A Fra, perché mi ha fatto
innamorare del suo Blaine totalmente e
incondizionatamente;
a Mary, perchè dopo cinque anni ancora ci
prova, ad insegnami qualcosa di moda;
e a Ila: grazie, tesoro! Senza di te questa
storia non sarebbe mai uscita dalla mia testa.
You’re the Kurt to my
Capitolo uno
“I saw you and
the world went away”
Si dice che il destino si mostri solo a chi sa riconoscerlo
davvero.
Vivi la tua vita distrattamente, piena o vuota che sia,
aspettando il momento in cui una qualsiasi entità superiore ti metta di fronte
qualcosa, o qualcuno, con tanta
prepotente ovvietà da poter dire solo: ah,
eccoti qui! Ti cercavo da una vita.
Kurt non credeva in Dio – diciamo che per lui rappresentava
un conflitto di interessi – ma aveva sempre creduto
nel destino, in un modo o nell’altro, anche quando per lui significava qualcosa
di profondamente diverso da ciò che significava per gli altri.
Forse era per quello che amava tanto i musical, dove i
protagonisti erano romanticamente destinati ad incontrarsi, prima o poi. Erano
delle belle favole e gli piaceva pensare che nascosto là, da qualche parte, ci
fosse qualcuno che lo aspettava.
Kurt era convinto anche che il destino avesse tracciato per
lui una via molto chiara e un obiettivo ancora più cristallino.
Aveva dovuto lottare per ottenere il diritto di vivere la
sua vita come voleva, aveva sofferto e sapeva che non era finita: le difficoltà
erano dietro l’angolo. Solo che…che importanza avevano le notti spese a piangere, gli allenamenti distruttivi, tutti i sacrifici che
aveva fatto, di fronte a quello che stava succedendo?
Cosa importava, ora che era nella più squallida delle
stazioni ferroviarie dell’Ohio, pronto per partire per New York e per
Stava davvero per
partire.
Il destino, però, ha sempre un prezzo e spesso è troppo alto
da pagare, oppure nemmeno ci si accorge del contrappeso che si mette sulla
bilancia fino a che non è troppo tardi per tornare indietro.
Il suo contrappeso era stata Rachel.
“E mi raccomando, chiamami appena arrivi. Anzi, ci sentiamo
durante il viaggio”
Rachel gli buttò le braccia al collo, cogliendolo alla
sprovvista, e Kurt cercò di trattenersi dal piangere lì davanti a tutti quanti quando il corpo dell’amica si strinse al suo
disperatamente, trascinandolo con sé e facendogli quasi cadere il cappello
bianco che indossava.
Si era ripromesso di non crollare, di non piangere come un
idiota, e invece...
“Ti chiamerò ogni cinque minuti, ti aggiornerò su tutto.
Arriverà Natale e nemmeno ce ne saremo accorti, vedrai!” le disse con la voce
rotta.
Rachel non aveva superato il provino finale per entrare alla
NYADA. La comunicazione era arrivata un mese prima del
diploma, la tragedia era iniziata subito dopo. Kurt era stato il primo a
saperlo – persino prima di Finn – e l’aveva trovata rannicchiata in un angolino, tra le quinte del teatro della scuola.
Non stava nemmeno piangendo, almeno non fino al momento in
cui aveva notato Kurt in piedi di fronte a lei, addolorato. Allora l’aveva
preso a pugni, aveva urlato e infine era crollata sulla sua spalla,
singhiozzando senza riuscire a fermarsi.
“C-cosa farò a-adesso? Che s-senso
ha?” aveva singhiozzato mentre gli stringeva la
camicia e lo ricopriva di lacrime.
Kurt l’aveva stretta a sé per tutto il tempo e aveva pensato
che forse non valeva davvero la pena andare a New York senza Rachel, non dopo...beh,
tutto. Perchè tutto quello che avevano sognato riguardo alla Grande Mela
l’avevano sognato insieme: lasciare Rachel sarebbe stato come lasciare indietro
un pezzo di sé troppo grande per riuscire a sopravvivere senza.
Il giorno dopo, per strada, gli avevano dato di nuovo del frocio e aveva
deciso che non sarebbe rimasto in Ohio un secondo di più. Semplicemente non
poteva.
