Recensioni per
Ubi in secretum perveni
di ValeS96

Questa storia ha ottenuto 14 recensioni.
Positive : 14
Neutre o critiche: 0


Devi essere loggato per recensire.
Registrati o fai il login.
Recensore Master
28/08/20, ore 17:00
Cap. 7:

Concordo con te sull’interessante spessore di un personaggio come James Sholto, la cui influenza, sia su John sia su Sh, entra profondamente, secondo me, nelle strutture della Johnlock. Ho accennato che la sua presenza al matrimonio di John è stata particolarmente rilevante anche nei confronti del consulting. Infatti Sh è colpito da quell’ufficiale così imponente e silenzioso che dimostra di esercitare un certo fascino su John. Sto rivedendo, nella mia mente, le scene di TSOT relative a quanto sto scrivendo e vi colgo un qualcosa d’inespresso, di lasciato in sospeso. Nei Mofftiss questi momenti, in cui si invita lo spettatore ad approfondire dei percorsi lasciati aperti, sono più di uno e costituiscono, secondo me, uno degli aspetti per cui lo “Sherlock” BBC è una produzione qualitativamente di tutto rispetto. Vieni invitato a pensarci su, in parole povere.
Vediamo un John sinceramente emozionato nel ricevere, all’invito al proprio matrimonio, una concreta risposta positiva e, di fronte a Sholto, lo scopriamo davvero felice di rivedere chi, sicuramente, in passato, ha contato molto per lui. E si ha l’impressione che lui, Nohn, abbia contato di più per Sholto. Ovviamente tutto questo non sfugge allo sguardo infallibile di Sh che percepiamo inquieto. La sua, comunque, non si può ridurre a semplice gelosia ma a qualcosa di più complesso. Il consulting “scannerizza” i dati che gli provengono da quella figura solitaria, solenne, silenziosa, davanti alla quale gli occhi di John s’illuminano. Evidentemente, o almeno così emergerebbe dai pochi dati che si possono assemblare, più che di un rapporto tra comandante e sottoposto, potremmo parlare di un rapporto molto più intenso ed umano, in cui John ha suscitato un sentimento profondo in un uomo abituato, sia per carattere che per funzione, a non lasciare spazio ai sentimenti. Chissà se il capitano Watson ha risposto alla sua muta richiesta d’amore. Ma, confrontando la situazione con quella vissuta con Sh, si può tranquillamente ipotizzare che, anche nel caso di James, John si sia trincerato dietro una montagna di “non detto” e “non fatto” o, peggio, di “I’m not gay” o simili. Di fronte ad un atteggiamento di sorridente elusione, tipico in John, penso infatti sia stato quasi impossibile per James esprimere ciò che provava. E che prova ancora perché il fatto che una persona solitaria e schiva come lui sia intervenuto al matrimonio di un suo sottoposto, è decisamente un fatto rilevante. Inoltre non è da dimenticare che la sua volontà suicida si è arenata davanti alla constatazione, da parte di Sh, mi pare, che un fatto del genere avrebbe rovinato la festa di John. Mi viene in mente, mentre scrivo ciò, che, forse, il fatto che Sholto sia andato al matrimonio di John con una pistola in valigia possa avere più di un’interpretazione. A parte delle ragioni di difesa personale, ovvie per la sua situazione di perseguitato dai parenti delle vittime in Afghanistan, potrebbe esserci anche una precisa volontà di suicidarsi proprio al matrimonio di Watson. Una decisione di chiudere così un periodo infelice che ha pesato sulla sua vita, cioè un amore non corrisposto ed un fallimento nella propria identità di comandante? Chissà...
Comunque, tornando a Sh nell’ottica della tua storia, emerge un’identificazione del consulting con l’ufficiale. Su sente per lui un interesse particolare che supera le dimensioni di una comune gelosia è si connota come il riconoscimento di un’affinità nella sofferenza. Entrambi, al matrimonio, vedono l’uomo di cui sono innamorati che se ne va definitivamente dalla loro vita. Drammatico. Sh questo lo comprende in pieno ed ha una sorta di rispetto per Sholto, lui che di rapporti sociali non è troppo esperto.
Così, rimane presente, nel suo Mind Palace, quell’ufficiale così affascinante, pur con il viso deturpato e l’invalidità ad un braccio. Le parole con cui, attraverso gli occhi di Sh, descrivi, con veloci ma efficaci pennellate, la composta ma straziante sofferenza di Sholto, rivelano che il consulting rispetta quell’uomo anche perché lo comprende e condivide la sua pena. È una figura “imponente ed elegante”, che si sta spegnendo lentamente, composto e silenzioso. Sentiamo, netta, la partecipazione del consulting a questo dramma che lui sente anche suo. John sembra scivolare via, non si ferma a guardare con gli occhi del cuore. Io credo che, prima del “volo” di Sh dal tetto del Barts, lui, forse, avrebbe permesso che accadesse “qualcosa” con Sh. Dopo Reichenbach, no, la rabbia, il dolore ed il risentimento sono stati troppo brucianti ed invasivi. Tornando a Sh e Sholto, eccomi di fronte, finalmente, a Zenobia, la città che ha un rapporto profondo con i desideri. Un luogo sospeso, in cui la leggerezza diventa assenza, rifiuto di una vita più concretamente coinvolta nelle relazioni con gli altri. È una città che conserva i desideri, li esprime ma che può anche distruggerli, assorbirli e rendere inutile un sogno, un obiettivo. Sh immagina così l’essenza di Sholto, confinato in un’atmosfera spenta e sospesa per non aver potuto, o saputo, esprimere un sentimento importante. Inoltre c’è anche il fallimento di un’ideale di vita legata alla guerra, alla morte di molti giovani. Lui stesso sta morendo, svuotato dal tentativo, forse mai attuato fino in fondo, di vivere in un modo diverso. Anche il cielo si spegne davanti ai suoi occhi, che richiamano il colore e la tristezza di quelli di Sh.
Come di consueto, una storia, questa, che ha la preziosità di un cristallo. Brava.

Recensore Master
21/08/20, ore 10:06
Cap. 7:

Ciao, anzitutto permettimi di dire che sono davvero felicissima che tu abbia aggiornato di nuovo. Non so quanti capitoli ti mancano alla fine, presumo che a un certo punto le "Città invisibili" finiranno... ma per intanto sono contenta di sapere che hai ancora del materiale su cui scrivere.

Devo confessare che a una prima lettura, di solito ce ne vogliono un paio per riuscire a decifrare per bene le tue drabble, non avevo intuito che l'uomo fosse James Sholto. Pensavo che l'uomo in divisa fosse John e mi domandavo perché Sherlock se lo immaginasse con una divisa addosso, dato che nella serie questa associazione non avviene mai, pur sapendo che lui è stato un soldato (che in parte lo è ancora) e pur avendo Sherlock un ovvio kink per le divise militari, questa associazione non avviene mai. E infatti non era John. Il fatto che si immagini James Sholto in divisa è quasi scontato direi, Sherlock vede per la prima volta Sholto proprio con quella addosso, al matrimonio e lo associa proprio con quella, questo considerato il funzionamento di un "Palazzo mentale" che va per associazioni logiche, dato che poi il suddetto viene quasi ucciso proprio per via di quella è naturale vederlo così. Mi dicevo inoltre che non poteva essere John perché la stanza nella quale l'uomo stava era troppo spoglia e troppo semplice per essere quella di John. Le tue note autore poi me l'hanno confermato e ho trovato la tua decisione di concentrare una storia su di lui davvero molto interessante.

