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Autore: Angelica Cicatrice    25/03/2012    3 recensioni
Dopo quella notte,,, tinta di rosso,,, il colore che nella mia vita avevo sempre sdegnato,,,
Da quell incontro,,,lui mi amò.
Genere: Dark, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Grell Sutcliff
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dopo quella notte … tinta di rosso … il colore che nella mia vita avevo sempre sdegnato …

Da quel fatidico incontro … lui mi amò.

Fan Fiction

(Madame Red e Grell Sutcliff)

La maschera della morte

Era passata una settimana, da quando era stata ritrovata nei pressi di Mitre Square, la prima prostituta, massacrata in un vicolo isolato. Da allora, ne erano state uccise altre due. Nonostante il disordine pubblico, Scotlard Yard non aveva dato segni di grande preoccupazione per quei avvenimenti. Londra era una città violenta, e crimini del genere erano all' ordine del giorno, specialmente se avvenivano nella zona più malfamata del territorio; l' East End. In quel postaccio si aggiravano loschi individui, straccioni ubriachi ed orfani senza un soldo in tasca. Per non parlare dei tanti trasgressori che facevano uso di oppio e assenzio. Era questo l' East End; un pozzo nero, intriso di veleno dove erano ammucchiati i poveri, gli invalidi e naturalmente le sventurate, che vendevano se stesse anche per un solo penny. Nessun membro della classe aristocratica si sarebbe sognato di mettere piede in quel luogo sporco e pericoloso. O forse sì.

- Hai davvero un gran talento con le lame da taglio. Direi che il coltello di Liston sia il tuo strumento per eccellenza - disse una voce che risuonava al mio orecchio, poco distante in mezzo al cumulo di foschia, in un vicolo stretto e buio. La voce doveva essere quella di un uomo, anche se aveva un suono più delicato - Non per nulla sei un' abile dottore,,, un bellissimo dottore in gonnella -.

Quell'essere che mi accompagnava mi regalò un altro dei suoi sorrisi, con quei denti aguzzi che ricordavano la fauci dei predatori marini. Lui, uno shinigami, un dio della morte, il mietitore di anime. I suoi occhi erano di un verde gelido, mentre i lunghissimi capelli erano di un rosso scarlatto. Lo stesso colore di cui mi ero macchiata, anche quella notte. Con la lama ancora stretta nella mia mano ferma, guardavo impassibile quel corpo ormai senza vita. Avevo ucciso di nuovo. Nessuna pietà, nessun rimorso. Solo odio e rabbia. Ecco cosa provavo per quelle carcasse che una volta erano donne disoneste e indegne. Mentre il sangue della mia ultima vittima si allargava sul terreno, dei passi si stavano avvicinando sempre di più. Lo shinigami si stava avvicinando, camminando con la sua andatura disinvolta e mi raggiunse.

- Bene, ora è il mio turno - disse allargando un ennesimo sorriso - Con la mia bambina, darò il tocco finale a questa magnifica opera d' arte -.

Non so come spiegare. Le mie orecchie non avevano udito alcuna parola del mio compagno di crimine. La mia attenzione era rivolta al volto della donna morta. I suoi occhi, spalancati e spenti, erano di un bel blu oltremare. Un colore a me familiare.

- Gli occhi di Rachel sono come il cielo e il mare che ho sempre amato - .

