Recensioni per
Okumoros, dal veloce destino
di blackjessamine
Ciao, carissima, ho tante altre cose tue da recuperare (fra cui i due capitoli sui corvi) ma oggi pomeriggio sto cercando di smaltire qualche arretrato degli Oscar ed eccomi a questo gioiellino ♥ |
Ciao Greta, |
Ciao! ^^ |
Ciao! Eccomi qui, che continuo a leggere le storie dei corti degli oscar! ^^ |
BLACKJESSAMINEEEEE *________* |
Ciao! |
Macciao! La Canzone di Achille di Madeline Miller è la mia attuale lettura e poichè mi sta piacendo moltissimo (ho adorato anche Circe della stessa autrice) quando ho visto questa storia sono stata subito attratta e incuriosita. Con poche, semplici parole sei riuscita a cogliere lo spirito del libro, i sapori e i profumi della Grecia di quel tempo, ma non solo. I fichi, il miele, i sapori che pervadono il romanzo già dalle primissime pagine sono qui trasposti in modo vivido, così come le emozioni e il legame tra Patroclo e Achille. Quel viviamo finale, poi, è un contrasto acceso rispetto alla fine della loro, di storia, che si conclude con la morte a Troia. |
Ciao! Ho così tante storie tue da recuperare che, in teoria, non dovrei neanche sognarmi di aprire quelle di più recente pubblicazione... ma non ce l'ho fatta! Conservo un ricordo tanto piacevole di questo libro, letto negli anni di liceo, che non ho potuto fare a meno di fiondarmi qui, non appena ho visto che avevi scritto in questa sezione (tra l'altro, non sapevo neanche che esistesse quest'area dedicata al libro, perciò... grazie per avermela fatta scoprire). Un'altra ragione per cui io, qui, non dovrei metter piede è che mi sento particolarmente a disagio a racimolare le mie confuse, abbozzate idee ed emozioni per recensire un testo simile, non narrativo, eppure non ho potuto evitare di passare - per fortuna, aggiungerei! Metto le mani avanti, però: prendi le righe che seguono per quello che sono, ossia un sentito apprezzamento proveniente da una persona decisamente poco competente in materia. Ecco, sappi che in questo grappolo di parole che hai selezionato così accuratamente, al di là della dinamica Patroclo/Achille (che, comunque, hai saputo condensare perfettamente, e penso a quella "natura pallida" contrapposta alla "luce di fuoco", che è veramente un modo preciso di ritrarre entrambi), io ho trovato un mondo, una vita - o meglio, una fusione di anime che dura una vita (e anche oltre). Ecco, fusione è proprio la parola che non mi ha abbandonato mai, nel corso di questa esperienza di lettura - richiamata e sottolineata da quei versi ("tu sei me, sei me, sono te" e "io sono te, sono te, sei me") in cui quasi si perde di vista chi è chi e il tu e l'io si fondono nella potenza del legame stesso. Sei stata fenomenale nel rendere questa inscindibilità, la vita che fluisce nell'uno e trapassa nell'altro e viceversa, in un circolo che non si può spezzare (l'immagine ciclica la rincorri anche con quel destino che si compie come un ritorno, come un costante ritorno a casa - in questo riferimento al "ritorno", ho intravisto quel pizzico di epopea, di Odissea, che non ho potuto fare a meno di adorare!). Sempre a proposito della indivisibilità e della fusione, ma che bella è l'immagine di chi dischiude le labbra e sente poi il proprio "respiro" rilasciato dalle labbra dell'amato? Di chi cessa di esistere quando l'amato distoglie lo sguardo? È qui, in questi versi bellissimi, che la fusione raggiunge il suo picco, e - da emotivo - il legame travalica i confini fisici e si fa addirittura corporeo, concreto – ed ecco un altro aspetto che ho profondamente amato (lo reputo perfettamente adeguato al contesto/serbatoio "classicheggiante" a cui attinge lo stesso libro della Miller): la materialità, la concretezza che pervade il tutto. Le immagini sono vivide, tangibili: questa polpa che scivola, il miele che cola, il succo di fico e, ancora, queste "dita di rosa", tipico epiteto di Eos, l'aurora, con cui sei riuscita a rendermi tangibile persino il tempo che scorre, tempo in cui gli amanti ("frutti di un solo ramo" – ritorna qui, ancora, la concretezza, la solidità) si conoscono, si amano, si vivono, per i giorni che sono loro concessi (pochi, in questo caso, come ci ricorda "bruscamente" anche il titolo, sempre che io lo abbia inteso bene). Queste dita rosate mi hanno fatto proprio pensare ad albe che si susseguono, ad albe e intimità condivise, a destini che si intrecciano in nodi inestricabili, ad amori che maturano. E poi, infine, quelle "palpebre stanche", l'immagine di una passione consumata, ma che sembrano prefigurare anche il momento stesso della morte di Patroclo: mi hanno trasmesso quasi un senso di ineluttabilità, di destino che si compie, fulmineo e immediato, come una candela che s'estingua in un soffio; è una stanchezza quasi "languida", che sembra trascinarsi dietro l'appagamento di un amore consumato e vissuto. Tra l'altro, ho apprezzato tanto quel "Viviamo" conclusivo, "catulliano", di una vita piena che si erge fiera sulla vacuità della morte, che invita a "cogliere l'attimo" (che è proprio quello che fanno gli amanti). Insomma, forse non è proprio l'esordio con cui avresti voluto inaugurare l'esplorazione di questa sezione, ma posso dirti che io ho apprezzato veramente moltissimo questo esperimento. È stato anche per me come una sorta di "ritorno a casa", a tutto un contesto cui sono particolarmente affezionata, perciò non posso che ringraziarti. E, come sempre (mi sembra quasi inutile dirlo), bravissima! Un bacione, alla prossima (e scusa per i miei vaneggiamenti). |
Non so bene come commentare questa piccola meraviglia, non sono mai stata brava con le poesie, perché quelle così personali, viscerali, come quelle contemporanee, come la tua, per me non si devono analizzare, sezionare e commentare, si devono leggere lasciandosi scavare dentro e facendosi travolgere dalle parole e dalle sensazioni (per le analisi puntuali c’è la poesia antica, che per essere decifrata ci nasce). Quindi non so cosa ti scriverò, probabilmente le sensazioni e le immagini che mi hai lasciato addosso dopo la lettura. |