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Autore: MaTiSsE    30/03/2012    3 recensioni
“Qual è il vostro nome?” domandò come se si trattasse dell'interrogativo più ovvio, in quel frangente.
“Giuseppina.”
“Perché sono certo che mi stiate mentendo?”
La donna sorrise.
“Perché vi sto mentendo. O, quantomeno, non vi sto dicendo tutta la verità.”
“E dunque?”
“Continuate ad essere un uomo curioso, vedo.”
“Ho l’inspiegabile necessità di scoprire tutto di voi. Eppure non me ne date modo. Credete sia troppo colpevole?”
“Per così poco? No, non lo credo.”
(...)
“In ogni caso, mi chiamo Antonia…”
“Antonia…” ripeté lui, come se si trattasse di una dolce poesia, del suono più struggente al mondo. “Vorrei vedere il vostro volto…”
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Questa OS ha partecipato al contest indetto  da Lela, Elle e Cinzia sul gruppo Tutte per una. Ringrazio le giudicesse per l’opportunità: senza, Antonia non sarebbe nata. L’evento raccontato in questa one shot in parte è vero. E’ giusta l’ambientazione e la data. Thérèse cui faccio riferimento è Maria Teresa Luisa di Savoia, principessa di Lamballe.




 


Antonia


 

“La sola cosa al mondo
che volevo era essere felice
ad ogni costo…”
Maria Antonietta – Quanto eri bello (2012)

 
 
 
 
Parigi, 30 Gennaio 1774
 
 



“Madame la…”
“Ssshh!”

Antonia si pose delicatamente l’indice sulle belle labbra vermiglie, costringendo al silenzio l’amica dai boccoli bruni.

“Thérèse! Per l’amor di Dio, mi sono raccomandata così tanto! Non pronunciate più un simile appellativo, ve ne prego… Per stasera, chiamatemi semplicemente Antonia.”
“Ma non mi è possibile!” rispose l’altra scandalizzata, scuotendo la bella testa  “Ve l’ho già detto, è contro ogni regola dell’etichetta e io…”

Antonia sospirò aprendo il ventaglio piumato con uno scatto e dandosi aria, come per riprendersi dalla fatica di dover convincere la sua giovane accompagnatrice a soddisfare quella piccola richiesta. Effettivamente, c’era troppo freddo fuori per desiderare realmente di sventolare un così grazioso quanto inutile accessorio: l’unica buona ragione per farlo doveva essere per forza di cose la necessità di non spazientirsi con la propria damina. Anche perché, dopotutto, era una brava giovane. Appena troppo pudica e noiosa, nient’altro.
Quando si riebbe si avvicinò di qualche passo alla dolce Thérese porgendole le mani. Le guance della giovane sfumarono in un rosso delizioso mentre ricambiava la stretta, lusingata.

“Thérèse, avete a cuore i miei desideri, non è vero?” domandò con voce suadente, quella da bambolina cui nessuno riusciva a resistere. Thérèse, povera cara, annuì immediatamente, come in trance.

Le labbra di Antonia si aprirono subito in un sorriso luminoso: era consapevole del suo potere, sapeva farsi valere. Da quando era nata ogni suo desiderio era stato soddisfatto: era questa un’abitudine tanto graziosa ed ella non aveva assolutamente intenzione di rinunciarvi. Men che meno ora che si trovava alle prese con la sua giovane e moralista Thérèse.

“Dunque,” continuò “non vi sembrerà troppo scabroso se, per una serata soltanto, potrete acconsentire alla mia richiesta dimenticando queste stupide formalità… E’ così, mia buona amica?”

Sbatté le ciglia più volte mentre la giovane si perdeva nei suoi occhi azzurrissimi: così fu costretta a capitolare.

“No…”
“No, cosa?”
“No, non mi sembrerà troppo scabroso, Madame… ” – Rispose dunque Thérèse molto debolmente.
“Antonia… Ho detto Antonia.”
Oui, Antonia…”
“Bene.” approvò con un cenno del capo “ Dunque, se tutto è a posto, possiamo avviarci. Sorridete! E’ una serata di festa questa e noi ci divertiremo moltissimo! Juliette, Josephine! Le maschere…”


Batté le mani allegramente ed altre due dame, in risposta all’invito della bella signora, si affrettarono a indossare le proprie mascherine, inchinandosi poi con un sorriso: dopotutto, se la padrona desiderava divertirsi  non potevano sottrarsi di certo a tale richiesta. In realtà, loro stesse non aspettavano altro che dimenticare la propria noiosa vita per una serata soltanto: avrebbero accantonato le facce arcigne dei loro vecchi mariti, le scenate di gelosia degli amanti, la preoccupazione per i debiti di famiglia, l’irritazione per i piagnistei di quelle carovane di figli sgravati senza voglia dal ventre non più immacolato. Avrebbero dimenticato se stesse e il tedio di quei diciotto anni senza amore ballando il valzer degli sconosciuti e questo le avrebbe aiutate a sopportare quella triste esistenza ancora per un po’.
Thérèse, al contrario, alzò gli occhi al cielo di nascosto mentre le amiche già confabulavano ridacchiando al seguito della loro bella signora.
Lei non era un tipo particolarmente svagato e la superficialità non albergava nel suo cuore. Francamente non si sarebbe allontanata da palazzo per tutto l’oro del mondo quella sera: riteneva sconsiderata – se non pericolosa - l’idea di essere sgattaiolate di nascosto dai propri appartamenti per approdare ad una festa in maschera in centro, all’Opéra di Parigi. Ma a quegli ordini della sua signora, presentati in forma di innocente desiderio, non era autorizzata a dire di no. Malauguratamente.
E quella sera la suddetta signora aveva soltanto voglia di ridere e divertirsi.
Sospirò la povera Thérèse mentre percorreva con le sue scarpette in raso celeste i pavimenti lucidi della Sala della Bouteille ed ancora sospirando pregò: soltanto Iddio avrebbe potuto aiutarla a tenere la sua padrona lontano dai guai.
Svampita e deliziosamente ingenua com’era, non sarebbe riuscita a trattenerla da sola.


