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Autore: Aura    04/04/2012    1 recensioni
Tennessee, anni settanta, per molti versi la culla di un Rock che ha esportato al mondo stelle come Elvis e Johnny Cash;
è la tappa ideale per Patrick, un irlandese che ha girato gli States in cerca di fortuna con la sua chitarra sulle spalle.
J, cresciuta a Germantown, maledirà molte volte il giorno in cui il Forestiero arrivò nella sua città la prima volta, accendendo quel cerchio di fuoco che l'avrebbe bruciata per tutta la vita.
- Credo che anche Betta sappia che per quanto lui la corteggi non è certo per farne una donna onesta, e che non si aspetterà di sicuro un rapporto serio ed esclusivo: nessuna ragazza si avvicinerebbe a lui con queste intenzioni se non è pazza o talmente innamorata di lui dal sentire il desiderio tipicamente femminile di redimerlo. - concluse. J la guardò: Katie era così pragmatica, così logica.
Annuì alla spiegazione, per quanto comunque non lo ritenesse corretto: un uomo non aveva certo il diritto di andare in giro a fare lo stallone spezza cuori solo perché era nella sua natura.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo betato da Kukiness


Well you ask me if I'll forget my baby. 
I guess I will, someday. 
I don't like it but I guess things happen that way. 
You ask me if I'll get along. 
I guess I will, someway. 
I don't like it but I guess things happen that way. 

God gave me that girl to lean on, 
then he put me on my own. 
Heaven help me be a man 
and have the strength to stand alone. 
I don't like it but I guess things happen that way. 

(A guess things happen that way, Johnny Cash)






Infilò per l'ennesima volta il badile nella malta, e facendo leva con le braccia lo sollevò svuotandolo nella betoniera. L'accese, mentre si passava il braccio sulla fronte per asciugare le gocce di sudore, e le girò intorno per controllare che il vassoio fosse posizionato correttamente; odiava stare di turno a quell'affare, era il lavoro più monotono del cantiere. Il motore iniziò a tremare, in maniera poco rassicurante, e Patrick gli assestò un calcio, facendola ripartire, poi inforcò la carriola per andare a recuperare della nuova malta.
Preferiva riempirla al massimo, per fare meno viaggi: pesava come un accidente, ma aveva l'impressione di fare più in fretta, anche se la fine del suo turno era determinata più che dalla mole di lavoro svolto dall'orario; aveva capito però che il capocantiere se avesse fatto un buon lavoro lo avrebbe tenuto alla larga da quell'affare per più tempo, al contrario dei suoi colleghi che facevano il minimo indispensabile.
Strinse i denti mentre spingeva la carriola piena, con i muscoli che gli bruciavano dal peso,
- Mike, levati di lì cazzo! - Sbuffò, fermandosi per non andargli addosso. Appoggiò la carriola a terra e riprese fiato, - La prossima volta che ti metti in mezzo giuro che ti azzoppo.
Mike intanto rideva, - Dai, è dall'alba che fai il mulo, fumiamoci una sigaretta.
- Aiutami a portare sto affare alla betoniera prima.
Afferrarono ognuno un manico della carriola,
- Ehi, ma sei pazzo? Come facevi a portarla da solo? - disse Mike con un ultima spinta.
Patrick rise, - Non sono una donnetta come te, - sfilò all'amico il pacchetto di sigarette di tasca, - questa la offri tu.
Si appoggiarono al muretto, passandosi l'accendino.
- Sai, - disse poi a Mike, - ci ho provato, ti giuro, ma la tua amica non riesco proprio a capirla. Pensavo che sarebbe stata felice dopo ieri sera, e invece sembrava quasi che le abbia dato fastidio. Mike sembrò capire al volo di chi stesse parlando,
- J è una brava ragazza, fin troppo forse, ed è terribilmente innocente. Pensa di avere fatto da pappone e si è sentita in colpa.
Patrick rise di gusto.
- In colpa per che cosa, scusa? Amico, le donne sono un piacere, non un dovere!
- Ma io sono d'accordo con te, - si difese Mike. - J è troppo piccola per capirlo.
- Quanti anni ha, scusa?
- Diciannove, anzi, venti. Vedrai, capirai conoscendola, - gli disse sibillino, mentre tornava al lavoro.
Vent'anni. Ne aveva sicuramente di più di quanto ne dimostrava, e sicuramente non ne aveva meno della maggior parte delle ragazze che aveva avuto, eppure era molto più ragazzina di loro. Lei non si truccava, non si laccava le unghie e non si arricciava i capelli come invece faceva la maggior parte delle sue coetanee, ma soprattutto non aveva quella malizia a cui Patrick era abituato. Sabato sera, quando l'aveva guardata senza sapere che fosse “Jay” e aveva deciso lei come bersaglio, aveva intuito che avrebbe dovuto faticare più del solito.

