Ciao a tutti.. ho
appena postato una shot che è stato il prodotto un po’.. delirante?
Si, forse sì… dell’altra sera.. appena ho finito a vedere
House (e con il fantasma del compito di latino il giorno dopo..) ho avuto
l’impulso di scrivere e così è nata ‘Save me’
La dedico
innanzitutto ad Apple, che devo ringraziare enormemente e per svariati
motivi.
In primis perché
sei stata la prima persona a dedicarmi una storia,quindi volevo farti sapere che è stato un gesto
carinissimo (e poi una fic bella come medicinae doctor..)
Poi per le tue bellissime recensioni che mi
danno sempre l’impulso di continuare ogni storia, e infine ( ma non ultimo,
anzi!) perché le tue fiction sono davvero fantastiche, non finirò mai di farti
i complimenti.
E poi, ovviamente,
è dedicata a tutti quelli che girovagano su questa parte di efp e in
particolare a tutte le cottoncandy!!!
Che dire, spero che
mi direte cosa ne pensate!!
Un bacio,
Diomache.
Save me
Nella
stanza regnava il più completo silenzio. Si poteva sentire solamente il
ticchettio lontano della sveglia o il motore di qualche auto che transitava per
quelle strade deserte.
Silenzio
e buio.
Un
buio che avvolgeva quasi entrambi, un buio rasserenante, rilassante.
A
lui piaceva il buio. Il buio che avvolge, che inghiottisce, simile all’oblio.
E
lei era l’oblio.
Era
strano. Strano tutto questo, strana lei, strano quello che poteva accadere,
strana perfino la sua casa, quasi non la riconosceva, lì, immersa in
quell’alone mistico di pace, di buio, di silenzio.
O
forse era semplicemente lei a rendere diversa ogni cosa.
La
osservò, lentamente, godendosi il piacere di viaggiare con lo sguardo sul suo
corpo, di studiarne i lineamenti. E fu come se la guardasse veramente per la
prima volta, come se tutto il tempo che l’aveva avuta sotto gli occhi, tutti i
giorni, non l’avesse mai osservata davvero.
I
capelli, scompigliati, mossi, rossi. Il piacere di poterli accarezzare, di
poterglieli semplicemente scompigliare, avere il potere di metterli in
disordine contravvenendo alla sua proverbiale precisione, il piacere di
arruffarli e di vederla diversa. E più vera.
I
suoi occhi.
Affascinanti
e incantatori, azzurri come sprazzi di cielo o verdi ed intensi come l’erba di
un prato. Questo, ciò che vedevano tutti.
Non
lui, lui vedeva di più.
Vedeva scorci di un cielo azzurro, sì, ma quasi
sempre tristemente coperto dalle nuvole.
Vedeva
occhi verdi ed intensi come l’erba di un prato, sì, ma sempre erba bagnata di
rugiada.
Le
sue labbra, leggermente dischiuse, leggermente arrossate, delicate eppure
invitanti e peccaminose. Le aveva viste severe, crucciate o allungate in un
sorriso, eppure mai erano state più belle di come lo erano quella notte.
Forse,
semplicemente, perché questa notte erano state sue.
Era
seduta, il lenzuolo che le copriva solo parte del corpo.
Le
sfiorò la mano.
La
sua pelle, morbida e soffice come la pesca, dal sapore strano, fresco, nuovo.
L’uomo
sospirò in maniera quasi impercettibile, deglutendo lentamente.
Non
sapeva cosa si poteva provare. Cosa avrebbe fatto, cosa avrebbe detto, cosa
avrebbe pensato. Cosa sarebbe cambiato nella sua vita, forse tutto o forse
niente.
Eppure
quello era l’oblio. Ne era certo.
Era
il piacere più alto, più favoloso, più incredibile a cui avesse mai preso
parte.
Vibrazioni,
emozioni, tachicardia.
Musica.
Lei
era come la musica, a tratti lenta, pacifica, serena. Poi s’impennava e allora
era il rock più sfrenato, più arrabbiato che avesse mai visto.
Era
la natura, era come Giugno, fresca, frizzante, calda e torrida a tratti.
Ma
era anche il freddo, la pioggia, l’acqua che la bagnava, che le scivolava
addosso, gocce e lacrime sulla sua pelle; lei era una mattinata nuvolosa, in
cui il sole veniva e andava a tratti, scoprendosi e ritirandosi al tempo
stesso.
Lei
era il mare, a tratti placido e sereno, tranquillo e pacifico, poi
improvvisamente, la schiuma, la burrasca, le onde che si infrangono sugli
scogli, il vento, la notte.
E
poi, di nuovo il sole.
Lei,
l’acqua di un lago dove si lanciano i sassi. All’inizio la superficie si
increspa, poi lentamente torna calma. Serena.
Eppure
il sasso c’è, infondo al lago. E ormai
fa parte di lei.
Danneggiata.
Lei
dal passato in subbuglio, troppo innamorata per accorgersi che commetteva una
sciocchezza a sposare un uomo condannato a morte.
Troppo
moralista per non sposarlo solamente per questo motivo.
Troppo
ingenua per capire che tutto questo l’avrebbe segnata.
Per
sempre.
Lei,
razionale, atea, irrazionale e credente.
Lei
che ha bisogno di capire, di schematizzare.
Lei,
irrazionale, emotiva, poetica, romantica.
Atea,
e miscredente verso un Dio che lasciava nel mondo la sofferenza e profondamente
credente nell’amore degli uomini, fiduciosa, generosa, filantropa.