Quello non era altro che un ulteriore segno che il destino
gli stava mandando. Doveva andarsene e in fretta, anche.
“Non sarà la stessa cosa, senza di te” le sussurrò
all’orecchio per cercare di tranquillizzarla, ma Rachel iniziò a singhiozzare
sulla sua spalla senza ritegno, quindi dedusse che forse non era stata la cosa
più intelligente da dire in quel momento.
“Uh” commentò, stritolato dalla sua presa. “Ti prego, Rach, non fare così”
Ma era la verità, dannazione, e non avrebbe mai potuto
mentire.
Non sarebbe stato lo stesso, almeno per il primo anno.
Il petto gli doleva per lo sforzo di trattenere le lacrime –
laceranti fitte all’altezza del cuore – e quando alla fine alzò gli occhi su
Finn, Carole e suo padre che li osservavano lì vicino non riuscì a resistere un
secondo di più, così smise di provarci.
Mentre le lacrime bollenti gli scendevano lungo le guance e
rendevano l’universo che lo circondava nient’altro che una macchia sfocata e dolorosa Rachel esclamò:
“Torturerò quei ragazzi! Sarà come averti qui”.
Kurt emise un suono strozzato a metà tra una risata e un
singhiozzo, più per il gemito disperato di Finn che per la frase di per sé.
Dopo aver visto sfumata davanti ai suoi occhi la possibilità
di andare alla NYADA, almeno per quell’anno, Rachel
era caduta in un vortice di depressione e aveva visto la luce solo il giorno
dopo del loro diploma, quando Will li aveva convocati per una riunione finale
al Lima Bean, annunciando di avere qualcosa di
importante da dire loro.
“Emma è incinta e mi hanno scritturato per Broadway” aveva proclamato senza tanti giri di parole mentre i soliti grossi lacrimoni
si affacciavano sui suoi occhi.
Kurt non riusciva a ricordare una volta in cui il professor Shuester non si fosse commosso per
qualcosa, in effetti.
Mentre tutti lo avevano abbracciato e Puck
si era congratulato leccandogli una guancia – sempre originale, quel ragazzo – Will aveva guardato Rachel e gli aveva
sorriso tra le lacrime.
“Ecco perché ho suggerito a Figgins di assumerti come nuova
direttrice delle New Directions, Rachel. E lui ha
accettato”, aveva aggiunto come se niente fosse.
Kurt ricordava con esattezza Will Shuester
cadere a terra sotto il peso di Rachel che gli si lanciava addosso urlante e le
New Directions al completo che li sommergevano.
Così Rachel avrebbe preso il comando del Glee Club del McKinley e si sarebbe preparata a vincere le Nazionali da
direttrice, in un modo o nell’altro. Non l’aveva mai vista più determinata. Un
campionato Nazionale in più
significava una possibilità di entrare alla NYADA l’anno successivo e Kurt ci
sperava con tutta l’anima, davvero.
Si sentiva terribilmente in colpa per ciò che era successo alle
Nazionali.
In fondo al suo cuore albergava la sinistra convinzione che,
giocandosi il diritto di cantare la ballad alle
Nazionali, lui e Rachel si fossero giocati anche la possibilità di entrare alla
NYADA.
Era quindi anche colpa sua, se Rachel non era stata ammessa?
Aveva vinto l’assolo e le Nazionali, ma aveva perso Rachel?
Sì, alla fine erano riusciti a vincere, modestamente anche
grazie a lui e alla sua canzone. Spesso ripercorreva con la mente i momenti in
cui, dopo la sua ballad, aveva sollevato la coppa
sopra la sua testa e il pubblico era esploso in applausi e ovazioni, e le New
Direction erano impazzite di gioia, e c’era quel tipo che non conosceva in
prima fila che piangeva commosso...
“Hai preso tutto, tesoro?”
Anche Carole in quel momento stava piangendo a dirotto e
Kurt avrebbe tanto voluto che non lo facesse, ma non disse niente. Era già
abbastanza difficile partire e lasciarsi tutti alle spalle. Non avrebbe saputo
cosa dire, probabilmente.