Lei aveva distolto subito lo sguardo, imbarazzata, e quando le si era avvicinato aveva iniziato a respingerlo infastidita, come se realmente non volesse avere niente a che fare con lui, e non per un gioco civettuolo architettato per fare la difficile e poi cedere; ma nonostante quello che la ragazza dimostrava con i suoi comportamenti Patrick aveva capito una cosa durante i suoi ventiquattro anni di vita: nessuna donna arrossisce per caso.

Peccato che poi si fosse rivelata essere Jay, anzi, J, e e per il bene comune lui avesse dovuto riporre ogni mira nei suoi confronti. Patrick aveva capito al volo quanto Sam fosse protettivo con lei. Se avesse cominciato a corteggiarla come faceva di solito, lui non lo avrebbe affatto gradito e Patrick non aveva alcuna voglia di andarsi a ficcare in una situazione del genere.
Con il senno di poi era meglio così: l’ingenuità e il caratterino di J, malgrado quello che decantavano i suoi amici, si sarebbero rivelati più una grana che altro.

La campanella del pranzo suonò, e lui si avviò affamato alla trattoria dove lavorava Michelle, una rossina tutto pepe che lo guardava sempre con gli occhi dolci.
- Bambola, - le disse entrando e facendola arrossire di piacere, - il fine settimana senza di te è stato uno strazio.
Puoi aspettarti il meglio da una donna che arrossisce: non lo fanno mai per caso.




- E poi? - la incalzò Melly mentre J le raccontava gli avvenimenti del week end.
- A quanto sembra lei gli ha dato il ben servito, essendo tutta presa dall'irlandese; Frank era arrabbiato come un bambino.
Melly diede una sonora manata al bancone: - Oh, quanto avrei dato per esserci e vedere la faccia di quel tontolone, - sospirò.
Melly era... meravigliosa. Era difficile pensare a lei e trovare altri aggettivi: quarantatrè anni appena festeggiati portati con fierezza, e il cuore da ragazzina che fino a due anni prima aveva vissuto bighellonando per il mondo come un soffione trasportato di qua e di là dal vento.
Non era sposata, ma non si curava del suo stato civile. Amava con tutto il cuore il pub che un tempo era stata dei suoi genitori ed era stato solo per prendersi cura di esso e dei ragazzi che lo frequentavano che un bel giorno aveva riportato bauli e valigie a Germantown, dichiarando al fratello che si sarebbe cavata gli occhi piuttosto che vederlo farlo fallire. Frank aveva rivelato una volta a J, una sera che era di buon umore, che tutt’ora faceva fatica a stabilire per quanto tempo la sorella sarebbe rimasta in città, e che nonostante i suoi modi spesso lo innervosissero, specialmente le numerose volte che si trovavano in disaccordo riguardo alla gestione del pub, accettava di buon grado la sua presenza, che gli permetteva di fare la bella vita per tutta la settimana mentre lei lavorava al posto suo.