Ogni stanza visitata era particolare, non erano tutte stanze fondamentali, nemmeno questa lo è, ma è interessante perché c'è quella cosa che poi hai detto anche tu nelle note autore ovvero l'accostamento con Sherlock. Nella serie la similitudine tra i due uomini c'è eccome, ci pensa Mary a farla, indirettamente, ma anche lo stesso Sherlock si accosta a quell'uomo e ne esce sconfitto, o almeno lui ci si sente, perché Mary sottolinea quanto Sholto fosse più asociale di lui. In apparenza non ci sarebbe niente di male a dire di essere più sociale di un uomo che è molto asociale, dovrebbe far piacere saperlo (a qualcuno almeno), perché porta con sé molte implicazioni a livello relazionale. Ma per Sherlock non funziona così e non c'entra il fatto di definirsi "sociopatico". C'entra la gelosia invece. E il fatto che Sherlock sa che John è attratto da persone poco sociali, persone dai caratteri particolari e infatti è attratto da lui e da Mary! E da Sholto. Ma finché è Mary allora va bene, perché Mary John la sposa e Mary non scalza Sherlock nel suo ruolo di amico, ma se la persona "asociale" è un uomo che è stato pure un commilitone di John, allora in Sherlock scatta il confronto. Confronto che Sherlock perde su tutta la linea e che patisce anche un pochino, mostrandosi geloso di Sholto. Questo avviene nella serie, ma non escludo che possa esserci stato un ragionamento simile anche qui nella tua drabble, magari prima di questo momento.

Ci sono molte interpretazioni diverse su quanto di non detto ci sia stato tra Sholto e John, questa è credo una delle più fattibili. Dando per assodato che c'è una netta somiglianza tra Sholto e Sherlock (in parte anche nel nome, come si può notare) e dato che entrambi tengono profondamente a John Watson, viene quasi naturale pensare che Sholto fosse innamorato di John, ma che questi non abbia capito niente. Io lo trovo verosimile. La tua scena, nella tua drabble, nasconde una sottigliezza molto affascinante. Naturalmente, Sherlock non può aver saputo direttamente da Sholto cosa effettivamente provava per John, se è davvero l'uomo più asociale che John abbia mai conosciuto avrà una personalità "I" (tenendo in considerazione le personalità Meyer-Briggs) ovvero una personalità introversa e difficilmente si sarà aperto con Sherlock. Quindi possiamo dire che la sua sia una deduzione, ma che sia molto verosimile. Interessante è il fatto che quella di Sherlock sia più che una deduzione su Sholto, una deduzione su se stesso. Io mi domando a che punto della serie, Sherlock abbia capito di amare John Watson, ho sempre pensato che se ne sia reso conto quando ha capito di doversi buttare da un tetto per salvargli la vita, ricordandosene anche quando è tornato, quando John si è sposato, quando l'ha cacciato in malo modo dopo la morte di Mary... insomma, Sherlock lo sa già, ma qui pare rendersene conto soltanto adesso e mentre parla con uno James Sholto che è una proiezione della sua mente. Il suo parlare con Sholto è un po' un parlare con se stesso, si associa a Sholto perché anche lui amava John. Il confronto, come ho detto, Sherlock lo ha fatto dal primo istante e inconsciamente continua a farlo.

Insomma, è stata una lettura molto interessante.
Complimenti e alla prossima.
Koa

Recensore Master
10/07/20, ore 15:24
Cap. 6:

Questa è la “ città” che mi ha comunicato emozioni più intense e positive rispetto alle precedenti, unite ad un senso di rassicurante accoglienza. E quest’ondata di speranza e di sicurezza l’hai espressa in quel John la cui forza travolgente è racchiusa nel suo sorriso, porta aperta verso un futuro in cui pensare ad una vita migliore e, soprattutto, vera. Quella che Sh non ha mai vissuto prima dell’incontro fatale e straordinario con quel reduce che gli ha risvegliato la voce del cuore. Qui John non dice praticamente niente, ma la tua scelta narrativa è molto efficace perché, per creare l’atmosfera di profonda intesa e di ineluttabile vicinanza, é molto più significativo un gesto che delle parole che non riuscirebbero ad esprimere inequivocabilmente la profondità di un legame unico ed indissolubile. Ed il gesto che hai scelto per far esprimere ciò è, come ho già scritto, il sorriso di John, meraviglioso e carico di vita. Dal punto di vista visivo, il suo atteggiamento, che risalta ancora di più grazie al suo silenzio carico di significato, per me è come se rappresentasse un unico punto di colore, potrebbe essere arancione o rosso, in uno sfondo dipinto a tinte tenui, uniformi. Qualcosa, insomma, che attira, che chiama. E per Sh,diventa punto di riferimento, proposta di cambiamento totale,
Per lui diventa un punto fermo, una luce che guida verso il futuro.
Tornando alle caratteristiche di questo pezzo, è sorprendente come tu abbia arricchito il testo, che tecnicamente è breve, di molte potenzialità interpretative. Ti sei servita dell’atmosfera quasi surreale di Calvino per “costruire” una storia che esprima, in modo originale, ed in poco spazio, il mondo di John e Sh. I motivi che caratterizzano il fascino della Johnlock e ne esprimono l’unicità, ci sono tutti, rappresentati in modo originale. Ci sono la fatalità del loro incontrarsi, del loro perdersi e del ritrovarsi senza più dubbi o paure. C’è il carattere di John, accogliente e perfettamente complementare rispetto a quello di Sh, più introverso, chiuso e che sfugge all’approfondimento delle relazioni con gli altri. John, a questo proposito, è colui che costituisce un ponte sicuro verso l’accettazione e la scoperta di ciò che significa vivere senza più trincerarsi dietro ad una solitudine profonda e devastante. Il punto focale, secondo me, di ciò che racconti e, quindi, di ciò che consideri il cardine dell’evoluzione di un rapporto importante ma dal volto nascosto, è la Caduta di Holmes e non solo in senso letterale. Infatti Sh, con il suo “volo”, pur se inserito in una situazione finta ed ingannevole, il famoso piano “Lazarus”se non ricordo male, comunque ha scelto di esibirsi in un gesto clamoroso che, e lui lo sapeva, gli sarebbe costato molto caro, lo avrebbe allontanato per un lungo periodo dal suo “conduttore di luce”, tenuto all’oscuro di tutto. In poche righe hai rappresentato il consulting ed il suo mondo prima di conoscere John e dopo il primo, fatidico incontro nel laboratorio del Barts. Un luogo dell’anima quasi asettico , lontano dagli altri, che tu rappresenti efficacemente, ispirandoti alla visione di Calvino che ci presenta Bauci, la città sospesa, i cui cittadini vivono guardando gli altri a distanza, dall’alto. Si può pensare che in questa situazione ritrai la vita di Sh prima di conoscere John: una vita sospesa, sicuramente offuscata dalle ombre di un passato inquietante, quale abbiamo visto nella S4, in TFP. Gli altri sono visti come se fossero lontani fisicamente, proprio come vivessero molto più in basso, irraggiungibili. E lui si sente fuori dal mondo, incapace di trovare un linguaggio comune per farsi accettare. La situazione richiama la scena angosciante di TRF, con Holmes e Moriarty sopra il tetto del Barts, impegnati in un mortale duello tra intelligenze decisamente non comuni. Guardando allora quelle immagini, non sapevamo della finzione progettata per salvare la vita di Sh. Però l’angst della Caduta l’abbiamo vissuto e sofferto intensamente, affidato sia a quel tragico “volo”, così drammatico e spettacolare, sia all’attonita e dolorosa incredulità di John di fronte a quello che credeva davvero l’improvviso suicidio del suo “migliore amico”.
Le tue parole hanno così richiamato lo stato d’animo dispiaciuto e sospeso di fronte alla morte del consulting.
Però rappresenti anche il risultato della Caduta, cioè uno Sh nuovo, più umano, propenso ad ascoltare la voce del cuore e ad avvicinarsi agli altri, non più vuote maschere in un mondo ostile. E questa rappresentazione la concretizzi efficacemente in quello “scontro” casuale che Sh ha con la donna sconosciuta che gli fa capire, con quel “Mi scusi” che lui esiste, che ha un’identità e può avere anche un suo posto in mezzo agli altri. E, ripeto, c’è sempre John accanto a lui, silenzioso ma sorridente che gli indica la strada da seguire e lo accompagna meravigliosamente verso la nuova vita.
Secondo me, un punto di forza della tua storia è la quantità di spunti di riflessione che offre, su Sh, su John e sul loro legame. Come ho scritto sopra, qui si trova quella che è l’essenza della Johnlock, cioè quel loro essere necessari l’uno all’altro. Qui è il POV di Sh che ci induce a riflessioni riguardanti soprattutto il suo modo di sentire. Quindi ecco il suo iniziale senso d’isolamento, che tu traduci perfettamente in quel suo saper leggere sì le persone senza, però, riuscire a sopportare una qualsiasi forma di comunicazione interpersonale. Significativo è come definisci il suo stato d’animo che è descrivibile come quello di chi sta lontano da tutto e da tutti, come se si trovasse , appunto, sul tetto del mondo, al sicuro certo, ma prigioniero della sua stessa scelta di solitudine, per modo di dire, “protettiva”.
Noto che, dal punto di vista lessicale, proprio perché il testo è breve, tu reiteri un termine che, solitamente, in una narrazione di siffatta qualità non apparirebbe determinante, eppure... La parola a cui mi riferisco è “cornicione”, che tu ripeti in un piccolo spazio di testo. Allora, scusa la licenza di lettore, mi slancio in interpretazioni personali: il tuo modo di scrivere è, a mio avviso, troppo curato e vario dal punto di vista lessicale, perciò non penso proprio che la ripetizione, cui mi riferisco, possa esserti sfuggita. Sono sicura che, con essa, con quell’attirare la nostra attenzione su quella parola, così banale, “cornicione”, tu abbia voluto esprimere qualcosa di preciso. Il termine indica un punto di confine tra una situazione di sicurezza ed un’altra di alto rischio. In TRF il cornicione indicava, per esempio, la linea di demarcazione tra il mondo di Sh in cui fondamentale è la sfida con Moriarty. Oltre, invece, c’è il rischio, il salto nel vuoto, la morte quasi sicura. Il tuo sistemare lì un John sorridente ed allusivo è una mossa veramente geniale. Forse hai voluto significare il ruolo determinante di ciò che Sh prova per John, rappresentando così un passaggio, non certamente incruento, mediante il quale Sh cambia radicalmente vita, si getta “nel vuoto”, appunto che, secondo me, rappresenta il ruolo dei sentimenti finalmente riconosciuto ed accettato dal consulting. Per lui, sicuramente, è stato simile, appunto, ad un salto dal cornicione, verso qualcosa di ritenuto pericoloso e sconosciuto. Però, e qui mi è piaciuta particolarmente la tua rappresentazione, non succede alcunché di catastrofico. Nel suo sogno, nel suo peregrinare inquieto nelle stanze del suo Mind Palace, Sh considera così la sua decisione di riconoscere ciò che prova per John, gettandosi così metaforicamente nel vuoto dei sentimenti, abisso a lui sconosciuto. Ma, e qui hai espresso un mondo di tenerezza, il sorriso di John lo accompagna e lo accoglie nuovamente a “terra”. Non è successo alcunché di grave. La Caduta è terminata in mezzo agli altri che riconoscono la sua presenza. Splendida la frase finale in cui descrivi, con la voce del cuore, il ruolo che John ha agli occhi di Sh: l’ha fatto “nascere” ad una vita diversa, nuova, per entrare nella quale è comunque necessario sacrificare qualcosa. Sh è “saltato”, lasciandosi alle spalle una lontananza dagli altri assolutamente arida e negativa. Ha rinunciato al dominio della sua ragione nelle faccende regolate soprattutto dalle emozioni. E, fatto straordinario e commovente, si è salvato la vita, è atterrato senza problemi in mezzo agli altri, con accanto il suo John.
Un pezzo, questo, veramente di qualità, il migliore per me delle “città” precedenti. Brava. Certo che ti sei “supportata” con la genialità di Calvino, ma ne hai mutuato gli echi e l’atmosfera preziosa. Il resto è tutto tuo, completamente scaturito dalla tua effettiva capacità di scrivere “ad una certa altezza”. Complimenti sinceri.

Recensore Master
01/07/20, ore 21:06
Cap. 6:

Ciao, allora per prima cosa lasciami dire che sono davvero felice di trovarti ad aggiornare questa storia. Come spesso mi succede leggendo queste drabble, dopo la lettura ho avuto un attimo di spaesamento e mi sono presa un momento per riflettere su quanto aveva appena letto. L'interpretazione, e in questo sei perfettamente in linea con Calvino che molto spesso non è immediato in questo senso, non è semplice da dare a uno scritto del genere. Non ho ancora avuto modo di leggere Le città invisibili, mi era venuto in mente a febbraio di andare a cercarlo in libreria, ma poi è iniziato il lockdown... Come al solito ho la sensazione che conoscendo il libro si possano cogliere molti più dettagli, o comunque ad avere una visione immediatamente più chiara dei significati reconditi, del motivo per cui in quella stanza del palazzo mentale di Sherlock è conservata tal cosa in quella maniera, ma cercherò di dare un'interpretazione, fermo restando che è tale e quindi potrei anche sbagliarmi di grosso. Ma per quello che è il mio pensiero il poter sbagliare è il bello del tentare d'interpretare un qualcosa.

