che non è razionale, diventano molto, molto significativi.
Ecco, quindi, quel picchiettare, da parte di Sh, il ginocchio del fratello che, intuiamo con chiarezza, abbia la stessa intenzione affettuosa di una carezza, mascherata da un piglio che sembra ironico ma, secondo me, non lo è.
E la risposta di Mycroft, che mi ha intenerito veramente, è il prendere la mano del fratello per stringerla. Sh ne rimane colpito, quasi travolto dall’inusuale affettuosità.
A questo punto, ci fai capire che il muro d’incomunicabilità è seriamente compromesso, per fortuna, perché ritrai Mycroft che esprime, nei confronti del consulting, affetto, tenerezza, un atteggiamento naturalmente protettivo, da fratello maggiore. O come dovrebbe essere riscontrato in un fratello maggiore…
Ed ecco, quindi, lo spingerlo delicatamente perché si rimetta in posizione supina, il rimboccargli le coperte, l’accarezzargli una guancia…
Davvero intenso questo ritratto che fai di Mycroft. Intenso e, questo è più importante, sicuramente accettabile ed IC, perché nella versione dei Mofftiss, riusciamo ad intuire che, sotto l’atteggiamento asettico, il maggiore è preoccupato per il fratello minore, anche a causa della continua angoscia del sempre incombente incubo della tossicodipendenza.
Verso la conclusione del capitolo fai affiorare una tematica che avevi messo in luce precedentemente, che poi è rimasta sottesa, e cioè l’intenzione di Mycroft, nel caso di una conclamata ed inguaribile cecità di Sh, di sistemarlo in una struttura adeguata per un accudimento più qualificato e sicuro rispetto alle variabili insite nel carattere del consulting che lo portano spesso a non sapere, o non volere, affrontare con equilibrio, le questioni pratiche della quotidianità e, soprattutto, a mettersi in una situazione di rischio. Infatti possiamo benissimo ipotizzare che uno come Sh, sicuramente, non tollererebbe mai di perdere la libertà personale a costo della sua stessa vita.
Qui inserisci efficacemente un momento struggente che trasmette tristezza e cioè la visione di uno Sh tossico, rinchiuso in una comunità e privato della sua dignità. Inoltre ci fai ripensare a Sherrinford, altro esempio, se pure estremo, della tendenza di Mycroft a risolvere così determinate problematiche familiari.
Tu compi, qui, un passaggio importante nel mettere in risalto l’umanità nascosta dell’ “iceman”, perché ce lo presenti sinceramente dispiaciuto nella rievocazione di quel ricordo e bisognoso di sentire, anche fisicamente, la presenza e l’affetto di Sh. Molto bello quel loro trovarsi attraverso il linguaggio delle mani.
Anche qui sta il valore di questa storia e cioè il mettere in risalto l’umanità di personaggi che, di solito, appaiono connotati mediante il lato razionale del loro modo di essere.
Infatti, Sh ammette con il fratello di aver avuto paura della cecità come stato permanente, Mycroft confessa il suo dispiacere di aver adottato per lui delle soluzioni, appunto l’affidamento ad una struttura, non rispondenti al desiderio del consulting di sentirsi senza vicoli ed imposizioni.
Un bel capitolo, questo, intenso.

Recensore Master
07/05/19, ore 01:05
Cap. 10:

Ovvio che questo capitolo fosse molto atteso per i cultori della Johnlock, visto che era logicamente prevedibile il loro ritrovarsi, in un modo o nell'altro, con un esito o un altro.
Palpabile è la tensione di John che teme che a Sh sia successo qualcosa d'irreparabile. E tutto ciò che prova in quei momenti drammatici, trova un'espressione singolare in quell'appello disperato ("...Sherlock!...") che tanto mi ricorda l'invocazione uscita prepotentemente dalla sua bocca davanti al Bart's ed alla tremenda visione di quell' "Angelo nero" che è volato giù dal cornicione.

Davvero, grazie all'immediatezza del tuo modo di scrivere, quel richiamo doloroso, stupito ed incredulo me lo sono sentito nuovamente riecheggiare nelle orecchie. Solo che, questa volta, noi sappiamo, dal capitolo precedente che Sh sta tentando, con tutte le sue forze, di porsi in salvo, con Sally.

In una sequenza veloce di frasi, senza bisogno di tanti giri di parole, riesci a rappresentare credibilmente il succedersi di ciò che si sta svolgendo in uno scenario apocalittico, facendo riunire l'irruente energia di John ad uno Sh caparbio nella sua generosità e nella tensione di ritrovare il suo capitano.

Ed al suo fianco, John non può avere che Greg, grandioso e buono nel suo spendersi per le persone a cui tiene, e i due di Baker Street sono tra quelle.

