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Autore: Blackvirgo    25/03/2012    6 recensioni
Salvatore Gentile non era abituato a essere confuso. La sua vita era sempre corsa su binari netti, perfettamente suddivisa fra il bianco e il nero: fra perdenti e vincitori, fra giusto e sbagliato, fra importante e inutile. E fino a quel momento ciò che non era il calcio, per lui, era sempre stato inutile. Sì, c’erano gli amici, i compagni di squadra. C’erano state delle storie di lunghezza variabile tra il tempo di una scopata e quattro mesi di mazzate nelle palle, ma non c’era mai stato un pensiero così fisso e fastidioso da diventare ossessivo.
[Altri avvisi: italian!ship, linguaggio a tratti scurrile. Niente di drammatico, ma di sicuro non hanno studiato a Oxford!]
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Gino Hernandez, Salvatore Gentile
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Anteros'
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Sometimes I get to feelin' 
I was back in the old days - long ago 
When we were kids, when we were young 
Things seemed so perfect - you know ? 
The days were endless, we were crazy - we were young 
The sun was always shinin' - we just lived for fun 
Sometimes it seems like lately - I just don't know 
The rest of my life's been - just a show 
Those were the days of our lives 
The bad things in life were so few 
Those days are all gone now but one thing is true 
When I look and I find I still love you 
You can't turn back the clock, you can't turn back the tide 
Ain't that a shame ? 
Ooh, I'd like to go back one time on a roller coaster ride 
When life was just a game 
No use in sitting and thinkin' on what you did 
When you can lay back and enjoy it through your kids 
Sometimes it seems like lately - I just don't know 
Better sit back and go - with the flow 
'Cos these are the days of our lives 
They've flown in the swiftness of time 
These days are all gone now but some things remain 
When I look and I find - no change 
Those were the days of our lives yeah 
The bad things in life were so few 
Those days are all gone now but one thing's still true 
When I look and I find, I still love you 
I still love you 

Queen, These are the days of our lives


09 ottobre 2009

Come aghi di ghiaccio sulla pelle

“Perché diavolo lo difendi sempre?”
“Scusa?” chiese Gino distrattamente, rigirandosi tra le mani la tessera magnetica per capire da che lato inserirla nel lettore.
“Aoi. Perché lo difendi?” Salvatore si era reso conto che erano arrivati alla stanza che condividevano quando Gino si era fermato di fronte alla porta, rischiando di rovinargli addosso. Si passò una mano sul viso e poi tra i capelli, nervoso: quella serata era partita male, ma sentiva di non aver ancora toccato il fondo. Cercò un po’ di sollievo dal mal di testa nel contatto con la parete fredda, ma fu del tutto inutile: la pulsazione che gli martellava le tempie non accennò a smettere, dandogli piuttosto la sensazione di amplificarsi, fino a far vibrare persino la parete. Chiuse gli occhi per un momento sperando che, una volta riaperti, il pavimento avesse smesso di oscillare, che Hernandez si fosse degnato di rispondere e – magari – anche di aprire quella maledetta porta. Riuscire a vomitare in bagno piuttosto che nel corridoio avrebbe comportato un sacco di spiegazioni in meno.
“Perché è un caro amico,” replicò Gino girando la maniglia ed entrando. Salvatore lo seguì tenendo le braccia ben larghe per sincerarsi della cornice della porta. “E poi perché, al momento della pagliacciata, era più ubriaco di te,” continuò Gino, pensando, con una certa ammirazione, che se lui stesso avesse bevuto tutta la roba che aveva ingurgitato il difensore juventino sarebbe finito direttamente in coma etilico.
“Caro quanto?” biascicò Gentile. Non gli piaceva il suono della propria voce in quel momento: sapeva di cantilena, di pensieri che arrivano dopo le parole, di emozioni che non passavano dal cervello.
“Abbastanza da mettermi fra lui e i tuoi stupidi insulti,” rispose Gino, senza degnare il compagno di uno sguardo.
“Quindi mi stai dando dello stupido?” replicò Gentile innervosito, cercando di raccogliere la giacca che gli era caduta tra i piedi senza finire disteso a sua volta sul pavimento.