La scena, che poi sarebbe la stanza del famoso "Mind Palace" di Sherlock, ruota attorno a un ricordo nello specifico ovvero volo dal tetto del Barts per il quale John lo ha creduto morto. Ricordo che si mescola a delle sensazioni, emozioni e a un pensiero che non è ovviamente superficiale. Come è capitato spesso di trovare in questa storia, il palazzo mentale di Sherlock contiene anche stanze in cui non c'è necessariamente uno schema fisso e di catalogazione molto rigido. Le stanze che abbiamo visitato contenevano più sensazioni, sentimenti, che ricordi veri e propri e quando ci sono sono frammentati, magari casi irrisolti o pensieri non conclusi e lasciati lì. In questo caso il ricordo pesa, è importante, ma Sherlock non lo conserva per una ragione meramente pratica, non è per ricordarsi di un fatto del proprio passato, che potrebbe tornargli utile in futuro, che lo tiene nella mente, la sua è più una ragione umana. Nelle tue note autore parli di rinascita. E credo che la presenza di John funga a tal scopo. Serva a questo insomma. Quella scena delle cascate di Reichenbach segna un momento importante per la serie e per la storia di Sherlock Holmes nel suo complesso, ovvero la sua morte. Morte fittizia, sappiamo benissimo quelle che sono le ragioni. Sherlock Holmes non è morto, ma il mondo lo crede tale, John lo crede tale e siccome John è il mondo di Sherlock Holmes, allora basta lui e i suoi sentimenti perché Sherlock sia morto davvero. Qui però non vediamo la scena esattamente come ci è stata proposta nella serie, John è lì con lui, al suo fianco ed è lì quando arriva giù di sotto in strada. Ho avuto la sensazione che una volta finito di sotto, Sherlock si sia ritrovato altrove e non esattamente sotto l'ospedale del Saint Barts. Appunto: una rinascita. Finire altrove dopo una morte, dopo la fine di qualcosa. Naturalmente il significato è simbolico, Sherlock è effettivamente andato via da Londra dopo la sua finta morte, ma non è questo quello che intendo. Di certo non ha concepito il suo vagare per il mondo a stanare gli amici di Moriarty come una "Nuova vita". Quella è venuta dopo. La sua morte segna un punto fondamentale all'interno della storia e così è anche per quella di Mary. Che qua non viene citata, ma che aleggia un po' in sottofondo. La rinascita di Sherlock non inizia a mio avviso quando lui si lancia di sotto, forse lì raggiunge il suo apice in quanto il sacrificio per un'altra persona, perché questa resti in vita è di certo un punto importante per quello Sherlock più umano che poi i Moffits hanno costruito sino alla fine della quarta stagione. Io ho avuto la sensazione che la rinascita di Sherlock sia iniziata davvero una volta che è tornato e che il tempo che ha vissuto lontano da Londra fosse una sorta di "tempo sospeso", come un limbo, un bozzolo di una farfalla dentro al quale ha atteso di rinascere col suo nuovo corpo. Anche il "Prima" era importante ovviamente, prima della finta morte c'è stato più di un qualcosa con John. Ma da dopo la caduta io credo che Sherlock abbia acquisito consapevolezza di sé a livello emozionale. Questa storia a mio avviso parla proprio di questo. Di come Sherlock cambia, di come la sua umanità, i suoi sentimenti abbiano preso vita attorno a John Watson. Sherlock definisce il momento del volo come un incubo e un sogno. Siamo sempre all'interno del simbolismo e qui il tuffo non è soltanto materiale, è legato a un ricordo di un evento nello specifico ma quello Sherlock, quello che si lancia dal Barts dentro al palazzo mentale, ha John accanto e allora questo lanciarsi assume anche una connotazione diversa. Dove si deve lanciare Sherlock? Verso chi? Verso che cosa? Perché entrare proprio in questa stanza, adesso? Forse ciò in cui si sta per lanciare Sherlock può essere paragonabile a un suicidio, a un lancio nel vuoto e mi viene in mente che magari c'è aria di dichiarazione (ma forse sto vagando troppo con la fantasia). Quel che è certo è che nella scena che descrivi c'è una duplice interpretazione emotiva alla cosa perché è una tragedia che fa soffrire, ma è anche un sogno. Perché lo definisce un incubo? Perché la caduta fa male, ovvio. Ma qui c'è John e allora mi viene da pensare che è un incubo perché John forse nemmeno lo ricambia e magari non lo accetterà mai né capirà mai sino in fondo, perché forse spera nell'impossibile. Ma al tempo stesso è anche un sogno perché c'è speranza che la caduta non faccia poi così male, e perché è consapevole che comunque stare accanto a John è stupefacente e bellissimo. I due aspetti dell'onirico che Sherlock ritrova durante la caduta sono come le due facce di una medaglia, c'è la felicità dell'amare John, del godere del suo essere straordinario, ma c'è anche l'incubo che amare un qualcuno e non essere ricambiati comporta, il rischio della caduta, del farsi male, del venire feriti per sempre o addirittura uccisi. Però la storia parla di rinascita, che in questo senso è duplice, forse triplice addirittura. Sì, Sherlock è cambiato grazie a John, è diventato una persona nuova. Morto e risorto e questa immagine, lui, inconsciamente o meno, la riconduce al suo finto suicidio. Dal quale è rinato. Rinasce quando incontra John e rinasce, forse, dopo questo ennesimo salto nel vuoto. Il fatto che alla fine, una volta a terra, John sorrida direi che è la risposta a tutte le domande. C'è da chiedersi se ciò potrebbe avvenire realmente, o ancora se Sherlock ha immagazzinato in quella stanza del palazzo mentale un ricordo sovrapponendolo a un altro. Se ho ragione e tutto questo ruota attorno al fatto che Sherlock desidera dichiararsi a John, che cerca in sé il coraggio di cambiare le cose e non essere più amici ma anche altro, allora potrebbe essere già successo. Lo so, sono un'inguaribile ottimista, ma mi piace pensare che potrebbe essere finita bene. Questo supponendo che io ci abbia visto giusto e non abbia preso un'enorme cantonata, se è così mi scuso. Di certo è una storia stupenda, come tutte le altre. Complimenti, un lavoro di gran pregio.

Koa

Recensore Master
22/03/20, ore 23:17
Cap. 5:

La città più importante per Sh, forse una delle più affascinanti tra quelle del grande Calvino.
Zaira, un posto in cui la vita e la storia s’intrecciano in un unicum che pulsa di energie nascoste, di ombre del passato che depositano le loro oscurità in modo tattile, molto più che visibile, ma anche di nascoste e preziose speranze nel futuro.
È la stanza di John, quella in cui Sh ha chiuso ciò che rimane di un incontro tra due anime che, finalmente, hanno trovato la via per scoprirsi l’una all’altra.
Sì, perché, secondo me, quei dati sensibili che il consulting conserva in quel posto segreto costituiscono ciò che gli richiama alla mente ed al cuore i momenti trascorsi con John. Forse, addirittura, la sua prima volta in cui, come gli fai dire tu, l’emozione e la verità del sentimento, che prova per lui, lo rendono cieco, incapace di leggere, fino in fondo, l’uomo che ha davanti.
Mi sento di dire che la città stessa è il ritratto di John, che Sh non riesce ancora a decifrare, anche perché, ciò che prova per lui, ha travolto la lucidità della sua formidabile ragione. La mia attenzione, ad una prima lettura, mi ha portato a soffermarmi sulla parola “trincee” che non mi pare di aver trovato nel testo di Calvino: penso che tu l’abbia usata anche in riferimento alla natura di Watson che è quella di medico e di soldato e, quest’ultima, spesso esce in tutto il suo rigore, il suo coraggio e la sua determinazione. Il termine suddetto mi richiama anche l’idea della guerra in cui, concretamente, John si è trovato a rischiare la vita ed a salvarne altre, dei suoi commilitoni. Ma “trincee”, penso, che abbia anche un significato più profondo: una guerra, per lui, è stata la sua vita, soprattutto il tempo dopo il congedo, da reduce ferito ed inservibile, soffocato dalle frustrazioni della sconfitta umana di essere stato messo da parte come una cosa ormai inutile. La triste sorte del capitano Watson, al suo ritorno nel Paese che ha servito con onore e da cui è stato deluso profondamente, Sh può leggerla nelle linee d’espressione che solcano il volto dell’uomo di cui è innamorato e dedurla dalle tracce che rimangono sulla sua pelle esprimendo, splendida e struggente immagine, “gli interminabili giorni di solitudine”.
Ma il brillante consulting, che ha sempre brillato per l’acutezza e l’infallibilità della sua mente, ora si trova emozionato e titubante per l’importanza di ciò che quell’uomo, così segnato dalla vita, rappresenta per lui e teme di non essere all’altezza di comprenderne i desideri, le speranze, i sentimenti.
Un bellissimo Sh esitante e, per la prima volta, reso cieco dalla forza di qualcosa che non può dominare con la ragione. Sulla scena con lui, non certamente in secondo piano, c’è John che, splendidamente, hai rappresentato con la solennità silenziosa di una vera e propria città, con le sue luci e le sue ombre. Ma Sh ama tutto di lui, ormai in quella stanza, in Zaira, c’è tutto il suo mondo.
Poche parole, qui, da te, ma tanto sentimento e travolgenti emozioni.
Complimenti.