Splendida la figura del consulting che riesce a sostenere se stesso e una persona che, sicuramente, non può avergli fornito una motivazione di riconoscenza o un particolare moto d'affetto. Questo lo rende ancora più ammirevole e, personalmente, mi suscita tanta tenerezza.

E ci scuote quello "...Stiamo arrivando, Sherlock..." che diventa terapeutico come un abbraccio. Sai infondere talmente tanta vitalità a ciò che succede, anche servendoti del pianto liberatorio dell'agente Donovan ed anche ai suoi rumorosi richiami che finiscono per fare violenza alle orecchie del povero consulting.

A proposito di quest'ultimo, quel suo arrancare faticosamente su per le scale, Sally a parte, mi ricorda il suo risveglio inaspettato dal coma, visto in HLW, tradotto, appunto in una salita dolorosa ma inesorabile verso la vita. Anche per questo trovo tutto IC perché, ammettendo la possibilità che tu non l'abbia fatto consapevolmente il collegamento con il canone BBC, comunque ciò che hai scritto è fortemente evocativo in tal senso, e costituisce una specie di cartina al tornasole che testa come i tuoi personaggi agiscano e siano caratterizzati nel pieno rispetto di come ce li hanno fatti conoscere i Mofftiss.
Questa storia è proprio avvincente, riesce a parlare al cuore senza complicazioni razionali. Mi sta piacendo moltissimo, te l'ho già detto

Recensore Master
06/05/19, ore 01:05
Cap. 9:

Come di consueto, ritrovo anche qui la tua capacità di non spezzare il filo del racconto e dell’atmosfera con cui si è chiuso il precedente capitolo: la tensione del caso e, soprattutto, il colpo di scena dell’esplosione che ha scosso l’Ospedale “Opera Pia” e che, personalmente, mi ha causato un senso d’angoscia al pensiero di uno Sh cieco in balìa dell’evento che l’ha separato dal suo rifugio che è diventato John.
Ma lo scopro reattivo e già orientato, nel tentativo di salvezza, in quel luogo che non è sconosciuto per lui; infatti il suo Mind Palace ha ripreso ad accogliere le sue ricerche dopo la crisi depressiva causatagli dall’aggressione in cui ha perso la vita, ed ora gli è vitale avere chiara in testa la mappa dell’edificio. Mi stupisce sempre, ma dovrei essere ormai abituata, la tua capacità di farci sentire proprio come se fossimo sulla scena che racconti, grazie, appunto, alla scelta mirata di elementi che caratterizzino, senza inutile retorica o banale descrizione, il luogo e la situazione, anche emotiva, in cui i personaggi (e noi!) si muovono. Ti è bastata della polvere soffocante, dei calcinacci e la presenza del corpo, ormai senza vita, di suor Domiziana, per trasmetterci l’ansia e la preoccupazione di trovarsi in un luogo che è diventato, improvvisamente, ostile.
Ed, a questo punto, inserisci uno sviluppo narrativo che mi è piaciuto molto: Sh, pur nel suo gravissimo svantaggio di non vedente, si preoccupa persino di Sally che, nei suoi confronti, si è sempre dimostrata davvero odiosa.
Secondo me la generosità del consulting, che tu metti qui in evidenza, è sicuramente IC anche se, i buoni sentimenti, in lui, vengono sempre mascherati da una ruvida presa di distanza dalle persone che lo circondano e che non sono John.
Certo che la scena di Sally che s’aggrappa a Sh con tutta la forza della sua disperazione, pur mantenendo una certa diffidenza nei suoi confronti, è un’immagine che tu riesci a trasmetterci con immediatezza e che ci colpisce proprio per la sua spiazzante realtà.
Trovo perfettamente coerente con il personaggio di Holmes, che conosciamo dalla Serie BBC dei Mofftiss, quel comportamento, appunto, che esprime, in circostanze drammatiche, una tensione ad occuparsi di chi è in difficoltà. Ovviamente vitali per lui sono le scariche d’adrenalina che costituiscono la sua “droga”, ma ritengo da non sottovalutare il suo impegnarsi, nel cercare di salvare altri, anche per un senso di giustizia.
Un capitolo breve, questo, ma ugualmente significativo e fondamentale nello sviluppo della storia.

Recensore Master
04/05/19, ore 17:10
Cap. 8:

Mi piace come tu non interrompi, nemmeno in questo capitolo, dissolvendola, l'atmosfera con cui hai caratterizzato il precedente.