Dal canto suo, Melly non nascondeva di rimpiangere la sua vita vagabonda, ma osservando il luogo che era stato teatro della sua infanzia e in cui il padre aveva riversato tutto il suo sudore, e facendo scorrere lo sguardo sui frequentatori abituali che lo consideravano alla pari di un monumento cittadino, ammetteva candidamente che alla sua età era arrivato il momento di mettere radici, e che Germantown sarebbe stata la sua ultima stazione fino alla pensione: rimandava ad allora tutte le mete che le sarebbe ancora piaciuto visitare o rivedere.
La vita le aveva insegnato parecchie cose, ma più che per i mirabolanti racconti J amava il carattere schietto e buono della donna, e l'ardore con cui viveva ogni sua giornata.
- Ti giuro che per un momento mi ha fatto pena. Sembrava così convinto di sé fino a un momento prima che deve essere stato un colpo per lui vedere crollare il suo castello di carte.
- Baggianate: si è solo illuso e lo sapeva benissimo. Ci ha solo sperato fino alla fine, negando l'evidenza. Se quel ragazzo ha fatto davvero la corte tutta sera a Betta davanti ai suoi occhi io al suo posto avrei alzato subito bandiera bianca, - stabilì, sicura.
J aprì un cassetto e ne estrasse un blocchetto e una penna, comunicandole che sarebbe scesa nel magazzino a controllare i rifornimenti e a buttare giù un promemoria di ordine da fare al fornitore il giorno successivo, e Melly la lasciò andare con un cenno del capo mentre continuava a spolverare ad una ad una le bottiglie alle sue spalle.

Come ogni lunedì la serata era tranquilla: c'erano gli immancabili Mike e Mel che bevevano le loro pinte chiacchierando con un gruppo di giovani del quartiere seduti al tavolo vicino; poco più in là tre ragazze erano approdate per una serata di conforto ad una di loro che aveva litigato con il ragazzo; ed infine un gruppo di uomini si godevano la loro ultima birra della giornata prima di ritornare a casa delle mogli.

Melly guardò incuriosita verso la porta che ci stava aprendo. Entrò un ragazzo alto da solo; i capelli biondo scuro ricadevano mollemente sui lineamenti cesellati, le spalle quadrate e imponenti si muovevano con fluidità, la cadenza tranquilla e sicura di chi si trova a suo agio in qualsiasi situazione.
Ancor prima che aprisse bocca, Melly capì immediatamente chi si trovava davanti a lei.
- Il forestiero, immagino, - gli disse quando ebbe raggiunto il bancone. - Ti posso portare qualcosa da bere?
Sul volto comparvero delle fossette che accompagnavano un sorriso.
- Patrick O'Connor, al suo servizio, - disse con un cenno del capo. - La mia fama mi precede. Merito di Sam? - le disse con il melodico accento che lo contraddistingueva.
- Questa volta il caro vecchio Sam non ha colpa, ho altre fonti. Melanie Parker, ma ti prego di chiamarmi Melly. - Tese la mano oltre al bancone, fissando negli occhi il ragazzo.
Patrick la guardò e l'afferrò prontamente.
- Dammi un whiskey. Ce l’hai il Connemara?
La donna rise, soddisfatta: a pelle le piaceva, con i suoi modi un po' rudi ma gentili. - Ne tengo una bottiglia proprio per i tipi come te, - gli rivelò mostrandogli, nascosto dalle altre, il vetro verde della sua terra natia.
Il sorriso di Patrick si fece più ampio,
- Allora, Melly, - le chiese, dopo aver preso una sorsata, - a chi devo il piacere di averti parlato di me?