Recensore Master
21/03/20, ore 15:23
Cap. 5:

Ciao, mi è mancata molto questa raccolta di Drabble e sono davvero felice di vedere che l'hai aggiornata e che, dopo casi e cose non più utili, Sherlock sia finalmente arrivato a John Watson. La connessione con Zaira è immediata, almeno stando alla citazione che hai riportato. Leggendo quella e poi la Drabble diventa molto evidente che in questo, Calvino ti ha condotto con le sue parole sino a John Watson. Ed è incredibile come certe connessioni, leggendo, ti facciano arrivare lontanissimo dove di sicuro l'autore non pensava si potesse arrivare. Interessante il modo in cui Sherlock percepisce John Watson, lo legge sulla pelle, attraverso le sue cicatrici che poi sono ciò che raccontano il suo passato. John ha scritto tutto addosso e Sherlock lo legge come se fosse un libro in braille (stupenda anche questa, di connessione). Mi piace molto, in questo credo sia la tua Drabble più visiva, quella in cui il tatto e la vista hanno un'importanza maggiore. E quindi John viene letto da Sherlock, che cammina dentro la stanza che lo contiene come farebbe, appunto, camminando per le strade di Zaira. John è lì tutto da leggere, specialmente nel suo passato quello sotto le armi. Ma anche in tutto ciò che non dice. Mi è piaciuto molto questo concetto, John non parla con Sherlock di sentimenti. I loro discorsi sull'amicizia che li lega sono molto vaghi e imbarazzati, non si sono mai presi la briga di fare un discorso onesto e sincero. John, oltretutto, viene descritto da Sherlock come un uomo molto chiuso e che a fatica parla di sé. Lo stesso John dice che ha difficoltà a parlare di certe cose. Sherlock, per assurdo, è invece agli antipodi. Sherlock teme la reazione di John nell'aprirgli il suo cuore, questo è vero ma come chiunque del resto, ma non è una persona chiusa. Lui al contrario esterna tutto, spesso con un'emotività fuori controllo o del tutto inadeguata. Una delle conferme che ci ha dato la quarta stagione e che io ho adorato trovare. E quindi Sherlock legge questo tuo John, attraverso la pelle e i ricordi che si porta addosso. Chissà se un giorno potrà farlo anche davvero, se potrà passare le dita sulla sua pelle non soltanto dentro a un palazzo mentale... a dire il vero non so in questo senso come procederà la tua raccolta di Drabble. Pur essendoci l'avvertimento "Slash" finora è stata una raccolta prettamente introspettiva e che si concentrava principalmente su Sherlock e sulla sua vita. Immagino che dovrò aspettare altri aggiornamenti per scoprirlo.
Intanto sono contenta di averti ritrovata, e spero che aggiornerai presto perché questa tua raccolta è un prodotto molto valido.

Alla prossima.
Koa

Recensore Master
27/01/20, ore 00:57
Cap. 4:

Facendo un po’ di giretti su Google per rinfrescarmi la memoria circa “Le Città Invisibili” di Calvino, a proposito di Fedora, ho trovato il testo cui tu fai riferimento, richiamato da un dipinto di una certa Colleen Corradi Brannigan. Lei è un’artista irlandese contemporanea che ha fatto delle “città” di Calvino una preziosa fonte d’ispirazione. Sue sono delle opere a mio avviso davvero notevoli che bene rappresentano ciò di cui stiamo ragionando.
Le tue “città” sono i luoghi labirintici dell’interiorità di Sh, veri e propri luoghi dell’esistenza in cui sono fissate, ma ancora paradossalmente invece è tumulto, tracce cristallizzate di sentimenti, emozioni, pensieri, situazioni del passato ma anche, secondo me, del presente. La città di cui parli in questo capitolo, Fedora, mi è apparsa come una degna rappresentazione personale di quella descritta da Calvino. Sei, infatti, riuscita a ricavarne l’essenza ed a trasportarla in una rappresentazione più concreta, più “quotidiana” che facilita la comprensione di ciò che abbiamo davanti. Se si volesse sintetizzare all’estremo i concetti che turbinano in quel luogo che lascia senza fiato, si potrebbe usare la parola “forse”. Un pensiero che sfreccia veloce, appunto come un treno, nella mente ma poi sfugge e si smaterializza perché la vita ci richiede soluzioni immediate o riflessioni devastanti sulle scelte da prediligere nel nostro cammino. Così hai rappresentato quel luogo interiore che toglie il fiato, perché sembra stabile ed efficiente (almeno si spera) come una stazione della metropolitana, invece lì i treni si dissolvono in esplosioni improvvise, si sgretolano contro un muro, scompaiono senza più lasciare traccia. Veicoli impazziti come i pensieri di Sh che dovrebbero condurre alla ricerca della meta irraggiungibile, dell’ideale della perfezione, di un punto fermo nel vorticare continuo della sua eccezionale mente. Ma tutto sfuma in un turbine di “luci intermittenti”, di suoni stridenti ed assordanti. Hai perfettamente rappresentato il caos che, secondo me, assedia Sh anche nelle sue relazioni con gli altri. Con chi gli sta accanto lui non riesce a “prendere il treno” che lo porterà dove desidera e cioè a rapporti equilibrati, rassicuranti, che possano anche esprimere un senso di riconoscenza e di affetto sincero. Sì, perché Sh non è che non provi sentimenti. Sappiamo ormai che problemi risalenti al suo passato hanno rivestito il suo animo di una corazza su cui è idealmente incisa la frase, ormai mitica, che Mycroft gli ha rivolto all’obitorio quando si pensava che l’Adler fosse morta. E proprio quel “Caring is not an advantage” gli ha sempre impedito di compiere le sue scelte, forse le più importanti, con umanità ed equilibrio. Fedora è la città del “forse”, come ho già scritto sopra, del”e se io, invece...”. Se, per esempio, avesse aperto il suo cuore a John, esprimendogli cos”era veramente per lui, prima del “volo” dal Barts, rivelandogli la verità anche sul piano “Lazzaro” riguardante il suo finto suicidio, forse un treno verso la felicità sarebbe riuscito a prenderlo. Se con Molly si fosse comportato diversamente, forse...Se nei riguardi di Mary...Se con Martha Hudson avesse risposto alle sue premure con l’affetto che sicuramente prova per lei...E se fosse riuscito a prendere altri treni che, invece, o si sono schiantati su un muro o esplosi in galleria, come sarebbe ora la sua vita. Spero di aver compreso, almeno in parte, il tuo messaggio perché mi dispiacerebbe non dimostrarti che, ciò che scrivi,
mi ha sinceramente colpito e mi ha regalato dei bei momenti di riflessione.E, sai una cosa? Cercando di fissare, in queste osservazioni che ti lascio volentieri, le mie idee riguardo i luoghi “segreti” del nostro Sh, i concetti si sono estesi spontaneamente anche alla vita reale, là fuori, perché non c’è ombra di superficialità e di banalità nel tuo racconto. Perciò si sollevano un attimo le dita dalla tastiera e si pensa alle proprie “città” segrete, ai propri treni presi o perduti. E questo è un fatto che rende “universale” un Autore, perché quello che scrive relativamente a personaggi non veri, diventa prototipo che può essere applicabile, come ho detto poco prima, anche per noi.
Dal punto di vista stilistico hai saputo condensare, in poche parole, uno dei “luoghi” segreti in cui il Sh ha stratificato le sue ansie, i suoi rimorsi, i suoi irrisolti interrogativi. Quelli che sfrecciano impazziti nella sua mente sono i “se” ed i “forse” che hanno addensato con ombre inquietanti la sua vita.
Un gran bel lavoro, brava.