Lei,
l’enigma.
Il
puzzle che non è possibile completare perché cambia di continuo e proprio
quando credi di aver risolto, di aver capito, di star ad un passo dal traguardo
arriva il vento che scompiglia le carte, confondendole.
E
così lei.
Lei,
il sogno proibito.
Lo
osservava, muta, nel buio di quella stanza, nel silenzio che era
inevitabilmente calato tra di loro. Piegò la testa di lato con un’espressione
quasi intenerita, come se avesse visto un dolcissimo bambino in una
carrozzina.
E
sorrise. Un sorriso sincero, sereno, che contrastava nettamente con gli occhi
velati di pianto.
Non
disse nulla e lui gliene fu grato. Non voleva sentire niente, non voleva
parole, discussioni, non voleva niente. Gli bastava stare lì, seduto accanto a lei, restare ad osservarsi, a
fissarsi, scavare così nel suo animo, nella sua intelligenza, nella sua
bellezza, nella sua ingenuità anche, quell’ingenuità che tante volte si era
divertito a trafiggere.
Le
sue illusioni, i suoi sogni che mille volte aveva infranto.
Dopo
mesi, era strano vederla lì, adesso.
Dopo
mille discorsi, dopo mille bugie, inganni, pianti, non aveva mai pensato che
potesse davvero finire così.
Si
erano trovati a litigare per l’ennesima volta in ufficio, poi lei lo aveva
raggiunto a casa per un chiarimento e avevano litigato di nuovo. Lei, con
ancora più rabbia, lui sempre più sarcastico, ironico.
L’indifferenza,
il rancore, si era mischiato nei loro discorsi.
Poi
erano esplosi.
E
insieme a loro, era esploso quell’alone di sufficienza, quelle distanze che si
erano imposti, quella forza d’animo che non avevano ma che sempre avevano
creduto di possedere.
Tutto
era crollato.
Era
bastato trovarsi un po’ più vicini.
Le
loro idee, i loro pensieri, la razionalità, i mille discorsi che si era fatto
lui convincendosi che di lei non gliene importava niente, le mille congetture
di lei nell’assurdo tentativo di dimenticarlo, tutto era diventato inutile,
passato. Lontano.
Dimenticato.
Adesso
era diverso.
Non
sarebbero cambiati, lo sapevano entrambi.
Perché
l’amore non cambia, l’amore completa.
L’amore
salva.
E
loro si stavano salvando entrambi. Nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso, ma
era così.
Era
un aggrapparsi a vicenda, un rendere unito e completo quello che era sempre
stato tristezza, confusione.
Era
la certezza di non essere più solo, la speranza di avere qualcuno che ci
sarebbe stato. Sempre.
E
lo sapevano. Entrambi.
House
sorrise, lentamente, avvicinandosi di più alla ragazza.
Le
prese il viso nella mano accarezzando con il pollice la soffice superficie
della sua guancia, godendosi lo spettacolo di lei che chiudeva lentamente gli
occhi al suo tocco.
Da
quanto tempo desiderava farlo? Da quanto aveva avuto l’impulso di baciarla, di
stringerla?
Da
troppo.
Troppo.
E
adesso, l’aveva lì, tra le sue braccia.
Avrebbe
voluto dirle cosa provava. Quale era l’emozione che attanagliava il suo cuore.
Inutile.
Non
ci sarebbe riuscito mai. Perché lui era così, chiuso, freddo, ermetico.
Ma
la cosa più fantastica era che con lei non aveva bisogno di parole. Lei lo
capiva, capiva ogni suo singolo sguardo, capiva ogni cenno del suo volto.
Lui
sapeva che lei non sarebbe mai dovuto cambiare. Mai.
Cameron
abbassò un attimo lo sguardo, concentrandolo su il letto che aveva ospitato il
loro amore, sulle lenzuola fredde come il vento che stava iniziando a soffiare,
di fuori.
Felice.
Vide per la prima volta House felice.
Lo
capì dai suoi occhi, dalla sua espressione. E anche lei lo era, indubbiamente.
Aveva
avuto l’unico uomo che avesse mai amato, e non importava se era egocentrico,
testardo e cinico, lui era l’unico che facesse davvero battere il suo cuore
all’impazzata, lui dava quel ‘quid’ alle sue giornate, lui. Lui, House.
Avrebbe
preferito non interrompere quel silenzio quasi magico ma voleva un’ultima
certezza: stava mettendo il suo animo in quello di House, la sua vita, nelle
mani di House.
Doveva
sapere un’ultima cosa.
-se
cadrò.- sussurrò, flebilmente.- tu mi prenderai?-
Voleva
e doveva saperlo.
Perché
lei sarebbe caduta, molte volte.
House
la fissò, intensamente. Non poteva darle false promesse o un avvenire che non
era chiaro nemmeno a lui. Aveva sempre odiato le illusioni.
Ma
di una sola cosa era sicuro.
Che
lui ci sarebbe stato.
Disse,
con una voce che risultò un po’ roca. - cadremo insieme.-
House
esibì un ghigno divertito e continuò, non potendo fare a meno di metterci un
pizzico della sua solita ironia.
-infondo,
non ti dimenticare che sono zoppo.-
Il
volto di Cameron s’illuminò e un bellissimo sorriso si dipinse sul suo volto
finalmente felice.
Era
quella la risposta che voleva.
Fine
Diomache.