La risposta gli arrivò dalla porta sul retro che si schiuse cigolante, e apparve J.
- Forestiero?
- Ragazzina, - la salutò lui, sollevando il bicchiere nella sua direzione,
- Che ci fai qua? Sai che Betta lavora solo il fine settimana, vero? - gli chiese scostante, fingendo di essere molto impegnata a sistemare i bicchieri puliti.
- Lo so, - le spiegò, guadagnandosi un'occhiata carica di disappunto, - aspetto Sam, ieri sera mi ha detto che sarebbe venuto qui.
- Siete diventati così amici? - Più che una domanda sembrava un rimprovero, ma non riuscì nell'intento di intaccare la serenità del ragazzo. Melly intanto si era allontanata per andare a ritirare i bicchieri vuoti dai tavoli, e con la coda dell'occhio J giurò di aver visto un sorriso divertito.
- È un tipo a posto, mi piace, - le rivelò.
- Oh! - Si finse dispiaciuta. - Ma lui ha altri gusti, mi dispiace di dover essere io a spezzarti il cuore.
- Mi era sembrato che ieri sera nel magazzino tu avessi visto con i tuoi occhi quali sono i miei di gusti, - la punzecchiò divertito.
J incassò il colpo imbarazzata e piena di vergogna per essere stata scoperta si allontanò da lui. Si diresse verso il frigo delle bibite, che decise avere un disperato bisogno di essere pulito.
Patrick la seguì.
- Dai, dicevo per scherzare! - Il forestiero sembrava divertito dalla sua reazione.
J si voltò a guardarlo con occhi fiammeggianti. - Senti, prima fai lo stronzo con me, poi cerchi di rimediare in un modo squallidissimo e alla fine mi umili. Che vuoi da me?
- Quando avrei fatto lo stronzo esattamente?
- Alla Sierra, quando ci siamo conosciuti, - gli ricordò J, nervosa.
- Ma in che modo, esattamente? Forse mi è sfuggito qualche particolare,
- Mi hai importunato: io ero stanca e arrabbiata e te l'ho fatto capire subito, ma tu hai continuato. Per non parlare del fatto che da vero simpaticone hai iniziato a prendermi in giro per il mio nome.
- Non ti ho preso in giro, ho solo domandato: non era mica colpa mia se nessuno mi aveva specificato che Jay era una ragazza. Non ho fatto commenti sul tuo nome. - La seguì di nuovo mentre lei tornava alla postazione di partenza, per spillare una birra a Mark che gliela aveva chiesta all’altro lato del bancone.
- Non è mica il mio nome! - replicò stizzita
- Non mi hai dato modo di chiederti quale fosse il tuo vero nome.
- Forse perché non volevo che mi fosse chiesto. - J spinse la pinta a Mark e si sciacquò le mani, sulle quali era colata della schiuma,
- E comunque non intendevo darti fastidio, solo scambiare due chiacchiere. E per quanto riguarda Betta, non mi sembrava che ritenessi squallido Mike quando le dedicava i suoi apprezzamenti.
- È il modo in cui...
- Senti: è una bella ragazza, ci avrei provato comunque. Non pensavo forse di farlo subito, ma poi l'occasione è arrivata da sola: se è andata bene anche a te che problema c'è?

J lo fissava, seria. Non era in grado di continuare la discussione. Aveva intuito che lui sapeva far valere meglio le proprie argomentazioni, e più continuavano a discutere e più lui ribaltava la frittata, facendola finire dalla parte del torto. Sospirò e chiuse il discorso, per quanto le riguardava in modo definitivo.
- Vuoi un altro goccio, forestiero? - domandò, con un'aria da divinità offesa che si piegava a porgere un ramoscello di pace.
Il forestiero sorrise. - Volentieri, ragazzina. Tu non mi fai compagnia?
- Ma sono in servizio, - replicò lei imbarazzata. - E non ho ancora l'età per bere.
- Scherzavo, non avvampare di nuovo. - Si mise a ridere sonoramente.
Qualcosa la indusse a non prendersela, nonostante un lato di lui le desse ancora fastidio. Sarebbe passata, ne era certa: doveva solo dimenticare quell'inizio disastroso,
- Con ghiaccio? - disse, prendendolo in giro, e questa volta fu il turno di lui di guardarla sconvolto dalla domanda. - Ehi, scherzavo. - Gli passò il bicchiere con una debole risatina.
- Questa volta hai vinto tu, ragazzina.
Melly annunciò la sua presenza. - Ma bene, vedo che avete fatto pace. - Sorrise benevola. - Forestiero, Sam sta entrando proprio adesso. J, versagli una birra.




J A volte si sentiva in colpa per adorare così tanto il martedì, come se il fatto di amare il suo giorno libero facesse di lei una fannullona; eppure non poteva farne a meno.
Si era alzata in tempo per bere un caffè con Tom, e mentre lui usciva di casa per andare al lavoro J sprofondava nel divano, godendosi i programmi del mattino e spiluccando l'ultimo dei muffin che aveva preparato domenica con Katie e Ann.
Il trillo del campanello di casa la svegliò. Non si era accorta di essersi appisolata. Ancora intontita, barcollò fino alla porta, e fu abbastanza accorta da passarsi una mano sulla guancia sulla quale era rimasto appiccicato l’ultimo rimasuglio di dolce.
- 'Giorno. - Sbadigliò, concedendosi di stropicciarsi gli occhi,
- Che faccia, - la prese in giro ridendo Bobby, il postino che da tempi immemori svolgeva il suo servizio nel quartiere.
- Dovrei vergognarmene, lo so. - Firmò la bolla della ricevuta,
- Regali di compleanno in ritardo, eh? - chiese Bobby, notando che il destinatario era proprio J.
- Chi lo sa. - Lesse il nome del mittente e capì che il postino aveva ragione. Ma d’altra parte lo sapeva benissimo che la persona in questione avrebbe continuato a spedirle il regalo di compleanno con alcune settimane di ritardo per il resto della sua vita. - Buona giornata, Bobby. - Chiuse la porta con il piede, mentre portava l’enorme pacco in salotto con tutt’e due le mani.