Recensore Master
16/01/20, ore 16:35
Cap. 4:

Ciao, contrariamente alle precedenti drabble che erano di più difficile decriptazione, questa l'ho trovata molto più semplice anche perché è la drabble stessa a fornirci una spiegazione convincente ed efficace, sebbene in poche parole. Probabilmente, idea che mi sono fatta anche attraverso le tue note autore, parte della difficoltà interpretativa in parte sta nell'opera originale dalla quale trai ispirazione. Per tutta una serie di fatti non sono ancora riuscita a leggere il libro, quindi continuo a leggere le tue drabble da assoluta ignorante. Non so come sia questa Fedora, come l'abbia descritta Calvino stesso, ma posso dire che forse qualcosa lo si è intuito della tua visione. Lo scorcio che ci hai dato mi ha riportato immediatamente a certe atmosfere che soltanto un grande autore come Calvino è in grado di tessere. Io lo amo tantissimo e ogni passaggio che leggo scritto da lui, mi trasporta subito in mondi lontani e fantastici. La tua drabble gli rende omaggio, su questo puoi star sicura. Come anche tutte le precedenti. Anche in questo caso ho tentato di dare una mia interpretazione e ammetto che all'inizio non è stato facile capire dove cercavi di andare a parare. Non avevo capito perché ci trovassimo in una stazione della metropolitana e ci fossero tutti questi treni che passano, arrivano e partono, ma poi ho iniziato a capire.

Come per tutte le precedenti, anche in questo caso si parla di scarti. Quelle che hai descritto non sono strettamente stanze utili a qualcosa di concreto, non piene di ricordi o di fatti e dati catalogati, molte di queste contengono fatti e pensieri che non gli servono più. In questo caso, e lo trovo assolutamente da lui, Sherlock ha catalogato tutte le occasioni perse. Mi è piaciuto molto che tu le abbia rappresentate come dei treni che partono. Non sappiamo nello specifico di che cosa sta parlando, ma quelle occasioni perse e possibili destini che si incrociano mi fa pensare che ci sia una componente personale, più che legata al lavoro. Sherlock oltretutto non è uno da rimuginare troppo sul lavoro o i casi, lui ha un rapporto molto più pratico con la faccenda. C'è un caso: lo risolve (oppure no, dipende dai casi). Il fatto che pensi a occasioni mancate, e futuri che non si sono avverati (ma sui quali evidentemente ha rimuginato) mi porta a credere che invece siano faccende personali. Forse non tanto legate alle scelte di vita, ma a quello che avrebbe potuto fare e non ha fatto. Me ne viene in mente una, di situazione simile ovvero non dire a John i suoi reali piani dopo essersi tuffato dal tetto del Barts. Se lo avesse coinvolto magari le cose sarebbero andate diversamente. Magari se avesse affrontato Moriarty stesso in un modo diverso... mi pare un po' la stanza dei "se" e dei "magari". Non trovo neanche troppo strano che Sherlock ne abbia una e che questa sia, come ho già detto, una stazione. Certo sarebbe interessante approfondire l'argomento, ma come al solito, sono drabble e sono nate per essere brevi...

Intanto ti faccio ancora i complimenti per questa raccolta che mi piace sempre davvero tanto. Molto originale e particolare anche.
Koa

Recensore Master
20/11/19, ore 23:05
Cap. 3:

Non ti annoio con un discorso sul ritardo con cui ti recensisco, potrei dare la colpa all’allungarsi patologico della lista delle “Storie da recensire” ma, tanto ci ricadrei nel non seguire un ordine cronologico. Comunque ci sono e ti ringrazio di aver proseguito nel tuo impegnativo percorso sulle orme del grande Calvino. Sì, perché, non ricordavo più il titolo che hai dato alla raccolta, pensavo a “Le città invisibili” o simili e, non trovando alcunchè del genere nel suddetto elenco di ff cui lasciare delle mie osservazioni, ho temuto che tu avessi rinunciato al progetto. Ed invece, per fortuna, dopo un’illuminazione che ha acceso la mia memoria, eccoti qui.
Il pezzo cui fai riferimento che riguarda la città di Diomira, è davvero splendido. Infatti io amo molto la preziosità espressiva che può essere insita in un brano descrittivo e qui trovo piena soddisfazione, tra “cupole d’argento” e le altre splendide immagini che si susseguono. Di questo ti ringrazio perché mi fai tornare il desiderio di rileggere l’opera di Calvino e di gustarne appieno, dopo anni di lontananza, l’incomparabile sapore.
Vedo che tu hai ripreso quello che è il senso più profondo del pezzo in quanto, è come se spegnessi le luci sfavillanti dell’apparenza e portassi in primo piano ciò che sta sotto, al buio. Siamo nel Mind Palace di Sh, come già ci hai avvertito all’inizio di questa raccolta, nelle stanze, però, più segrete.
La malinconia è ciò che, secondo me, lega le parole di Calvino alla tue. Malinconia intesa nel suo significato più evidente di stato d’animo particolare di chi si sofferma, senza riuscire ad uscirne in breve tempo, in sentimenti d’inquietudine e delusione.
Cioè, provando ad applicare la definizione a quello che potrebbe provare Sh, ipotizzo che Diomira sia la stanza segreta in cui lui ha racchiuso la sua fragilità più grande, quella nascosta dalla sua spavalda maschera d’arroganza e di affermazione compulsiva della sua, comunque evidente, superiorità intellettuale. Mi riferisco alla sua incapacità di avvicinarsi alle persone senza “scannerizzarne” i vari elementi costitutivi, come si farebbe con un oggetto complicato e sconosciuto.
Sh, in effetti, applica anche a chi gli sta intorno, in modo automatico, il metodo deduttivo proprio del suo lavoro sulle scene del crimine, che gli fornisce, in un lampo, una sequenza d’informazioni. Informazioni e basta. Per questo, il suo stato d’animo è quello di chi, di fronte ad un tramonto, nella luce incerta che si sta spegnendo, non riesce a distinguere i particolari di chi incontra. Disattivando la sua formidabile mente, infatti, egli si accorge che non gli riesce di “sentire” le persone, senza intermediazioni razionali e prive di spessore emotivo.
Perciò, nelle stanze più segrete del suo cuore, invidia chi, invece, sa guardare agli altri comprendendone la vera essenza, che non è la risultante di una serie di deduzioni ma un moto dell’animo, spontaneo. Cosa che lui, sicuramente, non riesce a liberare. Ecco allora la malinconia del sentirsi completamente solo, circondato da tante figure di cui non riesce a distinguere la realtà.
Penso proprio che questa stanza, così triste, possa riferirsi allo Sh prima dell’incontro con Watson, quando il “Fantastico!”, con cui quest’ultimo ha reagito alla solita sequela logorroica di deduzioni da parte del consulting, ha diradato le ombre e l’indistinto che dominavano le sue relazioni sociali, o meglio la loro mancanza, permettendogli di “vedere” davvero chi era John.
Un pezzo, il tuo, che ha l’evanescenza di sentimenti, come il sentirsi incapace di gestire i rapporti con se stesso e con gli altri, che, anche se non travolgenti, come la rabbia o la passione, comunque soffocano il desiderio di vivere. E Sh questo ce l’ha, questo suo personale “male di vivere”, di non trovare la strada giusta per relazionarsi con le persone.
Brava.

