Recensioni per
Sacrogral ha una penna in mano IV
di sacrogral

Questa storia ha ottenuto 11 recensioni.
Positive : 11
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
23/12/22, ore 23:00

Un battito d’ali.
Foret insegue la farfalla. Una tazza si scheggia. Un servizio di porcellana si scompagna.
Fra Etienne si impegna a sostituirlo, una Dea irrompe alla Disperazione per ricevere il suo risarcimento. Joss si innamora.
Joss e la Dea si accompagnano.
L’entropia governa il mondo.
E presto il Caos scatenato da Frate Etienne regnerà a Versailles.
Quanto a D’Annunzio, mi sto immaginando la Dea al posto di Hermione. Sotto la pioggia.
Mentre Foret potrebbe passeggiare tra i versi di Walt Withman, rincorrere farfalle e fischiettare con un filo  d’erba fra le labbra : io credo che una foglia d’erba non valga affatto meno della quotidiana fatica delle stelle.
Detto questo ...torniamo alle cose concrete!
Considerato che pure Latour lo ignora, anche se riassume benissimo il nulla che sa: ma il Sacro Graal che sembiante ha?
Con questo interrogativo,  prode Cavaliere, mi duole purtroppo congedarmi.
Bafometto mi chiama. Vuole le crocchette.
Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam
Che l'Onnipotente benedica la tua penna!

Recensore Junior
23/12/22, ore 22:02

Mio carissimo Gral, 
autore dalla penna obliqua e antifrastica, ironica e sorridente, mi è piaciuta molto questa lirica dei tre cialtroni che vorrebbero darcela a bere con un bicchierino di grappa. Scrivi nella scrittura, aliud verbis e aliud sensu, e inevitabilmente il piano di lettura si separa e moltiplica. 
Succede così con il canto di questo aedo degli stracci e dei cenci che, ponendosi giusto al centro dello scritto superiore, sposta il piano del significato su un livello ancora diverso e sulla questione de poesia.
Canto che è dissimulatio allo stato puro ma anche catafasi al contrario, apofasi della enunciazione di poesia, anaclasi retorica e di significato che coglie il senso tramite l’opposto.
Il poeta, non schiavo e libero, è auto ironico, è iperonimo, è disfemia di attributi che non lo classificano — o forse sì? — e, altro che con l’abbecedario di Pinocchio, è impegnato nel metro, non indulge nella facile tronca, rima con piane e sdrucciole, bacia e alternativamente incrocia e incatena, martella quando effectus lo richiede rifugiandosi, però, pronto, nell’enjambement, quando la coincidenza di ritmo nel verso richiama l’interruzione; è un rapsodo consapevole del mezzo e del messaggio e che deliberatamente provoca il lettore, insomma gli darei una sculacciata!
Al di qua della messa in scena invece, l’allegoria regna padrona come Madame la “cugina” o cucina nella sua cucina, diventa per antonomasia da in verbis a in factis mentre, subito dopo, per scambio interno, l’autore sottrae immagine al nome dando luogo, con un taglio, all’antipersonificazione del personaggio in carne e ossa.
Scrittura, mio caro m, che è tanto convincente quanto ingannevole… insomma è proprio vero non me la racconti mai giusta!
Baci e abbracci,
sempre tua di fuoco e Fiamma
F. 