La scatola di spedizione, marrone, anonima e piena di timbri, rivelò al proprio interno della carta da regalo dalle tinte accese, mimetizzata da listarelle e coriandoli di carta che avevano lo scopo di proteggere il regalo dagli scossoni del viaggio.
J Si riservò di leggere il biglietto d'accompagnamento per ultimo, e facendo attenzione a non sparpagliare sul divano la carta, estrasse il pacchetto. Dopo aver fatto scivolare via il filo argentato, aprì con cura i lati strappando via lo scotch delicatamente, mentre un'altra scatola in cartone lucido veniva alla luce.
Barney's, un altro capo d’abbigliamento impossibile da utilizzare che sarebbe finito nel fondo del suo armadio insieme a tutti gli altri che venivano presi in mano solo ogni tanto da Katie o Annabell che li ammiravano estasiate.
Sollevò il coperchio e si trovò di fronte una velina ripiegata che proteggeva una stoffa rosso veneziano, accesa e improbabile come il vestito che creava.
In realtà, prendendo tra le dita l'abito e srotolando a cascata il tessuto, la prima sensazione che provò fu di estasi. quel vestito era indubbiamente bello: lo scollo a barchetta era morbido, tutt'uno con le maniche formate da due graziose balze; una cinturina laccata delineava il punto vita lasciando sotto libera l'ampia gonna.


Ma Janet era lontana da troppo tempo da lei e dal quartiere, o non le avrebbe mai preso quel vestito così inadatto. Era oggettivamente bello, ma J non conosceva una sola occasione in cui avrebbe potuto indossarlo, inoltre era così diverso da lei che calzandolo sarebbe sembrata una bambina con gli abiti della sorella maggiore. Ripiegò la stoffa, rimettendola nella sua scatola, e scovato il biglietto strappò la busta.


Cara Jill,

vent'anni sono una data molto importante per una ragazza, e ogni ragazza che compie vent'anni deve avere nell'armadio almeno un vestito come questo.
Sarai bellissima, già lo so!

Tanti auguri,

Zia Janet



Erano Cinque anni che non si faceva viva a Germantown, come poteva sapere se sarebbe realmente stata bella?
Janet probabilmente dava per scontato che avendo parte dei suoi geni sarebbe sicuramente andata così.
Janet era la sorella gemella di sua madre, e l'unica persona al mondo a chiamarla ancora Jill: ormai aveva rinunciato a chiederle di evitare di usare quel nome. Si era sposata con uno yankee di passaggio e poi l'aveva seguito fino a New York, dove aveva meticolosamente lavorato per estirpare le proprie radici. La prima volta che era tornata, J lo ricordava ancora, aveva osservato lei e sua madre chiedendosi come potessero essere due sorelle gemelle tanto differenti: Janet con il suo accento finto della city, i capelli cotonati freschi di piega e il trucco che le induriva lo sguardo, non aveva niente a che spartire con la madre, che deliziosa nel suo vestitino verde con i capelli lisci tagliati a caschetto sembrava ancora una ragazzina.

La sera aveva sentito suo padre e Peter ridere su quanto Janet fosse ridicola, e su come sicuramente la trovassero stupida i newyorkesi, che ovviamente indovinavano che sotto a quelle piume lucenti stava una bifolca del sud; lei era in camera sua, ma aveva sentito distintamente la madre rimproverarli difendendo la sorella, che a suo dire era stata costretta a bardarsi così proprio per colpa di quella nicchia di persone fiere delle loro origini che guardavano con sospetto tutto ciò che non fosse prettamente yankee. La grande mela era crudele, l'aveva sentita dire, e Janet cercava solo di non farsi inghiottire.

Si domandò tristemente quanto nelle parole della madre fosse sincero, quanto lei credesse ancora nella sorella, e come avrebbe reagito nel sentirla parlare al suo funerale.