Ad un tratto una sensazione sgradevole si impadronì di me. Come un coyote affamato, qualcosa di altrettanto feroce stava divorando il mio cuore indifeso, come un agnello sperduto nel bosco. Perché? Perché mi aveva detto quelle cose? L' uomo a cui avrei donato il mio cuore ingenuo, mi disse quelle parole in un giorno di primavera. In quel momento non capì perché, ma mi sentì come se un coltello mi avesse squarciato il petto. Non avevo ancora capito che quella era la forza più grande e inarrestabile chiamata gelosia. Sì, ero gelosa di lui. E furiosa con lei. La mia amata sorella, così bella, e che era riuscita a portarmi via il mio primo amore, aveva gli occhi blu oltremare. Lo stesso colore che rivedevo sul volto di quella donna che avevo appena ucciso. Quei ricordi furono squarciati da un suono assordante: una motosega. - Sono pronto! -. Il dio della morte stava per agire. Ma la mia mano fu più veloce di lui. Con una rabbia fuori dal comune, insieme a una destrezza inverosimile, tornai a fiondarmi su quel corpo, come una volpe che torna in un secondo momento a cibarsi della preda. Senza badare alla sorpresa del mio compagno, tagliai il ventre della donna morta. Sembrava quasi che la mia mano si muovesse da sola.

< Ann, ben presto mi sposerò con lui … Ann, aspettiamo un bambino, non è meraviglioso?…>.

Quelle parole che facevano parte del passato, mi risuonavano nelle orecchie, e più le udivo più la mia mano affondava la lama nelle carni, facendosi largo all'interno del cadavere.

< Ann, vieni, prendi in braccio il tuo nipotino … guarda, assomiglia tutto al suo papà > …

Perché? Perché, sorella? Perché a te è stato concesso tutto e a me no?

Non meritavo forse anche io altrettanta felicità?

Solo dopo aver dato sfogo alla mia frustrazione, col viso ormai coperto di sangue, tornai in me, e realizzai ciò che avevo fatto. La mia mano, completamente tinta di rosso, stringeva un organo. Avevo strappato via l' utero dal cadavere della prostituta. Avevo appena portato via ciò che io non avevo più e che mi avrebbe dato la possibilità di essere madre. Anche quello mi era stato negato. Perché? All'improvviso il mio compagno, che era tornato nuovamente nelle vesti di osservatore, si agitò in maniera nervosa. - Andiamo via, presto! - mi disse, afferrandomi per un braccio. Mi caricò sulle sue spalle, come se fossi un sacco di patate e corse via. - Avverto la presenza di qualcuno! Non possiamo rischiare di farci scoprire! - mi avvertì, correndo senza però dare segni di fatica per il peso del mio corpo. Nonostante compresi le sue parole, la mia mente e i miei occhi erano rivolti ancora su quel cadavere. Era rimasto lì, in una pozza di sangue, con le viscere in bella mostra. E mentre passavamo a gran salti da un tetto all'altro, con la luna come unica testimone, mi chiedevo se stavo impazzendo.

Lo shinigami mi condusse a casa. Senza lasciarmi mi portò in camera e mi aiutò a cambiarmi. I miei vestiti erano tutti sporchi di sangue. Senza chiedermi il permesso li gettò nel camino acceso.

- Meglio non lasciare alcuna prova compromettente - disse lui, fissando le fiamme ardenti che consumavano man mano la stoffa. Sul suo volto, illuminato solo dalla luce del fuoco, c'era ancora quel sorriso inquietante, così disumano e anomalo. Un essere come lui era unico e raro. Sentendosi osservato si girò verso di me, mantenendo quell' impeccabile ghigno sulla faccia dai lineamenti femminei. - Cosa c è? Hai paura di me? - mi chiese con un tono pacato e quasi gentile.

Scossi la testa. Rimasta con solo addosso le mie sottovesti mi avvicinai di più al camino. Sentivo freddo. Come se avesse letto nei miei pensieri, il dio dai capelli scarlatti si sbottonò il soprabito nero e me lo avvolse addosso.