Recensore Master
23/12/22, ore 19:48

Mio immaginifico Cavaliere,
un gioiellino questo capitolo.
Sui poeti, beh, beh, ora ti racconto: un mio amico, poeta, ma poeta vero, un giorno viene a tenere una conferenza. Poi andiamo a mangiare, e la ristoratrice, che ci vede intenti a spazzolare i piatti con bell'appetito, poi mi chiede: "Bel tipo il suo amico! Ma che cosa fa nella vita, che non l'ho capito?"; "Il poeta", dico io. "Ah! Ma allora i poeti mangiano?!". "Eh no, di solito si nutrono di rugiada, come Filita di Cos! E le dirò di più, giocano anche a calcio, vanno in moto, e tifano Inter!". Ma santo cielo! Il meglio arrivò con una giovane fanciulla (tautologia, lo so), la quale mi chiese, smarrita: "AH, PROFE! Ma esistono anche i poeti vivi, allora?". Senza parole.
Comunque, comunque: "Cherchez la femme!", dicono i nostri cugini d'Oltralpe. E qui tu ci mostri l'entrata in scena di una gentile signora, dalla voce da baritono (!) e che sa bere comme il faut! Mi piace molto, questa new entry! Ma adesso mi sa tanto che per leggere il seguito dovrò aspettare... sino al 2023. Fa impressione, vero, vederlo letto?
Un abbraccio, reverente, che trascende nella proscinesi, e ancora complimenti per la tua Storia.
E, naturalmente, Buon Natale,
D

Recensore Master
22/12/22, ore 16:11

Mio caro Cavaliere,
davvero impagabile questo nuovo passaggio che ci avvicina sempre più alla missione che sta già prendendo le misure di come dovrà svolgersi l’azione.
Lì alla Disperazione io, dal mio angolino appartato, ho osservato la scena che si è svolta davanti ai miei occhi e per ben più di una volta sono rimasta sorpresa dal suo evolversi.
A cominciare dall’ingresso di Latour, l’uomo di Monsieur le Marquis, ma che forse non ha capito quanto sia raffinato il pensiero del suo padrone nel ricercare proprio tra quelli che lui definisce poveri derelitti, i futuri eroi di quell’impresa dalle mille e una incognita. Gente che a differenza sua ha una luce che li illumina da dentro e pertanto anche una impresa come quella prospettata non fa paura. Latour che si veste di ombre fino a diventare persino lui stesso tale; l’uomo senza profumo né olezzo, e anche io, come Galla, ho subito lasciato la mente correre e fare il parallelo con il protagonista del romanzo di Suskind; l’uomo che incute timore per quel pensiero dal quale non ci si può distaccare, riflettendo quale sia la sua massima aspirazione, e cioè godere nel provocare dolore.
Latour davvero non riesce a vedere in quella varia umanità tutta la bellezza che l’essere umano può racchiudere in se stesso.
Si scontra e non comprende Gobemouche e il suo essere poeta, poiché lui è poeta nel senso più puro del termine, per quel suo sapersi emozionare ed emozionare a sua volta declamando il bello e il buono che esiste intorno e dentro ogni cosa e ogni persona. Povero Latour non sa cosa si perde a non lasciarsi avvincere dalle sue parole capaci di mettere a nudo qualsiasi animo sensibile o meno.
E poi come rimanere seri di fronte ai primi due eroi che hanno posto le fondamenta per quella missione: Fra Etienne e il piccolo Foret. Un frate veramente sui generis, come forse ce ne sarebbe bisogno, uno che non ha paura di sporcarsi le mani per una degna, valida e buona causa. Mi strappa sempre un sorriso quando lo sento imprecare e subito dopo scusarsi, soprattutto con Monsieur Sanson, se si trova nei paraggi del locale. E come non intenerirsi per il bimbo con la luce dentro che si perde dietro al volo di una farfalla vedendo quanta sia la bellezza del suo librarsi.
I due si erano recati alla reggia, con tanto di pozione appositamente confezionata dal dottor Lassonne, ma mai avrebbero pensato di fare un incontro che, per qualcuno lì alla Disperazione, avrebbe potuto cambiare la vita.
La super cuoca della reggia, che voi cavaliere vi siete divertito a descriverci come la donna più inguardabile del mondo, quasi a voler fare il paio con l’oste Joss, anche lui di grazie esteriori privo, mentre dentro il cuore una esplosione di emozioni. Curioso come nulla venga da voi lasciato al caso anche nell’affibbiarle il nome di Julienne. Ebbene, la donna, giunta nella locanda per ritirare, diciamo il lavoro, che Fra Etienne nel suo fervore missionario si era impegnato a far fare dopo il disastro compiuto nelle cucine reali dal piccolo Foret, fa scoppiare la scintilla dell’innamoramento proprio in Joss, il taciturno Joss, che con le donne sa parlare ancor meno che con i suoi simili, completamente avvinto dalla verve di questa dama alquanto particolare.
Una lettura davvero piacevole sotto molti punti di vista dal momento che la vostra penna sa descrivere in maniera ammirevole non solo situazioni esilaranti quanto anche profondità di sentimenti che toccano le persone di cui narrate le vite con cura e rispetto.
Grazie sempre, caro Cavaliere, e nel mentre colgo l’occasione per inviare a voi e ai lettori tutti, il mio sincero augurio, affinché le prossime festività trascorrano serenamente insieme a coloro cui volete bene.
Buone Feste dalla vostra dama d’altri tempi…