Recensore Master
05/11/19, ore 20:03
Cap. 3:

Ciao, so di essere in forte ritardo per quanto riguarda questa drabble e ho due spiegazioni, la prima è che credevo d'averla già recensita (va beh, evitiamo di ridere...) la seconda è che rileggendola ora mi sono resa conto del perché io non l'avessi recensita prima. Forse è una delle drabble più complesse che io abbia mai letto, senz'altro la più difficile da interpretare tra quelle che hai scritto in questa storia. Già ammetto d'avere avuto delle difficoltà con la citazione, forse in questo caso, il non aver letto il libro mi ha impedito di conoscere tutti i retroscena che la riguardano e la maniera in cui sei arrivata ad abbinarla a Sherlock. Di sicuro non è facile arrivare a una decifrazione nitida. Io credo molto nell'interpretazione, nel fatto che chiunque interpreti un testo alla propria maniera e che questa sia per forza di cose diversa da ciò che interpreta invece un altro. Ma qui confesso di avere enormi difficoltà. Non per tuoi demeriti, chiariamo, è solo molto difficile comprendere ciò che c'è dietro.

Di nuovo c'è Sherlock, il palazzo mentale è il suo e quello che si fa con queste drabble è viaggiare dentro la sua mente, aprendo ogni stanza. E ogni stanza è una citta, questo ormai è chiaro. In ogni stanza ci sono cose molto diverse, nella precedente erano pezzi che aveva lasciato indietro perché non più importanti mentre in quella prima ancora era il 221b di Baker Street con John accanto. Qui la mia sensazione, ma di nuovo ripeto che non son certa di nulla, è che questa sia la stanza di un certo tipo di emozioni che si vanno a riflettere su una propria condizione intima. Qui Sherlock osserva la gente, persone senza un volto e che lui definisce senza identità, il che mi porta a credere che siano sconosciuti. Gente qualunque. Persone che in un certo qual modo Sherlock invidia, prova gelosia nei loro confronti. Credo che il perno di tutto sia la consapevolezza di se stessi. Il quanto ognuno si conosce, quanto è in grado di autoanalizzarsi. E per ragioni a noi sconosciute, Sherlock è convinto che questi individui che incontra per caso siano più capaci di lui, ad analizzare se stessi. In fondo è tutto qua, il concetto. Gira tutto attorno a questo. Al fatto che Sherlock sia stato portato a credere una cosa del genere, ritengo che sia un sentimento specifico di un momento della sua vita (magari del passato) in cui era insicuro riguardo qualcosa e di riflesso di se stesso. Ma ovviamente non sappiamo a quanto tutto questo fa riferimento. L'immagine di Sherlock che guarda queste persone, che si rende conto di non saper tutto di loro, viene collocata in una Londra al tramonto che, per me che non ho letto il libro, pare essere il solo legame con la città di Calvino. Non so, perché come dicevo non ho letto il libro, se c'è un significato nascosto sotto. Se esiste un qualche tipo di legame tra la città al tramonto e il fatto che Sherlock deduca persone a caso e non riesca a farlo. Insomma se lo stato emotivo in cui versa Sherlock abbia una qualche connessione con Diomiria. Ammetto con l'interpretazione di questa drabble mi fermo qui, faccio un passo indietro perché le considerazioni che ho fatto nascono da mie impressioni che possono naturalmente essere anche sbagliate.

Mi piacerebbe sapere qual era il messaggio che volevi far passare, qual è l'interpretazione più corretta. Senz'altro mi è piaciuta, e questo al di là del singificato. Leggere queste drabble e cercare un loro singificato, è un'avventura piuttosto piacevole.
Koa

Recensore Master
22/10/19, ore 00:00
Cap. 2:

Ecco un’altra proposta che ci fai arrivare sempre accompagnata dagli echi di quel geniale scrittore che è Calvino, sempre attuale, addirittura precorritore, secondo me, di certe atmosfere contemporanee, in cui la fantasia ha la stessa concretezza della realtà vissuta.
Seguiamo Sh nella sua discesa in stanze nascoste del suo Mind Palace, in cui è racchiuso ciò che fa parte di lui, ciò che può ancora essergli utile anche per capire le esperienze che gli si presentano.
Dal punto di vista puramente tecnico, la comprensione di quello che hai scritto a proposito della stanza in cui si trova ora il consulting, ritengo sia abbastanza facile. Infatti si può capire che siamo nel luogo nel quale rimangono, ormai inutili, i ricordi di vecchi casi casi di Sh. Ce lo dici tu stessa, mostrandoci i fili rossi, con cui il genio collega foto, nomi e mappe, ormai inutili in quanto il crimine ha trovato una soluzione. Il problema durante la lettura, almeno per me, è stato capire chiaramente perché Sh conservi quest’immagine del lavoro che ama tanto e con cui si definisce “sposato”. Infatti lo vediamo annoiato ed in preda ad una specie di delirio del sentirsi inutile quando i casi non arrivano e Greg non gli propone alcunchè. In lui, infatti, c’è la spasmodica attesa di un crimine “da dieci” che possa davvero sfidare la sua formidabile intelligenza.
Ma, una volta risolto il mistero, quando tutti i fili rossi di collegamento tra gli indizi diventano inutili, cosa succede… Succede, sempre secondo me, che Sh si senta tornato al punto di partenza, insoddisfatto, depresso e circondato dal vuoto di una solitudine che è sì protezione contro “il salto nel buio” insito nelle relazioni umane ma che, poi, diventa una gabbia soffocante in cui ci sono desolazione e un assordante silenzio.
Ecco quindi la preponderanza di vocaboli che hanno un’accezione negativa perché rievocano fatti sanguinosi o, appunto, per il fatto che richiamano un senso d’ inutilità, di vuoto, d’angosciosa consapevolezza che sono ormai polvere e passato.
Aleggia, comunque, il senso della morte, annunciato chiaramente dal “fiato di vento gelido” che accoglie Sh al suo ingresso nella sua “Ersilia” e ripreso da parole come “…ossa…volti contratti…cadaveri…cimitero…ecc…”. Non c’è speranza dunque, in quel posto, c’è solo il “già concluso”, il “già risolto” testimoniati da una quantità ingombrante di materiale su cui la sua mente geniale si è impegnata in una febbrile attività di comprensione e ricerca. E cos’è rimasto…Nulla, cose ormai inutili…Inutili come “quelle ragnatele…che cercano una forma…”. Come Sh che si sente svuotato e angosciato dall’idea che non gli si presenti più l’occasione per “scaricare”, in un caso difficile da risolvere, la terribile tensione di una mente troppo implacabile e la consapevolezza che manchi qualcosa di vitale alla sua esistenza.
Non so se ho sproloquiato a vuoto, ma è ciò che mi è venuto in mente leggendo la tua preziosa “Ersilia”. Complimenti anche per il progetto in cui ti stai impegnando per seguire la luce di un maestro come Calvino. Davvero ne stai seguendo le tracce in un modo originale ed avvincente.
(Recensione modificata il 22/10/2019 - 12:03 am)

Recensore Master
16/10/19, ore 09:50
Cap. 2:

Più leggo passaggi del libro che t'ha ispirata e più sento in me crescere la voglia di leggerlo. Sarà che a ogni parola riconosco Calvino e sarà che ho ancora impressi nella mente gli ultimi libri suoi che ho letto, ma è davvero straordinario. Uno scrittore eccezionale e tu sei stata brava già a farti venire un'idea che collegasse qualcosa di suo con questo fandom.