- Vieni, riscaldati accanto a me - mi disse quasi sussurrando, e mi fece sedere sul tappeto davanti al fuoco, proprio vicino a lui. Mi lasciai guidare senza fare obbiezioni. No, non avevo paura di lui. In fondo non ne avevo avuta nemmeno la prima volta che lo incontrai. Una settimana fa. Quella notte commisi il mio primo delitto. Lui mi aveva osservata per tutto il tempo. Aveva visto una donna di classe nobile trasformarsi in una crudele assassina. Mi disse che quello fu lo spettacolo più bello che avesse mai visto. Mi disse - mi sono innamorato di te -. E da quel momento, ogni volta che la follia si impadroniva del mio animo, uccidevo. E lui era sempre lì. Gli piaceva spiarmi mentre * tingevo di rosso * quelle donne, come definiva lui il mio atto criminoso. Per lui era pura arte. Amava il colore del sangue. Amava il rosso più di me, sicuramente. E per questo, egli aveva cominciato ad amarmi. - Hai superato te stessa, stanotte. Io non avrei potuto fare di meglio. E quanto mi piace vederti coperta del sangue altrui. Il rosso ti dona così tanto - mi disse lui, stringendomi a se, con quelle lusinghe da perfetto corteggiatore. Ma quelle parole mi fecero tornare in mente altre parole, così gentili, ma anche crudeli.

< Il rosso dei tuoi capelli è così bello … come la liquirizia che brucia nel paesaggio >.

Mi disse quelle parole in un giorno di primavera. Perché?

Un senso di rancore mi fece esplodere.

- Stai zitto! - sbraitai contro il dio, scansandolo da me per sciogliere l' abbraccio che ci univa.

Silenzio

Quella reazione improvvisa mi lasciò senza parole.

- Se fosse come dici tu, io... -.

Era furiosa e colma di rancore. La guardai senza emettere un fiato. Il suo volto era macchiato da qualche schizzo di sangue, ma in quel momento sembrava nasconderlo. Non capivo esattamente cosa stesse pensando. - Cosa ti succede? - le chiesi, con calma. Avrei voluto abbracciarla nuovamente, ma lei mi strattonò e senza guardami rispose con freddezza - Niente... -. Poi si alzò, lascio cadere il cappotto che le avevo offerto, e andò davanti al comodino della stanza, dove c'era anche uno specchio. Nella penombra riuscivo a scrutarla perfettamente. Se ne stava lì a fissare la sua immagine, senza dire una parola. Era uno di quei momenti in cui non riuscivo davvero a capirla. Si chiudeva in se stessa, passava dall'essere malinconica all'essere furiosa, e a volte sapeva usare modi poco gentili. Il motivo era del tutto sconosciuto, per me.

A un certo punto, lei capì che la stavo osservando insistentemente. I suoi occhi incrociarono i miei attraverso lo specchio e con aria infastidita disse: - Smettila di fissarmi... non sono poi così tanto bella come dici -. Aprendo il cassetto del comodino, tirò fuori un fazzoletto e lì capì cosa stava per fare. Senza esitazioni, mi fiondai vicino a lei, e le afferrai la mano che stringeva quel pezzo di stoffa. - No! Non farlo - dissi, deciso e serio. Lei rimase sorpresa dal mio gesto, ma ebbe subito la forza di protestare. - Che fai? Lasciami! -. - Non ti permetterò di pulire via la tua bellezza -. Lei sembrava seccata e cercò di colpirmi con l'altra mano libera, ma la fermai in tempo, tenendola per i polsi. - Adesso basta! Sono solo belle parole...sono stanca di essere presa in giro!- In quel momento, negli occhi della mia adorata complice, vedevo una sofferenza e una rabbia troppo grande da sopportare. Con decisione le afferrai il volto fra le mani e la guardai dritto negli occhi. - Non lo farei mai!-. Lei rimase immobile, mentre io continuai con quella dichiarazione - Io non so chi sia il pazzo che ti ha fatto pensare il contrario,ma se lo avessi fra le mani, non esiterei a massacrarlo fino a distruggerlo... - Nella mia esistenza eterna non avevo mai incontrato un essere umano come lei. Inoltre avevo sempre considerato le donne tutte uguali e banali. Ma lei era diversa. Una mortale con sofferenze che cercava di reprimere con una forza incredibile, calpestandole come nessuno era capace di fare. Ero rimasto perdutamente stregato da lei.