***


“Ma è… meraviglioso! Non trovate anche voi?”

Gli occhi di Antonia brillavano e ridevano alla luce delle mille candele che irradiavano la sala dagli stucchi d’oro e d’argento. Non era così felice da tempo cosicché si dispiacque nel constatare che, viceversa, la sua cara Thérèse – e soltanto lei – non condividesse in egual misura il suo stato d’animo. Le voleva molto bene –  era stata una cara amica sin dai primi giorni della sua nuova vita in una terra che non le apparteneva – e per sempre le sarebbe stata grata per tale  sostegno. Tuttavia, avrebbe desiderato che, in molte occasioni, la fanciulla le avesse sorriso di più e più allegramente, se non altro per non darle l’impressione di essere l’unica sprovveduta a divertirsi con poco ed in maniera tanto superficiale.
Sospirò distogliendo lo sguardo dalla giovane: si era ripromessa di essere felice per quella serata. Niente e nessuno avrebbe dovuto minare tale intento. Se lo meritava, era un suo diritto, e chi non l’avesse condiviso avrebbe…beh, avrebbe potuto far altro. A patto di non disturbarla.
Tornò quindi a guardarsi intorno, curiosa ed affascinata, dimenticando la sua malinconica amica.
Anche in quel mese di Gennaio, così com’era accaduto in tutti gli anni addietro, i saloni dell’Opéra ospitavano una grandiosa festa in maschera in grado di attirare folle di curiosi provenienti da ogni parte della città e non solo. Difatti, un gran numero di stranieri, in visita alla bella capitale francese, sembravano aver approfittato dell’occasione per essere introdotti alla vita mondana parigina e lo si comprendeva facilmente dalla babele di lingue che si mischiavano attorno a lei: italiano, spagnolo, inglese ed il suo caro, carissimo tedesco che da troppo tempo non parlava più. Antonia non aveva mai visto tanta gente riunita nello stesso luogo, neppure ai sontuosi ricevimenti che talvolta venivano organizzati nella sua casa natale: tutto quel cicaleccio confuso, la luminosità delle candele, i nobiluomini e le damine che le vorticavano attorno con quei loro abiti colorati ed il viso nascosto dietro le maschere veneziane, le davano una piacevole sensazione di capogiro. Cominciava a sentirsi di nuovo viva come non accadeva da tempo. Così, in mezzo a degli sconosciuti di cui ignorava le fattezze, in un luogo che le era estraneo e paradossalmente già quasi più familiare di quel teatrino dove era costretta a fingere ogni giorno che la sua vita fosse bellissima e perfetta.
Accanto a lei Josephine e Juliette già si esibivano nella complicata arte del corteggiamento e lo si comprendeva facilmente guardando ai loro occhi che ammiccavano eloquenti da dietro le mascherine bordate di merletti variopinti. Molti ventagli piumati sventolavano briosamente nelle sue vicinanze celando – ma solo in parte - belle labbra vermiglie piegate all’insù in risate tanto suadenti quanto crudeli. Crudeli allorché la fonte di tanta ilarità altri non era che un commento sarcastico a carico di un vestito poco elegante o di un paio di scarpette vagamente demodé.
Ancora sorridendo, Antonia strinse quindi la maschera attorno al proprio viso con maggior forza – non poteva rischiare di farsi scoprire e poi l’idea dell’anonimato la stuzzicava non poco – e si avviò verso il centro della sala. Aveva voglia di conoscere nuova gente, fingere di essere qualcuno che non era, ridere a crepapelle senza motivo e tornare a casa con i capelli arruffati e le guance rosse per la gioia, piuttosto che per il belletto.
Si allontanò sicura, dopotutto: sapeva che, anche a distanza, gli occhi scuri di Thérèse l’avrebbero comunque osservata e sorvegliata.
Ignorava Antonia che altri occhi – diversi da quelli dell’amica, più scuri e maliziosi – la scrutassero da lontano già da diversi minuti.
Erano gli occhi di un giovane tanto bello quanto gentile.
Un giovane straniero dall’aria assorta che molti cuori aveva già infranto nel corso della sua breve ed intensa esistenza. Un giovane svedese di nobili origini il cui nome era Hans Axel Von Fersen.
Un nome che avrebbe fatto storia e molte malelingue avrebbe lasciato parlare negli anni a venire.


