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Autore: Merkelig    29/03/2012    1 recensioni
Tre ragazzi eccezionali, rinchiusi in una sorta di prigione-laboratorio, il cui unico destino ( se sopravvivono ai test, alle guardie e ai Braccatori) è quello di venire uccisi al raggiungimento della maggiore età.
Un esperimento scritto anni e anni fa a cui ormai sono affezionata
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prison

 
Ormai è notte inoltrata. L’unica luce presente viene dal lampione sotto il quale io e i miei due amici stiamo tentando di mettere in funzione una radio sperimentale. Potrebbe sembrarti una scena del tutto normale, se non fosse per tre motivi: primo, indossiamo tutti e tre lo stesso vestito grigio scuro, variato solo da un numero nero stampato su entrambe le nostre spalle; secondo, a differenza di qualsiasi quindicenne, il nostro Q.I. è superiore ai 300 punti ( e questo significa, per chi non lo sapesse, un’intelligenza fuori dal comune, tale da, tanto per fare un esempio, crittografare un libro di duemila pagine da una lingua morta ad un’altra in meno di venti minuti); terzo, questo non è un parco o un marciapiede, ma una prigione.
La Brain Murdered Prison, la prigione che uccide i cervelli. Questo la dice lunga no? È uno stabile di circa 2500 metri quadri, nel deserto dell’Arizona. Le sue mura sono di una qualche pietra scura, spesse almeno due metri ma lo spessore aumenta con gli anni. Più avanti vi dirò il perché. Qui sono presenti un migliaio circa di ragazzi fantasma; ovvero ragazzi e ragazze che il mondo crede rapiti o morti. In comune abbiamo un Q.I. decisamente al di là della norma e il fatto di essere tutti minorenni. Infatti, quando uno di noi arriva alla maggiore età, sparisce. I nostri educatori ci dicono che ora servono al meglio la Brain, ma noi sappiamo bene che vengono uccisi, privati del cervello a scopo ricercativo e murati nelle pareti esterne. Ecco perché, di tanto in tanto, lo spessore aumenta. Ma a sparire sono anche ragazzi più piccoli. Vedete, tra di noi ci sono anche persone meno dotate, ragazzini il cui Q.I. non supera i 250. Fuori di qui sarebbero dei geni, ma qui dentro la loro mediocre intelligenza non è sufficiente. Noi siamo sottoposti a testi che solo il nostro cervello superdotato riesce a vincere, ma un cervello dotato, beh… esplode. Una volta l’ ho visto accadere: il ragazzino nel lettino di fianco al mio, un momento prima tremava e un momento dopo non aveva più la testa perché era esplosa in milioni di pezzettini, scaraventando capelli, sangue, viscere ed elettrodi ovunque. L’intera sala fu imbrattata, i muri furono cosparsi di una poltiglia rossa. Le pareti furono ripulite e il corpo inerme del ragazzino fu portato via. Qui non esistono cimiteri. Io e altre quattro ragazze assistemmo alla scena immobili e semicoscienti per il sedativo. Solo molte ore dopo ci staccarono dalle macchine e ci portarono nelle nostre stanze. Ricordo che io mi raggomitolai sul materasso, senza provare nulla. Né odio, né paura, né disgusto, niente di niente. Kazunari si sedette sul letto e mi posò una mano sulla spalla, non osando chiedere nulla di quanto successo. Ascoltammo in silenzio una ragazza piangere dall’altra stanza. Ah, Kazunari. È uno dei miei due migliori amici. È alto, direi 1.76 m. ma è solo una stima azzardata, di corporatura sottile, con i capelli chiari e i tratti femminili. Però è un maschio. E sì, avete capito bene, ragazze e ragazzi dormono assieme. Ma non ci sono mai stati problemi; benché sappiamo cosa sia (essendo ragazzi qualche domanda ce la siamo fatta, ed essendo dei geni, ci siamo dati pure le risposte) non abbiamo mai provato interesse nel sesso. Preferiamo di gran lunga considerarci tutti fratelli e sorelle, traendo così conforto gli uni dalle altre. Io ho deciso da tempo che l’amore non fa per me; nonostante il mio ingombrante cervello mi sento ancora