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Autore: TooLateForU    28/03/2012    17 recensioni
Click.
Harry voltò repentinamente la testa verso di me, e notando l’enorme macchina fotografica che stringevo tra le mani si coprì bruscamente il viso.
“Oddio no! Basta con queste foto, mi sento violato!”
“Ognuno ha le sue manie, Styles. Tu giri nudo ovunque ed io scatto un sacco di foto!”
Avevo sei anni quando mi chiese di giocare ad acchiappa-fulmine con lui.
Avevo quattordici anni quando lo baciai al gioco della bottiglia.
Avevo diciassette anni quando mi rimasero solo foto.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Harry Styles, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ispirazione per questa storia è nata alle sei meno venti della mattina, mentre pensavo alla canzone Pictures Of You dei The last goodnight (ascoltatela, merita davvero), quindi non vi assicuro niente AHAH.
Apparte gli scherzi, finora ho scritto solo due capitoli e vedrò di continuare a postare in base alla risposta collettiva (?) di tutti voi. Altrimenti anche questa finirà a marcire #nuooo
Ora smetto di rompere, au revoir (?)

 
 
 
 
“Buongiorno Holmes Chapel! Il sole splende alto nel cielo stamattina, quindi scendete dai letti e andate a goderv..”
Allungai un braccio verso il comodino, per colpire la radio-sveglia e farla cadere rovinosamente sul parquet. Sentii un familiare ‘bzzzz..’ metallico prima che la fastidiosa voce dello speaker sparisse.
Mugugnai qualcosa di incomprensibile persino a me stessa, mentre stringevo il piumone più forte intorno al corpo.
Probabilmente il fatto che nella mia baracca- che i miei si ostinavano a chiamare casa – i termosifoni fossero rotti influiva sulla temperatura di meno sessanta gradi, e non me ne poteva fregar di meno che fosse una bella giornata fuori.
Pioggia, sole, neve, tempesta di sabbia.. A chi importa del tempo di uno sputo di città come Holmes Chapel?
Città è una parola anche troppo grossa. Diciamo ammasso di casette, chiese e scuole.
Che squallore.
D’un tratto la porta della mia stanza si spalancò, e sentii dei passetti veloci correre per tutta la camera.
“BUUM, BUUM, CRAAASH! Il capitano Smith è stato ferito, ripeto è stato ferito!” urlò quello psicopatico di Chris, facendo schiantare un elicottero giocattolo su un camion dei pompieri, e mimando i rumori dello schianto.
Stringeva tra le mani un walkie talkie rotto, ma non sembrava essersi accorto del fatto che fosse r-o-t-t-o. Eppure ad otto anni alcune cose dovrebbero essere chiare.
“CHRIS, ESCI!” gridai, stridula. Lui si voltò sorpreso verso di me, come se non si aspettasse di trovarmi lì, e mi rivolse un sorriso perfido.
“Mamma ha detto che se arrivi in ritardo non ti firma la giustificazione!” ribattè serafico, prima di tornare a mimare con la bocca il rumore delle eliche dell’elicottero.
La voglia di prendere a morsi il mio cuscino, mia madre e anche quello psicolabile di mio fratello mi assalì, e scacciai via le coperte con un calcio seccato.
Commisi anche il terribile errore di puntare il mio sguardo sulla parete sopra la mia scrivania, e il mio umore precipitò più sottoterra di un underground.
Come ogni mattina, mi ripromisi che il giorno seguente le avrei tolte.
 