Odiava vedere le cose da quel punto di vista, ma era ciò che
stava facendo. Si stava lasciando alle spalle una vita che aveva amato e un
luogo che aveva odiato, persone che aveva desiderato e persone che avrebbe voluto
veder scomparire. Odiava Lima, ma era pur sempre...beh, casa.
“Ho preso tutto, non
sono mica Finn! E anche avessi dimenticato qualcosa il treno sta per
partire, quindi non potrei certo tornare indietro a prenderlo.”
Burt fissava il figlio da tempo, ancora incapace di dire
qualcosa, probabilmente in cerca di segni di pentimento sul viso del ragazzo.
Kurt osservò suo padre di sottecchi mentre Finn
protestava, indignato, per a sua frecciatina, e
Carole gli sistemava affettuosamente il colletto della giacca, e Rachel non
sembrava intenzionata a staccarsi dal suo braccio. Gli sarebbero mancati tutti
da morire, sì, ma la persona dalla quale davvero non sopportava l’idea di
separarsi era suo padre.
Burt, che lo aveva sostenuto sempre, anche
quando la scuola era uno schifo e i bulli lo spingevano sugli armadietti; anche
quando al ballo d’inverno del terzo anno lo avevano eletto reginetta e non c’era stato nessun altro a consolarlo; anche quando
Dave si era presentato alla sua porta con un mazzo di
fiori di scuse e della cioccolata e lui non aveva saputo non perdonarlo.
Kurt sapeva di lasciarsi indietro tante persone e tante
questioni, alcune delle quali terribilmente irrisolte.
Una di queste era Dave. Ma si era ripromesso di non pensarci, così scosse la
testa per scacciare le lacrime che si erano affacciate sui suoi occhi azzurri e
si decise a salutare suo padre.
Burt lo osservò con attenzione. “Stai davvero partendo”
disse, la voce roca per via della commozione.
Kurt sorrise tra le lacrime.
“Già”, disse, strusciando i piedi a terra.
“Oh, vieni qui”
Burt si sporse in avanti e strinse Kurt in un abbraccio
stritolatore. Kurt non si lamentò, ma affondò in quell’abbraccio
profondo che sapeva di casa per un’ultima volta, più forte che poté, poi si separarono.
“Chiama appena arrivi!” gli raccomandò Carole, prendendo per
mano suo padre. Finn sorrise e gli batté una mano
sulla schiena, facendolo tossicchiare appena.
“Vedi di tornare presto, amico, che Rachel non la reggo da
solo”
Si beccò uno schiaffetto sul
gomito – probabilmente il posto più alto di lui che Rachel riusciva a
raggiungere senza salire su una pila di libri – e rise.
Kurt afferrò il manico della valigia e si mise il borsone in
spalla.
Perchè
diavolo ho portato tutta questa roba?
Carico come un mulo lanciò un’ultima occhiata alla sua
famiglia, sorrise, si voltò e camminò incontro al suo destino.
Attraversò il sottopasso trascinandosi dietro la valigia di Luis Vuitton e raggiunse il
binario indicato sul tabellone degli arrivi ansimante. I suoi bagagli pesavano,
ovviamente, mezzo quintale, ed aveva ridotto di metà il suo guardaroba! Molte
cose glie le avrebbero spedite i suoi direttamente a New York, infatti.
Si sistemò meglio il cappello e controllò il proprio
riflesso di nascosto sulla vetrina del bar della stazione.
Ok, doveva ammettere che era stato
un po’ melodrammatico nella scelta dell’abbigliamento, ma stava o no andando a
New York? Non stava forse per dare inizio al suo sogno americano?
Quindi quella mattina davanti all’armadio, ormai quasi del
tutto svuotato dalle sue cose, aveva rimuginato a lungo e infine aveva deciso
di vestirsi a tema, elegante come sempre. Ora indossava, oltre al cappello
bianco, una polo rosso bordeaux e una giacca di
velluto blu notte sopra, che – a detta sua – si sposavano benissimo con i
pantaloni in cotone con un minimo risvolto all’altezza della caviglia,
naturalmente color fango; aveva poi optato per dei calzini dello stesso colore
della polo e delle scarpe eleganti, blu scuro.