“Non è che hai mostrato un atteggiamento molto maturo, questa sera,” rispose Gino, togliendosi le scarpe di cuoio e sgranchendosi le dita dei piedi con evidente sollievo, senza alzare lo sguardo. Negli ultimi ritiri era sempre finito in stanza con Gentile – merito di quel geniaccio dello staff tecnico che aveva deciso di assegnare le camere in ordine alfabetico e fato volesse che la G e la H fossero vicine – ma al loro rapporto non aveva certo giovato. Gino era sempre riuscito ad andare d’accordo con tutti, ma Gentile era al di là della sua comprensione, anzi, della sua pazienza: il suo perenne atteggiamento di superiorità, la sua ostentazione, il suo sarcasmo salace – quando non propriamente cattivo – erano tutti comportamenti che mal tollerava. Assieme alla sua mania di sputare sentenze su qualunque cosa: i suoi giudizi piovevano senza che si curasse di inezie come soffermarsi  a conoscere qualcuno, a lui bastava un’occhiata per sapere già tutto, prendergli misure e contromisure. Solo una volta l’aveva stupito... e Gino si stava ancora chiedendo se fosse l’eccezione che confermava la regola o un segno che Salvatore fosse un ottimo difensore non solo in campo.
Gentile diede un calcio alla giacca che non voleva saperne di tornare autonomamente nelle sue mani, togliendosela così dagli occhi e dai piedi. “Hai paura che ti abbia fatto fare una magra figura di fronte al tuo amichetto, Hernandez?”
“Preoccupati piuttosto della magra figura che tu sei riuscito a collezionare,” rispose Gino, mandando la cravatta a far compagnia alla propria giacca, sulla sedia ai piedi del letto. “In campo sarai anche un grande giocatore, ma stasera là fuori ti sei comportato come un perfetto idiota. Il problema non è Shingo; il problema sei tu con le tue stupide manie di grandezza o i tuoi complessi di inferiorità – ancora non ho capito cosa ti affligga –, ma come hanno detto Schneider e Tsubasa, l’arena dei calciatori è lo stadio. Se vuoi dimostrare di essere migliore di Shingo fallo durante una partita, non da ubriaco durante una cerimonia ufficiale.”
“Non sono affari tuoi,” ringhiò il difensore.
“E qui ti sbagli di grosso,” fece Gino, avvicinandosi a lui e puntandogli contro un dito accusatorio. “Quello che tu combini durante un evento come questo non si ripercuote solo su di te. Oltre ad aver fatto fare una figura di merda a tutti quanti, hai creato inutili tensioni all’interno della squadra. Domani il mister ci darà una lavata di capo che resterà negli annali e dopodomani avremo la prima partita. Allora sì che vedremo se la tua boria troverà conferma o si trasformerà in vento!”
“Non dovresti temere il mister,” rispose Gentile mellifluo, avvicinandosi di un passo. “Non ti dovrebbe dispiacere se uno ti fa un culo così, no?” Sorrise quando vide la mascella di Hernandez contrarsi. Colpito e affondato, pensò. O no?
Gentile si era aspettato di vederlo arrossire, di sentirlo balbettare, si era aspettato di vederlo umiliato e di potersi permettere di offrirgli la grazia di non calpestarlo ulteriormente. Niente di più sbagliato: il portiere sembrava soltanto deluso.
“Vai al diavolo, Gentile,” rispose Gino, dandogli le spalle e allontanandosi, riprendendo a sbottonarsi la camicia e sfilandola dai pantaloni. Aveva appena buttato nel cesso quell’improbabile dubbio, insidiatosi a tradimento nella sua testa, che Gentile fosse meno stronzo di quanto appariva.
“Punto sul vivo, eh?” continuò Gentile salace.
Gino tirò fuori il pigiama dalla valigia ignorandolo completamente. 
“Cosa c’è, Hernandez? Ti è passata la voglia di fare i tuoi bei discorsi da bravo capitano?” proseguì imperterrito Salvatore. Forse il giorno dopo se ne sarebbe pentito, ma non era importante. Voleva far perdere le staffe a Hernandez: non era possibile che nonostante gli sfottò, nonostante gli insulti, nonostante i suoi atteggiamenti fatti apposta per farlo incazzare, quello che ottenesse  fosse solo quell’espressione tanto simile al compatimento.
Ma Gino continuava a ignorarlo, piegando il collo da un lato e dall’altro per allungare i muscoli tesi.