*


Axel l’aveva notata quasi subito Antonia quella sera: quel suo incedere elegante non avrebbe potuto sfuggirgli, neanche ad una tale distanza. Piuttosto, si chiese come fosse possibile che tanta grazia risultasse evidente esclusivamente ai suoi occhi: nessun altro, infatti, tra coloro che gli stavano attorno, sembrava allo stesso modo interessato a lei. Eppure – ne era certo – non vi era altra dama in quella sala in grado di esibire la medesima raffinatezza o lo stesso garbo.
Di quella donna sconosciuta Axel studiò in breve tempo ogni minimo particolare: il modo in cui la sua mano delicata reggeva la gonna dalle sfumature amaranto, la luminosità dei suoi capelli color dell’oro – non aveva mai visto una tonalità simile, a dirla tutta –  la perfezione del suo profilo e di quel collo sottile. Qualche sguardo eloquente riuscirono a scambiarselo, in realtà, ma sempre troppo rapidamente per i gusti di Axel poiché la giovane damina sembrava avere parecchia fretta nel dirigere altrove la propria attenzione. Benché una mascherina piumata ne nascondesse in parte le fattezze, l’uomo se la immaginò sin da subito bellissima e non esitò a seguirla allorché la vide allontanarsi dall’angolo in cui si era rintanata con le proprie compagne: doveva conoscerla.
Si aggirò tra la folla, senza perderla d’occhio. Scansò qualche nobiluomo troppo brillo e continuò a seguirla per l’immensa sala, sorridendo allorché la scopriva intenta ad improvvisare un passo di danza.
Fu nel momento in cui i sonatori attaccarono le prime note di un minuetto che Axel comprese che la sua bella damina andasse alla ricerca di un cavaliere: si guardava intorno con aria divertita e spaesata al contempo, troppo desiderosa di danzare e troppo sola per farlo realmente. Evidentemente quella musica in particolare doveva piacerle molto cosicché si decise a farsi avanti.
Ignorava che, in lontananza, qualcuno osservasse anche i suoi movimenti: Thérèse, infatti, non distolse lo sguardo da lui neanche per un istante.
 
“Madame?” domandò dunque ingenuamente e con voce gentile. Antonia si voltò immediatamente.
Oui?”
Due meravigliosi occhi di cristallo incontrarono i suoi, più scuri, ed Axel – vergognosamente – tremò. La maschera non poteva nascondere la dolcezza di quello sguardo, né poteva impedirgli di soffermarsi sul quel risolino appena accennato di lei, sulle belle labbra vermiglie e quelle guance piene e rosee. Doveva trattarsi di un angelo, non poteva essere altrimenti.

“Volevo chiedervi se… potreste concedermi l’onore di questo ballo…”
“Oh…!”

La giovane si finse sorpresa, per quanto rallegrata da una simile richiesta. Eppure tentennò prima di acconsentire con un cenno del capo, porgendogli la mano. Le avevano insegnato a farsi desiderare sin da quand’era bambina ma non avrebbe potuto farlo per molto tempo davanti a quel giovane. Non indossava la maschera, stranamente, ed il suo viso pulito catturò immediatamente la sua attenzione: aveva occhi scuri e profondi ed un bel sorriso. Ad Antonia piacque subito ed ancor più le piacque l’idea che avesse invitato a ballare proprio lei: Axel non poteva saperlo che ogni volta che s’era voltata verso le scale era stato soltanto per guardare lui.
Era un bel giovane, dopotutto: alla sua vista arguta non era sfuggito di certo.

“Dunque è un sì, Madame?”
“E’ un sì.” acconsentì ridacchiando prima di scivolare rapida nella sua presa.

Danzarono per un po’ senza parlare: le note del minuetto erano troppo intense e coinvolgenti per perdersi in discorsi formali, tra sconosciuti che sarebbero rimasti tali per il resto della propria vita. Eppure…eppure Antonia seppe sin da subito che c’era qualcosa di incomprensibile e meraviglioso che aleggiava tra loro. Forse, per la prima volta, non stava provando fastidio né irritazione e neppure indifferenza nel tenergli mano. Il suo palmo non era molle o appiccicaticcio come quello del suo pigro consorte o degli altri vecchiacci cui era obbligata a ballare per buona educazione; la sua stretta, piuttosto, era calda e accogliente e la trovava molto più che gradevole. Il giovane teneva lo sguardo fermo su di lei – poteva vederlo facilmente con la coda dell’occhio – e un po’ arrossì: era abituata ad avere gli occhi degli estranei puntati addosso ma non in quel modo. Inoltre, Luigi non l’aveva mai guardata con tanta attenzione.
Cercò di mantenere la calma fino alla fine del ballo ma l’imbarazzo ebbe presto la meglio e scoppiò a ridere tra le braccia del suo cavaliere.

“Madame?” domandò lui perplesso.
“Oh, vi prego, per amor di Dio! Non fissatemi in questo modo!”
“V’imbarazzo? Perdonatemi, non era mia intenzione…è soltanto che..”
“Che?” incalzò.
“Siete certamente molto bella. Ed io non posso fare a meno di guardarvi.

