Gli occhi rossi di Tom che sono la prima cosa che Al nota- prima ancora di rendersi conto di essere il nuovo Padrone della Bacchetta, prima di metabolizzare che Doe ha dato l'ordine di ucciderlo- sono l'immagine che apre l'ultimo capitolo da cardiopalma di questo gioiello del mondo delle fanfiction italiane di Harry Potter che è Doppelgänger.
Al, dicevamo, che solo dopo un secondo capisce davvero quello che ha fatto, ne realizza davvero le conseguenze e le implicazioni. Prima, la sua priorità era tutta su salvare Tom, e non aveva pensato al pericolo inerente al gesto che stava per compiere.
E poi Harry che invece ha capito fin troppo bene il disastro che è appena successo e l’orrore che sta per succedere, e Tom che invece non sembra capire nulla, privato del libero arbitrio e della razionalità a lui tanto cara.
Harry che non guarda suo figlio, forse perchè è troppo spaventato per lui o forse troppo arrabbiato per il suo *secondo* colpo di testa con cui ha rovesciato *di nuovo* le carte in tavola, o forse perchè è abbastanza adulto per capire che non è il momento per lasciar trasparire nessuna di queste due emozioni, non davvero.
Tom invece guarda Al ma non lo vede davvero, non può vederlo-perchè ha gli occhi ROSSI. E non sono gli occhi di Tom-non di *questo* Tom, non di Thomas Dursley, non del Tom di Al.
E poi ancora Al che si sostituisce, che è COSTRETTO a sostituirsi a suo padre come avversario di Tom.
Harry che cerca di frapporsi tra loro per salvarli entrambi, uno dall’essere ucciso e l’altro dal diventare un assassino; ma non ci riesce perchè come sempre il cattivo di turno lo tiene occupato.
L’ironia di Doe che impedisce a Harry di mettersi tra Tom e Al e, così facendo, nel tentativo di mettere i bastoni tra le ruote salva la vita a entrambi, ironicamente. Perchè quella che sembra la loro condanna a morte diventerà la loro salvezza.
Harry che grida ad Al di lasciare la bacchetta- quella bacchetta di cui lui stesso era entrato in possesso suo malgrado, quella bacchetta potentissima e così ambita che ha causato una lunga scia di morti e tradimenti nel corso della storia, quella bacchetta mortale di cui Al è appena entrato in possesso senza nemmeno volerlo.
Al che non lascia la Bacchetta perchè gli hanno insegnato che è l'unico cosa che può difenderlo, dio, difenderlo. (Bellissima questa espressione che evidenzia il grado di disperazione del momento, soprattutto perchè i maghi non sono cristiana- ma da persona non cristiana che non invoca mai la divinità tranne che in casi particolarmente gravi, ho trovato l’incalzare di questa frase particolarmente riuscita). E quindi tiene la Bacchetta ben salda in mano anche se si tratta di una bacchetta mortale.
Anche se alla fine non avrà bisogno della bacchetta per uscire vivo e vittorioso da questo folle gioco- ma di se stesso, della propria forza d’animo, del proprio coraggio, della propria astuzia e capacità di analizzare la situazione, ma più di tutto del legame reciproco da cui lui e Tom sono inseparabilmente, disperatamente, e fortunatamente (tanto per loro quanto per il Mondo Magico) legati.
Al che corre e si nasconde nei meandri della tomba dell'uomo- del Mito- di cui porta il nome. Tom che non ha bisogno di correre per cercarlo. Cammina piano e questo fa ancora più paura, come nei film horror.
Al e il modo in cui riesce a percepire dov'è Tom e cosa sta facendo, anche senza vederlo o sentirlo. Forse per una questione di aurea magica, forse semplicemente perchè sono abituati a passare così tanto tempo insieme che reagiscono istintivamente alla presenza o all'assenza dell'altro, aldilà di qualsiasi sfumatura di affetto o legame romantico ci sia tra di loro.
E poi la rabbia, la rabbia che inopportuna e salvifica che sorge in Al ed è più forte della paura- non rabbia contro Tom, non più e non in questo momento, ma contro chi ha organizzato questo teatrino in cui sembra non ci possa essere lieto fine per nessuno dei due.