“Avanti, Hernandez, confessalo,” riprese Gentile con un sorrisino divertito, avvicinandosi lentamente al portiere. “Te la fai con quel giapponese, eh? Non lo difendi perché sei un paladino dei poveri, lo difendi perché è il tuo amichetto, vero?” Se solo quel doloroso pulsare alle tempie avesse smesso di aumentare di intensità, avrebbe potuto godersi quella scena alla grande.
Se solo Gino si fosse degnato di rispondere, ci sarebbe stata una scena da godersi, aggiunse tra sé, amaro.
“L’ultima volta che non hai voluto rispondermi, avevo ragione io,” proseguì Gentile ostinato, ma quella constatazione non lo fece stare meglio, anzi. La rabbia che era cominciata nel momento stesso in cui Gino aveva preso le difese di Aoi e che era lievitata mentre aveva osservato i due giocatori della Primavera dell’Inter chiacchierare amabilmente durante la serata, stava superando i livelli di sicurezza. Con due falcate fu addosso al portiere, lo afferrò per una spalla e lo costrinse a voltarsi:”Rispondimi, cazzo!”
“Piantala, Gentile,” gli rispose Gino, severo. Detestava chi usava le mani per avere ragione delle situazioni. “Sei ubriaco e stai farneticando. Basta.” Stava facendo di tutto per farsi scivolare addosso le parole del compagno, sforzandosi di non controbattere perché sarebbe stato completamente inutile cercare di farlo ragionare in quelle condizioni: tanto valeva rassegnarsi e, come diceva sempre suo nonno, tenere la rabbia della sera per il mattino ossia farsi una bella dormita e buttare tutto nel dimenticatoio.
Salvatore non avrebbe saputo dire se fossero state le parole o il tono seccato della sua voce – perché con gli altri e, soprattutto con quel giapponese, era sempre così disponibile? – a farlo tracimare. Se fino ad allora aveva combattuto strenuamente con la mancanza di inibizioni del suo cervello per mantenere una parvenza di lucidità e raggiungendo un ragionevole compromesso, in quel momento la rabbia – corroborata dall’alcol – prese il sopravvento trascinando alla disfatta ogni cosa: dal buon senso alla dignità, passando per l’orgoglio e facendolo a pezzi. Afferrò Gino per i lembi della camicia, strattonandolo e spingendolo, fino a farlo sbattere contro l’armadio. Lo fissò intensamente con il viso pallido e le labbra tirate, con uno sguardo duro e cattivo che il numero uno non gli aveva mai visto. Sembrava che volesse farlo a pezzi.
“Toglimi le mani di dosso, Gentile: non sei riuscito a far finire in rissa la festa, non credo sia il caso di azzuffarti con me, giusto?” lo riprese Gino reggendo il suo sguardo senza alcun timore.
Quella sensazione che il portiere gli trasmetteva, come se avesse sempre in mano la situazione, come se sapesse sempre cosa fosse giusto fare e come farlo, stava facendo impazzire Salvatore. Voleva vederlo perdere ogni controllo, voleva vederlo urlare. Voleva potergli urlare che era solo una checca isterica.
“Avresti il coraggio di fare a pugni con me, Hernandez?” lo provocò Gentile, le nocche sbiancate tanto i pugni erano serrati.
“Non mi manca il coraggio, Salvatore, al più mi manca la voglia,” rispose Gino, facendo appello a tutta la sua pazienza. Nonostante il difensore stesse facendo di tutto per fargliela venire.
“Preferiresti farmi qualcos’altro?”
Gino abbandonò la testa contro l’armadio, abbassando le palpebre e inspirando profondamente: “Vorrei solo che tu mi lasciassi in pace,” mormorò lentamente, a bassa voce. Riaprì gli occhi e li posò sul volto di Gentile. “Vorrei che te ne andassi a letto e ti mettessi a dormire.” E magari che domattina chiedessi anche scusa per tutto sto casino, aggiunse mentalmente.
“E non vorresti venire con me?” biascicò il difensore.
“Sono letti singoli, Salvo, e io e te non siamo propriamente dei fuscelli,” scherzò Hernandez, lasciandosi sfuggire un sorriso nervoso. E poi il tuo tono non è molto invitante, pensò. E neanche il tuo alito.
