Ciao Greta!
Perché sia qui a quest’ora non è dato saperlo, ma ormai i minuti alla vita mi tocca strapparli così e quindi eccomi qua. Sono felicissima che tu abbia già partorito la prima storia della Challenge è ancora di più che esista una “challenge nella challenge”. Non vedo l’ora di leggere ogni tua storia 🤍 soprattutto se penso che ognuna sarà letteralmente geniale come questa. Sai quanto ti ammiri come autrice ma penso che la scrittura “d’istinto” sia la mia tua (?) versione preferita.
Venendo alla storia, davvero, mi riesce difficile immaginare come tu abbia deciso di declinare questo titolo in questo modo ma, ora che la leggo, mi rendo che non avrebbe potuto essere altrimenti. So di averlo messo perché Ghezen mi ha detto di fidarmi e io mi sono fidata. E ho fatto bene!!!
Penso che sia perfetta questa doppia versione di Ketterdam: la prima patinata, in versione guida turistica, in cui si raccontano bellezze visibili all’occhio di un turista qualsiasi. Dovrei forse soffermarmi a sottolineare quanto sembrasse di leggere davvero una guida Lonely planet e chiederti quante ne hai lette per renderle così perfettamente ma, invece, mi sono solo pentita di non averlo fatto io e aver organizzato i miei ultimi viaggi spulciando i blog su internet ma rimedierò nei prossimi ahahah (chiedi una percentuale). Comunque, dicevo, alla Ketterdam dei turisti ne sostituisci un’altra, “biposto”, quella che Kaz e Inej vivono sulla loro pelle. E ho amato che i luoghi che la guida racconta siano parte in realtà di una loro quotidianità: se l’umidità è una trappola per persone con problemi di deambulazione, lo è assolutamente per i passi irregolari di Kaz. Inej che potrebbe percorrere quel reticolo di strade di corsa, volando, e invece adatta il passo al suo, per restargli accanto, credo sia un’immagine meravigliosa. Così come la Mano di Ghezen, bellezza che si staglia su Ketterdam e che offre una vista mozzafiato ai coraggiosi che hanno voglia e fiato per farsi duecento scalini per dominare la città dall’alto. Ma per lo Spettro sono attimi, sono parte del percorso che lei vive a molti metri da terra, là dove gli occhi “umani” non posso osare. Dove Kaz non può osare: così tutti i paesaggi inediti della sua città Kaz deve leggerli, rubarli, dal riflesso che le legge negli occhi. E anche gli altri due parallelismi sono geniali: se lo Stave dell’Ovest per gli “ignari” è una mappa puntellata di locali e case di gioco in cui si annidano pericoli e borseggiatori, per lei è una costellazione di luoghi in cui nascondersi, in cui trovare riparo, in cui mettersi al sicuro. E Kaz l’ha protetta così, costringendola ad imparare a memoria quella mappa, più importante di quella di Ketterdam in sé. E alla fine Quinto Porto (*rumore di cuori rotti in sottofondo*): lo spazio vuoto di una banchina in cui una nave attracca solo ogni tanto, ah che male! Bellissimi però anche i cristalli di salsedine incastrati fra i capelli, le briciole di sicurezza sparse come briciole su un davanzale, le passeggiate in assenza di gravità, i passi trattenuti per adattarli a quelli di Kaz.
Insomma, credo tu abbia trovato una chiave di lettura splendida per questo titolo. È geniale, l’ho già detto, perché io mai mai mai ci avrei pensato. Ti faccio davvero tanti complimenti perché, ad ogni storia che leggo, ti scopro un tassellino più versatile ed è sempre un piacere immenso. Questa recensione alla fine voleva essere più sensata ma spero di averti fatto capire quanto abbia apprezzato questa storia, i significati che si porta dietro e conferisce al titolo che avevi scelto.
Spero tu riesca nella tua challenge nella challenge perché sono davvero curiosa (e impaziente) di leggerti ancora.
Un abbraccio |