Libri > Il diario del vampiro
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Autore: nuvoledifango    31/03/2012    0 recensioni
Dopo mesi, eccomi ritornata. Il personaggio protagonista è Damon, ma come trama non ho seguito il libro, ma ho fatto tutto di testa mia, perché pensavo fosse più divertente. Narra di come Damon diventa vampiro, spero vi piaccia!
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buio. Era ancora notte. La donna stava ancora fissando il giovane per terra, in fin di vita. Lui stava morendo. Era inevitabile.
Ma c’era un modo per salvargli la vita. Ma avrebbe rischiato così tanto pur di salvarlo? La risposta era, sì.


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Newcastle, England, 1545

Toc toc. «Hannah, siete voi?», mormorai. La mia cameriera personale era dietro la porta della mia camera, aspettava me, come tutte le sere di festeggiamenti.
«Scusi se la disturbo, Milord, ma siete in ritardo. La festa sta per cominciare, e vostro padre chiede di voi.»
Annuii, nonostante sapevo che non mi avrebbe visto.
«Datemi un attimo per prepararmi, e sono da voi.»
Hannah sussurrò un cenno di approvazione e sentii i suoi passi mentre si allontanava, diretta al salone da ballo.
Ah, mio padre. Organizzava sempre feste molto costose in casa nostra. A lui non piacevano neanche, era quella vipera della sua nuova moglie, Lady Aranel, che gli suggeriva di farle. Anche se, suggerire era un eufemismo.
E lui andava impotente ovunque lei chiedesse. E aveva la fama di essere un uomo duro.
Ripensai a mia madre. Lady Isabelle Morgan era una vera donna che meritava rispetto.
Alla faccia della nuova moglie di mio padre. Era evidente il mio odio per lei, ma ero costretto a sopportarla, almeno fino a quando sarei partito per il servizio del regno inglese.
Era un bene, mi sarei allontanato da casa.
Gettai un’occhiata all’orologio da taschino che mi aveva fatto in dono il conte di Londra.
Erano le otto spaccate, sentivo la musica di violino partire dalla grande sala.
Avevo il sospetto che se non mi sarei presentato entro cinque minuti, sarebbe stato il mio stesso padre a reclamarmi.
Mi vestii in fretta, afferrai i primi vestiti da ballo che mi capitarono davanti, e mi precipitai fuori dalla camera.
Sentivo la voce di mio padre che salutava e invitava gli ospiti ad entrare, come era normale che fosse.
Presi un bel respiro e finsi un sorriso, prima di incamminarmi per il lungo corridoio.
Se avevo fortuna, non avrei incontrato Lady Aranel.
Speranza vana. Stava camminando furiosamente verso la mia camera, aggiungendo qualche imprecazione in francese.
«Le signore non imprecano, Lady Aranel.»
Finsi di essere totalmente tranquillo davanti alla sua rabbia, e procedetti per la mia strada senza degnarla di uno sguardo. Lei, non era mia madre.
Finalmente arrivai alla grande sala da ballo. I musicisti davano il loro meglio con il violino e il pianoforte, la musica riempiva deliziosamente tutta la stanza.
Delle dame in abiti egocentricamente eleganti parlavano tra di loro, o meglio dire, spettegolavano.
Io le donne, non le capivo.
Riconobbi mio padre che rideva con altri uomini, vicino al banco del cibo.
Mi fermai al centro della sala, guardando prima a destra, poi a sinistra.
Da una parte, c’erano delle donne, alcune continuavano a spettegolare come se niente fosse, alcune invece parlavano dei loro nuovi abiti o accessori.
Dall’altra parte, invece, c’erano uomini che conversavano allegramente, tra una risata e l’altra.
Decisi di unirmi a loro. Notai subito di essere il più giovane, avevo quasi vent’anni, che avrei compiuto ad agosto.
Mancava esattamente un mese. A settembre sarei partito per Londra, per mettermi a servizio della monarchia.
«Oh, ecco mio figlio! Alexander, è lui quello che sarà tuo allievo, lì nel regno.»
Mio padre mi afferrò per un braccio e mi trascinò con lui in mezzo alla folla. Segno che era quasi ubriaco.
Guardai l’uomo a cui mio padre aveva quasi urlato in faccia. Era alto, con i capelli biondo cenere, e gli occhi di un azzurro ghiaccio, molto simili ai miei.
Dimostrava almeno trent’anni.
Riuscii a chiacchierare un po’ con loro, e dopo una buona mezz’ora, salutai tutti, decidendo che era ora di mettere qualcosa sotto i denti.
Mi allontanai quasi di corsa. No, non era per la fame e per la voglia di raggiungere subito il tavolo dei cibi, no, no di certo. Era per il bisogno estremo di allontanarmi da lì.
Stupidi uomini di politica.
Senza farmi notare, afferrai una bottiglia di liquore forte e scappai fuori dalla mia villa, sedendomi in giardino.
Cominciai a bere, ignorando tutto per un buon momento.
Sentii dei passi verso di me, passi pesanti, sicuramente provenienti da un uomo. O forse più di uno?
Sentii una debole risata, e scorsi la sagoma di un ragazzo della mia stessa età, apparentemente, che si avvicinava.
«Chi sei?» Domanda stupida. Oh, gliel’ho chiesto davvero? Sapevo chi era. Era David Houdson, il ragazzo che era famoso per essere un grande stronzo. Combinava guai, ecco.
«Ehi…ma tu non sei quel codardo di Albert Morgan! Oh, meno male…sei suo figlio, vero?». David rise.
Annuii nell’oscurità.
«Com’è che ti chiamavi? Damian?»
David rise di nuovo. Era ubriaco, probabilmente.
«Damon.» dissi, seccato.
Sentii altre risate. Poi mi venne un’idea. Ero sicuro che mio padre mi avrebbe cercato ovunque, pur di farmi ritornare a quella festa.
Ma non poteva riportarmi lì, se non aveva idea di dove fossi.
Mi alzai, assumendo un tono serio ma divertito.
«Senti, David…questa notte andrai in un posto dove ti divertirai taaanto, vero?»
Gli sorrisi. Volevo divertirmi anch’io. E non erano le feste di Lady Aranel, che mi facevano divertire a morte.
«Certamente, ahahah. Dai, vuoi venire anche tu? Facciamo un mega casino assurdo!»
«Dove?», dissi. Assumevo un tono sempre più interessato. Volevo andarmene da lì.
«Seguimi, Damon.». David diventò improvvisamente serio senza abbandonare l’ironia, e cominciò a correre verso una stradina buia. Strano. Ero certo fosse ubriaco. Bah, stranezze di periferia.
Corremmo per circa dieci minuti, fino ad arrivare in un posto che sembrava un locale extra lusso.
Pochi istanti prima che entrassimo, un ragazzo dai capelli rossi poco più grande di noi chiamò David ad alta voce.
«Houdson. Ma non mi dire, hai trovato un amico? Chi è? Quel cocco di mamma di Morgan?»
Il ragazzo con i capelli rossi rise sarcasticamente.
Sentii un impeto di rabbia attraversarmi, e mi avvicinai a lui stringendo i pugni.
«Mia madre, è morta, dieci anni fa.»
Detto questo, gli mollai un pugno sul naso, con tutte le forze che avevo.
Non era un atteggiamento da me. Ma quel tipo, aveva nominato mia madre.
Il ragazzo indietreggiò, dovevo avergli fatto male. Era molto più alto e robusto di me, e sicuramente molto più forte.
Si riprese velocemente, e si scagliò contro di me.
«Sarai tu quello a morire, adesso.»
Sgranai gli occhi. Si stava…lanciando contro di me, con un pugnale con l’impugnatura di legno lavorato.
Non intendevo arrivare a questo.
«David! Chiama qualcuno, sta per uccidermi!»
Mi voltai, chiamando David a gran voce. Ma lui, era scappato.
Bastardo che non sei altro, brucia all’inferno, pensai.
Tornai a guardare il ragazzo con il pugnale. Prima che potessi dire un’altra parola, o che potessi accorgermi della sua velocità, sentii l’acciaio penetrarmi il ventre.
Mi si appannò la vista, avevo il respiro corto.
Il tipo continuò ad infliggermi pugnalate, al ventre, al petto, e infine, il colpo decisivo, alla gola.
Caddi a terra, sentendomi morire. Il che, sarebbe avvenuto davvero.