- Non... non sai quello che dici... un giorno ti rimangerai tutto. Lo so.- mi disse, con una voce debole, quasi sussurrata. Quelle parole mi ferirono, come la lama di un coltello, conficcato nel petto. - Io ti amo! - ecco, lo avevo ammesso... - Amo tutto di te. Il tuo corpo, la tua forza, specialmente il tuo volto sporco di sangue. Lo trovo bellissimo -. Passarono forse 8 o 10 secondi, ma per me fu come se il tempo si fosse fermato. Tutto era rallentato. E potevo leggere in quei rubini, splendenti più dell'oro, un misto di sorpresa e confusione.

La donna che mi era dinanzi era di una bellezza dolce ma anche aggressiva. Capelli lunghi, occhi marcati, labbra languide; ogni cosa di un rosso intenso, come il sangue. Lei era l'essenza stessa del colore rosso. Da quella indimenticabile notte era diventata la mia ossessione. Il suo modo di uccidere era uno spettacolo sublime per me. Mi faceva venire i brividi. E inoltre, vederla ogni volta tutta ricoperta di sangue, mi eccitava ancor di più. Ma ciò che più mi elettrizzava era l' idea di aver trovato qualcuno con un gusto sopraffino nell'usare le lame, trasformando un inutile pezzo di carne e ossa in un opera d' arte.

Aspettavo una sua reazione, sperando di aver toccato il suo cuore ormai gelido e inaridito.

- Tu...non puoi amarmi. Come si può amare una donna come me? Non so più cosa sono diventata... - disse, scostando le mie mani, e a piccoli passi tornò davanti al caminetto. Per un attimo rimase a fissare i guizzi delle fiamme, poi si sedette sul tappeto rannicchiandosi.

- Un assassina … ecco cosa sono - affermò poi. Con un mezzo sorriso, la raggiunsi e mi accuccia vicino a lei. - E allora? Questo non mi impedisce di volerti, anzi. Non vergognarti di quella che sei. Perchè io ti voglio, così come sei. Voglio solo te e nessun'altra -. Solo in quell'attimo, lei si girò per guardarmi. Una nuova luce era sorta nei suoi occhi, dove poco fa c'era solo una nebbia di distacco. Non riuscivo più a trattenermi e l'abbraccia, ancora più forte. La luce e il calore del fuoco ci avvolgeva entrambi nel nostro abbraccio.

- Volevo solo essere felice. Avere fra le braccia il dono più grande che ogni donna può ricevere. Un dono che non avrò mai e che mi sarà negato per sempre -. Quelle parole mi toccarono nel cuore e per un attimo mi sembrava di sentire le lacrime agli occhi. Se avesse avuto almeno dei bambini le cose per lei sarebbero andate diversamente.

- Anche io ho sempre desiderato avere dei piccoli marmocchi. Ma non potrei mai essere una madre, dato che sono un uomo. Che beffardo il nostro fato. Se solo ci fosse data la possibilità, ci saremo donati a vicenda la felicità di una prole. E invece, nessuno dei due può dare e ricevere tale fortuna. Viviamo nello stesso rammarico -. Detto questo, lei alzò il capo dal mio petto e mi guardò negli occhi. Nonostante le lacrime, quei rubini bruciavano di una passione intensa. - Mi sento così vuota - sussurrò come se non avesse più abbastanza fiato - non c'è più nulla che mi è rimasto … nulla -.

Passai una mano sul suo volto. I residui di sangue si sfumarono sulla pelle candida e io sorrisi.

