CAPITOLO
17
Non sentivo
assolutamente nulla, o meglio, ero come cieca. Ma potevo avvertire la
presenza
di qualcosa vicino a me. I rumori poi, quelli li udivo debolmente e
neanche del
tutto. Era come quando suona la sveglia la mattina e tu richiudi gli
occhi dopo
esserti appena svegliato, ma sai che fra 5 minuti devi alzarti
perché sennò fai
tardi.
Mi sembrava
che il tempo si fosse fermato dentro la mia mente…non avevo
mai provato cosa
volesse dire essere in coma. Un suono o meglio una voce, mi riportarono
ad una
qualche realtà. Sentii d’un tratto il bisogno di
muovere le dita, le dita della
mano e credo che qualcosa fosse a contatto con la mia mano.
“Liz
se mi
senti muovi le dita ti prego…”riuscii a sentire
poi più nulla, il silenzio di
tomba. L’idea che Matt fosse li dà qualche parte
mi balenò in mente, ma non
seppi perché, non ricordavo nulla di dove ero,
perché mi trovavo in quello
stato, niente. Era come se mi avessero scaraventato in un'altra
dimensione e
c’era ancora una sorta di mezzo di comunicazione con la
realtà.
Riuscii a
muovere le dita della mano destra e percepii l’altra mano che
mi teneva poi di
nuovo il vuoto; mi sembrò di dormire in quel momento, di
essere caduta in un
sonno che durò non so quanto finché non trovai la
forza di aprire gli occhi.
Come quando
avviene un risveglio da un sonno profondo li richiusi subito piano e li
riaprii, le luci che entravano dalla finestra mi davano fastidio quindi
doveva
essere giorno. Mi accorsi delle pareti e soffitto bianchi quando
realizzai che
ero intubata in una stanza d’ospedale, mi tolsi una specie di
mascherina per
l’ossigeno e l’adagiai sul comodino. Non so dire
perché ma mi immaginai lui al
mio capezzale magari con i gomiti appoggiati sul letto…, o
forse poco prima si
trovava proprio cosi.
Mi staccai
gli elettrodi collegati alla macchina del cuore ignorando il beep
continuo, mi
alzai lentamente e uscii sul corridoio a piedi nudi. Mi tenevo la
camicia da
notte che era aperta dietro, avevo una mano fasciata e un braccialetto
con dei
numeri, mi accorsi anche che il costato era fasciato…Vagai
per un po’ finché
non arrivai un una saletta d’attesa, ora gli sguardi della
gente cominciavano a
farsi sentire, ma io cercavo lui, quello era l’unico scopo
della mia
passeggiata.
Un’infermiera
comparve dal nulla urlando “lei dove va? Torni immediatamente
in camera!” e
prese a trascinarmi da dove ero venuta proprio mentre mi accorgevo
della
presenza di Matt, lo vidi voltarsi per un attimo verso di me prima di
sparire
dal mio campo visivo.
Arrivate di fronte la porta della camera la costrinsi a lasciarmi il braccio e sbuffai “allora me lo dice o no cosa mi è successo?”, “non ho con me il registro perché non me lo dice lei?” rispose quella. Le risi in faccia “che razza di domanda è? Come posso saperlo io?” poi mi sentii chiamare, o meglio sentii pronunciare il mio nome ad alta voce con tono di sorpresa.
Realizzai in un secondo l’immagine di Matt che mi correva letteralmente incontro e mi afferrava sollevandomi da terra poi mi baciò. Cosi. Senza preavviso. Lo lasciai fare ignorando l’infermiera che inveiva “e questo sarebbe il fratello?”. Quando ci staccammo lui stava quasi piangendo “Oddio sei viva! Sei uscita dal coma ancora non ci credo, sei viva!”.
La parola
“coma” mi colse impreparata, riecheggiò
nella mia mente
finché non mi costrinsero a tornare a letto, Matt seduto
vicino a me che non mi
mollava la mano e Wolf che spuntato dal nulla si era letteralmente
accomodato
sui miei piedi.
“Che
cosa mi
è successo?” chiesi distrattamente mentre mi
allungavo per accarezzare l’husky
tra le orecchie. Matt si irrigidì “Non ti ricordi
proprio niente?”, ci pensai
su per un po’, era già tanto che non mi era venuta
un’amnesia al mio risveglio!
La porta
della camera si aprì ed entrò
l’infermiera antipatica di prima il cui sguardo
si posò all’istante su Wolf “lui non
può stare qui” sibilò velenosa ma ad
uno
sguardo fulminante di Matt aggiunse “affari vostri, comunque
ci sono visite”.
Mia madre varcò la soglia della porta seguita da mio padre,
mio fratello, mio
nipote e Sharon.
Mi abbracciarono quasi tutti insieme mentre qualche lacrimuccia cominciava a scendermi, ero senza parole. Il primo a parlare fu mio fratello “ci hai fatto prendere un bello spavento eh?” sorrise, nel frattempo mia madre non la smetteva di accarezzarmi il viso e chiedermi come mi sentivo.