“Preferiresti che ci fosse lui?” ringhiò Gentile, gli occhi socchiusi, ferini.
“Non preferirei nessuno,” rispose, appoggiandogli le mani sui polsi, per persuaderlo a lasciare la presa, ma senza ottenere alcun risultato. “Ma di sicuro non posso approfittare di un ubriaco, non trovi?”
“Io non sono ubriaco,” sillabò Gentile, stringendo convulsamente i pugni e strattonando ulteriormente la camicia ormai stropicciata. “E tu non devi mai più azzardarti a dirmi cosa devo e cosa non devo fare, hai capito?”
“Piantala, Gentile!” replicò Gino, il tono alterato che tradiva tutto il nervosismo che aveva messo insieme. Serrò le mani attorno ai polsi del difensore e strinse finché la presa di Gentile si indebolì, lasciando andare la camicia stropicciata. Gino lo spinse via, rude, serrando i denti: non gli piaceva ricorrere a quei metodi, ma se erano gli unici che il difensore riuscisse a capire...
Gentile barcollò in mezzo alla stanza per qualche istante, annaspando per ritrovare l’equilibrio e l’orientamento, ma neppure quel trattamento lo lo fece demordere. “Ti fa schifo se ti tocco?” gli chiese avvicinandosi nuovamente, ancora più determinato. “Eppure sei frocio, no?” Gli afferrò i polsi, con rinnovata durezza, e glieli portò sopra la testa, utilizzando il suo peso per bloccarli. “Dovrebbe piacerti... o preferisci stare con quel giapponese? Non ti piacciono i veri uomini?”
“Non mi piacciono i veri idioti,” sibilò Gino cercando di liberare le mani bloccate e frenando l’impulso di tirargli una ginocchiata tra le gambe.
“Te la fai con quel giapponese?” ringhiò Gentile. Ecco un altro motivo per pestare quella scimmia a sangue sia in campo che fuori.   
Hernandez strabuzzò gli occhi: “Ma ti sei bevuto anche il cervello? Io e Shingo sia...”
Gentile non lo lasciò proseguire: premette le proprie labbra sulle sue così forte da mandarlo a cozzare contro l’armadio. Erano più morbide di quanto avesse immaginato e lo sembravano ancora di più, in contrasto com’erano con la ruvidezza della barba appena accennata sulla pelle. Sembravano fatte apposte per essere baciate, per essere consumate a forza di essere baciate. Forzò la lingua fra le quelle labbra che non gli bastavano già più, prepotente, perché voleva il suo sapore, voleva la sua bocca, voleva che fosse suo. Pretendeva il dominio delle sue labbra e della sua bocca, voleva la sottomissione del suo corpo che poteva sentire solo attraverso i vestiti. Voleva sentirlo ricambiare quel bacio estorto, ma inebriante più dell’alcol, voleva che il suo corpo, si abbandonasse a lui, per ricevere le carezze e i segni che voleva lasciargli chiedendogliene ancora. E ancora...
Un dolore insopportabile al labbro lo strappò dalle sue fantasie. Non fece in tempo a pensare che quello che aveva ottenuto era stato un morso che una spinta ben più energico della precedente lo mandò disteso sul pavimento.
“Che cazzo fai, Salvatore?” gli chiese Gino sconvolto, spazzandosi la bocca con il dorso della mano e osservandolo con occhi sbarrati.
“Non ti piace?” gli chiese l’altro rialzandosi faticosamente al terzo tentativo, lisciandosi un gomito con una smorfia sofferente sul viso e passandosi la lingua sul labbro inferiore, leccandosi una goccia di sangue. “Eppure sei frocio, no?”
“E questo cosa vorrebbe dire? Che lo sei anche tu?” chiese di rimando Gino, cercando una volta di più di reprimere la rabbia.
“Preferiresti che ci fosse lui qui?” chiese di nuovo Gentile, senza ascoltarlo, avvicinandosi un’altra volta, ogni barlume di ragione perso.
“Lui chi?” chiese Hernandez esasperato, rinunciando a seguire il filo del discorso di Gentile. Ammesso che ce ne fosse uno.
“Quel giapponese.”
“Ma che diavolo stai dicendo?”