* * *

- Mi porto via la bambina, Tom. Sarai d'accordo con me che saprò crescerla molto meglio io di come faresti tu. - J era in camera sua, ma aveva riconosciuto la voce dura e squadrata della zia, nella quale aveva inutilmente sperato di sentire le note morbide di sua madre.
- Janet, non dire fesserie. Jill non se ne andrà da nessuna parte! - aveva sbottato suo padre, sicuramente vicino a metterla alla porta.
- Sii obiettivo, tu lavori tutto il giorno, la bambina con chi starebbe? Per non parlare dell'educazione che potrebbe ricevere grazie a me a Manhattan. Sai bene che le possibilità economiche mie e di Jack...
Tom l'aveva interrotta malamente: - Non voglio ripetertelo, mia figlia sta con me. Non ha bisogno di niente di ciò che puoi darle.

A seguire aveva sentito dei rumori confusi, sedie che stridevano spostandosi e passi veloci.

- Sei un bifolco orgoglioso, Tom, e se ti ostini a fare così Jill crescerà proprio come tutti voi: intrappolati in questo stupido quartiere a vita! - aveva strillato in modo teatrale.
Fu lo zio concludere la conversazione: - Janet, Tom è troppo buono per dirti quello che ti sto per dire io: vattene al diavolo, torna nella tua bella città perchè la tua presenza qui non è gradita.
I passi si erano avvicinati alla sua stanza, e aveva sentito qualcuno bussare.
Per un fugace istante aveva avuto un tuffo al cuore nel vedere quei lineamenti, così camuffati ma che in sottofondo riflettevano il viso di sua madre.
- Piccola Jill, - aveva detto zia Janet entrando, con una voce molto più pacata dei toni con cui si era esibita con il lo zio e il padre. - Ora io devo andare, il mio aereo parte tra poco e Jack domani deve essere al lavoro. Vienimi pure a trovare quando vuoi, ok? - Si era avvicinata inondandola con quel profumo stucchevole, posandole un bacio sulla fronte.
- Janet... - l'aveva ammonita suo padre dalla porta.
La zia le aveva accarezzato la guancia, poi si era sollevata ed era uscita.


* * *

La zia Janet l’aveva invitata spesso nelle sue lettere a raggiungerla durante le vacanze, ma non era più tornata nel Tennessee se non in occasione del terzo anniversario delle morte della sorella, quando con toni più melliflui aveva provato ad avanzare nuovamente la proposta di prendersi cura di lei, ricevendo lo stesso rifiuto. Da allora si era limitata ad inviare a J regali che le raccontavano la vita che avrebbe potuto avere con lei a New York, forse per invogliarla ad andare forse per umiliare suo padre con cose che lui non poteva permettersi di darle, riflesso di una vita troppo lontana da loro.
J non le era molto legata, ma una piccola parte di lei non se la sentiva di rompere ogni legame con lei, sapendo che sotto ai lustrini rimaneva l'immagine della donna che sua madre sarebbe diventata.


Ripose l'abito nell'armadio, l'ultima delle scatole impilate ordinatamente una sopra all'altra, e decise di aver riposato abbastanza, così si diede da fare per riassettare la casa.
Accese la radio, impostando l'antenna su una stazione locale che ovviamente alternava Elvis a Cash, e dopo aver ripulito la dispensa e sistemato negli armadi il bucato pulito si mise a preparare il pranzo, visto che Tom sarebbe tornato a casa per la pausa.

