(Segnalazione indirizzata all'amministrazione per l'inserimento della storia tra le scelte) Penelope è un nome, un mito, un destino nefasto di attesa,
nonché una protagonista e una meravigliosa storia.
Quando il padre sente starnazzare come un’anatra la propria bambina in fasce, la scelta di come chiamarla viene spontanea. L’evento è sottolineato in modo simpatico, quasi a confondere il lettore sul complesso destino che invece è stato scritto per questa figlia arrivata in ritardo.
Il tema topico dell’attesa, quindi, è presente seppur implicitamente ancor prima che Penelope venga alla luce.
E proprio lei, durante lo studio dell’epica greca, sente di non meritare la condanna legata al proprio nome, ma tuttavia non sa come combattere contro il timore di restarne vittima. Cerca di scongiurare ogni ostacolo che possa intralciarla e farla aspettare, inerte. E quando Thomas, l’uomo sposato proprio perché al contrario di molti si era sempre dimostrato puntuale, accetta l’incarico di corrispondente estero in Afghanistan, il destino sembra compiersi definitivamente. Penelope Woodhouse cade in uno stato di depressione catatonica alternata a un’instabile emotività.
È fragile e volubile, questa giovane donna, tant’è che minimizza l’adulterio commesso un po’ per ripicca, un po’ riscatto. La solitudine viene leggermente esorcizzata dalla presenza di Fernando, ma giusto il tempo di un rapporto sessuale. Non è il senso di colpa che subentra successivamente, per lei l’uomo che giace addormentato sulla sponda di Thomas, non ha rappresentato niente fin dall’inizio.
Abbandonata si abbandona a propria volta nel vortice dei ricordi, tra i fumi delle troppe sigarette e i postumi di una sbronza. Rilegge tutto il rapporto con il marito alla luce di quell’incubo che l’accompagna da sempre. Alla fine si arrende all’evidenza della predestinazione che non poteva in alcun modo eludere.
Penelope non ripone grandi aspettative nel futuro, ma ora che sembra aver accettato la propria condizione di attesa, non può che continuare a sopravvivere. In sua difesa bisogna dire che purtroppo con i tempi è sempre stata molto sfortunata. La metropolitana londinese che salterà in aria stranamente arriva puntuale in stazione, e Penelope si accorgerà troppo tardi che quell’uomo inquieto e sospettoso che si guarda attorno sia un terrorista.
Ma quella morte paradossalmente emblematizza il proprio salvataggio, l’unica in grado di porre fine alla sua asfittica solitudine d’attesa.
L’originalità della trama è buona, ma la genialità la si trova principalmente nel tema affrontato. Il connubio nome e predestinazione è trattato in modo chiaro e profondo. Tutti gli obblighi sono stati rispettati in modo esaustivo e brillante. Per l’elaborazione del genere biografico è stata gradita la tecnica di iniziare dalla conclusione, dipingendo brevemente una scena di massa, per poi presentare Penelope Woodhouse dalla nascita e infine accompagnandola durante l’adolescenza e l’età adulta. La morte, come già detto, rappresenta la cessazione di un’attesa, mentre al centro dell’indagine della fanwriter c’è lo sviluppo. Iniziare in quel modo è quasi voler sottolineare che la morte della protagonista è avvenuta, ma certamente non è stata quella l’evento più importante della sua esistenza. L’unico passaggio poco attinente con il tema dell’attesa è la parte del collegio. Sarebbe stato preferibile un altro evento.
Dettagliata la descrizione dell’icon, quindi della parte estetica di Penelope così come immortalata nell’immagine, e veramente ottima anche la rielaborazione del carattere e della storia in sé.
Un passaggio sicuramente da ricordare si trova nella penultima sequenza, quando stralci di dialogo sono intervallati da alcune parole che, se lette di seguito, vanno a comporre una frase. |