Siamo ancora all'ospedale, dove c'è stato il "duello" tra Sh e suor Domiziana che ha portato a svelare l'identità del dinamitardo.
Fai percepire una tensione di sottofondo, "mettendo sul piatto" anche la presenza scomoda e venata d'insolenza di Sally che punzecchia John. Ciò lo trovo davvero IC perché mi riporta alle scene di ASIP, quando l’agente “delucida” arrogantemente Watson sui rischi che potrebbe correre vicino al “freak”.
Molto piacevole lo scambio di battute tra John e Lestrade sulle caratteristiche caratteriali di Donovan e di Holmes
, qui tu hai sparso un po’ di gustosa ironia che trova il suo punto di forza nell’accomunare il periodo del ciclo di Sally con quello di…Sh!
Ma passi, poi, a far dire a Greg delle cose veramente toccanti, ancora più credibili per John perché escono dalla bocca di un uomo onesto e sincero qual è lo yarder. E qui ecco la frase che non va dimenticata in quanto riassume semplicemente tutto quello che John è per il consulting: “…Sei il centro del mondo per lui…”. Toccante.
Watson ascolta senza la tensione che ha quando è davanti a Sh e gli sembra, bellissima immagine, di dover superare un muro che si alza ogni volta che a lui sembra di essere arrivato alla sommità.
C’è una frase, oltre a quella che ho citata, che è nuova rispetto al consueto atteggiamento di autoprotezione con cui il medico cerca di celare, anche a se stesso, ciò che prova veramente per Sh. Ed è quel riconoscere, finalmente, che “quelle voci non sarebbero più solo voci”. Non siamo sorprendentemente davanti alla sbandierata affermazione sulla sua sessualità (“Non sono gay”) che gli è sempre servita per nascondere i suoi dubbi. Questo salto di qualità che gli hai fatto compiere mi è piaciuto davvero, perché si pone in modo originale nel consueto procedere delle storie sulla Johnlock: Sh è introverso, John non osa capire quello che davvero vuole ed allora si definisce eterosessuale. No, qui, da te, posso trovare un rassicurante passo in avanti di John verso il riconoscimento di quello che può renderlo felice.
Inoltre è completamente credibile il suo senso di gioia quando Greg si dimostra incredulo di fronte al suo non aver ancora capito cosa sia lui per Sh e cioè, il suo centro del mondo, parte integrante del suo lavoro, che è la vita per il consulting, suo punto fisso di riferimento. E ci chiediamo cos’altro John auspicherebbe essere di più per Holmes.
Ma la consapevolezza dolcissima di quello che Greg gli ha rivelato, viene schiantata ed ammutolita da un’esplosione potente che sconvolge tutto: rumore assordante ed improvviso, polvere, calcinacci… In più Sh non c’è vicino a lui.
Un bel colpo di scena, non c’è dubbio, ed il primo pensiero è l’angoscia che trasmette l’idea di Sh, impossibilitato a vedere, imprigionato dalle macerie e dalla sua disabilità.
Un capitolo denso e apparentemente di passaggio. “Apparentemente”, perché, come ho scritto, fai compiere ai personaggi, qui mi riferisco a John, degli importanti passi avanti nella presa di coscienza della loro interiorità.

Recensore Master
03/05/19, ore 23:25
Cap. 7:

L’inizio di questo capitolo ci fa entrare nel vivo di quello che sta sconvolgendo la routine di Sh cui s’è abituato dopo il tragico cambiamento che ha subito la sua vita: è diventato cieco, ma tu lo ritrai in grado di risollevarsi dalla cupezza della depressione in cui la sua disabilità l’ha precipitato. E tutto grazie all’energia che gli trasmette il trovarsi dentro ad un caso, che lo coinvolge addirittura personalmente in modo terribile ma, soprattutto, grazie al suo “conduttore di luce” che, in questo frangente, impersona questo ruolo in modo non più metaforico ma davvero concreto.
Però, ora, c’è qualcosa di sorprendente che lo spiazza, lo spaventa, perché sfugge al dominio della sua ragione. Si tratta, infatti, dei lampi improvvisi che solcano il buio dei suoi occhi, in una sequenza che sta diventando addirittura regolare (“…una ogni trenta minuti circa…”).
Entriamo in un ambiente, l’Ospedale Opera Pia, in cui i nostri due sono sicuri di trovare degli indizi utili a risolvere il mistero del dinamitardo. Qui trovo un altro contrasto, è una tecnica narrativa, questa di combinare degli elementi opposti, che tu usi con sapiente equilibrio ed efficacia, e cioè quello tra la dimensione religiosa del luogo in cui si trovano e l’effettiva concretezza del messaggio cristiano vissuto lì dentro. Non solo, c’inserisci anche la renitenza razionale e l’acidità che le reazioni di Sh di fronte alle affermazioni della suora emanano, anche se frenate dal tempestivo e prezioso intervento di John (“…la gomitata che John gli assesta…”).
Infatti, nel capitolo risalta nettamente il “duello” che tu hai rappresentato tra il consulting e la suora: è un rimpallo senza tregua d’insinuazioni e di patetici tentativi di coprire la scomoda verità che suor Domiziana nasconde, inutilmente, al “laser” delle deduzioni di Sh. È un Holmes davvero caricato e spietato nel suo incalzare la donna per arrivare a delle conclusioni che lo indirizzino verso dei risultati concreti nella soluzione del caso.
L’effetto di questo dialogo, dai toni accesi e senza tregua per la donna, è davvero forte, ritrovo lo Sh sagace e vitale delle prime Stagioni BBC.
Il capitolo si chiude con la figura rassicurante di Greg che raccoglie, con piacere, i suggerimenti del consulting.
È un pezzo, questo, che nonostante la brevità, ovviamente relativa rispetto ad altri, contiene parecchi spunti narrativi interessanti, non ultimo quello riguardante il caso del dinamitardo. L’hai sviluppato progressivamente, con misura, senza banalità e ci porti verso la soluzione in una maniera naturale, senza scosse. Come l’inesorabile bravura di Sh, nell’assemblare ed interpretare gli indizi, di cui tu fornisci un efficace ritratto.

