Recensioni per
Sacrogral ha una penna in mano III
di sacrogral

Questa storia ha ottenuto 11 recensioni.
Positive : 11
Neutre o critiche: 0


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Recensore Junior
15/12/22, ore 19:01

Mio carissimo m… 
con quella’m non hai fatto “fiacca” ma “acqua” quindi riprova, altrimenti ti (s)qualifico!

Ma, intanto che la trama avanza, — e mi perdonerai se la ignoro e vado oltre l’esegesi — si svela anche parte del pregresso dei “liberi e degli ingabbiati”, si rafforza la scrittura che strappa e non vela problematiche importanti e che, nell’intersecarsi delle voci del narratore e dei personaggi, riporta al quesito, irrisolto, dei piani di lettura della pagina letteraria del Marchese prima, di quelli in divenire di questo testo poi, e infine anche sui diversi angoli di lettura del Marchese uomo-persona che gioca da dietro la maschera, se di vera maschera si tratta, oppure, se fittizia, di quella che il Graal gli sta cucendo addosso.
Dove da un lato vige la parola dritta e diretta che canta il male e le sue lodi — non per aurea mediocritas ma per prossimità dell’oggetto, per mostruosità d’enfasi, per negligenza di eufemismo nonché per abbondanza di sarcasmo, mitterismo, astetismo, diarismo e di tutte le altre varianti dell’ironia che mi sfuggono ma che, allo stesso modo, liberano l’uomo pronto a coglierle — dall’altro trionfa quella “obliqua” della penna di Graal che, per enantiosemia, raccorda la pluralità antifrastica dei significati come quando, ma è solo un esempio, riesce a mettere in bocca al Marchese l’attributo, omografo, morbido riferito alla sua Dama, o quando, subdolamente (?), ci dà a intendere che il modus operandi del “protagonista” sia eterodosso piuttosto che eretico. Espedienti che conferiscono al testo la possibilità di lettura altra e, questa, mi pare una gran cosa.
Ma mentre non ci resta che pazientare per scoprire cosa il Graal farà di questo personaggio, ed eventualmente trovarci tutti d’accordo (?), sull’uomo, sul poeta, sul mito e sul filosofo al di qua dello schermo potremmo non esserlo mai o mai completamente. Io non so se i desideri siano sempre solo nella testa, e pertanto innocui, ma non dubito che assumano tanto più valore, peso e consistenza quanto più esplicitati, al di là di disparità di toni, in modo convincente in una qualsiasi forma d’espressione che se non redime e salvifica allora può anche arrivare a dannare chi ne è spettatore e fruitore. 
Scritti e idee, a mio avviso, non sono mai assolutamente innocui anche quando non si ammazza nessuno ma la scintilla è pericolosa perché alle giuste condizioni diventa incendio.

Sempre tua di fuoco e Fiamma,
F.
(Recensione modificata il 16/12/2022 - 10:30 am)

Recensore Veterano
15/12/22, ore 11:09

Non si salva nessuno, quando il marchese resta da solo.
Tutta l’umanità, l’umanità intera lo disgusta. Non c’è nulla da salvare in nessuno, non c’è una parte di mondo, una singola persona sulla quale non riversi il suo fiele.
Vittima sacrificale di un mondo intero che ragiona per convenzioni e stereotipi e che condanna le idee ma fatica a riconoscere lo schifo delle proprie azioni.
Dominatore di donne di ogni tipo per libertinaggio, scrittore scandaloso per ammonire o per insegnare, chissà, prigioniero dietro le sbarre e dietro una maschera perché ha voluto affermare la sua libertà.
Persino la compagnia che ha appena arruolato viene vista da lui in modo straniato: il boia? un malato mentale; il dottore? un assassino; Joss? un pavido inconcludente; il poeta? un uomo mangiato dai rimorsi; il ragazzino? un avventato, uno che non può capire.
Eppure a tutta questa gente non riesce a non riconoscere almeno il barlume di una dignità, perché questa gente si tiene dentro i propri mostri e non li sbatte in faccia al mondo intero, almeno questo lo riconosce il marchese, seppur con un vago senso di degnazione.