E poi nulla, solo buio.


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Isabelle Morgan stava camminando per le strade notturne, ignorando il freddo pungente.
Sangue. C’era odore di sangue.
Quell’odore, che copriva tutti gli altri odori. Ma lei conosceva quel sangue, era molto – troppo – familiare.
E capì subito perché. Quel sangue, era il suo sangue. Non usciva dal suo corpo, ma dalla creatura che lei aveva creato.
Si diresse con molta velocità al posto in cui avvertiva quell’odore, per poi notare un ragazzo a terra.
Damon!, pensò.
Si chinò in ginocchio, accantò a suo figlio. Il ragazzo, stava morendo. Mancavano pochi minuti, se non pochi secondi, alla morte.
Una certezza la scosse. Avrebbe potuto salvarlo. La determinazione la spinse a pensarlo davvero. E così accadde.
Isabelle si morse il polso, dal quale uscì un fiotto di sangue. Sangue di vampiro. Appoggiò il polso ferito sulla bocca del giovane, inconsapevole di quello che sua madre stava facendo.
La donna riuscì a farglielo bere, poi lo prese in braccio, e lo portò via. Arrivati al bosco, Isabelle posò il ragazzo a terra. Lo guardò, e si avvicinò decisa.
Poggiò le mani sul suo collo, e dopo…glielo spezzò. Gli ultimi battiti cardiaci finirono.
Damon era morto. Ma non per molto.
Isabelle gli soffiò un bacio sulla guancia, e andò via.

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Paura. Avevo paura di quel tipo. Quello che, mi aveva ucciso. Aspetta, sento un profumo che già conosco. Il profumo che mia madre usava.
Ecco, adesso è vicino. Una mano mi sta accarezzando il viso. Mamma, sei tu? No, non era possibile. Mia madre era morta. Adesso, ero morto anch’io.
Ma dov’ero? Una convulsione mi sollevò da terra. Era notte, era tutto buio, ma riuscivo a vedere ogni particolare come fosse tutto illuminato.
Sentivo tutti gli odori, vicini e lontani, alla perfezione.
Mi voltai, camminando sul posto, cadevo, mi rialzavo, osservavo. Alberi. Mi trovavo nel bosco.
Voltai la testa verso un albero. Dio, perché stavo fissando un albero? Poi compresi, non era l’albero che fissavo. Era il piccolo topo muschiato che risiedeva su un ramo.
Avevo fame. Fame di lui. Perché mai avrei dovuto avere fame di un topo?
Senza chiedermi il perché, mi diressi verso di lui, lanciando un ringhio famelico, e decisamente animale.
Poco dopo, stavo tagliando la gola a quel povero topo, con i denti. Dopo, lo gettai via.
Una piccola striscia di sangue mi cadeva dal labbro, cadendo per terra.
Alzai la testa, guardando la luna che continuava a risplendere.
Dio, cos’ero diventato?
  
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