La rabbia perchè Al non vuole morire, e soprattutto non vuole morire ucciso da Tom. Perchè, che sia Tom a uccidere Al o viceversa, sarebbe una condanna per entrambi.
E Al lo sa e per questo tira fuori il suo lato Potter, quell’impulso cocciuto di cercare a tutti i costi un modo per salvare capra e cavoli, non importa quando disastrata la situazione possa sembrare, perchè di rinunciare a ciò che di bello e puro c’è nell’esistenza, nell’amore, e pure nel legame che lo unisce a Tom, arrendendosi ai piani psicopatici del cattivo di turno, non se ne parla.
E allo stesso tempo però il nostro Al, nel momento del pericolo, tira fuori anche la sua razionalità tutta Serpeverde e da *Albus* con cui analizza il concatenarsi e succedersi dei fatti, cercando cause, conseguenze e collegamenti e arrivando alla conclusione (giusta) che è la Pietra a condizionare Tom e a renderlo un burattino perfetto per Doe, e che perciò deve togliergli la pietra dal collo. A qualunque costo. Per la salvezza di entrambi.
Perchè Al non può salvarsi davvero senza salvare Tom, e se salvare Tom determinerà anche la propria, di salvezza . Ed è disarmante la limpidezza con cui Al lo ammette e se ne rende conto. Entrambi saranno salvi solo se Tom verrà salvato da se stesso.
È così che funzionano le regole del gioco in cui sono stati costretti a partecipare loro malgrado, ma in fondo è anche così che ha sempre funzionato tra loro- perchè come in tutte le migliori storie di formazione, le dinamiche e pericoli che i protagonisti si trovano ad affrontare sono personificazioni delle loro stesse dinamiche psicologiche e dei loro demoni interiori.
“Se mi uccidi ti ammazzo”- frase insensata ma geniale che riassume in modo lucido e assurdo tutta la dinamica di Al e Tom da adolescenti, soprattutto in questa parte finale della prima storia.
Al non sa ancora dell’anima di Tom, non ancora, non sa cosa sia davvero quel medaglione, ma sa che che Tom è influenzato dal medaglione perchè CONOSCE Tom. Anche se non sempre lo capisce o indovina ciò che gli passa per la testa, ma lo CONOSCE, in un modo profondo in cui nessun altro può dire di conoscerlo- non Doe che credeva di averlo in pugno, non Harry che ha sempre proiettato nel figlioccio i propri traumi, confondendolo con una versione 2.0 di se stesso pur volendogli bene, non la famiglia adottiva Babbana che lo ama ma non potendo o non riuscendo a capire e ad accettare completamente il Mondo Magico non può conoscere o capire del tutto Thomas, non certo Alberich Von Honhemein che crede di poterlo manovrare a distanza come un burattino.
Al è l’unico che davvero conosce e capisce Tom in modo istintivo, senza farsi troppe domande o riflessioni a proposito. Magari non riesce a comprende completamente tutti gli intricati labirinti della sua psiche, ma capisce sempre ciò che è importante, ciò che a volte nemmeno Tom capisce: le cause, le conseguenze e i meccanismi di ogni suo comportamento, con la stessa naturalezza che riserva a poche cose nella vita, come le pozioni o volare su una scopa.
E poi arriva la mia parte preferita del capitolo. No, non il bacio, o meglio non solo. Ma anche- e soprattutto- tutto il paragrafo che viene prima.
Il PoV di Tom sotto Imperio e sballottato tra i comandi, o meglio *il* Comando, di Doe, i rimasugli rabbiosi dell’anima di Voldemort e i desideri soppressi e i ricordi annebbiati ma potentissimi di Thomas Dursley.
Il modo in cui descrivi gli effetti dell'Imperio, della febbre e della Pietra su Thomas, come queste tre influenze appannano e bruciano al tempo stesso la sua mente così brillante, rendendogli impossibile essere padrone di se stesso ... sul serio, è la metafora perfetta di come una mente alterata dal delirio percepisce se stessa. E di come non capisca davvero, pur riconoscendola, la realtà che l circonda.
Vede tutto quello che accade intorno a lui, *quello che lui STESSO sta compiendo o ha compiuto* dall’esterno, come se fosse solo uno spettatore e non il principale attore. Distaccato non solo dagli altri ma anche da lui stesso- e quindi anche dalla propria coscienza.