Non si salva nemmeno la Dama, che vuole la Rivoluzione ma come un falco che si leva in alto, come una statua senza pupille in un pomeriggio estivo, con “la suprema indifferenza di chi sta sopra tutto e tutti, ed è imparziale”. Questa Dama che non è una persona, non è una donna, è una “cosa”, una cosa inquietante. Un essere demoniaco che non pare innamorato, una creatura che domina e che si fa dominare solo fino a quando e fino a dove decide lei, e che non vuole essere guardata, un essere inquieto che chiede di spezzare maledizioni o punizioni, un mostro col volto di cammello.

Non si salva certo Latour, interprete grossolano della filosofia del suo padrone e assetato di dolore e sofferenze altrui quanto il marchese è assetato di libertà e giustizia.

E invece.

E invece, la tua scrittura lo dice, e con limpida chiarezza, Cavaliere, qualcuno che si salva c’è, e per trovarlo c’è solo un posto in cui andare, quel posto che ha un affresco della Morte, quel posto in cui sei uomini, convinti di non essere meglio di altri e ognuno con il suo fardello, scoprono che unire le forze in un piano che ha del surreale può persino essere un’avventura.

Dove ci stai portando, Cavaliere? In quali mondi?
Io non provo nemmeno a immaginare, a fare ipotesi su quel che sarà.
Preferisco sorprendermi e stupirmi a ogni capitolo, sempre grata per questa storia che ci hai voluto regalare.

Settembre
(Recensione modificata il 15/12/2022 - 11:26 am)

Recensore Veterano
14/12/22, ore 18:13

Messer Gral,
Carissimo Cavaliere,
Arrivo dopo qualche giorno, ma dopo la prima lettura ingorda avevo bisogno di una seconda rilettura per riassaporare meglio il tutto e distinguere bene tutti gli ingredienti di questo ultimo capitolo.
Non posso non amare il Divin Marchese perché lui è un puro: così privo di qualsivoglia mascheramento, tanto che le maschera gliel’hanno imposta per forza di cose. 

“E intanto rifletteva sulla sua assoluta impossibilità di cambiare anche quando avrebbe voluto farlo. Succedeva sempre qualcosa nella sua testa che gli diceva che era impossibile, che mai avrebbe potuto fare finta di essere diverso, nemmeno per convenienza, soprattutto per convenienza’.”

Vediamo tornare anche un’entità inquietante, la Dama dagli occhi neri, angelo o làmia, una divinità assetata che vuole il Graal per poter annullare la maledizione/punizione che le è stata imposta (e non vedo l’ora di scoprire di più in merito!).
Latour, invece, mi inquieta profondamente: è proprio l’opposto di Gobemouche.
Intanto la nostra scuderia di Disperati sta escogitando il migliore dei piani per entrare a Versailles e rubare il Graal: Lassone la mente, Gobemouche il cuore, Foret la Luce, Fra Etienne la fede, Sanson il braccio. L’oste Joss è il padre che veglia su tutti loro. Non poteva esserci un’armata meglio assortita!
E il loro piano appare quanto mai semplice ed efficace. Adesso la prima mossa spetta al religioso. 
Indi ragion per cui non vedo l’ora di leggere il prossimo capitolo, Boia d’un mondo!
Mille, cento, e altre mille riverenze,
G. Doppioinfinito
(Recensione modificata il 14/12/2022 - 06:16 pm)

Recensore Veterano
14/12/22, ore 12:40

Così quando vediamo una faccia umana disegnata o incisa a chiaroscuri, o anche semplicemente delineata, la fantasia ci aggiunge i colori naturali, e se bisogna la ombreggia e lumeggia. Ma se noi non conosciamo gli oggetti imitati dal poeta, e questi ce ne mostra solamente alcune parti o vero i contorni, non può fare che non succeda l‘una di queste tre cose, o che la fantasia nostra vedendo chiaramente secondo la sua maniera di vedere le parti mostrate dal poeta, non ci aggiunga niente, e le dovrà essere molto dilettevole il vedere quelle teste o mezze teste, e quelle code, e quei pezzi di strumenti o di arnesi forestieri o mal noti, sospesi in aria così per miracolo, o che aggiunga il rimanente a capriccio e a ventura, facendo tanti ippogrifi e tanti ircocervi e tanti innesti chimerici con quel diletto che può scaturire dal mostruoso; o che non veda nè aggiunga nulla, o se pur vede, aggiunga oscuramente e confusamente, come se un pittore ci mostrasse soltanto le zampe o le corna di una bestia sconosciuta, o ce ne sbozzasse il dintorno; e questo appunto è quello che avviene.    

