Ciao. Oggi niente urla o punti esclamativi, solo dolore. Inizio con la lista (non esaustiva perché ero troppo presa dalla prosa) di frasi che ho adorato alla follia.
Intanto, l'inizio:
Aprile sapeva di addii.
L’orologio emise sette rintocchi, un grido lanciato nel vuoto a segnalare il tempo a un mondo che non ne aveva.
Remus alzò gli occhi al cielo, poi tornò a guardare il Lago Nero. Senza staccare gli occhi dalla superficie, afferrò la mano di Sirius, se la portò alle labbra e poggiò un bacio tra le nocche. Sentì il suo sguardo bruciargli la pelle per tutto il tempo, disintegrarlo come se avesse superato una linea invisibile che avevano tracciato insieme.
Il fatto era che giocare era bello solo se prima o poi la partita finiva e si potevano incoronare i vincitori.
“Sono guarito” annunciò Sirius, provocando una risata in Remus.
Qui invece sono morta per tanti motivi. Il fatto che loro si trovino, la malinconia e il lago, il bacio sulla mano e il 'sono guarito'.
La frase sull'anima su cui ho urlato non te la copio e incollo neanche, perché ho promesso niente grida.
“Guarda che lo sento anch’io.”
Remus si abbassò su di lui, lo sentì infilare le dita nei passanti dei pantaloni. Poi si chinò a lasciargli un bacio appena sotto l’orecchio, quasi inconsistente. “Cosa?” sussurrò.
“Il peso.”
Ancora una volta, Remus non fu sicuro di saperlo leggere. Il peso di cosa? Il peso del mondo intero? Il peso di quella casa? Il peso di un amore spento che tentavano disperatamente di riaccendere? Il peso della capacità, di quella guerra, di non finire mai davvero?
Aveva una risposta, però, una risposta sincera e univoca a tutte quelle domande.
“Fai finta che non ci sia.”
Qui il fiato mi si è mozzato. No, davvero, ho smesso di respirare, perchè ho sentito il peso e mi ha fatto male. Poi ho provato a fare finta che non ci fosse, ma comunque sono stata male.
La verità su quei minuti, invece, era che fecero solo male. Perché forse, da qualche parte in tutto quel buio, avevano ancora sedici anni e le mani che profumavano del muschio della Foresta Proibita, i polmoni pieni delle corse lungo la collina, l’aria così pulita da sembrare rigida, irrespirabile contro la velocità di una motocicletta che correva.
Okay, allora, la verità è che volevo copiarti e incollarti le frasi e poi tipo fare un blocco di commento unico, ma non ci riuscirò, perciò vabbé prenditela così com'è. Io qui ho pianto tante volte (non in questo capitolo, qui inteso come 'in questa storia') e una delle tematiche più strazianti, più martellanti di questo tuo capolavoro è proprio il tempo che passa. Il tempo che passa e che noi non avremo più indietro. E non c'è niente di più atroce, niente di più devastante - almeno per me - della consapevolezza che non avremo mai più quello che oramai è passato. Ed è una cosa che fa star male, è una cosa che fa star male tutti visto che gli autori/poeti parlano sempre della memoria e di tutto il dolore che il passato si porta dietro proprio per la sua condizione di 'impossibile', ma un conto è saperlo, un conto è provarlo. In questo capitolo, (in questa storia in generale, ma qui in particolar modo) si sente proprio l'ineluttabilità di quello che non riavremo più indietro. Dalla frase che ti ho quotato in particolar modo. Si sente proprio l'oppressione devastante, un muro invalicabile che ti si para davanti, di quello che adesso non c'è più e che i personaggi non potranno mai avere indietro. Quello che ho trovato davvero struggente, è stata proprio questa simmetria e questo doppio squarcio che ci hai mostrato fra presente e passato, fra prima e dopo. E non è stato devastante solo per come hai impostato questo capitolo, ma è stato devastante per come hai impostato tutta questa storia. Perchè noi sappiamo già come va a finire, sappiamo già che moriranno tutti, sappiamo già cosa succederà e tutte le ingiustizie nella morte di ognuno, ma pur sapendolo, non eravamo pronti. O almeno io non lo ero. Perché tu ci hai fatto entrare nella loro infanzia, nella loro vita più 'bella', hai scritto un romanzo su quello che hanno vissuto a scuola, sulla spensieratezza (per la maggior parte, perché loro sono sempre stati consapevoli che i tempi bui sarebbero arrivati, ma comunque non c'era la sensazione di 'muro', la sensazione di 'fine'). E questo è stato devastante, perché è come se nel lettore fosse nata questa speranza, come se il lettore si fosse adattato al modo di pensare dei malandrini giovani, di conseguenza è come se per tutto questo tempo sia stato 'ingenuo', 'inconsapevole'. Almeno io mi sono dimenticata della fine che fanno. Cioè, non dimenticata, ma ho smesso di pensarci, proprio perché loro da ragazzi non ci hanno mai pensato. O meglio, ci hanno pensato ma non sapevano con certezza quello che sarebbe accaduto loro.
