Bene. Bene.
Adesso io mi metto qui, ti scrivo una bella recensione, mi prostro ai tuoi piedi, ti giuro amore eterno (non dirlo a Anna) e mi faccio tua sacerdotessa.
Se, magari.
Il punto è che questa storia è così... così piena che mi ha emozionato come poche volte mi era successo per una ff.
E no, ormai non la considero una fanfiction, non è il prodotto di un fan, ma il prodotto del tuo cuore e... oddio, posso giurare di averlo sentito battere. Ho sentito la tua storia battere insieme al mio, di cuore.
Ok, sto scrivendo cacchiate, ma io sono così, più una storia mi colpisce più parto di testa e di conseguenza non scrivo niente di sensato. Ma ci proverò, perchè questa storia merita questo e altro.
1)Il contesto è perfetto, anche loro due che camminano tranquilli, avvolti da quella nebbia tanto cara e tanto familiare... Ecco, tu hai giocato proprio su questo, sulla differenza tra familiare e famigliare, che alla fine con il violino e la ninna nanna si mescolano perfettamente creando L'atmosfera perfetta, quella che serve a Watson per riposare, quella in cui si sente sicuro, quella in cui è amato.
2) Pascoli, oh santo Pascoli, io lo amo con tutto il mio cuore e sono contenta che tu l'abbia inserito qui, è stato un altro colpo al mio povero cuore balbettante. Non dico di più, se no diventa un commento alla sua poesia, e non alla tua (sì, è una poesia pura).
3) Il contesto psicologico. Ti giuro non avevo mai visto trattare questo argomento in modo così delicato e al tempo stesso così forte ed evocativo. Non solo vedevo Watson, ma sentivo la musica, sentivo le emozioni scorrergli negli occhi.
Quando i miei occhi chiari non erano stati ancora macchiati di sangue non mio. In quel momento ho proprio scrutato gli occhi azzurri di Watson, e gli ho visti oscurarsi, come se una macchia si allargasse pian pianino, ed era una macchia di sangue, rossa come il dolore della guerra.
E poi anche il suo viaggiare nel passato, e rimanere paralizzato nel presente, mollare tutto per rivivere quegli istanti di gioia dell'infanzia. Rintanarsi nuovamente, a tanti -troppi- anni di distanza nell'abbraccio di sua madre. Questo Watson insicuro, malinconico, noi che siamo sempre abituati ad immaginarcelo forte, di roccia, in verità ha anche lui i suoi momenti di cedevolezza e questa volta tocca a Holmes -alla sua mano- portarlo lontano da tutto. Tocca a Holmes trovare la medicina giusta per i suoi malanni. E ti dico, seppur con poche descrizioni hai dipinto alla perfezione anche Holmes. Che non parla, non dice niente, non chiede niente, ma osserva e per una buona volta capisce. Holmes che mette da parte tutto, lo prende per mano e lo guida, lo giuda fino alla loro casa e concentra tutto il suo talento in un unico scopo: far star bene Watson, il suo Watson.
E per quanto banale possa sembrare questo pensiero è... perfetto, perfetto.
E basta, non riesco a scrivere, non ci riesco veramente. Insomma come posso descrivere quella meravigliosa sensazione che mi hai fatto provare? Niente, però se mi permetti cito quei pezzi che mi hanno fatto letteralmente perdere la testa.
La musica mi riempì le orecchie, le labbra e le ferite apparentemente chiuse che giacciono sulla mia pelle ancora oggi, facendomi scordare di tutto, tranne che delle due persone più importanti per me: mia madre, che mi aveva donato la vita, e Holmes, che poco a poco me l'aveva restituita.
Quella notte avevo degli angeli a proteggermi – angeli armati solo della loro musica.
Ah, e spero che mi perdonerai, ma in questo caso li vedo amici, proprio perchè li vedo canonici, come se fossero appena usciti dal libro, come se tra gli appunti di Doyle fosse nascosta questa storia impolverata di emozione e amore.
Un'ultima parola.
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