Si scrivono commenti, è certo nel mio caso, alla luce del chiaroscuro inciampando nel poco che si conosce e correndo dietro a quel che sfugge.

Solo tracce, siamo, tra il nascere e il morire, lumaca o smeriglio di vetro calpestato, Justine o Juliette, virtù e vizio, spirito e passione, scelta morale o innato e possente istinto, essere o nulla, opposti e racchiusi nella stessa illaudabile meraviglia, fatale contenitore di tutto e che stupido inganna l’uomo. Si rende futile dunque l’affanno del bene sul male, strette spire riavvolte nell’amletico coil. Stesso filo metallico di vita che riverbera il medesimo struggimento, non dell’individuo, ma d’uomo all’infinito. 
Filosofo del verso abrasivo è, anche lui, fiore del deserto dal fine irrilevante alla cieca macina della matrigna e della storia, che né giusti e pii la sacra fiamma stringe, di fine certa e di stelo reciso.
L’occhio si ferma, però, e la prospettiva si allarga sul cantore del vizio trionfante, stringendosi sulla fredda pietra mai vergata, sulla possibilità che lo sia stato per opposto riflesso anche della virtù, della scelta morale, sventurata e offesa, non ancora tiepidezza d’animo, lui, tra gli uomini il più sventurato, fulminato dal Cielo che domanda credo e non ammette ragione.
Dunque mi domando, perché non vi è certezza, se le parole mentano, se siano solo parole, se esistano parole sole, non credute e non credibili, se il cuore del bugiardo sia doppiamente doppio anche in misura di grandezza.

Un abbraccio e a presto,
Minaoscarandre 

Recensore Veterano
14/12/22, ore 12:40

Allora, sempre, ché il Passato è rimasto lì memento di tanti istanti; ché il Presente è fuggevole e scrigno, ché il Futuro sempre allegro ha ancora tanti istanti da offrirmi.
Aspettava, lui, il Marchese, aspettava che Lei arrivasse, aspettava che arrivasse la libertà.
Perché lui, il Marchese, nato libero, privilegiato in un mondo dove il Bene era cosa rara, non conosceva la vera libertà. La libertà di essere ciò che realmente era, un uomo che guardava al di là delle regole prestabilite. Che non riusciva a fingere per essere libero.
Libero per nascita, prigioniero di una morale che voleva tenere prigioniero il corpo e la mente, ché le idee possono far più paura delle azioni. Prigioniero, il Marchese, libero nel pensiero, ché nessuno, mai, dirà che l’anima del marchese de Sade è addomesticata.
Ché la libertà è lasciare che il pensiero voli oltre le sbarre, oltre le alte mura, oltre il pregiudizio e la morale bigotta, lui, il Marchese, non un assassino, un uomo che consegnava alla scrittura la libertà del suo pensiero.
Lui, il Marchese, prigioniero, il cui nome sarebbe stato legato per sempre al dolore e a perversioni oscure che la mente aveva creato. Lui, filosofo in un mondo Illuminista, illuminista che mai sarà compreso.
Lui, il Marchese, che sarà per sempre la rappresentazione del Male.
Si vede il Male, in ciò che non si conosce, in ciò che fa paura, in ciò che l’ignoranza ammanta di oscure ombre.
Scrive, il Marchese, per sorprendere e scalfire quel mondo fatuo e pieno di pregiudizi, che non sa più cosa sia davvero il male. Scrive di cose che turbano e ‘sporcano’ ma dietro ciò che scrive vi è qualcosa che in pochi sanno leggere: vi è la vera libertà.
Lui, il Marchese, che non crede, appettava Lei. Per Lei è pronto a scuotere le fondamenta di quel mondo che da sempre lo rifiuta. Per Lei ha scelto quei sei uomini così lontani da lui e dal suo pensiero.
È l’altra faccia dell’essere umano, Latour, quella parte oscura e selvaggia che è in ogni uomo, quella parte irrazionale e violenta che non comprende veramente il Marchese, uomo filosofo guidato da un pensiero troppo raffinato e illuminato. Può comprendere solo ciò che crede di vedere in superficie, Latour, solo la violenza che crede di vedere nel Marchese. Ché non conosce la sofferenza del corpo e dell’animo.
Liberi lo son quei sei uomini, senza sbarre o alte mura a frenare la loro vita, eppure son prigionieri della loro coscienza. Di azioni che hanno marchiato la loro vita, di sentimenti che hann guidato il loro animo.
Ché il semplice, l’umile, conosce e riconosce il Bene e il Male.
Tutti alla ricerca della libertà, ché la libertà ha tanti volti, ma una sola vita in cui viverla.
La Scrittura deve saper indugiare su un dettaglio, come un accordo che apre una sinfonia, tenuto a lungo, prima che si affretti in un ritmo incalzante e trascini la mente in un mondo diverso. La Tua Scrittura è pura sinfonia. Sempre.