- Mi vuoi far morire? - le disse il padre una volta entrato, guardando con diffidenza la pentola dentro la quale sobbolliva una specie di sugo da cui spuntavano dei pezzi di carne. Se c'era una faccenda domestica nella quale J non spiccava era proprio la cucina, infatti in genere era sempre lui ad occuparsene e lei si limitava a scaldare la pizza o preparare dei panini imbottiti.
- Dai, pa, - si lamentò, - mi sono fatta dare la ricetta dal macellaio, vedrai che sarà buonissimo! - gli assicurò mentre finiva di apparecchiare la tavola e lui andava a lavarsi le mani.
- Programmi per il pomeriggio? - le domandò sedendosi.
Lei gli servì un mestolo di intruglio rossiccio. - Niente di che. Pensavo di andare a fare la spesa e poi di aspettare che Ann finisca il lavoro. Ci siamo messe d’accordo per andare a fare un giro in città.
Tom stappò una birra con cui si diede il coraggio di assaggiare la pietanza, che si rivelò troppo salata e la carne troppo dura, praticamente impossibile da masticare.
- J, tesoro, non c'è nient'altro da mangiare? - le chiese implorante, mentre lei stessa faceva una smorfia disgustata e risputava nel piatto il boccone.
- Stai lì, faccio due panini.
- Sicura che non vuoi che ci pensi io? - Il padre ghignò e svuotò il contenuto dei piatti nella pentola, per poi versare il tutto nella spazzatura.
- Come sei simpatico, - disse sarcastica, mettendogli davanti un panino. - Oggi è arrivato il pacco, - lo informò poi, a bocca piena.
- La puntualità di quella donna mi lascia sempre sbalordito, - commentò . - Un altro stupido cappellino?
- Ci sei quasi: un vestito da sera di Barney's, del genere fatalona.
Il padre sospirò.
- Abbi pazienza piccola, non lo fa con cattiveria nei tuoi confronti, è fatta così. - Si pulì la bocca dalla senape e le diede un bacio sulla fronte, alzandosi. - Ci vediamo stasera?
- Non abbiamo intenzione di stare fuori tanto, ceno a casa. Ordino una pizza, ok?
- Perfetto. - Le strizzò l’occhio prima di uscire.
J lavò i piatti e s'impegnò a raschiare via dalla pentola i rimasugli dello sfortunato pranzo. Ormai era tardi per la spesa, così si fece una doccia e aspettò pazientemente la telefonata di Ann per mettersi d'accordo per l'ora.

Alle cinque, come avevano deciso, sentì il clacson avvertirla d'uscire, così afferrò il giubbettino di jeans e la raggiunse in macchina
- Scusami se non mi sono cambiata, - la salutò Ann, che vestiva ancora il tailleurino da segretaria, - ma poi avrei fatto tardi e avremmo trovato i negozi chiusi. - si giustificò mentre metteva in moto.
- Figurati, Ann, non vedo il problema. Devi comprare qualcosa?
- Il vestito che mi sono provata settimana scorsa quando siamo andate con Katie, non riesco a togliermelo dalla mente. Tu, mia cara formichina?
- Non ho molto da spendere, ma se trovo un paio di jeans potrei farci un pensierino.
Ann rise. - Come no, non avevo dubbi: la tua divisa.
- Zucchero, non essere cattiva, sai che non mi ci vedo con gonne e gonnelline. Che male c'è?
Sorpassarono un camioncino e si immisero nella statale.
- Assolutamente niente, scherzavo un po', Perché tu come al solito non ti smentisci. Bobby ha messo in giro la voce che è arrivato il pacco, è vero?
J annuì. - Un vestito rosso di Barney’s. Sai, rimanendo in tema, proprio il mio stile.
- Per quello devi fare giudicare me, lo sai. Chi è stata a convincerti a prendere quella graziosa magliettina che indossi? - Parcheggiò, lasciando come suo solito la macchina per metà fuori dalle striscie. - Ehi, guarda un po' lì, - le disse acquattandosi contro di lei ed indicandole un punto fuori dal finestrino. J seguì la direzione del dito, fino a raggiungere i tavolini di un bar dove stavano seduti il forestiero e Betta.
- Che fortuna.Non vorrai andare a salutarli, spero, - borbottò
- Mi sembrava che Sam avesse detto che avevate fatto pace, - ribattè Ann uscendo dalla macchina e chiudendo la serratura. - Comunque no, non ci tengo ad andare da quell'ochetta della tua collega. Certo che sembrano fare sul serio.
- Katie dice che nemmeno una pazza farebbe sul serio con lui.- Entrarono nel negozio, ma continuarono a seguire con lo sguardo la coppia che chiacchierava allegramente.
- È ovvio, intendevo sul serio dati i personaggi. Su, andiamo.
Ann si confuse le idee provando altri quattro vestiti oltre a quello che era inizialmente intenzionata a comprare,così alla fine non seppe decidersi, lanciò però una camicetta a J intimandole di comprarla dato che il colore avrebbe messo magnificamente in risalto i suoi occhi blu.