Lei e mio padre
piangevano. Sapevo che nonostante l’allegria di mio fratello
che era solo una
maschera poi, tutti dovevano essere stati in uno stato di totale ansia
per me.
Li
rassicurai cercando di smettere di piangere, mio nipote salì
sul letto tutto
felice “zia zia che bello questo cane lo posso
accarezzare?”, “ma certo” gli
risposi sorridendo poi mi rivolsi a mio fratello “Chris hai
fatto un bel
viaggetto eh?”. Lui si chinò a baciarmi la fronte
“Non ci pensare, adesso
dobbiamo pensare a te”.
Sharon venne
a posare un mazzo di rose sul comodino, poi mi abbracciò
“lo sapevo che ce
l’avresti fatta, che sei forte…”
singhiozzò, “Oh basta un po’ con ste
lacrime!”
esclamai, poi guardai per un attimo i miei genitori poi Matt.
Lui mi lesse
letteralmente nel pensiero “Sono stato io ad avvisare i
tuoi…” disse come se
fosse stata la cosa più normale di questo mondo,
“si” continuò mia madre “aveva
tenuto il tuo cellulare, se non fosse stato per lui non so chi ce
l’avrebbe
detto…” mi immaginai per un attimo la scena in cui
il mio cantante preferito
avvisava per telefono i miei genitori del fatto che fossi entrata in
coma e mi
trattenni dal ridere e alla fine abbassai la testa perché lo
sguardo di lui mi
stava perforando come un proiettile.
Il giorno
seguente, anzi, il pomeriggio seguente mi svegliai da un lunghissimo
riposo.
Capii che era pomeriggio dall’ora sul mio cellulare che si
trovava sul
comodino, il giorno prima non c’era. Sorrisi. Poi mi girai
dall’altro lato e
cercai di riprendere sonno,chissà quanto avevo dormito ma
essere pigra faceva
parte di me.
Non sentii
la porta aprirsi finché il lenzuolo si spostò dal
mio corpo e rabbrividii sulla
schiena per via della camicia aperta dietro. ”Liz”
sussurrò Matt “svegliati ti
porto via da qui”. Mi voltai lentissima verso di lui
“Cosa?” sbadigliai “ma io
ho sonno” chiusi gli occhi ma li riaprii subito.
“D’accordo” dissi, tutt’ad un
tratto mi sentii sveglia, lui mi prese in braccio all’istante
senza fatica
nonostante i miei 69 kili e uscimmo dalla stanza.
Una volta a casa i miei genitori e mio fratello avevano veramente insistito per farlo restare a cena, mio padre spiccicava bene qualche parola in inglese e mia madre e Chris non la smettevano di ringraziarlo per quello che aveva fatto per me (Sharon li aveva aggiornati), mio nipote sedeva vicino a me.
Io li ascoltavo
mentre ricomponevano la storia di ciò che mi era successo e
della mia
permanenza in ospedale. I pensieri affollavano la mia mente sempre di
più
quando emerse finalmente un ricordo…la forchetta mi cadde
dal tavolo
schiantandosi sul pavimento e gli sguardi si posarono su di me
preoccupati.
Non avevano
del tutto ricomposto la storia forse perché lui sapeva che
non ricordavo chi
fosse stato a spararmi. Il loro discorso era più che altro
una serie di domande
su quanto tempo fossi stata sotto osservazione, e
sull’ambulanza che mi aveva
raccolta in seguito ad una caduta…
Matt cercava
le parole giuste ma ci stava girando intorno, stava omettendo la parte
più
importante del perché mi trovavo in quella situazione. Mi
alzai di scatto ma un
violento giramento di testa mi costrinse ad appoggiarmi al tavolo e 4
paia di
mani che mi sorreggevano.
“No
sto
bene…”sussurrai, Matt mi toccò la
fronte “sei pallida e scotti”. Gli scostati
la mano senza guardarlo “lasciatemi in pace tutti per
favore” risposi
staccandomi dal tavolo. “Santo cielo Elizabeth che ti
succede?” si preoccupò
subito mia madre, “ce la fai a stare in piedi o è
meglio se ti stendi?” chiese
mio padre, “ti preparo qualcosa di caldo e misurati la
febbre!” aggiunse mio fratello
fuggendo in cucina.
Io
sbuffai più volte, mia madre si rivolse al
ragazzo dei miei sogni “ti dispiacerebbe accompagnarla di
sopra mentre le
portiamo la cena a letto?” lui annui e riconobbi quella
strana luce nei suoi
occhi che si accendeva quando era particolarmente elettrizzato
all’idea di
stare da solo con me ma si spense subito, mi guardò serio e
mi prese di nuovo
in braccio, non avevo fatto in tempo a dire “a” che
mi ritrovai seduta sulla
sponda del mio letto.
Scostò le coperte e mi ci trascinò delicatamente sotto poi mi coprì per bene e si sedette al mio capezzale. Per un attimo mi mancò il matrimoniale dell’hotel ma anche una piazza e mezza non era male. Mi fissò senza dire niente, io stavo per esplodere.