Recensore Master
14/12/22, ore 10:26

Mio caro Cavaliere,
Vi ritrovo sempre in grande spolvero e desideroso di mostrarci il mondo da voi creato da diversi punti di vista.
In questo passaggio, pur rimanendo nel mio angolo appartato e un poco in ombra, ho assistito ai primi preparativi abbozzati dei frequentatori della Disperazione per dare corso all’idea che Monsieur le Marquis ha instillato loro al fine di cambiare la Storia, e persino certi di poterlo fare. Nessuno sembra volersi tirare indietro e già argomentano fra di loro quale possa essere l’escamotage da utilizzare per recarsi in quel di Versailles. Certamente ha ragione il dottor Lassonne, il quale fra quella folla di derelitti, parrebbe l’unico ad avere le carte in regola per farsi ricevere a corte e, forse, sarebbe anche in grado di portarsi dietro, quali suoi aiutanti, il poeta Michel e il bimbo Foret con la Luce dentro. Al piano sembrano aderire con convinzione e quell’armata variamente assortita è pronta a dare il suo fattivo contributo, ignara forse delle falle che il piano stesso potrebbe riservare. Sempre arguto il vostro modo di presentarci i componenti di questa novella compagine, ognuno con le sue peculiarità che, forse, proprio per questo hanno attirato l’interesse del marchese.
Però nel contempo ci presentate un malinconico, almeno così a me è parso, Marchese de Sade, il quale rientrato nei suoi “alloggi” aspetta e ripensa a quello che è stata la sua esistenza. In quella buia cella si riveste della maschera di ferro che gli è stata imposta, ma lui ragiona forse della maschera che ha indossato lungo il corso della sua vita e che probabilmente, più di ogni tanto, gli pesa portare e vorrebbe potersela levare. Ma il mondo lo vede solo con la maschera indossata e lui sta al gioco, non scoprendo una parte, forse quella più intima, di se stesso. D’altronde persino dai famigliari viene considerato esclusivamente con quella maschera che si è sempre portato addosso. Ho sorriso quando parlava senza veli della suocera e di sua moglie. E intrigante e soffuso il suo momento con Lei, la Dama che lo blandisce e che è venuta da lontano per essere aiutata a liberarsi del peso e della maledizione che le hanno scagliato contro. E Lei è colei che conosce e si ferma di fronte al vero amore?
Con una maschera calzata lo vede anche il suo tuttofare Latour, il quale spera maggiormente che possa insegnargli qualcosa di sempre più estremo per il desiderio di provare piacere nel dare dolore, lui che il dolore non lo ha mai provato sulla sua pelle. Personaggio oscuro, che incute timore per quella perfidia che lo anima, un uomo che non si pone domande sul perché quel suo strano padrone si comporti in certi modi, tanto da averne fatto il suo stile di vita, non indaga su cosa ci sia sotto, e, senza una riflessione profonda sul comportamento che porta una persona a compiere certi atti, non si può avere contezza di quando sia giunto il momento di fermarsi prima di raggiungere il punto di non ritorno. Ma forse sto andando fuori tema.
Sempre interessante leggervi e pertanto Vi attendo con curiosità per il prosieguo.
Colgo l’occasione per porgere a voi e ai lettori tutti gli auguri per le prossime feste che si stanno approssimando, nel caso non ci incontrassimo prima.
Un saluto e un inchino.