Quando alla fine uscirono, il negozio era ormai in chiusura. J aveva ascoltato il consiglio di Ann ed era soddisfatta, mentre Ann stringeva il sacchetto contenente il primo abito, ma continuava a pensare agli altri che aveva visto in negozio.
- È un'ingiustizia, - borbottò mentre si avviavano alla macchina, - se solo mi avesse fatto lo sconto mi sarei presa anche l'altro!
- Quello che hai comprato era il più bello, non preoccuparti, - l'assicurò leale J.
Una voce dall’altra parte della strada le chiamò. - Ehi, bamboline!
Si voltarono entrambe, riconoscendo una con disappunto e l’altra con entusiasmo la voce di Patrick. J era pronta a fargli un cenno educato e a risalire in macchina, ma Ann la trascinò trotterellando da lui.
- Ti abbiamo visto prima in dolce compagnia, ma non volevamo disturbarti, - lo informò solerte Ann, sorridendogli allegra.
- Eh già, mi immagino la fitta conversazione che avete avuto, - commentò J sarcastica. Betta non era nota per le sue doti comunicative.
- Ragazzina, non essere cattiva, - le disse lui con un ghigno che ebbe il potere di fare sbattere le ciglia ad Ann. - In fondo è una brava persona, sai?
Lei sbuffò.
- Mi immagino, ma contento te. - Scrollò le spalle,
- A dire la verità, - continuò il forestiero - mi ero dato appuntamento qui con Miss Melania, un incontro d'affari, e quando è andata via ho incontrato la dolce cameriera e ci siamo fermati un po' a parlare.
Se era lui il suo nuovo collega c'era da stare freschi: Betta impegnata a fare gli occhi dolci agli uomini, il forestiero a fare la corte a tutte le clienti di sesso femminile e lei a sgobbare per tutti.
- Che genere d'affari? - l'anticipò curiosa Annabell, con un tono carezzevole.
- Musica, bambine: farò qualche serata al pub.
J lo fissò e scoppiò in una risata benevola, con sua sorpresa.
- Forestiero, dimmi: ti impegni ad essere un clichè vivente o ti viene naturale?
- Naturale, ragazzina: ci sarà un motivo se sono venuto proprio negli States. Di lavoro per muratori ce n'è in tutto il mondo, - le spiegò sorridendo, mentre la fossettina sul suo mento si accentuava.
Ann occhieggiò l'orologio.
- Credo che sia meglio che andiamo. Patrick, stasera ci troviamo al bar del nostro quartiere: i ragazzi giocano a stecca e noi si spettegola un po', sei dei nostri?
- Certo, bambolina, è meglio che insegni a questi ragazzotti americani come si gioca, - rise lui, avviandosi.
Le due ragazze tornarono in macchina.
- È un miracolo: hai fatto la simpatica alla fine, - la stuzzicò.
- Suvvia Ann, mi conosci: non tengo certo il muso a lungo io, sto cercando di essere più morbida nei suoi confronti.
- Certo, anzi: credo che fosse la prima volta che tieni il broncio a qualcuno, - annuì comprensiva.
- Piuttosto, tu, - indagò J. - Ti vedo particolarmente morbida con lui.
Ann rise di cuore.
- Ma no, Scricciolo: flirto un po' ma innocentemente, Patrick è un gran bel pezzo di ragazzo ma ho capito benissimo di che pasta è fatto e dal momento che ormai fa parte del gruppo non è mia intenzione di creare dei malumori per un paio di bacetti. - Si fermò davanti alla casetta azzurra. - Ricordati il tuo sacchetto. Alle nove da Billy!









nda Scusatemi per l'attesa, ma questa storia non riesco a scriverla nei tempi canonici, mi richiede un po' più di concentrazione.

Ringrazio di cuore Kukiness per il suo lavoro di betaggio eccelso, grazie a lei sto imparando molto!

Non voglio accattonare recensioni, di sicuro sapere cosa ne pensate mi farebbe piacere e non vi nascondo che sarebbe un bello stimolo a continuare, ma spero che in ogni caso a prescindere dalla recensione qualcuno la legga e l'apprezzi.
 Il prossimo capitolo non si farà aspettare così tanto, lo prometto!

   
 
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