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Autore: Diomache    26/10/2006    15 recensioni
Musica.
Lei era come la musica, a tratti lenta, pacifica, serena. Poi s’impennava e allora era il rock più sfrenato, più arrabbiato che avesse mai visto.
Lei era il mare, a tratti placido e sereno, tranquillo e pacifico, poi improvvisamente, la schiuma, la burrasca, le onde che si infrangono sugli scogli, il vento, la notte.
E poi, di nuovo il sole.
[House/Cameron]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron, Greg House
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You never did this before, and you know how stupid you were before

Ciao a tutti.. ho appena postato una shot che è stato il prodotto un po’.. delirante?

Si, forse sì…  dell’altra sera.. appena ho finito a vedere House (e con il fantasma del compito di latino il giorno dopo..) ho avuto l’impulso di scrivere e così è nata ‘Save me’

 

La dedico innanzitutto ad Apple, che devo ringraziare enormemente e per svariati motivi.

In primis perché sei stata la prima persona a dedicarmi una storia,quindi  volevo farti sapere che è stato un gesto carinissimo (e poi una fic bella come medicinae doctor..)

Poi  per le tue bellissime recensioni che mi danno sempre l’impulso di continuare ogni storia, e infine ( ma non ultimo, anzi!) perché le tue fiction sono davvero fantastiche, non finirò mai di farti i complimenti.

E poi, ovviamente, è dedicata a tutti quelli che girovagano su questa parte di efp e in particolare a tutte le cottoncandy!!!

Che dire, spero che mi direte cosa ne pensate!!

 

Un  bacio,

Diomache.

 

 

 

 

 

Save me

 

 

 

 

 

 

Nella stanza regnava il più completo silenzio. Si poteva sentire solamente il ticchettio lontano della sveglia o il motore di qualche auto che transitava per quelle strade deserte.

Silenzio e buio.  

Un buio che avvolgeva quasi entrambi, un buio rasserenante, rilassante.

A lui piaceva il buio. Il buio che avvolge, che inghiottisce, simile all’oblio.

E lei era l’oblio.

Era strano. Strano tutto questo, strana lei, strano quello che poteva accadere, strana perfino la sua casa, quasi non la riconosceva, lì, immersa in quell’alone mistico di pace, di buio, di silenzio.

O forse era semplicemente lei a rendere diversa ogni cosa.

La osservò, lentamente, godendosi il piacere di viaggiare con lo sguardo sul suo corpo, di studiarne i lineamenti. E fu come se la guardasse veramente per la prima volta, come se tutto il tempo che l’aveva avuta sotto gli occhi, tutti i giorni, non l’avesse mai osservata davvero.

I capelli, scompigliati, mossi, rossi. Il piacere di poterli accarezzare, di poterglieli semplicemente scompigliare, avere il potere di metterli in disordine contravvenendo alla sua proverbiale precisione, il piacere di arruffarli e di vederla diversa. E più vera.

I suoi occhi.

Affascinanti e incantatori, azzurri come sprazzi di cielo o verdi ed intensi come l’erba di un prato. Questo, ciò che vedevano tutti.  

Non lui, lui vedeva di più.

Vedeva  scorci di un cielo azzurro, sì, ma quasi sempre tristemente coperto dalle nuvole.

Vedeva occhi verdi ed intensi come l’erba di un prato, sì, ma sempre erba bagnata di rugiada.

Le sue labbra, leggermente dischiuse, leggermente arrossate, delicate eppure invitanti e peccaminose. Le aveva viste severe, crucciate o allungate in un sorriso, eppure mai erano state più belle di come lo erano quella notte.

Forse, semplicemente, perché questa notte erano state sue.

Era seduta, il lenzuolo che le copriva solo parte del corpo.

Le sfiorò la mano.

La sua pelle, morbida e soffice come la pesca, dal sapore strano, fresco, nuovo.

L’uomo sospirò in maniera quasi impercettibile, deglutendo lentamente.

Non sapeva cosa si poteva provare. Cosa avrebbe fatto, cosa avrebbe detto, cosa avrebbe pensato. Cosa sarebbe cambiato nella sua vita, forse tutto o forse niente.

Eppure quello era l’oblio. Ne era certo.

Era il piacere più alto, più favoloso, più incredibile a cui avesse mai preso parte.

Vibrazioni, emozioni, tachicardia.

Musica.

Lei era come la musica, a tratti lenta, pacifica, serena. Poi s’impennava e allora era il rock più sfrenato, più arrabbiato che avesse mai visto.

Era la natura, era come Giugno, fresca, frizzante, calda e torrida a tratti.

Ma era anche il freddo, la pioggia, l’acqua che la bagnava, che le scivolava addosso, gocce e lacrime sulla sua pelle; lei era una mattinata nuvolosa, in cui il sole veniva e andava a tratti, scoprendosi e ritirandosi al tempo stesso.

Lei era il mare, a tratti placido e sereno, tranquillo e pacifico, poi improvvisamente, la schiuma, la burrasca, le onde che si infrangono sugli scogli, il vento, la notte.

E poi, di nuovo il sole.

Lei, l’acqua di un lago dove si lanciano i sassi. All’inizio la superficie si increspa, poi lentamente torna calma. Serena.

Eppure il sasso c’è, infondo al lago.  E ormai fa parte di lei.

Danneggiata.

Lei dal passato in subbuglio, troppo innamorata per accorgersi che commetteva una sciocchezza a sposare un uomo condannato a morte.

Troppo moralista per non sposarlo solamente per questo motivo.

Troppo ingenua per capire che tutto questo l’avrebbe segnata.