Recensore Master
13/12/22, ore 13:11

Carissimo Cavaliere,
devo ammettere che alle "sculacciate di rappresentanza" sono quasi cappottata dalla sedia dalle risate!
Questo Divin Marchese che passa in rassegna il "catalogo delle donne" della sua esistenza, e che incontra una nostra vecchia conoscenza, che già ci avevi illustrato in una delle mie storie preferite in un'altra sezione.
Dunque, De Sade come paradossale cavaliere senza macchia (?!) e senza paura (?!) impegnato a liberare una avvenente fanciulla - diciamo così, benché sia antica quanto il mondo - da una arcana maledizione?
E intanto, alla "Disperazione", va in scena un film (mi si perdoni l'anacronismo) dal titolo: "L'audace colpo dei soliti ignoti - Ladri di Graal". E in attesa di aggiornamenti, torno a leggermi anche io la "Philosophie dans le boudoir", perché, fra l'altro, il personaggio di Dolmancé mi aveva sempre tanto colpita da dare i suoi tratti al mio padre Vincenzo. Ma del resto, in tema di "provvida sventura":Manzoni c'entra sempre, no? Siamo italiani, "boia d'un mond lader" (si fa per dire, Monsieur Sanson).
Ciao ciao, e a presto, con tanti saluti "graalosi".
d

Recensore Master
13/12/22, ore 02:17

Salve Cavaliere,
mi scuso sin da adesso - e lo so che parto male, malissimo - perché non so a che ora arriverà questa sottospecie di recensione, probabilmente ad un'ora ingrata o quella dei fantasmi (se preferisci).
Io, però, credimi, sono davvero lieta di leggere una storia così bella e di una particolarità rara. L'ho letta e riletta e ogni volta trovo qualcosa di nuovo che mi colpisce; cosa posso dirti di questo capitolo senza risultare vagamente banale io non lo so ma un tentativo lo faccio.
Il de Sade non è un personaggio facile da muovere e aggirarsi tra i suoi pensieri non è che sia proprio una scampagnata ma tu, con le tue parole, ci trascini nelle pieghe della sua vita e ci fai anche vedere il lato più empatico e umano.
Io quest'uomo l'ho sempre visto come un individuo dedito solo al proprio Es andando oltre, e rimestando più in profondità, ci porti anche a vedere il suo Io e pure i tentativi di affermazione del Super Io.
Il fatto stesso che lui dica di aver provato a comportarsi diversamente da come è, implica tutte queste cose: lui almeno un tentativo lo fa.
I suoi pensieri sono palpabili, discosti dalla mostruosità di cui lo taccia la società e sono pregni di una umanità che tu esprimi con una naturalezza disarmante. Io - che mi sento una persona discutibile dopo quanto sto per dirti - rido sempre e come una matta quando fai in modo che la sua attenzione si sposti sulla suocera e sul suo intendere l'amore rispetto alla cognata e alla moglie. Questo marchese così cinico, irriverente e - in qualche modo - più vicino al sentire dei lettori mi porta a rimanere imbrigliata in una gigantesca giostra emotiva. C'è biasimo per lui, c'è il ridere con lui e c'è pure la comprensione nel leggere la sua rabbia per il comportamento di Lanuy; è un lavoro sorprendente il tuo: rimescolare le carte in tavola con quello che di precostruito c'è e gettare una nuova luce su angoli che non si erano considerati prima.
Anche se, qui non posso tacere, il piglio un po' supponente non lo perde mentre valuta la sua scuderia e io un po' il broncio lo metto già solo per come apostrofa Michel.
Altra cosa: la copertura, effettivamente, non mi è saltata per il marchese ma per l'idea di Latour e sai perché? Perché sei stato bravissimo nel sottolineare la differenza tra chi le domande se le pone e ci si arrovella - il de Sade- e chi è concentrato sulla brutalità dei fatti. Penso che qui tu ti sia superato: leggere della sua prospettiva è stato davvero un momento crudo, quella crudezza che ti lascia un po' col fiato corto e che indigna. A me lui inquieta non poco e infatti credo di aver trattenuto il respiro mentre vedevo il marchese filtrato dai suoi occhi e mentre apprendevo della sua concezione del mondo.
Ribadisco: leggerti è una bellissima giostra emotiva, si passa da un momento all'altro e da un sorriso all'apnea in pochissimo.
Ora ti faccio una confessione: io, con Lei non ho chiuso occhio per un po' e questo sin da quando ce l'hai fatta incontrare (è temibile ma non riesci a non guardarla, non saprei come altro spiegarmi); sapere che punta al Graal è ulteriore fonte di apprensione e - ovviamente - di enorme curiosità.
La brigata che entra a Versailles non posso proprio perderla: povero dottore, ce lo vedo già intento a cercare di far passare inosservati gli altri due; Foret è sempre molto molto dolce e lo stesso vale per Joss (non sai quanto mi ha intenerita vedere Joss preoccuparsi del fatto che Foret mangi, credo sia uno di quei momenti che tutti abbiamo sperimentato e che tutti scioglie). A me, non me ne voglia monsieur Sanson - come ti avevo anticipato (e che rimane sempre il mio preferito) -questi scambi tra lui e fra Etienne hanno fatto ridere tanto, ma davvero.
Insieme ai semplici, naturalmente.
In questo capitolo credo mi abbia colpita moltissimo il confronto così ben ponderato e descritto tra le personalità di Latour e Michel.
Questa non è una recensione degna, mi rendo conto, ma scrollarsi i timori è complicato e non annoiare è ancora più difficile, la finisco di vaneggiare .
Complimenti vivissimi Cavaliere e, spero, a presto con un altro bellissimo capitolo,
A.