Recensore Master
03/05/19, ore 22:30
Cap. 6:

Secondo me hai concretizzato, nell'aspetto del "rifugio" sul Tamigi di Sh e nella particolare reazione di John, uno degli aspetti più problematici della Johnlock, forse il più deviante.

Infatti lo stupore del medico corrisponde, molto probabilmente, al suo ritenere Sh un uomo dai misteri inquietanti, dai molti scheletri nell'armadio; dappertutto egli vede ombre che gli fanno pensare che Holmes sia un uomo che nasconda una seconda vita inquietante. I suoi silenzi, le sue frequenti, apparentemente inspiegabili secondo la normale routine, assenze dal 221b , i suoi dubbi, secretati da una svagata perdita di contatto con la realtà circostante, costituiscono, agli occhi di John, un qualcosa d'insondabile che lui ritiene potrebbe dargli un ritratto completo del consulting non troppo trasgressivo ed inquietante rispetto ai suoi canoni di militare,di medico, di persona innamorata.
In questi giorni mi sto rivedendo, per l'ennesima volta, le Serie BBC, sono arrivata a TFP per cogliere sfumature ed aspetti che sfuggono durante i nostri primi approcci con qualsiasi visione massmediatica. Almeno questo è quello di cui ho bisogno io, nei confronti di questa splendida rielaborazione di Conan Doyle.
Ed è, ovviamente tra molto altro, proprio questo aspetto di introversione che, anche se causa troppe domande, fa parte del fascino di Sh. Tanto più che si scopre, alla fine del percorso, purtroppo temo non ci sarà una S5, che le radici del lato oscuro di Holmes affondano in un'infanzia su cui si proiettano ombre terribili di una tragedia familiare veramente devastante. Così, dissipato il buio del passato, ci resta un uomo che custodisce in silenzio un disperato bisogno d'amare e di essere amato.
Tornando alla tua storia, Sh ha, in più, una condizione di svantaggio, la cecità, che lo porta ad esprimere se stesso in una maniera più "concreta" rispetto a prima. Infatti ha bisogno di John per muoversi, per riuscire nelle proprie indagini...
E, questa sua dipendenza, è come se rendesse più visibili i suoi reali bisogni, che non sono solo quelli di non vedente. Voglio dire che il cercare John continuamente perché, ora, è diventato la luce dei suoi occhi spenti, non è più nascosto, mascherato da una maschera di arrogante superiorità, ma si esprime attraverso gesti ben chiari. Non è la sua cecità che si esprime ma il suo cuore.