A coronare il tutto, il tocco d’arte al quale aveva lavorato
per tutta la settimana prima della partenza: nel taschino della giacca vi era
infilato un fazzoletto di cotone, bianco, con una mela ricamata in cima.
Si sentiva...americano, sì.
Kurt smise di rimuginare sul suo outfit
da bandiera USA quando la voce metallica
dell’altoparlante di servizio annunciò:
“Il treno 142bisA per Pittsburgh
è in arrivo al binario nove”
Il treno che lo avrebbe portato alla sua prima tappa,
passando per Columbus, doveva essere sulla
piattaforma alle dieci e quindici, ed erano già le dieci e dieci.
Solo
cinque minuti, pensò.
Solo cinque minuti e sarebbe partito, finalmente diretto a
New York, solo. Dall’altra parte
della stazione intravedeva ancora le sagome poco chiare di Finn, Rachel, Burt e
Carole, e per non scoppiare a piangere di nuovo cercò qualcosa da fare.
Devo
distrarmi, non devo pensarci. Sto partendo per New York,
ripeté tra sé.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca della giacca e si mise a
spulciare la galleria delle foto del diploma, più nostalgico che mai.
La prima foto li ritraeva tutti insieme
nei momenti successivi alla cerimonia, proprio nell’aula di canto.
Fece scivolare lo sguardo sui suoi amici del Glee Club, la
sua seconda famiglia.
C’erano Quinn, finalmente guarita
dopo l’incidente d’auto, e Jhon, il suo nuovo
fidanzato, in piedi l’uno di fronte all’altro. Sarebbero entrambi andati a Yale e Kurt non se n’era stupito
nemmeno un po’. Quinn era bravissima.
Chissà
se hanno trovato l’appartamento che cercavano...
La foto successiva ritraeva Brittany mentre sorrideva mesta
ed era girata di tre quarti per osservare Santana;
quest’ultima chiacchierava con Mercedes, quasi
commossa mentre la sua ragazza le teneva orgogliosamente la mano. Brittany non era riuscita a diplomarsi – forse perchè aveva
portato una tesina su Lord Tubbington, chissà – e Santana aveva deciso di lavorare come cameriera al Lima Bean per un anno per poi andare a vivere con lei a Los
Angeles.
Peccato
che Lord Tubbington sia morto a luglio. Sarebbe stato
orgoglioso della dichiarazione di Santana.
Sam, proprio di fianco a
loro, stringeva Puck in un abbraccio; il labbro
tremante e le lacrime agli occhi erano perfettamente visibili anche dallo
schermo troppo piccolo del telefono. Aveva sempre sospettato che ci fosse qualche romantico aneddoto su loro due, dopotutto. Ora
Sam era tornato a vivere con i suoi genitori e stava
valutando varie offerte lavorative dalle sue parti, ma
Kurt era rimasto in contatto con lui.
Caro,
vecchio bocca di trota...
Mike, che nella foto
stringeva forte Tina e le stampava un bacio a fior di labbra, avrebbe studiato
danza alla Juliard.
Fece scorrere il pollice sullo schermo e cambiò foto: Puck compariva sfocatamente sullo
sfondo mentre si prendeva la rivincita del secolo e
baciava la madre di Rachel davanti a tutti – Dio, quanto aveva riso - , e
l’intera foto era occupata da Rachel che sventolava soddisfatta il suo cappello
del diploma. Puck si era diplomato, alla fine, anche
se nessuno sapeva davvero come ci fosse riuscito, e ora lavorava a tempo pieno
come lava-piscine, ma Kurt era sicuro che presto avrebbe trovato un lavoro
migliore. O sarebbe finito in prigione.
Tutti gli altri ragazzi del Glee che ancora frequentavano la
scuola per l’ultimo anno sarebbero probabilmente rientrati nel Glee Club.
Kurt era quasi certo che Rory o Artie avrebbero ucciso Rachel, presto o tardi.
Forse
dovrei iniziare ad organizzarmi per il suo funerale.
La figura familiare di Mercedes si
stagliava semi-sfocata sulla parte sinistra della foto, proprio di fianco a
Finn, e sorrideva verso l’obiettivo. Dopo la rottura con Sam
e con Shane era rimasta single. Ora era stata presa
alla Cameron di Boston e sarebbe partita una settimana
dopo di Kurt.
