Ciao Indy!
Mi piace trovare il realismo nelle storie, l’ho detto già tante volte, e continuo a ribadirlo. Ma soprattutto ti ringrazio per una cosa. Leggo tante autrici donne che sviliscono il genere, creando dei personaggi piatti, legati a vecchi stereotipi (io stessa mi sono dovuta giustificare perché, a volte, l’eroina non ha la sua prima volta con l’eroe; eh, capita) o, addirittura, le donne non ci sono proprio. Ecco allora che respirare una boccata d’aria fresca per con una penna maschile quasi mi commuove. Marion è una donna scritta bene. Ha una sua vita. Lei e Colin hanno vissuto nell’appartamento dove avrebbero dovuto vivere lei e Jones perché lui, da bravo deficiente, l’ha lasciata.
E lei non poteva rimanere come la dama di Valois della canzone di Faber. Inoltre, è intelligente. Crede in quest’uomo che ha amato da una vita, prendendo anche delle decisioni attive – dare il biglietto. Insomma, è un personaggio moderno. La rispetti e si vede e te ne ringrazio. Allo stesso modo, Mutt si è sciolto perché Jones ha usato una frase forse non brillantissima, come ammette lui stesso, ma sincera, che era esattamente quello che doveva fare. E Mutt dice chiaro in faccia ciò che pensa, ciò che di un padre che si palesa una volta ogni vent’anni non se ne fa nulla. È un separarsi doloroso a tratti, dopo un viaggio stancante, ma anche necessario per il realismo con cui ho iniziato la recensione. Un uomo e una donna adulti, più che adulti, che vivono in due città diverse, non possono convivere nel tempo di uno schiocco di dita, sarebbe irrealistico.
E poi effettivamente Jones è cambiato con Marion e lei lo sa, ha capito che forse è arrivato anche per lui il momento di girare meno il mondo e scoprire ciò che gli mancava – una dimensione più intima, ma non per questo meno affascinante. |