Ciao.
Questa storia sta segnando le mie tappe di recensore. Ho recensito il secondo capitolo lasciando la mia 900esima recensione, recensisco questo lasciando la prima recensione dell'anno (sì, sono un bradipo).
Ho tentennato tanto - e sto continuando a farlo anche mentre cerco di scrivere questa benedetta recensione - perché questo capitolo, come gli altri del resto, fa un male cane ogni volta che lo rileggo per provare a commentarlo, e davvero non so come affrontare tutto questo (anche se so già che ti ritroverai con una cascata di parole senza senso, e mi scuso per questo).
Innanzitutto vorrei consolarti - o forse ti darò un dispiace, non so - sullo stile. Io avevo già notato una struttura diversa tra primo e secondo capitolo, ma è normale. Penso che tu abbia creato un ritmo diverso a seconda del personaggio che ne è protagonista. E nonostante ciò, penso che questi tre capitoli siano comunque legati da un filo stilistico: è l'impalpabilità di cui ammanti la scrittura, e quei sottintesi nascosti attraverso perifrasi e richiami retorici eleganti e poetici. Per James, come ti avevo detto, era stata quell'escalation di ripetizioni, una consapevolezza che cresce pian piano; per Sirius è stato quel gioco di fantasma del passato e presente, del James morto dei ricordi e il James morto che adesso condivide l'altra vita con lui, ma anche quel gioco sul verbo "vedere"; per Remus è quest'illusione - che non confonde affatto - di lui che sente muovere i primi passi al figlio, si gioca tra ciò che lui vorrebbe, sarebbe dovuto essere, e ciò che è in realtà. Ho trovato poi, tra le tre flash l'uso di climax molto belli, di sensazione in crescendo, e l'utilizzo sempre protagonista dell'anafora; oltre a questo, trovo che questo terzo capitolo - e di conseguenza si crea un bellissimo parallelismo tra i vari personaggi - abbia delle risonanze che lo legano sia al primo sia al secondo. E vado nel dettaglio.
Con il primo capitolo, trovo che ci sia una bellissima risonanza di ruolo genitoriale: sia Remus sia James non hanno potuto fare da padre ai loro figli, entrambi i loro rimorsi sono caratterizzati soprattutto dal rimpianto verso le figure dei figli. Ho sempre pensato che la morte di Remus e Tonks ricalcasse, come in un eterno cerchio, la morte di James e Lily. Sono diversi i parallelismi: le differenze caratteriali dei due genitori, morti in nome dei loro ideali, morto prima James/Remus e poi Lily/Tonks, un figlio orfano di guerra. E ritrovare la conseguenza naturale di questo parallelismo anche nella tua storia, secondo me, è un tocco di classe e dell'enorme attenzione ai dettagli che hai prestato (e che ora mi dirai esistere solo nella mia testa, non c'è problema, è la storia della mia vita). Sia Remus sia James, al contrario di Sirius, si guardano indietro.
Con il secondo capitolo, invece, ho trovato che sia la figura di James il collegamento; in altre parole, è l'amicizia, questa figura che ha fatto da collante, a rendere anche qui l'unione tra questi due personaggi dal temperamento e dalle reazioni così agli antipodi, quali sono Sirius e Remus. In un certo senso, mi è dispiaciuto non leggere di una rimpatriata di tutti e tre, ma capisco perfettamente - e hai ragione - che la figura di Sirius non avrebbe potuto del tutto partecipare a questo loro dolore. Comunque, la risonanza tra Sirius e Remus è James, questo amico che li viene a prendere e che tende ancora una volta una mano per tirargli fuori dal loro "nero". A livello stilistico, poi, tra questi due capitoli c'è di nuovo il gioco del "vedere". Per Sirius è stato tra il James morto e rotto e il James di questo "altrove"; per Remus è stato il gioco tra padre e figlio, tra capelli scuri e spettinati e capelli scuri e spettinati, tra le sensazioni ascoltate a occhi chiuse e braccia ferme e le sensazioni di vuoto di queste braccia che si tendono, illuse, senza abbracciare veramente niente, solo luce, una luce che sa tanto di assenza di calore per James e per Remus, ma che in qualche modo stempera i colori, anche quelli più scuri e vivaci e dolorosi.