Recensore Veterano
22/12/22, ore 13:37

Allora, rue Saint-Lazare, quante volte l’ho percorsa cercando le orme di uomini senza nome, senza una storia che li ricordi? Una strada come tante a Parigi, uomini come tanti, volti sconosciuti, a cui tu stai dando vita.
Quante volte li avrò incrociati quei volti? Ho sorriso loro, e mi hanno sempre ricambiata.
Il buio più fondo e cupo, la luce più bianca e abbagliante.
Un uomo che è buio, cupo, fondo, che non vede Luce ma solo ombra.
Un uomo che non comprende la vera onestà che trascende la miseria, che conosce il vero coraggio e la forza della solidarietà tra umili.
Un uomo che ha il buio nel cuore, che crede che il mondo si cambi nel sangue.
Un uomo che non comprende cosa sia un poeta, i mille volti che nasconde chi, declamando versi espone il suo cuore.
Michel, flaneur, dal cuore tormentato, mille volti a nascondere un grande dolore.
Michel, un uomo, semplicemente, come un prisma a catturare la luce e le ombre.
Michel, mille volti a nascondere il proprio cuore.
La luce più bianca e abbagliante nella mano maldestra di un pulcino che cerca di afferrare una farfalla, ché si può vedere la bellezza nella trasparenza di una farfalla, o forse un segno del destino.
Nella penombra, un uomo dal cuore semplice sognava l’amore.
L’amore non si cerca, non si trova. L’amore accade, travolge e ruba il cuore.
È lì anche quando sembra non esserci.
L’amore vive in un sogno cullato nel tempo.
L’amore non chiede il censo, il rango o l’opportunità, non chiede di desiderare la Luna o una stella.
È bellezza in un nome, in un instante da conquistare, ché un nome può diventare soave melodia.
E in un istante sentirsi piccoli e fragili, indifesi e disarmati davanti ad un nome che fa battere un cuore.
Un cuore di un uomo semplice e unico come il suo sogno custodito nel tempo.
Ché per essere un cavaliere innamorato basta semplicemente un sogno che viene da lontano.
Ché la bellezza è un istante che ruba il cuore.
E alla fine un Vero Scrittore io trovo, e osservo la mano che stringe la penna.
Di stelle che crei il ciel tu riempi, dei vuoti, degli echi e le ombre tu che comprendi.

Recensore Veterano
22/12/22, ore 12:57

Tu sai che cosa penso, cavaliere? Penso che odia in questo modo i poeti solo chi ama davvero la poesia. E per questo lo può anche dire ad alta voce. L'artificiosità, il vuoto formalismo, l'ipocrisia, l'andare a caccia di dolori immaginati o di amori addomesticati, no, non è questa la poesia. Lo sa bene chi, anche non essendo poeta, del poeta ha il cuore e sa riempire il cielo di dèi, o contare le stelle a una a una.