E nel suo momento di riflessione, analizza e ripete ciò che ha visto e che è accaduto nella sua testa solo grazie alla sua ben nota abitudine di “categorizzare tutto, anche le emozioni”. È come se si stesse guardando da fuori, ma senza comprendere davvero. Perchè non c'è nulla da capire, e le emozioni si possono categorizzare solo superficialmente, e chi crede di saperle domare meglio è sempre chi rimane inerme e sprovveduto di fronte alla loro felice impetuosità. C’è solo nebbia, quel misto di rabbia confusa e soffocante e di distaccata, fredda, lucida consapevolezza, quell'ansiogena necessità di fare o dire o ricordare qualcosa a tutti i costi e la pacata rassegnazione al fatto che, qualunque cosa dirai o farai, non potrai cambiare quello che sta per succedere, deve succedere e continuerà a succedere. Perchè lo stato alterato della tua mente ti fa sentire come se non avessi più libero arbitrio, come se non l'avessi mai avuto. E forse non ce l’hai davvero, in quei momenti. E forse non ce l’hai mai avuto. Forse tu e tutti quanti siete davvero destinati a ripetere un ciclo di morte e violenza nella tomba di un uomo che questo ciclo forse ha contribuito a iniziarlo, o forse non era anche che un altro anello di questa catena che sembra sempre che si stia per rompere, ma ritorna sempre ogni volta più pesante e soffocante e impossibile da spezzare, ogni generazione una nuova forgiatura di traumi a renderla più resistente.
E poi un impulso nervoso-un impulso nervoso che rompe tutto questo.
Un impulso nervoso- un dettaglio tecnico e privo di romanticismo, che smorza un po’ i toni melodrammatici del capitolo, che con quel “sperava che le favolette sull’amore della loro infanzia salvassero il culo a entrambi” pensato da Al tiene alla larga il rischio che la scena risulti troppo sdolcinata.
È non lo risulta: intensa, Romantica (con la R maiuscola), a tratti tenera a tratti dolceamara, ma non sdolcinata, mai.
Perchè Tom è un piccolo precisino scientifico e rompiballe e non c'è nulla di sdolcinato nel modo in cui descrive il risveglio della sua coscienza in seguito al bacio di Al. È solo il corpo che memorizza fisicamente certe sensazioni e le RICONOSCE quando la mente è troppo annebbiata per farlo. È un impulso nervoso, nulla di romantico o metafisico, che porta queste sensazione al cervello che improvvisamente, istintivamente (non è forse l'istinto l'unica cosa più forte dell'Imperio, perchè viene ancora prima della coscienza) RICORDA.
Ricordare la nostra storia è ciò che ci RENDE chi siamo, dopotutto.
E Tom ricorda Al, Al che è VENTO- il vento dei loro ricordi d'infanzia, delle estati passate nel Devonshire. Il vento che Tom ricorda, nitidamente, scompigliare i capelli di Al mentre il ragazzo si librava su una scopa, e lui lo guardava da lontano, rimanendo a terra. Il vento che frase dopo frase, realizzazione confusa di Tom dopo realizzazione sempre un po' meno confusa, diventa metafora di ciò che Al è per lui. Ciò che lo fa respirare, perchè spazza via tutto ciò che lo soffoca DA DENTRO- Voldemort, la rabbia, la confusione, i comandi imposti da altri e persino le maledizioni della volontà.
Non è il bacio a salvarlo, non davvero, perchè anche se nelle fiabe è il punto focale qui non è che un mezzo.
Un mezzo attraverso cui Tom ricorda di Al, della loro storia condivisa, e quindi di se stesso. Ricorda di se stesso e quindi ricorda di quello che è e che vuole fare, aldilà di comandi imposti dall'alto o con la magia.
Perchè per Tom la ritrovata consapevolezza di se' e di quel che sta facendo arriva con Al, con il sentire Al accanto a se' e su di se' e intorno a se' con Al.
Perchè- e questa che ricopio dal capitolo alla recensione è una riflessione così da Thomas che mi fa dire, ecco, per questo amo questa storia, perchè i personaggi sono tremendamente coerenti se stessi anche e soprattutto in situazioni di vita o di morte- Tom ha sempre pensato, dall'alto della sua visione razionale del mondo e dei contatti umani, che i baci fossero gesti stupidi, insignificanti. Un semplice poggiare le labbra su altre labbra, come un sorriso è un semplice mostrare i denti. Ma quando c'è di mezzo Al, per Tom, nulla è più semplice o insignificante, o razionale.