Trovo efficace, dal punto di vista tecnico, il contrasto stridente tra la desolante e ributtante realtà del rifugio sul Tamigi e l'elegante icona del nostro consulting: così, ci fai scoprire, attraverso le sue stesse parole, che, il motivo più pressante dell’organizzazione di questi “luoghi misteriosi” che lui ha ideato, altro non è che l’urgenza di proteggere John dai pericoli mortali insiti nella risoluzione dei casi e nel rapportarsi con criminali spietati. Un gesto d’amore, insomma.
In questo capitolo, la situazione particolare e la condizione di Sh fanno da catalizzatore affinchè delle ammissioni importanti scaturiscano dalla consueta riservatezza di Sh, , che altro non è che la sua paura di non essere accettato per quello che è. E, caso eclatante, lo stesso stato d’animo c’è anche in John, e qui il consulting, forte del suo essere “perdonato”, vista la sua disabilità, sbotta con una delle più interessanti confessioni che potremmo già considerare da me archiviate negli “scaffali” della Johnlock:”… da non sapere come altro dimostrarti quanto sei importante per me!..”. Infatti Holmes libera, da quelli che John definisce “fottutissimi silenzi”, il suo desiderio di poter fare capire al suo “coinquilino” ciò che prova davvero per lui.
E fai ritornare la rassicurante definizione che tanto mi ha intenerito, gemma preziosa nel panorama aspro di ciò che appariva nello Sh delle prime due Serie: mi è piaciuto molto che tu abbia riportato quel concetto così significativo e denso di echi dolcissimi per cui John è il suo “conduttore di luce. Parole, queste, che spesso mi ritornano alla mente e che mi riportano, con nostalgia indietro nel tempo, quando ho scoperto questa Serie BBC che è un’opera d’arte.
Noto con piacere che li fai ridere senza inibizioni, liberamente, come abbiamo già visto, e tutto questo è molto IC. In tanta sofferenza, il ritrovarsi insieme a condividere, spontaneamente, un momento d’ilarità, credo sia veramente terapeutico e rivelatore di ciò che, veramente, sono l’uno per l’altro.
Procedi anche con il mettere a fuoco in maniera intelligente la fisionomia dell’assassino, il cui delirio s’intreccia con motivi religiosi che caricano ulteriormente il clima di tensione di contrasti inquietanti.
La scena che hai ideato dell’arrivo degli “irregolari” al rifugio dove sono i nostri due, è davvero costruita con efficacia, è piacevole e l’hai gustosamente condita con l’evidente atteggiamento protettivo di John nei confronti di Sh, che sfocia sicuramente in una manifestazione di gelosia. Watson vuole stare al fianco di Sh e vuole starci da solo, ora che, per lui, sembra si stia aprendo una via finalmente libera da malintesi e fraintendimenti.
Si va verso la conclusione del capitolo accolti da un elemento nuovo e destabilizzante in senso positivo. In effetti il consulting è spaventato dall’improvviso “accendersi” di lampi di luce che squarciano il buio dei suoi occhi. Ciò lo terrorizza soprattutto perché, indebolito dalla sua tragica condizione, oltretutto non riesce ad incasellare razionalmente ciò che gli sta succedendo. Ci pensa l’affetto di Watson a riportarlo in un equilibrio emotivo caratterizzato dalla concreta speranza che lui possa tornare a vedere.
Molto ben inserito, a questo punto, il concetto di “oscurità selettiva” che precede la fine del capitolo, in cui veniamo avvolti da un’atmosfera carica di tensione emotiva davvero coinvolgente.
Una storia davvero ben scritta e ben pensata, che trovo personalmente migliore delle altre tue due long, forse perché qui trovo tutte le sfumature dell’umanità di John e di Sh in un contesto “giallo” perfettamente delineato.

Recensore Master
28/04/19, ore 23:37
Cap. 5:

Con questo capitolo si entra nel vivo del caso, e percepiamo la crudeltà del killer. Lo facciamo attraverso ciò che percepisce Sh, quindi niente immagini, niente indizi visivi. Come sappiamo fin dall’inizio, la mancanza di uno dei cinque sensi acuisce gli altri, quindi la pista che sta seguendo il consulting per la cattura del dinamitardo, per Sh, è costituita da rumori, sensazioni tattili e qui, soprattutto, da dati olfattivi.
Hai caratterizzato l’atmosfera dell’inizio del capitolo con la livida realtà dell’obitorio, in cui Sh viene colpito dall’odore più che mai invasivo per lui che non è “distratto” dalla visione di ciò che lo circonda.
Ovviamente fai entrare in scena Molly, che qui è nel suo ambiente naturale, e la ritrai in un modo assolutamente IC, sempre turbata dalla presenza di Sh che è il grande, inarrivabile oggetto del suo amore. Una simpatica nota ironica l’hai introdotta con quello Sh che, poverino, deve tallonare da vicino l’anatomopatologa per capire bene ciò che non può vedere e me lo rappresento un po’ goffo, con “ il viso quasi affondato tra i capelli della ragazza”, atteggiamento, come il seguirla praticamente incollato a lei, che mi suscita un sorriso e tanta tenerezza. Il fatto, poi, che lui la consideri come una provvidenziale fonte di profumo che possa lenire il terribile odore della morte, decisamente è molto sherlockiano, ritroviamo la bizzarra considerazione che lui ha sempre avuto per Molly.
L’impatto con le condizioni della vittima ci fanno capire la vera dimensione del misterioso criminale che si sta rivelando di una crudeltà veramente agghiacciante, abbinata in modo inquietante all’uso di riferimenti religiosi.
Ritroviamo uno Sh geniale, brillante che si slancia nelle sue deduzioni, anche perché con lui c’è John che lo capisce al volo, che sta brillantemente supplendo alla funzione sensoriale perduta da Holmes. Chiari riferimenti alla Johnlock sono quelle due carezze, soprattutto la seconda, più consapevole, con cui Sh sfiora la guancia di Watson. In esse c’è tutta la gratitudine del consulting per il suo generoso supporto che coinvolge non solo le sue indagini ma anche la sua quotidianità, la sua sofferenza. In quelle carezze c’è anche la realtà di un sentimento che si sta facendo sempre più nitido. John è costantemente con lui, in una meravigliosa empatia che li lega senza forzature o patetici atteggiamenti di falsa condivisione. Watson fa ciò che fa perché anche lui è innamorato del suo “coinquilino”. Egli riprende in pieno la sua funzione di “conduttore di luce”, stavolta anche in senso letterale perché, il suo essere diventato “i suoi occhi”, porta Sh alla scoperta che rimandi al capitolo seguente.
Mi piace come, anche qui, rappresenti la sintonia assoluta che c’è tra i due del 221b, che qui trova un’espressione originale perché messa alla prova dalla particolare e drammatica situazione di grave debolezza in cui si trova Sh.
Dal punto di vista della componente “gialla” della storia, ho trovato veramente efficace la “costruzione” progressiva che Holmes fa dell’identità della vittima, assemblando nella sua mente gli elementi che riesce a raccogliere con i sensi rimanenti e, soprattutto, con l’apporto prezioso di John. Ci troviamo così di fronte ad un preciso ritratto di una particolare tipologia umana, perfettamente messa a fuoco da quello che è il tuo consueto procedimento di ricostruzione dettagliata dell’ambiente o dei personaggi.
Il capitolo si chiude con l’improvvisa illuminazione che Sh ha a proposito di qualcosa che John dice, pensando ad alta voce, riguardante la possibilità che la parte “dinamitarda” dell’esecuzione della vittima abbia una valenza simbolica, nel senso della presenza, nello svolgimento del crimine, di quello che viene visto dall’assassino come un terribile fuoco purificatore.
Bella l’immagine di Sh che, sembra, per il momento, dimenticare la sua drammatica menomazione per organizzare le sue mosse successive.
Dinamico, come sempre, il fluire dei dialoghi, attraverso i quali fai esprimere ai vari personaggi ciò che riguarda i due elementi fondamentali della storia.
Uno è la costruzione della verità che deve mettere in grado gli investigatori di arrestare l’assassino, il secondo elemento è l’evoluzione di Sh, che vediamo ritornare all’energia travolgente di tutte le sue facoltà.
Infatti, dal silenzio pesante e sicuramente denso di volontà di autodistruzione dei momenti immediatamente seguenti alla perdita della vista, passi ad uno Sh teso e coinvolto completamente nell’indagine, che sembra proprio aver vinto la tentazione, legittima comunque, di chiudersi nel suo dolore.
Bel capitolo anche questo.

Recensore Master
27/04/19, ore 17:25
Cap. 4:

L’accenno di speranza che cogliamo in quel leggero scurirsi delle iridi di Sh, e che John che è medico, legge come un ottimo auspicio, viene appannato dal tormento continuo che Watson ha rispetto a ciò che sta vivendo Sh e che gli richiama drammaticamente alla mente il tragico epilogo della sua storia con Bryan.
Statuario ed inquietante quello Sh che tu ritrai con lucidità, perso in un altro momento, non l’unico, purtroppo, in cui il suo “conduttore di luce” non ravvisa alcuna delle consuete entrate” nel Mind Palace o la concentrazione assoluta sul caso.
Infatti tu rappresenti un altro Sh, muto, assorto nel suo silenzio e nel suo buio, in cui i pensieri non si muovono e non gli forniscono la consueta, destabilizzante, ma vitale energia che emana il suo applicarsi ad un caso con tutta la potenza della sua intelligenza.
John lo vede e, conoscendolo, capisce che sono momenti di pericolosa astrazione dalla realtà, persi nel buio della disperazione da cui possono aver origine drastiche scelte di non continuare a lottare ed a vivere.
Ho trovato bellissima quella frase con cui Watson cerca di scuoterlo dal suo isolamento (“…Permettimi di essere i tuoi occhi…”) e dove trovo racchiusa tutta la forza del sentimento che, chiamare amicizia, ormai, è davvero inadeguato.
Ed altrettanto intenso è quel gesto che Sh compie in risposta all’affettuosa insistenza di John e cioè quel prendergli la mano, che sta posata sul suo viso, per accostarla alle labbra, quasi a voler trarre vita e forza da quel semplice contatto.
Arriva Mycroft e la tensione sale, anche per noi lettori perché il personaggio in questione è impegnativo da trattare e riempie con il suo indubbio carisma tutta la scena.
Lo fai accogliere da Sh con quel suo nuovo atteggiamento di chiusura caratterizzato dalle braccia incrociate caparbiamente sul petto ed il fratello, nella sua acuta capacità di osservazione, lo nota.
Comincia il consueto “teatrino” fra i due, e tu fai sedere John sul bracciolo della poltrona, accanto al consulting. La sua posizione è chiara anche agli occhi di Mister Inghilterra: lui sarà sempre al fianco di Sh.
Molto intenso lo scambio tra i due, Watson e Mycroft, che coglie perfettamente un particolare che è sfuggito al medico op, meglio, non lò’ha certo ravvisato nei vari indizi palesati da Sh. Infatti il fratello maggiore ha colto, nel minore un cedimento, umanissimo per altro (“…E’ terrorizzato, John…”), che lo preoccupa e gli fa pensare già a delle soluzioni per proteggerlo da se stesso e dalla realtà circostante.
In effetti, Mycroft lo mostri già teso a progettare una sistemazione del fratello in una struttura adeguata, in cui possa sentirsi al sicuro.
E qui mi torna alla mente l’atmosfera allucinata di TFP, in cui veniamo a conoscenza dell’esistenza di Eurus, fatta rinchiudere per necessità a Sherrinford.
L’elemento che mi ha colpito nell’atteggiamento del maggiore degli Holmes è che la motivazione, che lui porta come necessaria a John su un possibile trasferimento di Sh in un posto protetto, è accettabile: Il consulting, in caso di conclamata e ppersistente cecità, va salvato da se stesso perc hè la consapevolezza della non reversibilità della sua condizione, lo porterebbe all’annientamento volontario.
Mi trovi perfettamente d’accordo con questa posizione che, anche se appare dura ad un primo esame, però, considerando proprio le caratteristiche caratteriali di sh, appare la più sensata. Emerge, dunque, l’affetto profondo che Mycroft ha per il fratello minore, e l’atteggiamento di protezione nei suoi confronti.
Il capitolo si chiude con col tormento di John che teme di approfittare della debolezza di Sh per servirsene in modo sfrontato. Ancora una volta assistiamo ad un fuoco di fila cui lo sottopone la sua coscienza riguardo all’atteggiamento che lui dovrebbe avere nei riguardi di Sh, e questa tua tecnica dà una pennellata ironicsa al tutto, stemperando la tensione dei fatti.
Ma noi sappiamo che è solo il suo timore di non poter essere all’altezza della considerazione del bellissimo consulting che lo porta a tormentarsi così. E questo tu lo esprimi benissimo, rappresentando la lotta con la sua coscienza che lo pungola sul fatto che lui, sicuramente, è innamorato di Sh.
Ed il suo amore lo spinge ad accettare, senza riserve, l’ipotesi di occuparsi di lui anche in caso di una cecità perenne.
John è disposto a sacrificare se stesso, senza se e senza ma, perché sa che è questo il suo compito ed il suo desiderio più grande.
Dicevo più sopra dell’impegno nel trattare la figura di Mycroft e le sue incursioni sulla scena, che scatenano subito una palpabile tensione con il fratello.
Tu hai saputo gestire con leggerezza questo nucleo tematico, mantenendo perfettamente IC i personaggi, rispettando la loro caratteristiche.
Mycroft, infatti, è sempre l’“iceman”, ma sensibile nei confronti di Sh, verso il quale nutre, indubbiamente, un affetto profondo; il fratello, dal canto suo, maschera con un’odiosa arroganza, ciò che sente per il fratello maggiore, perché sappiamo, ed anche lui lo sa bene, che, senza di lui, sarebbe perso.
John lo ritrai efficacemente in mezzo al fuoco di fila dei due Holmes, vero e proprio elemento equilibratore, innamorato di Sh ma anche consapevole che non può prescindere dall’appoggio di Mycroft.
È un eterno gioco delle parti che tu rappresenti qui, e non è cosa facile riportare fedelmente, rispetto al canone dei Mofftiss, il precario equilibrio di affetti tra i due Holmes.
Ci sei riuscita molto bene, davvero, ritraendo uno Sh umanizzato dalla sua sofferenza ed un Mycroft preoccupato per lui ma già proiettato a cercare la soluzione migliore per lui, per salvaguardarlo dall’autodistruzione.
Continua a campeggiare, qui, un John gigantesco nella sua generosità e nella sua dedizione verso gli altri. Ma, comprendiamo perfettamente che non si tratta solo di atteggiamento derivato da una sua attitudine professionale bensì di qualcosa di più profondo, che ha messo le sue radici in quello che lui realmente prova per Sh.
E così fai scaturire, naturalmente, dal suo amore, anche il desiderio di accudirlo anche a costo della sua libertà personale nel fare ciò che desidera della sua vita.
Questa si sta, via via, rivelando una grande storia che mi coinvolge tanto.
Brava.