E scrivi, cavaliere, anche cose che molto mi fanno ridere, in questo tuo capitolo. Ti dico quali? Direi tutto l'ingresso di fra Etienne: quando impreca e poi si accerta che Sanson non ci sia (e così impreca di nuovo, e meglio), quando realizza che neanche quando predica in chiesa viene ascoltato con tanta attenzione, e quando se ne esce con: "Non c’è più religione, e pure l’ateismo dà segni di rotta, ve lo dico io!". Mi hai strappato la risata, te lo dico.

E le meraviglie che si spalancano agli occhi di Foret, - una farfalla è sufficiente, qui -, mi fanno pensare che anche in lui ci sia un poeta, cavaliere.

Infine arriva l'amore, sottoforma di una donna che ti diverti a dipingere orribile nell'aspetto, e ci si accorge del tuo senso dell'ironia nel dare a questa cuoca il nome di Julienne, cavaliere, ma più dettagli escono dalla tua penna più le si vuole bene e più lei si addentra nella Disperazione più si ha l'impressione che stia avvenendo un incontro voluto dal destino. E questo Joss, che sa riconoscere di essere innamorato per un'aritmia, mi commuove e penso che non ci sia posto migliore in cui possa sbocciare l'amore se non in questa taverna buia, alla luce di poche candele, in faccia all'affresco della Morte.

E allora, cavaliere, il mio augurio a te, ancora, unito alla mia ammirazione, e sempre, sempre grazie,
Settembre

Recensore Veterano
22/12/22, ore 12:01

Contenitore di moltitudine dunque, di tutte l’arti dei moti dell’anima, questo poeta, denigrato dal diavolo che anima non ha, apparente cantore infedele ma che riesce a tener vivo lo Spirito dell’incanto.
È auto-schernita penna dal più carezzevole pennello, ma cornice della stessa poesia, che non conosce parole sole ma che strappa corde nella pietra ammansita, suona violini nella pensosa prosa, ferita, segreta, cangiante del sacro volto e delle fini ingloriose degli orgasmi. 
Parole sole, di identità mai identica, ma che assieme ardono e ardiscono del puro pensiero, spinto al limite.
Si spezzano in altro da sé, raccontano ogni volta quel che manca nell’atmosferica incertezza, nella realtà del silenzio che senza vincoli non spiega né rappresenta, sovversive compagne impensate che attraversano, nomadi, l’impossibile figura bianca di questa cosa chiamata poesia.

Un abbraccio, 
Minaoscarandre 

Figura bianca ~ La cosa chiamata poesia ~

Era un dicembre di doni. Sulla nevosa pianura
uno con una tavolozza stava.
Su lui che dipingeva nevicava, nevicava.
Lui trasognava, nella sua pittura
del nudo inverno, dei suoi rigidi ossi,
della valle di un grembo, più fonda che non voleva,
di una gloria di seni eretta vertiginosa.
Sul modello la neve cadeva.
Il corvo volteggiava, ahimè, cosa mai vuole
e da dove è venuto?
Era un dicembre di doni. E nevicava
su quella tavolozza che non ha più colore.
O paurosa impotenza a nominare il dipingere
che cade sopra la tela,
ed è come la neve bianca, che non sa niente,
perché deve cadere!
O paurosa impotenza a fermare ciò che fugge!
Si è fatta debole la tua mano,
la lingua ti è legata e non sai più parlare
a ciò che si dissolve:
o mutazioni eterne, ogni nodo si snoda,
o mutazioni eterne, fin quando in neve io mi sciolga,
dove sarà l’anima mia, in quale donna,
dove sarà, in quale neve?
Era un dicembre di doni, sulla nevosa pianura
uno con una tavolozza stava.
Su lui che dipingeva nevicava, nevicava.
Lui trasognava, nella sua pittura.