una bambina. Non saprei, un sentimento così bello mi sembrerebbe fuori luogo in un posto de genere. Ma torniamo a Kazunari. A proposito, altra curiosità, lui non è giapponese. Esatto. E allora perché si chiama Kazunari? Facile, lo soprannominato io così. E gli è piaciuto talmente tanto che lo ha mantenuto, finendo per dimenticare il suo vero nome. Io e Kazunari infatti abbiamo tratti occidentali. La nostra nazionalità l’abbiamo dimenticata, assieme al nostro passato. Qui nessuno ricorda più nulla della sua vita precedente; i test e i farmaci sperimentali ti rodono la MLT, ti mangiano i ricordi più vecchi, quelli a cui tieni di più, finchè per te non rimane altro che la Brain, e in quel momento perdi tutte le possibilità di tornare indietro. Infatti, anche se un giorno avremmo la possibilità di scappare, non potremmo più avere indietro la vita di prima. Alcuni, i più giovani, possiedono ancora alcuni ricordi ma si guardano bene dal raccontare e cercano di dimenticarli il prima possibile. Prima fra tutte le ragioni, il fatto che se scoperti ancora in possesso di ricordi vanno a contribuire alle mura esterne. Alcuni però arrivano senza memoria. Girano voci che accusano di questo i Braccatori; per catturare i ragazzini procedono sempre nello stesso ordine: individuano la preda, la cacciano, la mettono con le spalle al muro e Sbam! la  colpiscono in testa, alla base del cranio. Minimo danno, massimo effetto, la vittima sviene senza causare danni al cervello. Questo succede la maggior parte delle volte, visto che i Braccatori non sono famosi per la loro precisione, né tanto meno per la loro eleganza. Può capitare a volte che la vittima perda del tutto la MLT. Qui possono succedere due cose: la peggiore, ovvero il ragazzino perde del tutto la capacità di memorizzare, diventa, di conseguenza, inutile, e viene così eliminato come un macchinario difettoso, oppure la meno grave, cioè il ragazzino perde solo i ricordi precedenti ( più qualche punto di Q.I. ) e viene comunque mantenuto in vita finchè potrà servire. Haru appartiene alla seconda categoria. E, guarda un po’ che caso, neppure lui è giapponese. Indovinate chi lo ha chiamato così? Bravi, avete indovinato. Lui è un po’ più alto di Kazunari, credo sull’ 1.79 m, capelli scurissimi, taglio ribelle, un carattere impossibile. Riusciamo a comunicare il più delle volte solo attraverso battutacce. La sua sfrontatezza lo ha portato più di una volta ad avere conflitti con il personale della prigione; in quei momenti ci vuole tutta la diplomazia di Kazunari e tutta la mia decisione per salvarlo da una punizione. Certo, se è sopravvissuto fino ad ora, è merito nostro. Nostro e della sua incredibile materia grigia che ne fa una risorsa troppo preziosa per rinunciarci. Ma nonostante il suo Q.I. spropositato a volte si comporta come un bambino, proprio come se mettesse la sua vita in gioco di proposito, pur rendendosi conto dei rischi. Forse è per questo che mi piace. Badate bene, non ho detto “lo amo”, ho detto che mi piace. Sono una persona dai saldi principi, io.
 
- Un momento, ci sono quasi…
Haru sta lavorando su una scheda madre ormai da ore. Si è tagliato già tre volte con le pinze vecchie che usa ma sembra non farci caso. Kazunari lo incoraggia dall’altra parte del vecchio tavolo da pic-nic che è diventata la nostra postazione. Rabbrividisco di freddo e tiro su la lampo della felpa grigia che indosso, con un gesto secco. Se non si sbriga diventerò un ghiacciolo. Nel momento in cui formulo questo pensiero Haru lancia un grido di trionfo.
- Ahahahah, ce l’ ho fatta!
Ci stringiamo intorno all’oggetto che ha in mano: una scheda madre grossa come la copertina di un libro, verde scuro, con una lampadina minuscola in alto a destra, collegata per mezzo di fili marroni ad un interruttore e ad un piccolo altoparlante sormontato da un’antenna.
Trattenendo il respiro, Haru fa scattare l’interruttore.