Antonia deglutì e un poco sorrise: non si aspettava certamente una dichiarazione tanto repentina! In altre occasioni si sarebbe sentita al minimo infastidita da tanta impudenza ma non in quel caso: quel giovane aveva occhi sinceri ed era bello, bello come il sole. Non avrebbe potuto arrabbiarsi per davvero la piccola Antonia. Al più, divertita, ridacchiò ancora un po’ prima di rispondergli:

“Monsieur, non correte un po’ troppo? Inoltre, indosso la maschera. Come potete essere così certo della mia bellezza se parte del mio volto vi è celato?”
“Non vorrei sembrarvi sfacciato Madame, no davvero. Ma sentivo di dovermi confessare: sono un esteta ed in quanto tale riconosco la grazia del Signore e la venero in tutte le sue forme. E non c’è bisogno certamente di un mago per riconoscere la vostra bellezza: è evidente.”
Antonia sorrise e guardò altrove. Avevano smesso di ballare già da un po’, restandosene così, impalati nel mezzo della sala. Intorno a loro una moltitudine di mascherine vorticava sinuosamente e troppe risate anonime risuonavano sino alle loro orecchie, contagiose.
“Siete davvero gentile, Monsieur…Monsieur?”
“Axel…Hans Axel von Fersen, Tenente Generale del Regio esercito svedese, per servirvi” rispose lui prontamente, con un lieve inchino.
“Axel,”  ripeté lei “Dunque non siete francese…”
“No. E neanche voi, Madame.” ridacchiò.
“Come lo sapete?!”

Già tremava credendo che il suo adorabile interlocutore avesse scoperto l’identità che tanto amava celare. Più per obbligo che per divertimento personale, a dirla tutta. In ogni caso, dovette tranquillizzarsi quasi subito dinanzi alle parole del bel giovane, benché la risposta che ricevette non fosse esattamente quella che sperava di udire.

“Il vostro accento vi tradisce. Origini teutoniche?”

Antonia si morse dunque il labbro, delusa: possibile che anni ed anni di esercizio ed esperienza diretta non le fossero serviti a nulla? Non era quindi in grado di apparire come una perfetta cittadina francese?
Se fosse stato possibile avrebbe pianto per l’irritazione, considerando una simile evidenza! Tuttavia, si trattenne: per una donna del suo rango non era lecito né ammissibile versare lacrime in pubblico, ancor meno in mezzo ad una folla in maschera.
 
“Ho detto qualcosa di spiacevole, Madame?”
“No, nulla.”
“Dunque? Siete tedesca?”
“E voi, invece? Da quale lontana terra provenite?” si decise a cambiar discorso.
“State rispondendo con una domanda alla mia domanda?”
“Sì. Perché siete un impudente e non sapete che non si pongono mai troppi interrogativi ad una gentildonna.” lo canzonò.

Axel sorrise: gli piaceva la civetteria della sua dama ed il modo in cui le belle labbra rosse si piegavano in un sorriso. Tuttavia, era stanco delle altrui chiacchiere, delle risate rese sguaiate dallo champagne e del chiasso attorno a lui poiché distoglievano troppo spesso la sua attenzione dalla bella giovane che gli stava di fronte. Cosicché, prese coraggio e con un bel respiro si decise ad affrontare il passo successivo.

“Vi sembrerò più impudente, Madame, se decidessi di invitarvi fuori, al chiarore della luna? Questa sala è davvero troppo affollata e comincia ad irritarmi: non posso dialogare con voi come desidererei. Se doveste aver freddo vi presterò il mio mantello. Parola di gentiluomo.”

Si portò la mano al cuore, Axel, in un gesto di solenne promessa. Ma per Antonia tutto questo non era necessario: qualcosa di irrazionale, un moto del suo cuore che non poteva comprendere e che scattava nell’esatto istante in cui il bel giovane incastrava le proprie iridi verdi nelle sue più chiare. Antonia non sapeva spiegarsi perché, quando Luigi la guardava con quel suo sguardo timido e un po’ svogliato, non provava lo stesso, inspiegabile brivido. Era possibile che un uomo conosciuto da pochi istanti potesse comunicarle molta più emozione di suo marito, con quegli occhietti scuri e porcini? Deglutì a fatica ma neppure per un istante dubitò delle sue intenzioni:

“Non siete troppo impudente. Vengo voi, Monsieur.”

Non si considerò una svergognata nell’allontanarsi verso la terrazza con quell’uomo sconosciuto, nossignore. Piuttosto, gli allungò la mano di propria volontà, lasciandosi trascinare con lui verso lidi più felici. Per quella sera aveva giurato a se stessa che avrebbe dimenticato il proprio nome, la sua casata e le regole dell’etichetta: per quella sera l’unica cosa che desiderava era essere felice. E l’essere felice poteva includere anche una fuga notturna verso uno spazio buio con accanto un estraneo dagli occhi belli e la voce suadente.
 