Il dettaglio che mi colpisce più di tutto quanto il resto, è la profondità. Di sensazioni, di significato... Ci troviamo dentro al palazzo mentale di Sherlock in cui Sherlock stesso va ad aprire porte che lo conducono nel passato, su cose che ha stipato come se fossero morte e sepolte. Già il semplice fatto di trovarci dentro al suo palazzo mentale, fa di questa storia un qualcosa di estremamente profondo. Non ho letto il libro, come sai perché l'ho già detto, e quindi non so fino a che punto quello ti sia stato d'ispirazione, ma c'è un significato nascosto e più oscuro dietro le singole stanze. Sherlock riapre il passato, non sappiamo per quale ragione stia compiendo questo viaggio a ritroso nel tempo e se stia effettivamente cercando qualcosa, ma si ritrova a rivivere il passato ad aprire porte che lo conducono altrove. C'è qualcosa di oscuro sotto, un significato nascosto e che forse c'entra con il trovare se stesso, ma non ne sono del tutto sicura, ho letto ancora troppo poco e credo che per poterne essere certa dovrò aspettare e andare avanti a leggere. Per intanto ti dico che non sono affatto drabble banali, queste due sono molto ricche di significato, ben scritte naturalmente (il che non è mai male ribadirlo) e ovviamente anche belle da leggere. Qui, dando per scontato che non parlo dei significati oscuri che stanno sotto la superficie, ci ritroviamo ad avere anche fare col lavoro di Sherlock. Se la precedente riguardava la vita a Baker Street con John, qui c'entrano i casi. E posso quasi vedere distintamente l'intreccio di fili, che conducono a prove, fatti, sospetti, teorie... sappiamo tutti come lavora Sherlock Holmes e non oso immaginare cosa possa esserci nel suo cervello durante un caso. Qualcosa a cui sarebbe difficile comunque star dietro. Ad ogni modo trovo molto giusto che Sherlock conservi i vecchi casi, non si sa mai che possano venire utili un giorno o l'altro.

La lettura di qualsiasi cosa di scritto da te è sempre molto piacevole, ma in questo caso è un'esplorazione molto interessante. Non solo quella di Sherlock che entra nel suo palazzo mentale, ma anche quella di chi legge le tue opere.
Complimenti ancora.
Koa

Recensore Master
13/10/19, ore 10:58
Cap. 1:

Ciao, allora, la primissima cosa che sento di dirti è che non conosco Le città invisibili. Ho scoperto Calvino relativamente tardi, anzi tardissimo. Dopo averlo letto in adolescenza e averlo accantonato, ho recuperato un suo racconto quest'anno e da allora sto vedendo di leggerne il più possibile. Alle città invisibili non sono ancora arrivata, ma lo metto senz'altro in lista perché ho scoperto di amare Calvino davvero tanto. Spero che il non aver letto il libro non precluda la comprensione della tua raccolta, mi auguro vivamente di no perché mi dispiacerebbe se mi perdessi dei pezzi. Intanto posso dire che per quella che è la mia conoscenza del fandom e del modo in cui tu scrivi, questa prima mi è piaciuta moltissimo. Non sono sicura di riuscire a interpretarla nella maniera corretta, però ci provo.

Già la prima cosa che ho scoperto è che Cloe è una delle "città invisibili" e l'ho scoperto grazie a Google (grazie, Google, davvero)! Prima di tutto, la citazione mi è piaciuta moltissimo. Ho riconosciuto Calvino e la sua scrittura, che io adoro letteralmente. Se devo dare un'interpretazione a quanto invece hai scritto tu, direi che con "stanza" tu abbia collocato fin dalla prima riga il tutto nella mente di Sherlock. Siamo nel suo palazzo mentale e ogni stanza è una città? Ogni piccolo mondo è in realtà un universo complesso, ricco di ricordi, sensazioni ed emozioni. In questo ci sono Sherlock e John, non fai il nome di nessuno ma a un certo punto è chiaro che stai parlando di loro. Ho riconosciuto l'ambiente di Baker Street a Sherlock tanto caro e mi è piaciuto il modo in cui hai usato le parole e le frasi, ricche di figure retoriche e forme poetiche, è tutto molto musicale. Molto metrico. Mi piace l'idea di loro due come due esseri che ticchettano, che sono bombe pronte a esplodere. Si percepisce tensione, vicinanza ma anche il non parlarsi e forse il non sapere come fare. Si nota quanto siano più distanti di quanto non vogliano. Ma si nota che si guardano, si studiano e che non possono fare a meno l'uno dell'altro. La sensazione che ho avuto è esattamente questa. Spero di non aver detto castronerie esagerate.

La sostanza è che questa idea mi piace moltissimo, così come la tua drabble. La raccolta intanto l'ho messa tra le seguite, nella speranza che riesca a recuperare questo anche questo racconto.
Koa

Recensore Master
10/10/19, ore 23:33
Cap. 1:

Sì, conosco l’opera di Calvino dalla quale hai tratto ispirazione per questa tua raccolta perché l’ho letta anni fa. Un progetto davvero impegnativo il tuo ma, secondo me, decisamente affascinante. Infatti, combinare gli echi così particolari, e non semplicistici dello scrittore in questione, con il mondo delle fanfiction mi attira molto, perché è un mix originale. Tornando a “Le città invisibili”, esplorare il Mind Palace di Sh, se non ho capito male leggendo le tue “Note” che sintetizzano le caratteristiche della raccolta, proprio ispirandosi all’opera di Calvino, è una sfida sia per quanto riguarda i contenuti sia la forma espressiva. E non solo perché i riferimenti letterari di cui ti servi non sono tra le proposte più semplici da capire nel panorama della letteratura italiana, ma anche per il fatto che, cercare di tradurre il concetto e definire le caratteristiche dell’ “archivio” in cui Holmes conserva i dati reali per ricordarli, se necessario, non è impresa facile e si può scivolare o nel troppo astruso o nel banale.
Niente di tutto ciò, qui. Intanto è già un esercizio razionale e narrativo difficile usare lo spazio ristrettissimo di una drabble. Io non scrivo pezzi, mi limito a lasciare qualche osservazione ma trovo evidente, in chi è Autore, la bravura nel riuscire a rielaborare il pensiero e far sì che si “rapprenda” in poche parole che assumono, così, una risonanza unica e fondamentale. I termini scelti sono necessari, altrimenti sarebbero stati scartati, ovviamente. E non dev’essere proprio facile limare e rinunciare, nell’inseguire l’idea ispiratrice.
In questa “Cloe” hai saputo cogliere il significato più profondo dello scritto di Calvino, calandolo con successo nell’atmosfera del 221b.
221b che diventa, così, quasi il simbolo dell’incomprensione, del “non espresso”, di tutto ciò che rimane idea, attimo e non riesce, o non può trovare, la strada per uscire alla luce del sole. Evidentemente la tua “Cloe” rappresenta la stanza segreta in cui Sh conserva l’atmosfera tesa in cui vive, concreto ed ormai troppo ingombrante, il classico “elefante nella stanza” che impedisce a ciò che lega Sh e John di superare il muro del silenzio e dell’attesa senza fine.
Hai riportato nella tua drabble il fascino del modo di scrivere di Calvino ne “Le città invisibili” che consiste per me, inguaribile esteta della parola in se stessa, nella ricerca di ciò che è preziosità di significato dei singoli termini per allargarsi nella costruzione, quasi geometrica, dei rapporti tra un’espressione e l’altra.
Qui, secondo me, è il ritmo ossessivo di gesti carichi di altri significati, un altro piano, nascosto ad una prima, immediata lettura, che costituisce il filo conduttore di “Cloe”. Tu, infatti, sviluppi un percorso espressivo di parole che sono esse stesse un rumore ritmico (es.: “…pulsavano…martellanti…Ticchettavamo…ecc.”), per arrivare a quell’immagine simbolica ed invasiva della quiete (apparente) della stanza che è il metronomo che diventa così gigantesco emblema dell’incomprensione e della nevrosi da incomunicabilità tra Sh e John.
Il loro non riuscire a parlarsi, il rincorrersi spasmodicamente con gli sguardi, li hai rappresentati magnificamente in quell’assordante, angosciante silenzio.
Ed è ciò che Sh nasconde in quella stanza segreta che rappresenta ciò che non riesce a diventare realtà.
Complimenti.