E viceversa: perchè Al lo bacia anche se un momento prima Tom stava per ucciderlo, ma lo fa perchè SA che Tom non voleva ucciderlo, e SA che deve ricordarglielo.
Il bacio è importante e salvifico per via dei significati che dietro a questo bacio si nascondono, del vissuto che i due ragazzi condividono: è il mezzo attraverso cui Al comunica a Tom che c’è, che esiste, e che ci sarà sempre- se Tom gli permetterà di esserci, se lo permetterà a entrambi. È il bacio attraverso cui Al fa tornare Tom in se’ ma anche attraverso cui gli fa realizzare che ci potrà essere un dopo, forse, per loro, se lui non lo distruggerà con un solo colpo di bacchetta, per un ordine impostogli dall’alto a cui nemmeno vuole obbedire.
È il bacio delle fiabe ma è molto più di questo. È Tom che ritrova se stesso ritrovando Al, e Al che salva se stesso salvando Tom.
È dopo c’è lo stupore di Al che non ci credeva nemmeno lui che avrebbe funzionato.
C’è Tom che è se stesso, freddo e compassato, anche e soprattutto in momenti come questi. È Al che non sa se tirargli un pugno o baciarlo, come sempre.
C’è il momento di rabbia o passione o forse sollievo in cui Al lo bacia o forse lo morde e lo insulta e la successiva, seconda, secchiata d’acqua fredda: il pericolo è ancora fuori.
Al che è anche lui se stesso: “tutto questo per un legnetto”. Perchè lui è Al, solo Al, e di bacchette millenarie dal potere incredibile e desideri di gloria non sa che farsene. È sempre stato Al, solo Al, ma prima era qualcosa di cui si vergognava, nella sua famiglia piena di eroi e personaggi leggendari. Ora è qualcosa di cui va riottosamente fiero. Perchè ha visto dove portano gli intrighi e la megalomania e l’essere “speciali”, e ha capito che è meglio stare lontano da tutto ciò.
Solo che ormai lui e Tom ci sono dentro, questo gioco pericoloso, o forse ci sono sempre stati fin dalla nascita, fin da quando l’Eroe dei Due Mondi ha salvato la reincarnazione del suo nemico sconfitto e l’ha poggiato nella culla del suo secondogenito. E così Al e Tom devono continuare a giocare a questo gioco mortale, ma solo per poter fare scacco matto al cattivo, e uscirne vittoriosi ma soprattutto *vivi*.
E incidentalmente, salvano anche il rispettivo padre e padrino, che entrato nella grotta per portare in salvo e al sicuro i suoi bambini, finisce per essere costretto a combattere contro uno di loro, venire disarmato dall’altro per una fatale incomprensione (...forse) e si trova costretto in una situazione in cui sa che i due ragazzi sono costretti combattere tra loro come nel suo peggior incubo senza che lui possa fare nulla... eppure, nonostante tutto ciò, nonostante sia comprensibilmente stanco e sfibrato da tutto ciò, ha ancora abbastanza *fiducia* in Tom, in Al e nella vita in genere da trovare la forza di SPERARE, quando Tom arriva da solo e con la Bacchetta. Perchè non è un padre o un padrino qualsiasi, anche se spesso lo vorrebbe essere (e forse, a volte, lo vorrebbero anche i suoi bambini). È Harry Potter e anche dopo tutti questi anni, dopo tutte queste disgrazie, *sperare*, avere fiducia, lottare per non cedere alla disperazione e allo sconforto come i cattivi vorrebbero che facesse, è ancora il suo mestiere.