Mi tirai su
“Perché non me l’hai detto? Mi nascondi
sempre
qualcosa…” mi zitti perché sulla soglia
della porta apparvero mia madre e mio
fratello che posò sulla scrivania il vassoio con il resto
della cena “tutto ok
sorellina?” guardò prima me poi lui.
Annui, mia
madre mi si avvicinò “figliola come ti senti?
È passato quel giramento di
testa?”. Respirai profondamente, ero nervosa e cercavo
inutilmente di
nasconderlo “va tutto bene mamma, tranquilla”.
Chris tossì “io vi devo salutare ho l’aereo fra 1 paio d’ore” e chiamò Matteo per salutarci; mio nipote mi riempì di baci come suo solito poi si rivolse a Matt che gli sorrise. “Dai Matteo saluta Matt” dissi trattenendo una risata, ero arrabbiata in una situazione imbarazzante “ciao” disse lui, “ciao” rispose l’altro con una pronuncia accettabile.
Mio fratello mi
abbracciò poi salutò nostra madre ed
infine strinse la mano al ragazzo, avevano 6 anni di differenza e Chris
era il
più grande, questo voleva dire difesa doppia nei miei
riguardi. Mio nipote lo
stava ancora fissando poi cose da me e mi disse all’orecchio
“zia mi piace
questo qui…” gli accarezzai il mento
“anche a me” sussurrai facendolo
ridacchiare.
Ci
lasciarono di nuovo soli e questa volta ero decisa a farmi sentire, mi
alzai
chiusi la porta e lo fronteggiai. “Si lo so che ti sono
mancato” sorrise
sfacciatamente come sempre poi mi guardò dalla testa ai
piedi mentre mi
avvicinavo “a me mancano le tue camicie da notte di seta
nera”. Fortuna che
avevo il megapigiama e ignorai quella frase “E’
stata lei a spararmi” dissi
tutto d’un fiato.
La sua
espressione divenne seria “adesso ricordi finalmente, non
sapevo come dirlo
alla tua famiglia….bene, ora puoi denunciarla”.
Rimasi senza parole “ma come
non stavi cercando di evitare questo discorso per
paura…”, “paura di cosa?”
quasi urlò “se non la denuncerai tu lo
farò io, non è comprensibile ciò che
ha
fatto! Tu mi hai salvato la vita quel proiettile era per me, ti rendi
conto che
hai rischiato la tua vita per la mia? Non lo chiami amore
questo?”, sbiancai
del tutto. Deglutii a fatica. Il discorso stava prendendo una brutta
piega.
Mi si
avvicinò “ma… cosa… stai
dicendo” sibilai mentre avanzava verso di me,
indietreggiai fino a toccare l’anta dell’armadio
con la schiena, lui appoggiò
la sua fronte alla mia e sospirò “Ho temuto di
averti persa per sempre…non puoi
neanche immaginare quello che ho passato quando ti ho vista in un lago
di
sangue su quell’asfalto” i suoi occhi divennero
lucidi e a me scese una
lacrima.
Mi stavo trattenendo dall’abbracciarlo e quant’altro, leggevo nei suoi occhi tutta la sofferenza e il nervoso che aveva accumulato. Mi abbracciò lui “ti prego baciami” sussurrò una volta sola. Rimasi immobile fra le sue braccia per secondi che sembrarono secoli poi sciolsi l’abbraccio e gli toccai il collo, lui mi baciò la fronte.
Finalmente
alzai il mento e posai le mie labbra sulle
sue. Stava studiando le mie reazioni,aspettava che facessi io ogni
primo passo.
Dopo un casto e breve bacio mi staccai e lo guardai.
Occhi
azzurri lucidi e delusi… Per un attimo pensavi che forse ero
davvero un po’
stronza. Gli guardai la bocca mentre le mie dita si infilavano tra i
suoi
capelli e lo baciai di nuovo, sapevo che non aspettava altro. Mi
strinse forte
e io lo spinsi vero il letto. Ce lo buttai sopra e mi accomodai vicino
a lui,
mi abbracciò e le nostre bocche si riunirono.
Quando mi
staccai perché avevo il cuore a 3000 sembrò
essere meno triste “Liz” disse
piano, lo guardai per incitarlo a finire la frase. Ci pensò
un attimo “No
niente”. Sapevo che non era cosi, che quelle parole tradotte
erano invece “ti
amo”.
Dopo qualche
istante di silenzio in cui ero rimasta a fissarlo si alzò
dal letto “adesso è
ora di andare” disse molto controvoglia ma nascondendola con
un breve sorriso.
Capii che aveva dannatamente ragione, non potevo trattenerlo e avevo
bisogno di
stare anche con la mia famiglia.
Gli afferrai la mano “stanotte dormirò da sola” pronunciai triste, mi resi conto che ormai l’incoerenza faceva parte di me visto che mi contraddicevo ogni minuto.
“No”
mi rispose “io
sono sempre con te, a domani, e sognami” si chinò
a baciarmi sulla fronte poi
si allontanò. Rimasi da sola a guardare la porta da dove era
uscito rendendomi
conto che già mi mancava tremendamente.