<< …co a voi le ultime notizie: par…he sia s…to ritrovato un antic…quadro risalente all’epoca medioev…nel bagno…autogrill. La fam…ttrice Jessica P. Adam è stat…trovata mort…nella serra della sua lussuo…casa a New York…>>
- Funziona!! Funziona!! – Haru è così felice che si mette a strillare. Kazunari lo imita, mettendosi a saltellare intorno al tavolo come un indiano. Io sorrido e intreccio le dita sotto al mento, osservando i miei amici al culmine della gioia. Forse dovrei dir loro che così potrebbero sentirci. Che se ci trovassero di notte, fuori dalla stanza, con una radio costruita da noi, beh… sarebbe la volta buona che ci separano per sempre. Ma non voglio turbare il loro entusiasmo. Non questa volta. Li osservo intenti a fare il tifo per una partita di baseball trasmessa in radiocronaca. Le mie orecchie si ovattano. Non li sento più. Tranquilli, è del tutto normale; a volte mi capita, quando sono con la testa per aria, di vedere ma di non sentire più. Capiterà anche a voi, magari mentre siete in classe, di vedere l’insegnante che parla ma di non sentirla perché state pensando al pranzo, o alla ragazza che vi piace, oppure ad un libro che state leggendo. E così stavo facendo io, osservando i miei amici esaltati intorno a quel pezzo di plastica che però per noi rappresenta l’unico contatto con il mondo esterno. Potremmo portarla fuori di notte per ascoltare le notizie, magari potremmo sentire di ragazzini scomparsi e potremmo anche ritrovare i nostri genitori! Potremmo aggiungere qualche pezzo e contattare così qualcuno che ci venga a prendere! Potremmo…
All’improvviso sento un fruscio. È debole, ma ci vuole ben altro per sfuggire al mio orecchio.
-Ragazzi- li chiamo.
Loro si bloccano e restano immobili. Alle spalle di Kazunari compare un’ ombra. Mentre io scatto in piedi Haru raggiunge veloce come un fulmine i bagni dietro l’angolo, come avevamo stabilito in caso di emergenza. Quando sento un’ imprecazione soffocata da dietro le mie spalle mi volto di scatto, temendo il peggio. Haru è a terra, si tiene lo stomaco, ha un’ espressione sofferente. Accanto al suo viso ci sono i frammenti verde scuro di una scheda madre e i resti contorti di un’antenna e un altoparlante. Guarda furioso la figura imponente di una guardia che incombe su di lui. Le altre quattordici si dispongono in cerchio fino ad accerchiarci completamente. Un’imboscata! Non ci posso credere! In tre abbiamo un Q.I. di più di 997 e ci siamo fatti fregare da un manipolo di gonzi che possiedono a malapena la licenza di terza media! Kazunari scivola silenziosamente alle mie spalle, pronto a proteggermi se qualcuno avesse provato a toccarmi. Che volete farci, è fatto così quel ragazzo.
- Molto bene. Che cosa abbiamo qui?
Credo che sia la prima volta che provo una forma distorta di sollievo nel sentire quella voce. La voce viscida e pungente del Direttore. La presenza di quel ciccione restituisce equilibrio al mio mondo. È la prova che le guardie da sole non avrebbero mai potuto trovarci. È già tanto se una guardia riesce a toccarsi il naso e nello stesso tempo lavarsi i denti. Anche se, devo ammettere che è seccante farsi fregare da un misero 237.
- Allora, ragazzi. Non volete rispondere?
Attese qualche altro secondo. Merda! Il mio Q.I. arriva ai 340 e non riesco a trovare una risposta che sia un minimo accettabile? Ma purtroppo, per quanto mi colpevolizzassi, non c’era proprio nulla che potessimo dire a nostra discolpa. Era una situazione troppo lampante, questa volta. Certo, troppo lampante per un individuo nella media, diciamo come uno di voi. Ma, ehi ragazzi, non dimentichiamo che le guardie non sono certo scelte per le dimensioni del loro cervello. La prova?
- Direttore? Sono colpevoli? Li portiamo via?
Ed ecco come una guardia idiota rovina il momento di suspance e di vendetta del Direttore che si stava prendendo la rivincita su tre ragazzini che gli avevano dato tanto filo da torcere. Il doppio mento del Direttore tremolò per la collera, finchè non riuscì a trattenersi.
- Kurt?- chiamò con voce flautata – porta il numero 729 in una delle aule, e i numeri 537 e 582 nella stanza degli interrogatori.
Ecco finalmente una cosa facile da capire. Un ordine. Il Direttore dice, tu esegui, Kurt. Il sopraccitato energumeno fece alzare Haru da terra, che si rizzò malamente, e lo spinse ringhiando verso la struttura. Quattro guardie si avvicinarono a noi avanzando minacciosamente. Io lanciai un’occhiata disperata in direzione di Haru. Che cosa gli avrebbero fatto? E se non lo avremmo più rivisto? E se l’avessero torturato? E se…
Kazunari passò un braccio intorno alle mie spalle e mi guidò dolcemente in direzione dell’ingresso. Sul viso aveva un’espressione che voleva essere rassicurante. Per ora non potevamo fare altro che ubbidire.