*

La notte era gelida ma Antonia non aveva freddo. Axel le prestò il mantello ed il suo buon odore la inebriò. Si sentiva di nuovo corteggiata e già quasi desiderata, ma non per quei loschi fini che ormai aveva imparato a riconoscere. E neanche perché era un obbligo sedurla, giacché quel giovane ignorava la sua vera identità. A ben considerare, Luigi neppure per obbligo la sfiorava: se pensava a quante notti aveva speso a piangere accanto al corpo del marito dormiente le veniva il mal di stomaco. Era stato in grado di farla sentire assolutamente brutta ed inutile per molto, troppo tempo ed anche se adesso fingeva di non badarci più beh…in realtà ci pensava eccome. E tale evidenza le appariva molto più chiara adesso che Axel le stava accanto: il modo in cui la guardava le ricordava quanto il suo sguardo lusingato fosse fin troppo distante da quello di Luigi. Le ricordava quanto non fosse importante per suo marito e per tutte le vane creature che la circondavano, fatta eccezione per Thérèse, forse. Trattenne a stento una lacrima.

“E’ una bella notte, il cielo è sereno…” mormorò Axel come per spezzare quel momento di silenzio.
“…E’ vero.”  approvò Antonia  “L’aria è limpida. Sa di buono.”
“Forse solo un pochino troppo fredda.”
“Sì, un pochino sì…”

Antonia ridacchiò, guardandolo di sottecchi: se ne stava poggiato alla balaustra, il profilo fiero rivolto verso la notte buia, i capelli raccolti in un codino morbido e scompigliato dal vento. Ne studiò le linee dolci del viso e soltanto allora si rese conto di un particolare importante:

“Voi non indossate la maschera Monsieur. Perché?”
“Chi è adesso quello curioso?” rispose lui ridendo. Ancora guardava verso l’infinito, come se il paesaggio di stradine ed abitazioni intorno a loro fosse affascinante a tal punto da non consentire di dirottare altrove la propria attenzione. Ma forse la causa di un tale stato di trance era il rumore delle acque della Senna che fluivano poco lontane.

“Potrei non considerarvi molto un gentiluomo se decideste di non rispondermi.” Antonia mordicchiò il labbro inferiore.
“Non c’è un motivo in particolare. Trovo persino troppo vane queste manifestazioni di allegria e pubblico divertimento. Neanche mi troverei qui se non mi avessero trascinato.”
“Siete troppo duro. Non c’è nulla di male in un ballo in maschera.”
“Lo pensate davvero? Io invece credo che questa smania di nascondersi sia inquietante. Come se tutte le persone in questa sala abbiano la necessità di sfuggire alla propria vita, fingere di essere ciò che non sono. Credete che riderebbero allo stesso modo nei loro abiti quotidiani?”

Antonia fremette, sentendosi chiamata in causa. Come se quello sconosciuto le stesse puntando l’indice contro, additandola per quello che era davvero: una povera illusa che voleva dimenticarsi di se stessa e di tutto ciò che la costringeva a piangere per il dispiacere ogni notte.

“Come potete esserne certo? E se anche fosse, quale sarebbe il problema? Ognuno ha diritto al suo momento di gioia, all’occasione per riprendere aria prima di affrontare la tempesta!”
 
Tu non puoi parlarmi così…
Lasciami sognare!
 
Quasi si strappò il vestito per l’energia con la quale l’agguantò, in preda alla furia.

“Ho detto qualcosa di sbagliato?” la guardò perplesso.
“Io..”
“Madame…”
 Le afferrò la mano, la sfiorò con le labbra. Antonia tremò.

Forse per la rabbia, forse per l’emozione. Il modo in cui il suo tocco, inspiegabilmente, trapassò la sua pelle candida la costrinse ad un sussulto. Quando guardò nei suoi occhi comprese molte cose e dimenticò la rabbia di poco prima.

“Perdonatemi…”
“Non è colpa vostra” confessò.
“Qual è il vostro nome?” domandò come se si trattasse dell’interrogativo più ovvio, in quel frangente.
Giuseppina.”
“Perché sono certo che mi stiate mentendo?”
La donna sorrise.
“Perché vi sto mentendo. O, quantomeno, non vi sto dicendo tutta la verità.”
“E dunque?”
“Continuate ad essere un uomo curioso, vedo.”
“Ho l’inspiegabile necessità di scoprire tutto di voi. Eppure non me ne date modo. Credete sia troppo colpevole?”
“Per così poco? No, non lo credo.”
Decise di arrischiarsi. Svelargli il suo nome – solo quello – non avrebbe dovuto essere particolarmente pericoloso. Dopotutto, era solo un nome e anche piuttosto comune.
“In ogni caso, mi chiamo Antonia…”
Antonia…” ripeté lui, come se si trattasse di una dolce poesia, del suono più struggente al mondo. “Vorrei vedere il vostro volto…”

Allungò la mano verso di lei e l’incantesimo si spezzò. Antonia fece un passo indietro, poi un altro. E balbettò che no, non era possibile.

“Posso chiedervi il perché?”
 
Giusto. Perché?
 
“Non…non…”
 
Non sei in grado di rispondere ad una semplice domanda, Antonia?
 