Il tipico vento gelido ed inglese sferzò il mio viso, mentre correvo per raggiungere il cortile della scuola. Sentii che la tracolla nera stava per scivolarmi dalle spalle, e mi affrettai a metterla apposto.
Stavo correndo, stavo correndo! Dovrebbero conferirmi una medaglia all’onore solo per questo, dannazione!
Salii la scalinata in marmo della scuola a due a due, ignorando le urla della bidella che le stava spazzando.
“Chiamo il preside, Foster!” gracchiò acida, come al solito.
Oh, ma chiama anche il padre eterno. Sai che mi importa.
Spinsi le porte pesanti davanti a me, e continuai la mia folle corsa verso la classe di francese. Mi sentivo come Forrest Gump quando deve correre dietro quel pulmino, presente? Bhè era come se qualcuno urlasse nelle mie orecchie ‘Corri Adele, corri!’
Arrivai con il fiatone davanti all’aula 216, e mi presi qualche secondo per rendermi un essere umano presentabile. Cercai di aggiustare il nido di tortore (ovvero i miei capelli) con le mani, e sperai vivamente che non mi fossero cresciute altre lentiggini nella notte.
Odiavo le lentiggini. E stamattina non avevo neanche fatto in tempo a nasconderle con il correttore, dannazione.
Finalmente abbassai la maniglia della classe, ed entrai. In un secondo venti paia d’occhi, compresi quelli dell’amabile prof, si posarono su di me.
“Che bello, Foster ci ha degnati della sua presenza! Dormito bene, ti sei riposata?” mi prese in giro Mrs Hampton, mentre mi lanciava un’occhiata gelida con i suoi occhietti da falco.
“Alla grande. Lei non ha dormito od oggi è Halloween?” replicai, sarcastica.
Qualcuno nella classe ridacchiò, mentre lei sembrava gonfiarsi come un pallone aerostatico e diventare color porpora.
“Vedremo se quest’estate sarai ancora così spiritosa ai corsi di recupero.” Ribattè, dura “Ed ora vatti a sedere, prima che ti sbatta fuori!”
Dio mio, nessuno coglie mai la mia spiccata ironia. A passo volutamente lento e pesante mi avviai verso l’ultimo banco, dove la mia migliore amica mi guardava con disapprovazione.
Lanciai la borsa a terra, e mi lasciai cadere sulla sedia “Ciao Leah.” La salutai, pacatamente
“Ciao ‘sto cazzo, Adele! Vuoi farti sospendere o cosa?” mormorò concitata, lanciandomi un’occhiata di fuoco.
“Che esagerata! Siete tutte così irrrrrrrrrritabiliin Argentina?”
“Non sei divertente.” Sibilò, innervosita. Non sopportava che scherzassi sulla sua esotica discendenza Argentina, anche se secondo me era davvero una forza. Non solo Leah Mariasol Consuelo Moreno era incredibilmente intelligente, dedita alle regole, precisa e ordinata ma era anche una di quelle ragazze che ti fanno venir voglia di nasconderti sotto un sasso e non uscirne più. Alta, slanciata, pelle color caffè, occhioni scuri e capelli stile Penelope Cruz.
Io invece avevo l’aspetto di un dugongo incinta. E la mia esoticità consisteva in mia zia Cathy, che era irlandese, e da cui avevo ereditato capelli color carota stinta e lentiggini.
Wow.
Leah prese appunti per tutto il resto della lezione, e Dio solo sa quanto avrei voluto scattarle una foto mentre la sua mano si muoveva veloce sul quaderno, e qualche ciocca di capelli ricadeva disordinata sul banco.
Sarebbe stata una foto epica.
Peccato avessi smesso di fare foto da un pezzo..
Scossi la testa, scacciando quel pensiero.
 
Infilzai un fusillo con forza, prima di portarlo alla bocca ed ingoiarlo velocemente. Stavo crepando di fame, e sebbene quella pasta sapesse di cartone la stavo divorando.
Leah lanciò uno sguardo inorridito al mio piatto “Mio Dio, sembra che tu non mangi da mesi.” Osservò, un tantino disgustata.
Io presi a masticare più rumorosamente giusto per infastidirla, e da come si coprì le orecchie capii di esserci riuscita.
Risi divertita, mandando giù un altro boccone “Sei davvero una schizzinosa, Lee!”
“Se solo tu ti comportassi come una ragazza normale..”
“E poi sai che palle?”
Sbuffò, abbandonando la forchetta sul vassoio “Oggi l’insalata fa schifo.” Esclamò.
“Solo oggi?” replicai, scettica.
“Sei ancora in punizione?” cambiò argomento.
Feci una smorfia, mentre finivo di mangiare anche il condimento “Diciamo che la punizione è finita ieri, ma se mia madre si accorge che ho macchiato il divano con la candeggina mi uccide.”
Leah ruotò gli occhi neri al cielo, prima di afferrare la sua borsa e tirarne fuori il nuovo numero di ‘Just Seventeen.’ Lo posò sul tavolo della mensa, incurante del fatto che fosse sudicio, e prese a sfogliarlo pigramente.
Girava distrattamente le pagine quando qualcosa attirò la sua attenzione “Adele, guarda!” esclamò, puntando eccitata l’indice sulla pagina.
Io allungai il collo, per leggere cosa c’era scritto, e quando capii sbuffai.
“Smettila, Leah.”
“Ma è fantastico! Un concorso di fotografia, con in palio due biglietti per Disneyland in Florida! Non vorresti andarci?”
“Forse ti sei persa i miei ultimi dieci compleanni.” Replicai, sarcastica, ma lei fece finta di non sentirmi.
“Andiamo, tu sei un genio della fotografia! Vinceresti di sicuro!” insistette.
“Forse vincerei, se facessi ancora delle foto.” Risposi, senza alzare gli occhi dal mio vassoio.
Restammo in silenzio per qualche attimo, mentre intorno a noi il casino della mensa non cessava.
Aveva toccato un tasto dolente, e lo sapeva.
“Le hai tolte quelle foto, Adele?” chiese poi, abbassando la voce.
“Lo farò domani.” Assicurai.
“Sono otto mesi che mi dai la stessa risposta. Quando arriverà questo domani?”
Mi alzai, facendo strusciare rumorosamente la sedia sul pavimento. Afferrai il vassoio e diedi le spalle a Leah per uscire dalla mensa, senza neanche salutarla.
Non doveva parlarne.
Nessuno doveva parlare di Harry Edward Styles, fine.
 
   
 
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