C'è poi un'altra risonanza: ho adorato l'ultima frase detta da James, perché riprende quella pronunciata da Sirius nel terzo film, e ho adorato questo parallelismo tra i due, perché in qualche modo li lega, rende nella carta, ben visibile a tutti, questo bellissimo gemellaggio, questa affinità tra fratelli e amici, mi è sembrato quasi di sentire l'eco alle parole di James con la voce di Sirius; e questo per me è stato come un ribadire come l'uno non ha mai lasciato l'altro. E mi ha commosso <3
Quindi, parer mio, non ho visto alcuna netta differenza stilistica, non più di quella notata tra il primo e il secondo capitolo che, ripeto, io trovo naturale visto il modo in cui comunque la struttura del singolo capitolo si piega al personaggio. Ma stilisticamente, ci sono comunque quegli elementi che fanno da collante, così come gli argomenti non impediscono l'inserimento di quei rimandi tra un personaggio e l'altro.
Altra cosa: non ti servivano minimamente le note (e qui ti bacchetto, perché sinceramente ho trovato così bello e ben costruito e struggente questo trovare Remus dall'altra parte in bilico, proteso verso il figlio, così poetica e suggestiva e ricca di sensazioni la scena di questo suo provare, questo suo sentire, questo suo dividersi tra echi del passato e sentimenti di rimpianto che leggere la spiegazione nelle note proprio no, non dovevi farlo), all'inizio può sembrare "debole" l'iperbole di questo "peso di dieci chili", ma davanti a "dieci chili che inciampano fra le braccia aperte di un uomo dai capelli scuri" ogni cosa colpisce con una nate forza e semplicità e purezza da fare male. Saranno pure dieci chili, ma rappresentano il mondo intero, sono il baricentro su cui cerca di sintonizzarsi Remus.
E ho adorato questo parallelismo a incrocio che si crea tra James e Harry da una parte e Remus e Teddy dall'altra. Harry sorregge Teddy così come James conforta Remus; allo stesso tempo, Harry e Teddy affrontano insieme il loro essere orfani come dall'altra parte James e Remus si confrontano con il loro non poter assolvere ai piaceri dell'essere padre.
Ma se Remus tiene le mani ferme abbastanza, se Remus chiude gli occhi abbastanza, se Remus decide davvero di ascoltare, può sentire quei passi.
Piccoli, incerti, intervallati da tonfi e carezze e incoraggiamenti. -> Adoro l'uso dell'anafora, come ti ho detto caratterizza questo capitolo, e caratterizza lo stile dell'intera raccolta, ma ancora di più, in questa frase, ho perso la testa (non so più che termini usare per farti capire quanto io stia svenendo di dolore e bellezza dietro sta storia)per quella sensazione di eco che sei riuscita a trasmettermi. Questi "tonfi e carezze e incoraggiamenti" sembrano giungere a Remus come attraverso una nebbia, attraverso un "velo"; sembrano quasi viaggiare nella stessa stanza, nello stesso luogo dove si trova lui, ma essere fatti di una sostanza differente e viaggiare a una frequenza differente, cosicché l'unico modo che Remus ha per sentirli e restare fermo, lasciare che lo sfiorino appena. E' poesia, complimenti.
Altra cosa che mi ha colpito è stato il climax discendente, quasi a creare una sorta di abitudine, di rilassatezza, di accettazione appunto, e se è voluta questa io mi levo il cappello davanti a te e alla tua bravura.
1. Occhi chiusi. Mani immobili, mani pesanti,
2. Ma se Remus tiene le mani ferme abbastanza, se Remus chiude gli occhi abbastanza
3.Restano immobili di nuovo, gli occhi chiusi, ad ascoltare il suono di passi trasformati ormai in una risata a doppia voce. -> In queste frasi, dove i termini di "occhi, mani e peso", si ripetono, si crea una riduzione degli elementi che concorrono, fino a sfociare in "smette di tenere ferme le mani". Oltre a questa sensazione, in cui a ognuna di queste frasi, un elemento viene, meno, che mi ha dato l'idea di un Remus che via via impara ad abituarsi a questa sensazione, impari a respirare di nuovo, c'è la sospensione del tempo fino all'ultimo, quando anche Remus torna a muoversi a partecipare a quest'altra vita.
Inutile qui dirti come il titolo e quindi la frase della poesia scelta per Remus sia perfetto, fatta con l'esplicita volontà di fare più male possibile a me. La ripetizione di questi "passi" nel testo diventano quasi un'eco, una costante che accompagna poi l'incontro e il dialogo tra James e Remus. Così, ho adorato il modo in cui hai adattato all'ipotetica della frase anche la struttura del capitolo. Sì, perché come la frase è divisa in due parti, anche la storia si basa su due parti, e una fa da premessa alla seconda: "se Remus tiene le mani ferme abbastanza, se Remus chiude gli occhi abbastanza, se Remus decide davvero di ascoltare". Io ho i brividi dalla perfezione di questa affinità tra titolo e testo.