Fissò quell’interrogativo negli occhi scuri del giovane e d’improvviso immaginò che non fosse più così buio intorno a loro. Piuttosto, le parve come una luce bianca ed abbagliante si proiettasse prima sul viso di Axel, accentuandone la sorpresa e la perplessità, e dopo su di lei, mettendola a nudo. Costringendola a vergognarsi di se stessa.
Perché non era vero niente ed era vana ed illusoria  la sua idea di potersi liberare anche solo per una serata dagli obblighi e dai moralismi della sua esistenza. Vana ed illusoria l’idea di vivere spensieratamente e con gioia la sua età, per un attimo soltanto. Invece, neppure quell’attimo le era concesso: perché lei, Antonia, la maschera non poteva togliersela. Non poteva pronunciare il suo nome senza paura di essere scoperta. E non poteva accettare la corte di quel giovane per quanto bello le apparisse perché lei era una donna sposata.
Sposata con un uomo che neppure ti guarda, Antonia…
 
Le venne da piangere e maledisse Axel mentalmente: se non avesse insistito per scoprire il suo nome e per conoscere le sue fattezze, se non avesse tentato di convincerla ad abbandonare quel suo rifugio personale fatto di piume e merletti, se…
Se, se…se.
 
Quante storie Antonia! Il problema non è Axel, né tutto il resto. Il problema sei tu, la tua vita, quella cerchia ridicola e disgustosa di sanguisughe che ti gira intorno, gli obblighi privi di senso cui sei costretta ad ubbidire. Fai i conti con te stessa: è questa la verità!
 
“Antonia?”

Ancora chiamava il suo nome, Axel, e la giovane lo guardò con occhi sgranati, come se lo vedesse per la prima volta, troppo presa dalle voci nella sua mente. Era certa che al posto suo anche lei avrebbe fatto molti capricci per saggiarne il volto con lo sguardo e lo comprese. Ma sapeva anche che questo non sarebbe stato possibile e prima che Axel potesse aggiungere altro preferì stroncarne qualsiasi ulteriore, innocente proposta sfoggiando quel tono di comando che le avevano insegnato ad usare molti anni addietro e solo per necessità:

“Adesso basta Monsieur. Credo davvero che la vostra impudenza abbia superato il limite. Non vedrete il mio volto, né adesso né mai. Indosso questa maschera perché per voi – per tutti voi – sono troppo e non per divertimento né per desiderio di fuga. Semplicemente perché nessuno di voi qui dentro è alla mia altezza. E per lo stesso motivo non la toglierò, sia che siate voi a chiedermelo, sia qualcun altro. E ora scusatemi ma devo andare.”
 
Aveva le lacrime agli occhi Antonia quando, alzandosi la gonna con entrambe le mani, si lasciò alle spalle in uno scatto Monsieur Fersen.
Aveva mentito. E aveva recitato.
Non era arrabbiata con Axel. Soltanto con se stessa o forse neppure quello.
Con chi poteva prendersela per essere nata principessa, dopotutto?
In ogni caso i suoi reali natali quella sera avrebbero dovuto essere taciuti, per amor di tutti e in particolar modo per quel giovane che sembrava già averla tanto a cuore. Oltre che per lei, ovviamente. Per questo ricorse alla strada della durezza e dell’arroganza: avrebbe stroncato prontamente ogni interrogativo a venire. Axel l’avrebbe considerata  una dama molto sgradevole e non avrebbe insistito oltre. L’avrebbe dimenticata in fretta e senza danni, almeno per quanto lo riguardava.
In realtà il giovane  non sembrava propenso a demordere tanto facilmente così come la fanciulla immaginava e proprio mentre Antonia stava per rientrare in sala confondendosi tra la folla, l’agguantò per il polso e la costrinse voltarsi:

“Madame…!”
“Lasciatemi!” esclamò una Antonia più sconcertata che irritata “ Siete un insolente!”
“Perché reagite in questo modo, Madame? Che vuol dire che siete troppo per tutti …tutti noi?”
 
Me compreso.
 
“E’ così difficile da comprendere? Non siete alla mia altezza, tutto qui.”
“Perché siete diventata così improvvisamente ostile? Cos’ho detto di tanto sbagliato? E perché fingete una tale arroganza?”
 
Come puoi esser così certo che io stia fingendo?
 
“Fingere?” mormorò sprezzante  “Vi sbagliate di grosso, Monsieur.”
 
Axel sorrise. Stava davvero fingendo. Doveva essere ancora molto piccola, a pensarci.

“Una voce gentile come la vostra, gli occhi ridenti sino a qualche minuto fa… Madame, volete ingannarmi ma state ingannando solo voi stessa. Lo sapete questo?”

Antonia distolse lo sguardo da lui, preoccupata. Sembrava che quello sconosciuto – quell’Axel – la conoscesse da una vita. Era in grado di penetrare e sconvolgere i suoi pensieri senza neppure aver apprezzato completamente il suo volto.
Cominciava a non essere più certa che andare a quella festa fosse stata una buona idea.
Tuttavia, trovò ancora la forza per parlare

“Non vi ho mentito…” si sentì quasi obbligata a rispondere.
“No?”

Axel inclinò il capo su di un lato, osservandola con interesse. Alle loro spalle il mondo aveva ricominciato a ciarlare: non più prigionieri compiaciuti e volontari della notte che spadroneggiava fuori da quella sala ma di nuovo vittime di coriandoli e risate volgari, di litri di champagne e dame che incespicavano nei propri abiti, sghignazzando senza neppure rendersi conto del luogo e della gente attorno a loro. Qualcuna tra quelle dame sfiorò l’abito di Antonia, troppo brilla per reggersi in piedi.
Ma Antonia non se ne curò: il suo mondo, in quell’istante, era tutto concentrato negli occhi verdi di Axel.