- Nulla? E io, allora? -. I suoi occhi erano fissi sui miei. La nuova luce che avevo visto prima, non era più tanto fioca. Qualcosa dentro di lei, grazie al mio amore, stava man mano tornando in vita. Alla luce del camino lì davanti a me, con solo la sottoveste che mostrava sinuose curve, e macchiata di sangue, sembrava una visione ultraterrena. Lasciandomi trasportare dall'impulso, non potei trattenermi di posare le labbra sulle sue. Fu un bacio delicato e nonostante l' avessi colta di sorpresa, lei non si scansò. Le accarezzai il mento con la lingua avida, assaporando la sua pelle intrisa di sangue. Le mie dita si intrecciarono con i suoi lunghi capelli e dopo averle rubato un secondo bacio, tornai a guardarla; - Anche io mi sentivo vuoto. Vivere in eterno come me può essere una maledizione. Ma da quando ci sei tu, sento che ho un motivo in più per continuare a sopportare questa mia esistenza affogata nella noia. Sono qui, Mon Madame. Cosa desiderate? - le chiesi infine, passandole un pollice sulle labbra scarlatte. Il fuoco scoppiettò nel camino e stava consumando piano la legna. Poi, con una mano afferrò una ciocca dei miei capelli e se la attorcigliò all'indice. Poi sollevò la testa e mi rispose;

- Nascondimi … - disse con un sussurro, così lieve e quasi impercettibile - nascondi chi sono, e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni -.

Rimasi per un attimo su quelle parole. Allora allargai le labbra e mostrai nuovamente il mio sorriso disumano, ma lei non girò lo sguardo altrove. No, non aveva paura di me. Mi chiedevo se una parte di lei stava riuscendo ad amare l'essere quale ero. Forse un giorno sarebbe accaduto. O magari, già mi amava, ma lei non lo sapeva ancora. Sapevo che sarei andato incontro a dei guai. Avevo già infranto delle regole degli shinigami. Ma avrei comunque corso il rischio. Ero così preso da quei pensieri, che non mi accorsi che intanto lei si era accoccolata a me, con la testa appoggiata al mio petto. Il respiro regolare e calmo. Era così bella anche nel sonno.

La notte aveva lasciato spazio alle prime luci dell alba, quando la porta si aprì. Nel camino era rimasta solo cenere e della legna, ormai carbonizzata. Aprendo gli occhi, la donna si passò una mano sul volto, ripensando a quando era tutto macchiato di rosso. Un sospiro.

- Buongiorno, Madame -.

Lei girò la faccia dall'altro lato del letto e per un attimo si coprì gli occhi con una mano. La luce nascente del sole era troppo accecante. Davanti a lei c' era la sagoma di un uomo che in contrasto con la luce del buon mattino non poteva essere riconoscibile.

- Avete dormito bene? -. L'uomo indossava un completo nero fumo, portava dei capelli lunghi, castani e raccolti con un fiocco rosso, sul naso un paio di grandi occhiali tondi. Aveva tutta l' aria di un servo. Un maggiordomo per l' esattezza. La donna non lo riconobbe subito. Chi era? La domanda sarebbe uscita dalla sua bocca, quando poi notò un particolare; gli occhi dello sconosciuto erano di un verde gelido. Sembravano quasi dirle nel silenzio; sono io. Rimasta sorpresa riuscì solo a dire;

- Grell..! -.

Il maggiordomo, sentendosi chiamare per nome, le sorrise. Denti normalissimi come quello di un semplice mortale. Niente denti aguzzi.

- Se devo aiutarla a trovare la maschera perfetta per lei, allora io devo essere il primo a nascondere le mie vere sembianze e diventare una maschera vivente - disse lui, con quella voce così delicata - Da oggi in poi interpreterò il ruolo di un maggiordomo, vostro servo. Sono il vostro schiavo, madame -.

Detto questo, lo shinigami si inchinò in segno di rispetto alla sua padrona. Quest' ultima cambiò espressione, e per un attimo i suoi occhi sembravano intenerirsi di fronte a tanta devozione. Forse una parte di lei aveva smesso di soffrire.

- Cosa desiderate per colazione, madame? Dei tortini alla mela o dei toast farciti con marmellata rossa? - le chiese lui. La dama pose le dita sulle labbra. In quell'istante si ricordò e uno strano, insolito calore le pervase il cuore. " Ti Amo ". E quel bacio così dolce. Infine rispose - Toast con marmellata rossa -

The End

   
 
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