Bello il dettaglio di Doe che non brama la Bacchetta perchè non è un cattivo cliché megalomane qualunque, lui è un uomo d’affari, un mercenario. Non gli interessano artefatti magici o leggendari, o ideali deliranti e razzisti, ma lussi stravaganti e piaceri raffinati o mondani che può conquistarsi col denaro, trafugando suddetti artefatti o combattendo per sifatti ideali. E questo, in un certo modo, lo rende ancora più inquietante. Perchè questo antagonista, così ben caratterizzato, i personifica la banalità del male, che per motivazioni ciniche,mondane e superficiali può spingersi alle stesse efferatezze compiute in nome di un fanatismo malato o sotto l’influenza della follia più omicida. Il suo è il cinismo di chi collabora con i fanatici pur senza credere in nulla, solo per interesse personale, la mancanza di scrupoli di un finto-fantoccio che si dichiara disposto ad assecondare quel folle del suo capo solo perchè dal caos che ne verrà fuori per lui, il finto-fantoccio, per il Giullare che si finge galoppino, ci sarà solo da guadagnare. Questo è Doe, e per questo quella sua indifferenza di fronte alla Bacchetta di Sambuco fa più paura che se venisse rapito da una brama improvvisa.
Questo è Doe, e quietamente, come in un’anticipazione della storia che verrà, invoca per la prima e unica volta l’altro cattivo, il vero pazzo megalomane, senza nominarlo davvero, con un semplice “Tuo padre sarebbe fiero di te" rivolto a Tom. E Tom, che non ha mai parlato o pensato a suo padre adottivo in praticamente cinquantadue capitoli (e ha senso che non l'abbia fatto, perchè in fondo vivono lontani l’uno dall’altro dieci o undici mesi l'anno da sei anni, hanno vite e caratteri e pensieri diversi, non hanno contatti per lettera perchè non sanno comunicare nemmeno a voce tra di loro e durante l'adolescenza di Tom hanno smesso di provarci, perchè Tom si è abituato al fatto che i suoi genitori Babbano non possono sapere o aiutarlo su nulla che riguarda la sua vita nel Mondo Magico, e suo padre si è abituato che Tom, quel primogenito che all’inizio non voleva davvero ma che ha imparato ad amare in modo assoluto, ansioso e un po’ rassegnato, è un ragazzino pieno di segreti e malumori ed è inutile tentare di cavargli un ragno dal buco, perchè tanto sa che se si volesse confidare con un adulto non sarebbe con lui, perchè perchè perchè, perchè io devo smettere di parlare di Dudley e Tom o questa parentesi potrebbe andare avanti all’infinito) ma quando Doe nomina l'ALTRO padre, quello che non è degno di essere chiamato tale, Tom si ricorda, CI ricorda ma soprattutto ricorda a Doe chi sia il suo VERO padre. Quello che odia e teme la Magia e non sa come parlare con suo figlio mago, però l'ha cresciuto e curato quando stava male, con tutto l'affetto di cui era capace. Perchè tu sei Dira, e i rapporti famigliari delle tue storie sono sempre più realistici, complessi, complicati e in fondo dolci di quanto sembrino in apparenza.
“Mio padre (...), per essere un Babbano, a volte ha proprio ragione”.
Perchè il vero padre, nonostante tutte le sue mancanze o le distanze padre-figlio che si possono instaurare nell’adolescenza, rimane colui che agli occhi di Tom era tale quando era bambino. Colui che l’ha cresciuto nella quotidianità a volte noiosa e soffocante, ma sempre confortevole e confortante dell’infanzia Babbano. Il padre Babbano e banale e distratto e oberato di lavoro, che ama la boxe e la tv e altre cose che a Tom non piacciono, e che però gli ha dato il cognome che il ragazzo porta con fierezza, nonostante a Serpeverde i cognomi Babbani non siano ancora ben visti. Perchè lui è Tom Oltre Ogni Previsione, e non ha bisogno di parentele nobili che ricompaiono dopo diciassette anni per essere eccezionale.
È Tom Oltre Ogni Previsione perchè anche quando sembra che tutto sia perduto per colpa sua, alla fine rinsavisce e fa scacco matto ai cattivi con una frase a effetto, come il piccolo bastardello dall'indole teatrale che in fondo è , dietro la misantropia e l'introversione,e che probabilmente sarà sempre.