Recensore Junior
12/12/22, ore 08:57

Un dubbio strisciante, che mi fa riflettere dal primo capitolo, sta cominciando a prendere sempre più corpo e consistenza nella mia personale visione del tuo de Sade. E cioè che la maschera che rinchiude il divin marchese sia solo una pallida imitazione di quella che lui stesso ha forgiato con le proprie mani. Un maschera asfissiante da cui nessuno potrà liberarlo. La maschera del personaggio che si è costruito con le proprie opere.

Non può cambiare il divin marchese, neanche per salvarsi la pelle, perché questo implicherebbe una mancanza di coerenza abissale tra le sue parole e le sue azioni.
Pozzo di contraddizione senza fine.

Essere servito e venerato da un essere menomato nel corpo e nello spirito dall’incapacità di provare dolore e stizzirsi perché sovrappone l’uomo ai suoi personaggi. Bruciare di rabbia per una violenza perpetrata su un innocente da chi infligge il male rinnegandolo a parole e non poterlo (o volerlo?) urlare. Commuoversi per un bacio dolce e continuare a stillar rabbia e fiele in pagine dove il significato di amore equivale a orge e abusi. Credere che quello sia l’unico significato che personalmente gli può dare e desiderare ancora baci da sogno che siano in grado di riconciliare l’uomo alla parte più insondabile del proprio io. Deridere i sentimenti ed essere avvinti ad un altro essere come solo l’amore vero può fare, pensando con irritazione di essere nato libero e comportandosi come uno schiavo agli ordini di Lei.

Lei. Lei che gli chiede di credere che esista un qualcuno più grande e potente che la tiene soggiogata da una maledizione o punizione che dir si voglia. Che gli chiede di trovare un sacro calice a cui attribuisce la capacità di renderla libera (importa poi così tanto che dovrebbe liberare anche il popolo francese dalla tirannia monarchica?). Che gli chiede di farlo senza dare spiegazioni, spingendolo di fatto ad un atto di fede da lui stesso tanto vituperata. Che si nutre di uomini dopo l’amore ma che con lui non l’ha mai fatto. Che urla di orrore per essere stata vista in disgustose fattezze dai suoi occhi.

Si interroga il divin marchese, che il peso delle contraddizioni non è facile da sostenere. Si interroga ed intanto è responsabile dei pensieri e delle azioni di chi legge e crede che l’unico diritto sia quello del forte contro il debole, dell’appagamento dei propri istinti senza porsi limiti.
Si interroga ed è responsabile del destino di una banda di disperati che stanno approntando un piano altrettanto disperato per entrare a Versailles e fare la storia.