Kurt osservò malinconicamente la foto e si domandò se era quello, ciò che il destino voleva davvero
per lui. Lasciare a Lima tutto il suo passato, tutti i suoi amici, e
ricominciare la sua vita da capo a New York, solo e pieno di sogni.
Forse era per quello che pensava costantemente al destino e a
cosa voleva per sé stesso. Stava per partire, dopotutto. Quale momento più
opportuno per farsi domande sulla propria vita ma non avere le risposte?
Fece scorrere di nuovo il pollice sul telefono per cambiare
foto e gli si strinse lo stomaco quando il viso
sorridente di Dave Karofsky
gli comparve di fronte. Ricordava quando avevano
scattato quella fotografia. Era il loro primo e ultimo anniversario ed erano al
parco di Lima, felici e sorridenti. Kurt tentò di ignorare il groppo in gola
per l’ennesima volta e ripose il telefono in tasca passandosi una mano sul viso
con aria stanca.
“Il
treno per Pittsburgh, binario nove, arriverà con cinque minuti di ritardo.”, annunciò
la voce di servizio, e tanto per fare qualcosa Kurt prese ad osservare le
persone che si trovavano sul suo stesso binario e che magari avevano la sua
stessa destinazione, New York City.
C’erano due ragazze sorridenti con delle valigie stracolme
fino all’orlo, una madre con due bambini e un ragazzo proprio vicino alla
colonna, un po’ distante da lui, con i capelli ricci e neri, un borsone scuro e
la custodia di una chitarra in spalla.
Lo sguardo di Kurt scivolò tra le persone che lo circondavano
con aria assente e si riscosse solo quando il fischio
del treno in lontananza ne annunciò l’arrivo.
Oddio,
pensò, emozionato e spaventato al tempo stesso. Ci siamo.
Lanciò un ultima occhiata tremante
alle sue spalle e salutò Rachel con la mano – lei e Finn erano ancora
dall’altra parte del binario – poi voltò le spalle all’Ohio e si preparò a
salire sul treno.
Quello arrivò con uno stridio di freni e le porte si
spalancarono proprio di fronte a lui, così saltò a bordo trascinandosi dietro
la valigia e il borsone; cercò di ignorare i gridi e i saluti delle persone fuori dal finestrino
e arrancò fino al primo scompartimento, che trovò pieno e fin troppo vivace.
Quando notò che era la prima classe imprecò sottovoce e tornò indietro.
Non c’è
un maledettissimo scompartimento tranquillo?
Desideroso di silenzio attraversò tutta la prima metà del
treno per arrivare ai vagoni di seconda classe. Quello che trovò era
praticamente vuoto: c’era solo un ragazzo con dei lunghi rasta e la pelle
scura, seduto verso la metà del treno, che stava rovistando nel suo zaino.
Soddisfatto, Kurt scelse un posto vicino al finestrino e arrampicò i bagagli nell’apposito spazio prima di buttarsi
di peso sul sedile, sfiancato.
Ma
perché accidenti mi sono portato dietro tutti i numeri di Vogue dal duemilauno
ad oggi?
Un ultimo sguardo all’Ohio e il treno partì lentamente,
facendo cigolare le giunture e tremare leggermente sedili e vetri. Sembrava
quasi che volesse dargli tempo di salutare un’ultima volta casa.
Beh, era salito.
E’
fatta. Sto davvero andando a New York.
Kurt distolse lo sguardo dal finestrino
mentre il paesaggio urbano scompariva velocemente e lasciava spazio alla
campagna – non avrebbe sopportato di vedere Rachel rimanere in stazione senza di lui – e prese a guardarsi
intorno.
Il treno che lo avrebbe portato fino a Pittsburgh era un
normalissimo treno inter-regionale di quelli né troppo scomodi né estremamente
lussuosi, con grandi vetri e sedili disposti a coppie, ogni coppia una di
fronte all’altra. Non c’erano cuccette, quello era il treno che avrebbe dovuto
prendere da Harrisburgh, in Pennsylvania, a New York.