Fa scacco matto ai cattivi, ma non da solo: bellissima l’entrata in scena di Al attraverso gli occhi di Harry, che ricorda come il figlio di mezzo abbia sempre avuto problemi a scagliare incantesimi sotto pressione, essendo di indole timida e non condividendo la stessa personalità sfacciata e amante del palcoscenico dei fratelli e di molti cugini. E forse per questo motivo l’orgoglio di Harry è ancora più forte, perchè è quel suo figlio da sempre considerato da tutti il più fragile, così timido, imbranato e insicuro, che da il “colpo di grazia” al cattivo raccogliendo, primo tra tutti i suoi fratelli e cugini, l’eredità paterna di vittorie insperate e decisive per le sorti del Mondo Magico. Tra l’altro, nel suo essere il ragazzino da tutti sottovalutato che dimostra di avere la forza, il coraggio e l’astuzia di fare l’eroe all’occorrenza capovolgendo la situazione, Al ancora più che il padre ricorda il suo padrino Neville o al massimo suo zio Ron. Che è un colpo di genio interessante, soprattutto dal punto di vista narrativo, visto che gran parte della quota “conflitto e paragoni tra generazioni” in Doppelgaenger è svolta dalle differenze e somiglianze tra Tom e il suo di padrino e zio, che è il padre di Al. A proposito di parallelismi e somiglianze (e differenze) con la vecchia generazione: curioso il fatto che osservando l’espressione del figlio Harry noti la somiglianza con Ginny, e non con se stesso, mentre molti altri personaggi vedono in Al una mini-fotocopia di Harry da giovane (con gran dispiacere di Al, tra l’altro, che vuole bene a suo padre e lo ammira ma ha sempre voluto essere solo se stesso). Non lo so, è una cosa interessante perchè non è l’unica volta che accade, c’è un altro paio di volte in Oan credo in cui Harry trova una somiglianza tra il loro secondogenito e la moglie e Al stesso a un certo punto in Dp sostiene che sua madre ha “tratti così simili ai suoi che sarebbe stato evidente a chiunque che si trattava di sua madre” o qualcosa del genere, se non mi ricordo male. Non lo so, è solo una strana coincidenza ma l’ho notata perchè letteralmente nessun altro personaggio pensa mai che il secondogenito dei Potter somigli a Ginny, al massimo lo pensano di Lily per i capelli rossi e l’aria maliziosa e birbante da ragazzina o di James per certi aspetti più “Weasley” del suo carattere e fisico. Probabilmente non vuol dire assolutamente nulla se non che tutti i figli, anche quelli che sembrano la copia carbone di un genitore, in realtà prendono un po’ da entrambi, però boh mi piace notare nuovi insignificanti dettagli nelle tue storie dopo anni, soprattutto quelli riguardanti le famiglie e le loro dinamiche.
Continuando a parlare di dinamiche intergenerazionali, significativo e simbolico il momento in cui Harry abbraccia Al ma poi si accorge che è ancora Tom ad aver bisogno della sua attenzione. Ad aver bisogno dell’attenzione di entrambi in realtà, perchè sta per compiere un’azione che anche se comprensibile rischierebbe di farlo perdere di nuovo, e questa volta forse definitivamente. (anche se questo dettaglio Tom questo non lo sa, e forse non lo sa ancora neanche Harry, anche se potrebbe già sospettarlo inconsciamente).
La reazione di Al quando Tom punta la bacchetta contro Doe è di terrore e incredulità, perchè Al non crede che Tom, il *suo* Tom, possa fare una cosa del genere, non senza passare il resto della sua vita a odiare se stesso e rimpiangere le sue azioni, una volta che l’impulso di rabbia è passato (Al ha ragione).
Quella di Harry invece è più pacata perchè Harry è stato nella situazione di essere il ragazzino speciale che gli adulti, i cattivi, maltrattavano e usavano per i propri scopi, e quindi capisce da dove nasca il desiderio di Tom di ferire e forse uccidere Doe.
Perchè Harry ha combattuto una guerra e sa che il desiderio di vendetta di Tom, anche se sbagliato, è umano e più comune, anche tra persone cosiddette “buone”, di quanto Al o lo stesso Tom pensino. (Anche Harry ha ragione).
Tom ha bisogno di sentire entrambi le reazioni, ha bisogno di ricordarsi e ha bisogno di sentire che anche Harry, prima di lui, ha lottato contro gli stessi impulsi vendicativi e sbagliati in seguito ai traumi ricevuti, perchè se Harry ha sconfitto gli strascichi di ciò che ha passato ed è diventato un adulto semi-funzionale e rispettabile membro della società magica, vuol dire che forse può farlo anche Tom.