“Preferisci farti lui?” Salvatore gli era di nuovo vicinissimo. Gino vedeva le parole formarsi sulle sue labbra prima ancora di sentirle. E l’odore pungente dell’alcol gli dava la nausea. O era la sua vicinanza? “Preferisci scoparlo o farti scopare?”
Gino dovette sopprimere la voglia di tirargli un cazzotto. “Piantala, Salvatore,” sibilò, facendo un passo indietro. È ubriaco, si ripeteva come un mantra.Non puoi spaccare la faccia a un ubriaco. Come la spiegheresti al mister e agli altri?
“Non bacio abbastanza bene per un dannato finocchio?” Un altro passo avanti di Salvatore, il suo viso di nuovo a pochi centimetri da quello di Gino, gli occhi lucidi e minacciosi. Il segno scuro del morso che spiccava sulle sue labbra.
“Lasciami in pace, Salvatore,” sbottò Gino, scansandolo con malagrazia e facendolo barcollare pericolosamente.
Ma Gentile, imperterrito, lo afferrò da dietro, le mani a circondargli l’addome: “Com’è fare sesso come un uomo?” gli biascicò all’orecchio. “L’hai mai fatto con lui?”
Il breve contatto con le labbra di Gino aveva annullato quel poco di lucidità che l’alcol aveva risparmiato: c’era solo una cosa che voleva e quella cosa era scoparlo fino a fargli male, fino a farsi passare l’eccitazione che lo stava consumando. Fino a convincersi che no, non gli sarebbe mai piaciuto fare sesso con un uomo, che era solo una voglia momentanea che si era piantata lì, anche se non sapeva se il era l’inguine, il cervello o quello che stava in mezzo. 
Hernandez si liberò facilmente dalla sua presa: per quanto Gentile stesse mettendo tutta la forza che aveva nei suoi tentativi di placcaggio, così conciato era totalmente privo di coordinazione. Inoltre i nervi di Gino erano abbastanza provati da aver congedato ogni remora che si era fatto fino a quel momento sull’inopportunità di fargli troppo male. Ghermì il difensore per le braccia, spingendolo fino a che le sue gambe non incontrarono il bordo letto e costringendolo a sedersi. “Basta, Salvatore!” Il tono di Gino era basso, perentorio. “Non so tu, ma io non mi sto divertendo per niente.”
Il difensore si alzò in piedi di nuovo, rischiando di tirargli una testata e abbarbicandosi a lui ancora una volta: “Perché scappi, Hernandez?” chiese ancora, abbrancandogli il collo da dietro con una mano. “Credi che non sia capace di mettertelo nel culo e farti godere? Perché non mi fai provare?”
Ora ci penso io a te, si disse Hernandez, osservando la propria pazienza suicidarsi giù dalla finestra: sesto piano, un bel volo. Non era mai stato un tipo vendicativo, ma – semplicemente – non lo sopportava più. Doveva zittirlo e fermarlo e, fortuna per Salvatore, non poteva permettersi che tale maniera implicasse gravi menomazioni fisiche: la squadra non poteva fare a meno di un difensore del suo calibro. Era abituato a pensare in fretta, Gino, e a rispondere con fantasia. Poteva lasciarsi cogliere di sorpresa una volta, ma raramente capitava la seconda. Si scrollò di dosso la presa del difensore e Salvatore si trovò bloccato tra le sue braccia, cosa che non lo indispose per nulla: si accomodò sulla sua spalla, sbavandogli il collo di baci e parole: “Hai un buon sapore, Hernandez, te lo dice anche lui?”, gli biascicò con una nota di dolcezza, lasciandosi guidare alla cieca, aggrappato al portiere per mantenere un equilibrio che stava diventando sempre più instabile.
Gino strinse i denti: ancora un passo, due, tre... e Gentile si trovò scaraventato senza tante cerimonie contro le piastrelle fredde del rivestimento del bagno e investito da un getto di acqua fredda che, in pochi secondi, lo inzuppò fino al midollo.