Non aveva ancora osato pensare a come sarebbe stato dormire insieme
a qualche sconosciuto in un treno scadente. E se si fosse trovato con un pazzo
maniaco? Con un gruppo di ragazzine urlanti? Con gente armata fino ai tenti?
Kurt venne distratto dai suoi
inquietanti pensieri quando la porta scorrevole si aprì scattando di lato e
qualcuno si infilò agilmente nello scompartimento.
Alzò gli occhi per osservare il ragazzo appena entrato:
aveva dei morbidi capelli scuri e ricci, e...ma era il ragazzo che aveva visto
sul binario, l’aveva riconosciuto dalla chitarra!
Probabilmente ragazzo-chitarra
– Kurt non sapeva bene come definirlo - si sentì leggermente osservato, perché
dopo essersi guardato spaesato intorno per un istante posò lo sguardo su di lui
e si irrigidì all’improvviso, spalancando appena gli occhi.
Kurt era troppo occupato a fissare la sua figura per notare
il lampo che passò nei suoi occhi, ma anche se lo avesse guardato in viso
probabilmente non se ne sarebbe accorto, perché durò solo un istante.
Quando Kurt alzò gli occhi sul suo viso, distogliendoli dalla
sua felpa azzurra, ragazzo-chitarra sorrise
timidamente e indicò con un cenno del capo il sedile di fronte al suo.
“E’ libero?” chiese.
Kurt lo fissò per un altro istante con aria intontita prima
di risvegliarsi dalla momentanea trance e esclamare: “Sì, certo!”
Si diede mentalmente dello stupido per aver avuto una
reazione del genere, ma...sembrava quasi che nello scompartimento fosse entrato
un angelo.
Si ritrovò distrattamente a sperare che sorridesse di nuovo,
perché non aveva mai visto qualcuno sorridere in quella maniera. Quando quel
ragazzo aveva timidamente alzato gli angoli della bocca, a Kurt il mondo era
sembrato improvvisamente più luminoso.
Note
dell’Autrice
Beh, ehm.
Ehilà! Ciao a tutti! Che cosa ci fa una Potterheads nel fandom di Glee, vi starete domandando? O forse non ve lo
state domandando, in effetti. Che vi importa a voi? XD
Forse mi conoscente, ma in caso mi presento.
Sono SeleneLightwood, ma potete chiamarmi Selene o Sally, e
qui sul fandom di glee per ora ho scritto solo
qualche One-Shot, tutte Klaine,
che trovate nella mia pagina autrice.
Comunque, durante un viaggio in treno – incontro
tra fanwriter, roba grossa! – ho avuto questa
fulminazione improvvisa. E se Kurt e Blaine si conoscessero in treno, diretti a
New York, e si innamorassero? Perché è ovvio che la
storia, essendo una Klaine romantica, voglia andare a
parare lì, eh.
Diciamo che ho iniziato quasi per scherzo, ma la trama è
venuta fuori da sola, tutta in blocco, e quindi da
mini-long che doveva essere sono venuti fuori ventuno capitoli.
Eh boh, eccoci
qui J
Ma parliamo di questo capitolo. Lo so che è molto
descrittivo, ma ci voleva un taglio netto per illuminarvi sulla situazione di
Kurt – e anche per mettervi tanti dubbi. Cosa c’era tra lui e Dave? Cosa c’è ancora? E Blaine che tipo di vita ha avuto?
La storia prende forma da un unico grande “what if?”: Kurt e Blaine non si
sono mai incontrati prima, poi scoprirete perché e quando sono stati ad un
passo dal farlo. Hanno vissuto le loro vite
separatamente ed ora eccoli qui, e vedremo cosa
succede.
Che altro posso dire?
Lo scoprirete solo leggendo, quindi ringrazio
anticipatamente tutti quelli che vorranno intraprendere con me, Kurt e Blaine
questo assurdo viaggio verso NY!
Cavolo,
questa frase conclusiva m’è venuta veramente bene!
Ok, la smetto di sclerale.
Baci, Selene
Ah, ecco che mi dimenticavo! Cercherò di aggiornare ogni
martedì! Se volete contattarmi per qualsiasi cosa, domande o chiacchiere, ecco
la mia pagina facebook:
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