Invece qui è devastante. Perchè alternando, quell'atmosfera che avevi creato fino a questo punto muore. O meglio, non è che muore, ma sprofonda, perchè in un secondo, in quegli anni che fai passare alternando la narrazione, tu senti nel mezzo anche i tredici anni di prigione ad Azkaban, senti la morte di Lily e James, senti la sofferenza, la mancanza, il buio sotto che ti si apre e a cui non c'è cura. Senti il peso, il peso incredibile di cui parli anche tu. E boh, io non so spiegarlo perché non ho le parole giuste, ma è stato straziante. Mi hai letteralmente fatto affogare, in uno schiocco di dita.
Però le persone erano anche capaci di intrecciare le dita a quelle di un’altra mano, di infilare la testa nella curva del collo di un altro essere umano e allora forse, se potevano fare una cosa tanto innaturale come scagliare un incantesimo omicida, potevano fare qualcosa di al contrario innato come amare. Perché il corpo umano era disegnato per fare questo, in fondo: amare. Era scritto nella quantità di guancia che entrava nel palmo d’una mano.
Vabbè qui non commento perché non so come commentare.
“È che sappiamo per esperienza che chiudersi in casa e affidarsi a un Incanto Fidelius non è la chiave per la vittoria.”
Questa frase stupenda.
Voglio scappare da tutto questo, pensò di dire. Oppure Ubriachiamoci di nuovo o Mi mancano i vecchi tempi o Quando ti guardo vorrei mettermi a urlare o Ho paura, me la faccio addosso o Mi mancano James e Lily o Non abbiamo mai avuto abbastanza tempo. Oppure Ti amo ancora.
“Cane e zenzero,”
Eh. EH. Eh.
Qui c'è proprio il culmine di quello che dicevo sopra. L'elenco delle cose che loro non avranno mai più. La felicità che non avranno mai più. Il tempo che non hanno mai avuto. È straziante, sinceramente. E tu sei stata veramente veramente VERAMENTE incredibile a riuscire a rappresentare la profondità, l'immensità di questo dolore e a portarlo avanti per tutta la storia, a caricarlo e a farlo scoppiare qui. Ho adorato il fatto dell'amortentia, e ho adorato la confessione che Lupin fa a se stesso, l'elenco di quello che sente così sincero e così pieno, come quando un bambino dice che ha paura del buio o che gli manca la mamma. Quel 'Mi mancano Lily e James' è proprio il culmine. Perchè loro ci sono, stanno lì, sono nella storia, ne parli, li racconti, li hai fatti vivere per tutti questi capitoli e tutte queste parole. Però in realtà no, tutto quello che hai raccontato è un ricordo, è qualcosa che non esiste più (almeno secondo il pov di remus da adulto) e questa cosa veramente è tremenda, perché cioè oddio non so veramente spiegarlo ma nel senso di James ne hai parlato fino ad adesso, capito? Cioè non esiste questa storia senza James, l'hai portato avanti e però in realtà qui ti rendi conto che non c'è più e che mai ci sarà di nuovo. Boh. Sono distrutta, sinceramente, non ho altri modi per dirlo. Comunque vabbè che il capitolo mi è piaciuto credo si sia capito, sei stata veramente bravissima. |