Per sempre.

Lei, razionale, atea, irrazionale e credente.

Lei che ha bisogno di capire, di schematizzare.

Lei, irrazionale, emotiva, poetica, romantica.

Atea, e miscredente verso un Dio che lasciava nel mondo la sofferenza e profondamente credente nell’amore degli uomini, fiduciosa, generosa, filantropa.

Lei, l’enigma.

Il puzzle che non è possibile completare perché cambia di continuo e proprio quando credi di aver risolto, di aver capito, di star ad un passo dal traguardo arriva il vento che scompiglia le carte, confondendole.

E così lei.

Lei, il sogno proibito.

Lo osservava, muta, nel buio di quella stanza, nel silenzio che era inevitabilmente calato tra di loro. Piegò la testa di lato con un’espressione quasi intenerita, come se avesse visto un dolcissimo bambino in una carrozzina. 

E sorrise. Un sorriso sincero, sereno, che contrastava nettamente con gli occhi velati di pianto.

Non disse nulla e lui gliene fu grato. Non voleva sentire niente, non voleva parole, discussioni, non voleva niente. Gli bastava  stare lì, seduto accanto a lei, restare ad osservarsi, a fissarsi, scavare così nel suo animo, nella sua intelligenza, nella sua bellezza, nella sua ingenuità anche, quell’ingenuità che tante volte si era divertito a trafiggere.

Le sue illusioni, i suoi sogni che mille volte aveva infranto.

Dopo mesi, era strano vederla lì, adesso.

Dopo mille discorsi, dopo mille bugie, inganni, pianti, non aveva mai pensato che potesse davvero finire così.

Si erano trovati a litigare per l’ennesima volta in ufficio, poi lei lo aveva raggiunto a casa per un chiarimento e avevano litigato di nuovo. Lei, con ancora più rabbia, lui sempre più sarcastico, ironico.

L’indifferenza, il rancore, si era mischiato nei loro discorsi.

Poi erano esplosi.

E insieme a loro, era esploso quell’alone di sufficienza, quelle distanze che si erano imposti, quella forza d’animo che non avevano ma che sempre avevano creduto di possedere.

Tutto era crollato.

Era bastato trovarsi un po’ più vicini.

Le loro idee, i loro pensieri, la razionalità, i mille discorsi che si era fatto lui convincendosi che di lei non gliene importava niente, le mille congetture di lei nell’assurdo tentativo di dimenticarlo, tutto era diventato inutile, passato. Lontano.

Dimenticato.

Adesso era diverso.

Non sarebbero cambiati, lo sapevano entrambi.

Perché l’amore non cambia, l’amore completa.

L’amore salva.

E loro si stavano salvando entrambi. Nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso, ma era così.

Era un aggrapparsi a vicenda, un rendere unito e completo quello che era sempre stato tristezza, confusione.

Era la certezza di non essere più solo, la speranza di avere qualcuno che ci sarebbe stato. Sempre.

E lo sapevano. Entrambi.

House sorrise, lentamente, avvicinandosi di più alla ragazza.

Le prese il viso nella mano accarezzando con il pollice la soffice superficie della sua guancia, godendosi lo spettacolo di lei che chiudeva lentamente gli occhi al suo tocco.

Da quanto tempo desiderava farlo? Da quanto aveva avuto l’impulso di baciarla, di stringerla?

Da troppo.

Troppo.

E adesso, l’aveva lì, tra le sue braccia.

Avrebbe voluto dirle cosa provava. Quale era l’emozione che attanagliava il suo cuore. Inutile.

Non ci sarebbe riuscito mai. Perché lui era così, chiuso, freddo, ermetico.

Ma la cosa più fantastica era che con lei non aveva bisogno di parole. Lei lo capiva, capiva ogni suo singolo sguardo, capiva ogni cenno del suo volto.

Lui sapeva che lei non sarebbe mai dovuto cambiare. Mai.

Cameron abbassò un attimo lo sguardo, concentrandolo su il letto che aveva ospitato il loro amore, sulle lenzuola fredde come il vento che stava iniziando a soffiare, di fuori.

Felice. Vide per la prima volta House felice.

Lo capì dai suoi occhi, dalla sua espressione. E anche lei lo era, indubbiamente.

Aveva avuto l’unico uomo che avesse mai amato, e non importava se era egocentrico, testardo e cinico, lui era l’unico che facesse davvero battere il suo cuore all’impazzata, lui dava quel ‘quid’ alle sue giornate, lui. Lui, House. 

Avrebbe preferito non interrompere quel silenzio quasi magico ma voleva un’ultima certezza: stava mettendo il suo animo in quello di House, la sua vita, nelle mani di House.

Doveva sapere un’ultima cosa.

-se cadrò.- sussurrò, flebilmente.- tu mi prenderai?-

Voleva e doveva saperlo.

Perché lei sarebbe caduta, molte volte.

House la fissò, intensamente. Non poteva darle false promesse o un avvenire che non era chiaro nemmeno a lui. Aveva sempre odiato le illusioni.

Ma di una sola cosa era sicuro.

Che lui ci sarebbe stato.

Disse, con una voce che risultò un po’ roca. - cadremo insieme.-

House esibì un ghigno divertito e continuò, non potendo fare a meno di metterci un pizzico della sua solita ironia.

-infondo, non ti dimenticare che sono zoppo.-

Il volto di Cameron s’illuminò e un bellissimo sorriso si dipinse sul suo volto finalmente felice.

Era quella la risposta che voleva.

 

 

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 

Diomache.

 

 

 

  
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