Ma in fondo l’unico vero responsabile è l’autore di questo racconto, che pretende di dare un cuore e dei sentimenti a chiunque tocchi la sua penna. Che sia il più controverso libertino di tutti i tempi o una strega/demone mangiatrice di uomini.
Ed incredibilmente, come solo lui sa fare, ci riesce.
(Recensione modificata il 12/12/2022 - 09:02 am)

Recensore Veterano
11/12/22, ore 13:13

Saggio Cavaliere,
quando quella notte tornai nella mia dimora, ero già convinta che Donatien non dovesse proprio fidarsi di Latour.
Leggendo ora il tuo ultimo scritto ne ho avuto conferma. Imitar l’arte con la vita è solo l’alibi di un uomo malvagio.
Di Donatien, invece, posso senza tema affermare che “se quell’uomo è un malvagio, egli mi inganna”.
Quanto a “Lei”,  non credo che “Lei” voglia impossessarsi del Graal per una buona causa.
Alla Disperazione ne sono convinti (della buona causa!) e stanno per imbarcarsi in un’avventura epica, dimostrando astuzia e coraggio, ma forse Donatien li ha ingannati sul fine ultimo della sua personale crociata.
La dissoluzione della Monarchia sarà solo un effetto collaterale?
“Il Graal spezzerà la maledizione che mi ha colpita, o la giusta punizione, se preferisci”.
Il Graal o la sua distruzione?
Fra un paio di secoli (poco meno) uno scrittore quasi cieco ricorderà Robert Burton che dissertando di malinconia narrava la storia di una lamia che aveva assunto forma umana per sedurre un giovane filosofo. E Keats in punto di morte scriverà di “Lei”.
“Lei” si nutre di menti sapide.
Quanto alla testa di cammello ho preferito affidare al segreto della corrispondenza la mia risposta al tuo indovinello. Però, se avessi colto nel segno, per me niente bambole o balocchi.
Solo il piacere di leggerti ancora.

Recensore Master
11/12/22, ore 00:24

Caro Sacrogral,
Ancora lei??!
Quindi... lui non è stato divorato e lei lo ama davvero, dato quel suo scappare via atterrita, tanto simile, ma nel senso contrario, a quanto fatto dalla giovanissima cognata, arbitrariamente monacata. Ma tu guarda che roba! Beh... mai e poi mai avrei pensato ad un ipotetico e simile motore di ricerca del Graal!
E i nostri poveri ragazzi, intanto, già lì ad impegnarcisi, tra realtà e chimera, nella completa ignoranza di tanta sconcertante realtà... Tutti affascianti dalle fole romantiche di un romanziere di pochissimi scrupoli.
Ma non sarà, per caso, innamorato pure lui?! A me parrebbe proprio così...
Innamorato perso, al punto di osare l' inosabile, di mancare in modo estremo (alla parola data e al timore più sconvolgente). Un atto che nemmeno a de Sade poteva portare fortuna e infatti, immancabilmente, ecco, tutta per lui, una orrenda visione.
Personalmente, sfogliando internet, mi sono imbattuta nella menzione di certi racconti marocchini, relativi a un' entità denominata Jinnyya, chiamata Lalla Aisha Kandisha, ma non sono sicura si tratti di colei a cui le tue righe si riferiscono, perché nel suo caso le fattezze da cammello insistono soltanto nelle estremità degli arti inferiori, lasciandole fattezze magnifiche nel resto del corpo (qualche volta però ella sceglie di presentarsi come una vecchia decrepita). Poi costei batte l' Africa sub-sahariana e non le paludi del Mississippi... Però i suoi capelli sono rossi... Chissà!
Comunque... mai gente "appena appena" normale nei tuoi scritti, eh!!!!!
Un' ultima cosa... Tutta la compagnia della Disperazione mi sta a cuore ed è grande la mia simpatia per fra Etienne, però il mio preferito è e sempre sarà, come tante volte ho dichiarato, Gobemouche, il mio amatissimo "passerotto poetico".
Nonostante tanta oscurità riportataci, ti ringrazio per questo ulteriore avanzamento della narrazione.
L' immaginarli a Versailles, presi e persi nel loro piano sgangherato, riesce a farmi pre-gustare, all' unisono, brividi e risate.
A presto e sempre grazie
Un caro saluto