“Non vi ho mentito,”  ripeté  “Sono davvero troppo per voi.”
“Non vi seguo.”
“Dovreste. Vi sto dicendo molto più di me di quanto non riusciate ad afferrare. E’ davvero difficile, non è così?”

Axel continuò a guardarla con l’aria sorpresa e curiosa di chi abbia capito che c’è sotto un trucchetto ma non riesca a comprendere esattamente quale. E allora si arrischiò, per l’ennesima volta in quella serata allungando la mano verso il visetto delicato di Antonia. Scoprì la morbidezza della sua guancia candida e sorrise: Antonia gli aveva detto la verità e lui non lo sapeva.
La giovane, sotto quel tocco delicato, socchiuse gli occhi e sospirò. Immaginò che la sua vita potesse esser fatta di cose semplici come quella: una carezza, un bacio aggraziato, un gesto gentile, una parola affettuosa. Un abbraccio sincero.
Ma, ovviamente, queste prerogative non valevano per lei: per lei che tutto poteva avere tranne che l’amore. L’amore di una madre, del coniuge, di un’amica vera. Tutto questo non era affar suo. E dunque, perché le sembrava comunque paradossalmente amorevole e caloroso il tocco di quell’uomo che non conosceva neppure da un paio d’ore? Perché non provò fastidio quando scoprì il suo viso a pochi centimetri dal proprio?

E perché le parve naturale farsi coraggio slacciando il nastro che teneva la mascherina ben salda sul suo viso?
Come se fosse stato qualcosa di dovuto. Come se Axel se lo fosse meritato.
Vide le pupille di lui dilatarsi quasi per l’emozione di fronte a quel gesto e forse avrebbe anche sorriso, il giovane, se qualcosa di terribilmente reale non fosse venuto ad interromperli con fastidiosa puntualità.

“Madame! Madame, dobbiamo andare!!”

Thérèse. La cara, dolce, Thérèse! Il suo angelo custode, la voce della sua coscienza. Nell’unica sera in cui avrebbe dovuto tacere stava urlando, ricordandole i propri obblighi.

“Thérèse!” – Antonia dimenticò il tocco di Axel, il calore della sua mano. Ne perse il sorriso, tramutatosi ora in una smorfia di perplessità. Avrebbe voluto voltarsi verso l’amica e rimproverarla sonoramente per la sua invadenza ma si trattenne quando nei suoi occhi riconobbe l’ombra della medesima disapprovazione che un tempo aveva letto negli occhi di sua madre, quand’era ancora una semplice Arciduchessa. Disapprovazione mista a terrore: non se la sentì d’infierire. Rivolse appena una rapida quanto dolorosa occhiata ad Axel prima di calare lo sguardo lasciando che la stretta ferrea e convinta di Thérèse la trascinasse via. In ogni caso, la sua amica non fu abbastanza pronta da evitare che la maschera che copriva in parte le fattezze di Antonia scivolasse lentamente lungo il suo volto.
Accadde in un attimo: qualche gentiluomo ancora sufficientemente lucido riconobbe nel visetto da bambola di Antonia i lineamenti di porcellana della propria Delfina, additandola immediatamente alle dame vicine. Due o tre di quelle dame –  le più pettegole – lanciarono subito gridolini di gioia e meraviglia. E ben presto quell’appellativo, quel “Dauphine” che tanto Antonia detestava cominciò a circolare insidioso. Prima piano e poi sempre più forte, sino ad essere urlato da voci sguaiate ed estranee.

“La Delfina! La Delfina di Francia è qui!”

Axel ancora faticava a mettere insieme i pezzi, tirare le somme e giungere alla conclusione che la dama che sino ad allora aveva così esplicitamente corteggiato altri non era che Maria Antonietta Giuseppa Giovanna d’Asburgo Lorena, già Arciduchessa d’Austria nonché Delfina e futura Regina di Francia.
Ma quando gli tornarono alla mente le parole di Antonia di poco prima, quel “per voi sono troppo” così spesso ribadito, allora e solo allora tutto gli fu più chiaro e molto comprese. Era vero, Antonia non gli aveva mentito. Era troppo, persino per lui.
E allora cercò di coglierne lo sguardo, di capire di più attraverso una smorfia, un gesto un’occhiata complice o solo più disinteressata. Forse stava cercando soltanto di sentirsi meno stupido. Tuttavia, in quel marasma voci sconosciute e volti estranei, Antonia non aveva più tempo a sua disposizione per badare a lui. A malincuore fu soltanto in grado di mormorargli il suo accorato “perdonatemi, Axel…”, prima di voltare le spalle e correre via. Era tornata ad essere la donna di sempre. Non c’era più tempo per il divertimento, adesso. E neanche per quel bel giovane dagli occhi scuri.
Antonia percepì forte nel suo cuore la necessità di allontanarsi da quel luogo ed allora quasi prese a correre lungo i pavimenti lucidi dell’Opéra. Al suo passaggio i più si prostravano in inchini e riverenze formali, poiché la voce sull’identità della bella sconosciuta si era già largamente diffusa e tutti ormai sapevano che la Delfina era tra loro. Antonia neppure vi badò: le mancava l’aria, tutto sapeva di qualcosa di già visto e risaputo, come di una scena troppo spesso vissuta e per questo nauseante.
Corse più forte quando comprese che la carrozza era ormai vicina. Tirò un sospiro di sollievo e prese a fari aria quasi subito col ventaglio mentre le sue dame prendevano posto nel veicolo. L’ultima a salire fu proprio Thérèse, dopo essersi assicurata che nessun ospite della feste le avesse seguite o infastidite ulteriormente. La guardò di sottecchi ed Antonia fremette, anticipando ogni sua parola:

“Thérèse, non intendo ascoltare una parola...”
“Madame la Dauphine, vi rendete conto del rischio che avete corso?” – Le si fece più vicina ed abbassò la voce. Juliette e Josephine finsero di non essere interessate – “Se qualcuno vi ha visto in atteggiamenti equivoci con quell’uomo…”
“Non mi ha visto alcuno!” – Rispose irritata. – “Thérèse, non siete la mia balia ma soltanto una dama di compagnia. V’impongo il silenzio e rispettate il mio volere: ricordatevi che io sono la Delfina!”

Thérèse fremette ma non aggiunse altro: la principessa aveva ragione, dopotutto, e per quanto lei potesse essere più saggia ed assennata in confronto, era la sua padrona e se le impartiva un ordine aveva il dovere di ubbidirle. Quindi si raggomitolò nell’angolo, sotto le occhiate ironiche delle amiche e tacque.

L’intero viaggio di ritorno fu avvolto dal silenzio. Dopo la sfuriata di sua Altezza Reale nessuna tra le brave damine aveva voglia di fiatare per buscarsi l’ennesimo rimbrotto, men che meno Thérèse.
La Delfina, dal canto proprio, voltò il capo verso il finestrino e per l’intero tragitto di ritorno sino a Versailles preferì contemplare il paesaggio buio fatto di fronde rinsecchite e civette dal verso inquietante. Nell’oscurità del mondo di fuori i suoi pensieri si perdevano e ricostituivano fino a convergere tutti verso il medesimo punto, improvvisamente brillante – accecante, quasi – sul fondo della boscaglia. Due punti luminosi, più che uno soltanto. E verdi.
Verdi come gli occhi di Axel.
E ripensò a lui, a come si fosse palesato prepotentemente eppure con inaudita grazia sul suo cammino. Ripensò ai suoi risolini divertiti, alle occhiate fugaci, al mondo in cui l’aveva corteggiata durante quella festa, permettendole di sentirsi apprezzata e desiderata senza secondi fini, più subdoli, legati alla sua regale posizione. Axel aveva visto Antonia per quello che era, nonostante indossasse una maschera: una ragazza bella, interessante, dalla risata fresca e contagiosa. Aveva compreso la sua voglia di vivere, ridere e vivere ancora finché Dio gliel’avesse concesso. Soprattutto, aveva visto Antonia mentre nessuno l’aveva mai vista, neanche la sua stessa madre.
Sospirò un pochino affranta mentre un battito asincrono del cuore le suggerì che forse non si trattava soltanto di rammarico. Ma all’epoca la Delfina ignorava cosa fosse esattamente un colpo di fulmine e tentò di non badarvi eccessivamente.
Per voi sono troppo…” ripensò un’ultima volta alle sue parole, all’aria arrogante con la quale le aveva pronunciate nel tentativo non ben definito di proteggersi da lui. Se ne vergognò mentre il volto desolato dell’uomo di fronte a quelle parole prendeva forma tra i suoi ricordi..
“Mi dispiace così tanto, Axel…” commentò allora mentalmente “Sono null’altro che una bugiarda. Non sono troppo per voi, non è vero. Vorrei potervi incontrare una volta ancora soltanto per confessarvi di aver mentito e chiedervi perdono, come meritereste. Forse non me lo concedereste neppure e vi capirei: mi son comportata come un’insolente. Eppure…eppure desidererei comunque la mia ultima occasione. So che non ci sarà. Io …non vi rivedrò mai più.”
 
Non vi rivedrò mai più, aveva detto Antonia.
Forse, se avesse saputo che era quella la vera bugia, avrebbe riso di gioia. O pianto per la frustrazione. Poiché negli anni a venire, contrariamente alle sue supposizioni, molte volte ancora avrebbe alzato lo sguardo sul giovane svedese e troppo spesso avrebbe cercato negli occhi scuri di Luigi quelli di lui senza trovarli, mentre il senso di colpa nei confronti del marito le avrebbe divorato il cuore.

Antonia non poteva saperlo ma quel 30 Gennaio del 1774 aveva fatto conoscenza dell’uomo che, ben presto, abbandonando le vesti di “estraneo”, avrebbe rappresentato la sua ragione di vita. Una ragione macchiata dall’infamia del tradimento poiché Hans Axel di Fersen sarebbe stato conosciuto da tutti, negli anni a venire, con un unico appellativo: quello di amante. L’amante di Maria Antonietta d’Asburgo. L’amante della Regina di Francia.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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