Mi piace che Harry dica che “non ne vale la pena”, cioè che non è Doe che non merita di morire (lo fa), è Tom che non merita di diventare un assassino per lui. Mi ha sempre ricordato quella scena nel prigioniero di Azkaban in cui Harry frena Lupin e soprattutto Sirius dall’uccidere Minus, dicendo che suo padre non avrebbe mai voluto che i suoi due migliori amici diventassero degli assassini (e venissero condannati all’ergastolo, uno dei due- *Sirius*- per la seconda volta) per via di un ratto simile.
Un dettaglio di IC delizioso che mostra quanto Harry, per quanto cambiato, sia sempre Harry. Sempre impegnato ad impedire che qualcuno a cui tiene si rovini con le conseguenze delle proprie azioni.
Quel “neanche io la valgo” di Tom è terribile e allo stesso tempo credibilissimo, perchè è esattamente quello che direbbe un qualsiasi sedicenne dopo aver scoperto cose simili su se stesso, sul proprio passato, sulla propria nascita e sui propri genitori biologici, e dopo aver fatto sbagli a cui crede non ci sia rimedio, almeno non interiore.
Anche se devo ammettere che mi fa leggermente ridere in modo un po’ isterico il fatto che sia QUESTO il modo in cui Al viene a scoprire la faccenda dell’anima di Tom, di Voldemort, della metempsicosi forzata e di tutto il trambusto su chi sia davvero Tom e da dove venga e come sia nato. Cioè, ad Al tutto questo non interessa, è stato chiaro negli scorsi capitoli, Tom è Tom e il resto sono dettagli, ma...cioè, ho capito che sono tutti sconvolti, ma un po’ di diplomazia nel darsi le notizie a vicenda non guasterebbe.
Tornando seri, anche quel silenzio di Tom dopo l’affermazione colloquiale (ma forse non così casuale) di Harry “sei umano” è incredibilmente rivelatore e preoccupante, alla luce delle nuove scoperte che Tom ha fatto su se stesso. Credo che in quella tomba-grotta Tom abbia cominciato a maturare e rimurginare molte delle riflessioni pessimistiche che lo spingeranno poi in Germania a non contattare la sua famiglia e le altre persone a cui vuol bene per cinque mesi (i primi tre glieli do buoni perchè visto il suo stato fisico alla fine di Dp è probabile che lo stronzetto bugiardo fosse, per una volta, davvero malato e invalido come proclamerà in seguito di essere)
In una nota più positiva, quell'accenno nei pensieri di Harry al fatto che Al e Tom "avevano sempre avuto un linguaggio segreto" scalda il cuore, così come la sua vaga consapevolezza che è stato quello, in fondo, ad averli salvati, in un momento in cui neanche il Salvatore ha potuto farlo. In un modo in cui nessun altro potrà mai salvarli se non loro stessi, a vicenda. Classico pensiero del genitore o tutore forse distratto o volutamente ignaro per certe cose ma benevolo e comprensivo, un uomo che non SA esattamente cosa accade tra quelli che considera, in modo diverso, i suoi due bambini, ma conosce e capisce la forza del legame che c’è tra di loro.
E poi ecco il ritorno della fenice, e Tom che è sempre il suo piccolo se’ saccente e fa notare al padrino che com’è possibile che non l’abbia vista, come ha fatto ad essere così distratto, l’ha vista *lui* ed era sotto Imperio. Il ritorno della fenice, dicevo, e sia noi lettori che Harry Potter non possiamo fare a meno di pensare che l’ultimo mago a cui questa fenice- o una fenice molto simile a questa- abbia mai dichiarato amicizia e fedeltà fosse colui nella cui tomba ora si trovano tutti, colui che con il nostro Al condivide il nome (e ora anche una temibile e potente bacchetta- e una fascinazione per giovani che potrebbero rivelarsi maghi oscuri in fieri, sigh. Non che quest’ultimo dettaglio suo padre ci tenga a saperlo.).