Jiří Orten

Recensore Junior
22/12/22, ore 01:03

Credo fermamente nell’amore a prima vista.
Che non c’entra nulla con il dirsi subito ti amo o promettersi una vita insieme.
Credo fermamente che l’anima possa riconoscerne immediatamente una affine, semplicemente da uno sguardo. Che con un solo sguardo si possano avvertire accettazione, rispetto, stima, comprensione. Che con uno sguardo si possano percepire quel valore e quella dignità che noi stessi non ci siamo mai attribuiti. Che con uno sguardo si riconoscano nell’altro modi simili e simili intenti.
E credo che sia estremamente raro ma che possa accadere a chiunque, soprattutto a chi non si ritiene degno neanche di desiderarlo l’amore.
Ed ecco che accade proprio a Joss le petit, che per quel desiderio aveva provato una tale vergogna da immaginarlo raccontato nel quaderno nero.
Accade che due esseri che agli occhi del mondo sono orrendi, senza grazia e creanza, guardino oltre e meritino un’emozione. Una di quelle che genera un battito irregolare e forsennato.

Credo anche che esistano anime che nascono con una sensibilità tale da renderle indifese. Che avvertono le emozioni sulla pelle senza alcun limite tanto da diventare un peso e una dannazione. Anime condannate a esprimere queste emozioni. Poco importa se nei versi, nella musica o nella pittura. Anime empatiche eppure egoiste, costrette a leggersi continuamente dentro per raccontare il mondo. Condannate a rimanere incomprese nel comprendere tutto e tutti.

E credo infine che quello che è veramente ripugnante e disgustoso non sia mai all’esterno ma all’interno dell’essere umano. E che gli spiriti più sensibili siano capaci di avvertire la deformità che non viene dall’aspetto ne’ dall’odore ma dall’anima. Un’anima nera che non dorme e che volutamente sorvola sulla postilla di due ragazze assassinate brutalmente.

Il piano ordito (ed in realtà anche molto ardito) si è messo in moto e ora vedremo se un intraprendente frate e un ragazzino che vede l’incanto in una farfalla e che genera miracoli anche quando sbaglia, siano riusciti ad indurre la chiamata urgente del dottore.

Io mi limito ad augurare a questo autore dal cuore buono che questo tempo possa regalargli tutte le emozioni che lui stesso ci dona.

Recensore Master
22/12/22, ore 00:37

Buonasera Cavaliere e bentrovato, sono davvero contentissima di leggere un altro capitolo prima delle feste: che bellezza!
Sai che Latour mi incute sempre più ansia man mano che procediamo in questo viaggio? La sua assenza di umanità, così l'ho letta io e magari sbaglio, è riflessa tutta in quella vacuità che contrasta con Michel.
Devo ammettere che Monsieur Boia non arretra di un millimetro nelle mie preferenze, ma qui credo proprio che Michel gli si sia avvicinato e pure parecchio; penso sia merito, come sempre mi succede coi personaggi, di questo suo voler rimarcare la propria sensibilità ma non scrollandosi mai di dosso quelli che sono gli errori passati. Il conflitto interiore, se espresso bene, è sempre una cosa meravigliosa e qui ci ho proprio affondato le mani, bravissimo. La poesia è davvero calzante col momento e credo che l'odio per i poeti - a più livelli di lettura - sia perfetto per il conesto.
Ancora una volta ho sorriso, spontaneamente, per il modo in cui Michel e Joss si siano infervorati per tutelare Foret: questo senso di famiglia mi scioglie.
Lo stesso Foret, che ha mandato fuori di testa il povero fra Etienne, ma che, a me, con quella purezza d'animo e il voler sfiorare una farfalla, ha fatto emozionare. Ognuno dei tuoi personaggi ha una caratteristica predominante e riconoscibilissima e questa qui, di Foret, con me fa presa e tanto pure.
Fra Etienne, invece, che controlla non ci sia Sanson in giro mi fa sempre ridere, e aggiungerei fragorosamente. Ribadisco, non me ne voglia Monsieur.
La missione è riuscita, dunque, ma ci sono due omicidi (e sospetto non saranno i soli): sai che io sono la Sherlock degli squattrinati? Me lo tengo per me perché so che farei una gaffe grossa quanto la reggia, ma intanto hai decisamente stuzzicato la mia curiosità. Davvero bravissimo nel gettare così un incipit per un futuro che, ne sono certa, ci terrà tutti con la voglia di sapere a livelli altissimi.
L'incontro tra Julienne e Joss è di una leggerezza che fa bene al cuore e mi ha lasciata sorridente, lui, poi, che sbatte perché è già con la testa altrove, direi che si è già guadagnato il mio tifo più rumoroso.
Ma sai che io Julienne - non chiedermi perché - nonostante la stazza e il pelo me la vedo uscita da un film d'animazione di Atamanov (quando i miei non controllavano mai le cassette da guardare e giù di traumi e spaventi)? Infatti mi ripetevo "Baba Yaga" ma non capivo perché, solo nell'estetica, giuro, poi ho compreso che non era il personaggio in sé (che nei film non c'era, ovviamente) ma un'associazione - sicuramente inappropriata - che mi ha colpita. So che Julienne è buonissima e buffissima, con lei, credo dipenda dalla descrizione così vivida che ne hai fatto.
Gino Patroni mi ricorda invece una cosa: ci fu spiegato al liceo, con annesso aneddoto su Quasimodo, e la mia professoressa - quando leggeva qualche "capolavoro" dei nostri - ci diceva sempre di sentirsi come quest'ultimo dopo la lettura del primo. Anche qui credo tu mi abbia riportato un ricordo e stavolta ti ringrazio perché ne ho riso.
Grazie per questo bellissimo capitolo, davvero: leggerti non è mai in grado di annoiare, per me. Un carissimo augurio a te e ai tuoi cari di serene feste e grazie ancora per questa graditissima compagnia, (scusami tanto per la recensione pessima)
Fantasmino
(Recensione modificata il 22/12/2022 - 12:44 am)