 
Abbiamo camminato molto lungo corridoi stretti e infiniti, illuminati solo da una fioca luce artificiale. I muri scuri e sbrecciati trasmettono cupezza e abbandono. Ci siamo inoltrati fino al cuore della Brain , camminando dentro le sue viscere putrefatte. E al centro della bestia, la stanza degli interrogatori. I muri sono sporchi. Su una parete ci sono i segni delle unghie di qualche disperato che è impazzito. La stanza è immersa nel buio. La presenza di Kazunari al mio fianco mi da sicurezza. Stringo affettuosamente il suo braccio e lui mi prende la mano. Attendiamo nel buio. I nostri respiri disegnano delicate nuvolette vaporose nell’aria gelida. All’improvviso una luce si accende; si distingue un’elegante scrivania vuota di legno scuro. Sopra un foglio bianco. La sedia si vede appena. Guardo Kazunari con uno sguardo perplesso e lui ricambia un po’ preoccupato.
- Miei cari ragazzi!
Oddio, non di nuovo. Guardo verso la scrivania: ora la sedia è occupata dal Direttore. Le dita intrecciate sotto il mento, incrocia le caviglie sotto il tavolo, come una reginetta di bellezza. Sogghigno tra me e me, pensando che ora per districare le grasse dita, il Direttore dovrà farsi aiutare da Kurt. E invece, contro ogni mia previsione, il Direttore si alza di scatto, senza fare rumore e si appoggia alla scrivania, con espressione noncurante. Osservo, mio malgrado leggermente apprezzandolo, il suo linguaggio non verbale: la postura trasmette tranquillità, la schiena dritta è segno sicurezza e padronanza di se, il gomito verso l’esterno indica dominanza. Non c’ è che dire, sarà una bella gatta da pelare.
- Miei cari ragazzi! – ripete, con tono viscido, - mi addolora scoprire che proprio voi due avete violato in modo così palese il regolamento, rendendovi complici di quel soggetto pericoloso.
Con un gesto da prestigiatore fa comparire sul tavolo due cartellette grigie con due numeri stampati sopra. Mio malgrado deglutisco a vuoto, intuendo di cosa si tratta. I nostri file. Sul primo che ha aperto c’è la foto di Kazunari.
- tu, numero 537, che hai riportato ottimi risultati in quasi tutti i test, hai una media davvero invidiabile. Ma chi mi delude di più sei tu, numero 582, - e qui apre l’altra cartelletta – una delle nostre ragazze più dotate. Con un Q.I. che arriva ai 340. Perché volete rovinare delle medie così perfette?
Io mi limito a fissarlo duramente. Questa volta non ho la minima intenzione di collaborare. Questa volta non ho la minima intenzione di cedere a compromessi. Questa volta non ho la minima intenzione di calpestare di nuovo il mio orgoglio. Questa volta, forse, non è sopravvivere il mio unico obbiettivo.
Guardo Kazunari. Anche lui stavolta non collaborerà. Gli rivolgo un muto incoraggiamento e intreccio le mie dita con le sue. In questo momento ho bisogno di tutta la sicurezza che può trasmettermi.
- Niente? Da nessuno dei due?- pronuncia il Direttore con voce abbattuta, come se parlasse a due bambini che non vogliono confessare quale dei due sia stato a rubare i biscotti dalla cucina.
- Ma così non posso aiutarvi. Numero 582? Hai qualcosa di dirmi su 729?
Lo guardo negli occhi.
- Non conosco nessuno con questo nome.
-Oh, allora preferisci quel nome che tu e il tuo amico gli avete dato? Vediamo… mmm… Haru?
Mi sento avvampare di collera. Non deve pronunciare quel nome. Kazunari mi attira a se e mi circonda le spalle con un braccio. Io soffoco la mia rabbia contro il tessuto grigio della sua felpa. Sfrego il viso contro la stoffa scura e respiro profondamente. Kazunari guarda il Direttore con occhi fiammeggianti.
- L’unica cosa che saprà da noi su Haru è che è un genio. Tutto qui.
Sollevo lo sguardo e lo osservo sorpresa. È la prima volta che glielo sento dire.
 - Molto bene. – pronuncia il Direttore con voce indurita dall’insuccesso. – ma ricordate, cari ragazzi, che posso rendervi la vita molto difficile. Qui siete nella mia prigione. Buona permanenza. – detto questo, picchia leggermente contro la porta ed esce. La porta viene chiusa e la luce si spegne. Non ho voglia di parlare. Non ho voglia di pensare. Incrocio le braccia dietro la schiena di Kazunari. Lui mi stringe forte e affonda il viso tra i miei capelli. 
 

 
 
  
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