Ma è Al stesso a fermare il paragone: lui non vuole essere un secondo Silente, così come non ha mai voluto essere un secondo Harry Potter. Accetta come doni più o meno graditi le similitudini che sembra condividere con entrambi, ma quello che vuole davvero è solo essere se stesso. E poco importa se, come tutti i personaggi, non ha ancora ben chiaro tutto su stesso: sa già cosa vuole e cosa NON vuole essere, è questo è già abbastanza. Per il resto, a sedici anni ha tutta la vita per scoprirlo
Perchè alla fine la Dp Saga è la Storia non di un ciclo, ma di una spirale, una spirale che grazie alla volontà dei protagonisti si libera dalla sua stessa mania di ripetersi.
Una linea ondulata e fragile, ma tenace, composta un insieme di situazioni che continuano a ripresentarsi ciclicamente ma senza mai ripetersi in modo uguale, lasciando sempre uno spiraglio aperto al cambiamento e alla salvezza.
Ciclicità: quella che torna nel finale, perchè la storia di Tom inizia con lui neonato che viene salvato dal fuoco e la prima delle tre storie finisce con lui quasi diciassettenne che viene salvato dal mare. È un finale sia ciclico che aperto (come una spirale, appunto) eppure questa prima storia è stranamente auto-conclusiva, almeno dal punto di vista delle tematiche.
Certo, la trama è tutt’altro che conclusa, e molti personaggi hanno ancora un lungo percorso da fare prima di potersi dire maturati.
Tutti i personaggi sono cresciuti nel corso dei cinquantadue capitoli, ma per ora solo Al e Tom hanno avuto davvero modo di dimostrarlo.
La ciclicità della Storia non ha ancora il sapore di una liberazione agrodolce che acquisterà invece nell’epilogo di Ab Umbra Lumen.
L’atmosfera alla fine di Dp è molto più fatalista, e disperata e brusca, e in fondo va bene così, perchè i personaggi sono ancora ragazzini, ragazzini che si sentono schiacciati dalle svolte degli eventi.
Però gli eventi che hanno coinvolto Al e Tom negli ultimi hanno dimostrato che anche se il Fato suggerisce una strada, con l’altra mano indica anche una scappatoia, sempre.
È quella scappatoia che ci consente di trasformare il peso dell’eredità di chi ci ha preceduto in una forza piuttosto che in uno schiacciante metro di paragone, e la brutta abitudine della Storia e delle storie di ripetersi in un avvertimento per scongiurare questa stessa ripetizione, piuttosto che in una fatalista condanna.
Inizia con un bambino misteriosamente ritrovato e finisce con un ragazzo misteriosamente scomparso, questo primo capitolo della migliore Saga sulla Nuova Generazione di Harry Potter. Eppure nulla è stato inutile, perchè anche se il bambino e il ragazzo sono la stessa persona, e sembra quindi di essere tornati al punto di partenza, che quel bambino sia stato salvato solo per esser perso di nuovo, se quel bambino non fosse stato salvato non sarebbe diventato questo ragazzo, non si sarebbe sacrificato per Albus Potter e per non dare a Doe il possesso della Bacchetta di Sambuco (cioè, lui si sacrifica per Al e solo per Al, ma accidentalmente così facendo rovina i piani di dominio del mondo dei cattivi) e forse non avrebbe una possibilità di salvarsi, sulla riva del mare in Germania.
Il mare e il cielo, così finisce Doppelgaenger: il mare del Nord da cui viene ripescato Tom e il cielo notturno che Al guarda con la certezza che Tom è vivo e che tornerà.
Il mare e il cielo, quelle famose scappatoie che sembrano sussurrare che è possibile liberarsi dalle ciclicità e dalle ripetizioni dalla storia, dal destino che qualcun altro ha scritto per noi, dall’atmosfera claustrofobica di una tomba-caverna in cui anime dannate si risvegliano, bacchette mortifere cambiano di padrone e ragazzini terrorizzati sembrano costretti a dover ripercorrere passo dopo posso gli errori di uomini leggendari e terribili con cui condividono i nomi. Eppure così non è successo, perchè l’amore è servito da scappatoia. E quindi crescere con amore il bambino creato dall’anima di Colui che si diceva non potesse amare forse è servito, in fondo.
Anche se il finale può sembrare tragico, nulla di ciò che ha portato i personaggi fin qui è stato inutile. Nulla è ancora perduto. E Al lo sa. Al, ancora una volta, lo sa.
E così finisce Doppelgaenger. |