Recensore Veterano
21/12/22, ore 13:19

Carissimo Messere, 
Alla Disperazione, nella buia - anche di giorno - rue Saint Lazare (si sta come in pianura padana in autunno/inverno dove la foschia e la nebbia sono perenni e le ore di luce si contano sulla punta delle dita) ricompare il sinistro Latour, galantuomo orditore di oscure trame e banale esecutore di malvagità di stampo arendtiano, senza percezione del dolore, ma anche senza odore. Ora non posso fare a meno di immaginarlo come Jean-Baptiste Grenouille, quello del film, peraltro molto fedele al libro di Süskind. L’inquietudine è la stessa. Anche perché a un certo punto arriva un messaggio di Lassone dove si parla di due ragazze ammazzate.
La miscela lassativa confezionata da Lassone per il piano mi ha fatto pensare a una certa tisana sulla cui confezione vi è effettivamente disegnato un frate (sarà mica proprio Fra Etienne?).
E vuoi vedere che l’orso Joss, quel tronco d’uomo, abbia trovato veramente la sua anima gemella in quel donnone di madame la cuoca? In fondo può tenergli testa per stazza, irsutismo e genuinità. La scintilla pare già essere scoccata. 
Grazie infinite per questo capitolo spumeggiante ed esilarante, che mi ha strappato più di un sorriso.
Tanti auguri a te per un sereno Natale e un felice anno nuovo! 
Con affetto e stima, 
Galla88

Recensore Master
20/12/22, ore 16:39

STUPENDO!!!!!!!
Che capitolo/racconto meraviglioso!
Belle le visioni, riuscitissimi i dialoghi e piacevolissime le risate!!!
Tu, carissimo Sacrogral, non avevi ancora scritto un pezzo altrettanto ben riuscito!
Non mi resta che concludere con un convinto e appassionato: "Evviva l' amore a prima vista!"
Certo... non scordando di aggiungere un augurio di buona ventura a certe nobili ed ignare budella... e, soprattutto, allegando il mio più sincero augurio per un sereno Natale a te e ai tuoi cari.
Affettuosamente L MMXV