Recensore Master
26/04/19, ore 01:05
Cap. 3:

In questo capitolo ci accoglie il gesto di Sh, ormai consolidato, di appoggiare la mano sulla spalla di John per essere guidato ovunque. E, dico io, anche per sentirsi sicuro, non abbandonato nel buio che ha invaso la sua vita improvvisamente.
Nella precedente recensione ho scritto dei vari cambiamenti che la cecità ha prodotto in lui, e qui si fa strada quello, forse, più considerevole, e cioè il fatto che il suo Mind Palace sembra non attivarsi più come prima. Quindi, il suo, è tutto un assorbire e rielaborare le informazioni che gli arrivano dalle sensazioni che l’ambiente circostante gli trasmette e dalla memoria che, però, per il trauma subito, non ha la lucidità di prima.
Molto IC il riferimento allo “stesso deodorante” che accomuna Anderson e Donovan, ho rivisto con nostalgia, con gli occhi della mente, le scene di ASIP, in cui “lo strambo” è chiaramente oggetto di commenti poco simpatici da parte dei due yarder. Noto che hai riportato anche qui lo stesso atteggiamento di arrogante presa di distanza da uno Sh che, però, questa volta può sembrare davvero fragile nella sua invalidità. Veramente odioso il commento sul bendaggio che Sally gli rivolge con grossolana stupidità che ritorna anche in una frase pronunciata da Anderson (“…E come conti di guardarle?…”)
Comunque prendiamo atto subito che Sh non è inerme nel suo disagio ma reagisce con decisione, anche spronato dall’orgoglio e dalla volontà di dimostrare ai suoi detrattori che lui è ancora in grado di compiere, con efficienza, delle indagini.
Un sorriso me l’hai provocato con quel gesto che lui fa per comunicare a John la sua volontà di entrare nella baracca, battendogli una mano sulla spalla e il medico ribatte, un po’ piccato, che non è un cane. Ma sappiamo che il suo atteggiamento è sicuramente espressione di un’affettuosa vicinanza.
Il punto di forza di questo capitolo, ma anche dei precedenti, tutto sommato, è John ed il suo porsi come solido punto di riferimento nei confronti del consulting, anche fisicamente, ed è Sh stesso che glielo chiede, per esempio quando gli raccomanda di non muoversi dal punto in cui lo lascia per esplorare con il tatto e l’olfatto i muri interni della baracca.
Quello che tu rappresenti è proprio un John che esprime una positiva funzione di sostegno nei confronti di Holmes, senza tuttavia scadere nel lacrimevole o nel patetico. In lui non c’è stucchevole commiserazione per la cecità di Sh ma un atteggiamento propositivo e pratico di collaborazione e di accudimento non ostentato.
Lo scenario della componente “gialla” della storia si sta, man mano, definendo e si prospettano interessanti ed inquietanti sviluppi.
Un fatto è certo e cioè che, la situazione drammatica in cui si trova Sh, forzatamente condannato all’oscurità, sta stimolando la sua formidabile intelligenza in modo da sfruttare l’aumentata acutezza dei sensi rimasti, fornendogli delle fonti potenziate di dati sensibili.
E questo è molto coerente con il personaggio in questione e con il suo carattere.
Molto coinvolgente quel suo imbarazzo, quasi tenero, nel chiedere con rispetto a John di accompagnarlo via dalla scena del crimine. Atteggiamento, questo, impensabile nello Sh prima della drammatica aggressione.
Alla fine del capitolo, metti in risalto un altro aspetto nuovo dei suoi comportamenti “da non vedente”, e cioè un, per lui anomalo, interesse nei confronti delle vittime del dinamitardo. Coerente, dal punto di vista umano, con gli esiti di una grande sofferenza che porta, quasi sempre, ad una più profonda empatia con chi sta male. E questo è spiegabile, secondo me, anche con il fatto che Sh stesso è una vittima del criminale.
La conclusione lascia un sapore di speranza e di partecipazione umana che non è solo frutto di una, sia pur sincera, amicizia ma di qualcos’altro di più profondo e tutto ciò è racchiuso in quello stringere la mano di Sh, che fa John, prima di poggiarsela sulla spalla.
Una long, questa, che, sinceramente, dal punto di vista emotivo mi sta coinvolgendo più di “Dalle ceneri…” e “Fenix” che, comunque, mi rimangono in mente sempre come storie molto valide.
Forse è per via della cecità di Holmes che dà un tono di commossa partecipazione ed anche per la connotazione splendida che John assume come vero e proprio “conduttore di luce” nei confronti di chi, almeno per ora, la luce non può certo vederla. Brava.

[Precedente] 1 2 3 [Prossimo]