 
Salvatore mandò un grido: avrebbe voluto inseguire Gino, improvvisamente conscio di aver fatto qualcosa di terribilmente sbagliato, ma le gambe avevano preso a tremare così forte da doversi appoggiare al muro e lasciarsi scivolare a terra. Si era così trovato seduto scompostamente sul piatto della doccia, a chiedersi che cazzo ho combinato?!, con l’acqua che continuava a scorrergli addosso copiosa, come aghi di ghiaccio sulla pelle. Alzò il viso alla ricerca di un appiglio, ma le gocce gli caddero negli occhi e, sul momento, lo accecarono. Oddio, affogo, pensò, strizzando forte le palpebre. Si passò una mano sul viso, stringendosi la fronte tra il pollice e le altre dita, e lasciandole poi scivolare sugli zigomi. Il freddo non aveva fatto che acuire sia il mal di testa che la nausea, che lo assaliva a ondate. Puntellò le mani a terra e fece per rialzarsi, ma le scarpe di cuoio non fecero presa sul bagnato e le braccia non lo ressero. Scivolò bocconi, tenendosi la testa tra le mani, nel vano tentativo di fermare le vertigini che avevano trasformato il resto del mondo in una giostra. Gattonò fuori dalla doccia cautamente, tastando il pavimento con le mani per accertarsi della sua solidità, incapace di tirarsi in piedi neanche dopo aver scalciato via le scarpe.
Aveva combinato un casino di quelli tosti e – tempismo perfetto – lo aveva combinato prima di un torneo internazionale. Il mister lo avrebbe ucciso se non ci avesse pensato prima Hernandez. Doveva risolvere la situazione: dirgli qualcosa, qualunque cosa e riportare tutto alla normalità. Impresa facilissima considerando che, in quel momento, l’unica cosa che era in grado di fare con una certa perizia era abbracciare il water.
***
 
Note dell’autrice:
- questa fan fiction è, per me, la prima volta per un sacco di cose: la prima volta che mi avventuro in questo fandom (e già sarebbe sufficiente a mettermi ansia... XD) che seguivo da bambina nella versione anime e che ho riscoperto grazie alle fanfic di Melantò per cui mi sono recuperata il manga e l’ho amato; la prima volta che scrivo una commedia romantica, la prima volta che mi avventuro in quel grande calderone che è lo shonen ai/yaoi. È anche la prima volta che una storia vede così tante versioni come questa... ma spero che vi divertiate a leggere anche solo la metà di quanto mi sono divertita io a scrivere (magari senza la “sofferenza” di certi momenti in cui l’unica soluzione mi sembrava di far deragliare uno dei tanti camion impazziti onnipresenti in CT! Cit., ma non mi ricordo di chi! è_é);
- questa storia richiede ringraziamenti enormi a due persone che mi hanno incoraggiata a più riprese a scriverla, modificarla e arrivare a vedere anche una conclusione: Melantò che è una delle autrici più brave esistenti sul sito e un tesoro di persona che si è letta buona parte dei capitoli dandomi preziosi consigli, e Ale, ossia mio marito, che si legge in anteprima qualunque cosa io scriva e che ascolta i miei deliri quando trame e personaggi partono per la tangente;
- questo primo capitolo è l’inizio di una long-fic abbastanza breve (circa 5 capitoli), ma che – se l’ispirazione e la gatta mi assistono – è anche l’inizio di una serie di racconti (one-shot o brevi long, a seconda dei casi) che narreranno vari episodi riguardanti questa coppia;
- a chi si chiede: perché proprio questa coppia? Intanto perché ho amato Gino Hernandez dalla sua prima apparizione nel manga e mi è piaciuto quel rapporto che trapelava con Gentile (che all’inizio invece mi stava antipatico, XD) fatto di rimbrotti, di trovarsi sempre insieme e anche di complicità. Inoltre sono italiani (forza azzurri!) e già questo me li fa sentire più vicini. Anche perché io non ne so niente di Giappone per cui utilizzare personaggi che giapponesi non sono mi semplifica un po’ la vita. Forse.
Essendo due personaggi estremamente secondari, parlare di IC e OOC è un po’ difficile. Io ho lavorato sulle caratteristiche che ho trovato nel manga come se fossero la costola da cui Dio creò Eva da Adamo: in pratica, tutto il resto è mio. Spero che risultino coerenti e di un certo spessore, per il resto fanghirliamo insieme! XD
- il titolo di questa long-fic è il titolo di una meravigliosa canzone dei miei adorati QUEEN.
 
Grazie dell’attenzione!
Blackvirgo aka F.
   
 
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