La prima parte è di un dolcezza assurda. "Sembra pesare" dà l'idea di distanza tra Remus e suo figlio. Lui immagina, valuta, ma non ne ha la certezza, perché il peso che porta è quasi un fantasma, una luce che non prende mai corpo. Ho amato la scelta di dedicare questo capitolo ai padri e ai figli, mi ha straziato il cuore, e io mi sto continuando a ripetere come un idiota (mi dovrò vergognare di lasciare online queste cascate insensate, ma intanto sta recensione te la mando), ma davvero hai trasmesso benissimo, in maniera dolorosamente vivida questo dolore, un dolore che come James lascia in qualche modo intendere, sentono anche i figli dall'altra parte, perché anche loro, anche se non lo sanno, inseguono quei suoni, i suoni dei passi dei padri. E non è soltanto qualcosa da intendere in maniera letterale, questa, perché è vero che i figli cercano lo spirito dei genitori, ma anche in maniera metaforica (e sto pensando a Harry, all'orgoglio che provava ogni volta che gli dicevano quando assomigliava a suo padre), inseguono i loro padri dentro di sé.
A parte le sensazioni e lo stile, è proprio l'immagine che hai creato che è di una bellezza infinita. Remus ascolta, partecipa a questi primi passi del figlio, e soffre per non poterli vivere e affrontare assieme a lui; al suo posto, c'è un uomo - una volta ragazzo, e prima ancora bambino - dai capelli scuri, che lo accarezza, lo incoraggia, e affronta il dolore dell'essere orfani assieme a lui. C'è in Remus tanto dolore, tanta voglia di essere lì, ma non c'è invidia nei confronti di Harry - e questo lo avevo già notato forse, in questo altrove le sensazioni umane esistono, eppure si spogliano del loro essere egoistico.
Ho adorato il passaggio tra l'uomo con gli occhi scuri visto a occhi chiusi e quello visto a occhi aperti: due uomini diversi, eppure sono gli stessi, riecheggiano l'uno dentro l'altro, e ce n'è uno per ogni Lupin.
Anche Remus, come Sirius, porta addosso il dolore di vedere nell'amico perso troppo preso una serietà e una tristezza che non appartenevano al James vivo, una maturità che James non ha mai avuto il tempo di raggiungere e che ha consumato in fretta, proprio in quello spazio infinitesimale in cui ha percorso il velo. Eppure, è ancora lui, è ancora il James 21enne, mentre si china sull'amico con fare cospiratorio, mentre gli mostra quella vicinanza, quella partecipazione e quella comprensione che lo avevano distinto anche in vita. James lo guida, ancora una volta, e tiene la sicurezza degli arroganti privata di tutta la sua sicumera. Perché James è ancora quello con più certezze anche oltre la curva, e riesce ad afferrare il lato ottimista ovunque. Lui è consolazione. E insegna a Remus, ancora una volta, a tirare fuori la parte ludica, la parte bella da questa nuova maledizione. Una maledizione pura, eppure non per questo meno totalizzante.
Ho amato alla follia questo loro stare seduti uno accanto all'altro, non curanti del tempo che passa, sospesi, tesi verso i figli. E l'uno sente i passi anche del figlio dell'altro, perché sono partecipi anche nelle gioie di quel momento. E le risate a doppia voce sono echi taglienti come lame, che bruciano di bellezza. E dolore e bellezza camminano di pari passo.
E ho amato la seconda parte, tutto il loro dialogo, ho adorato James che nonostante il tempo passato, insegue i passi del figlio, con l'orgoglio del padre, con il dolore e il rimpianto, ma soprattutto con la dolcezza di chi ama. E non importa se fa male, un padre resta sempre, resta comunque. Ho adorato Remus fare i conti con quel dolore con cui James convive da più tempo, cercare di fuggirvi in parte restando fermo - e questo fa malissimo perché è molto IC del personaggio - e vedere il confronto tra i due è stato come vedere un passaggio di testimone. Entrambi, fermi, immobili, sulla soglia, ad ascoltare, a tendersi, ad aspettare quell'alito di vento che porta quell'effimera carezza, e non importa se quella carezza è resa lancinante dal rimpianto, non per questo è meno bella, meno attesa.
Forse il rimpianto non fa poi così male, ma questo storia sì, fa male, e tanto, e non smette mica, anzi fa più male ogni volta che la rileggo. Accidenti.
A presto! (Recensione modificata il 13/01/2021 - 04:18 pm) |