Well
you ask me if I'll forget my baby.
I guess I will,
someday.
I don't like it but I guess things happen that
way.
You ask me if I'll get along.
I guess I will,
someway.
I don't like it but I guess things happen that
way.
God gave me that girl to lean on,
then he
put me on my own.
Heaven help me be a man
and have
the strength to stand alone.
I don't like it but I guess
things happen that way.
(A guess things happen that way, Johnny Cash)
Infilò
per l'ennesima volta il badile nella malta, e facendo leva con le
braccia lo sollevò svuotandolo nella betoniera. L'accese, mentre si
passava il braccio sulla fronte per asciugare le gocce di sudore, e
le girò intorno per controllare che il vassoio fosse posizionato
correttamente; odiava stare di turno a quell'affare, era il lavoro
più monotono del cantiere. Il motore iniziò a tremare, in maniera
poco rassicurante, e Patrick gli assestò un calcio, facendola
ripartire, poi inforcò la carriola per andare a recuperare della
nuova malta.
Preferiva
riempirla al massimo, per fare meno viaggi: pesava come un accidente,
ma aveva l'impressione di fare più in fretta, anche se la fine del
suo turno era determinata più che dalla mole di lavoro svolto
dall'orario; aveva capito però che il capocantiere se avesse fatto
un buon lavoro lo avrebbe tenuto alla larga da quell'affare per più
tempo, al contrario dei suoi colleghi che facevano il minimo
indispensabile.
Strinse i
denti mentre spingeva la carriola piena, con i muscoli che gli
bruciavano dal peso,
- Mike, levati di lì cazzo! - Sbuffò,
fermandosi per non andargli addosso. Appoggiò la carriola a terra e
riprese fiato, - La prossima volta che ti metti in mezzo giuro che ti
azzoppo.
Mike
intanto rideva, - Dai, è dall'alba che fai il mulo, fumiamoci una
sigaretta.
- Aiutami
a portare sto affare alla betoniera prima.
Afferrarono
ognuno un manico della carriola,
- Ehi, ma
sei pazzo? Come facevi a portarla da solo? - disse Mike con un ultima
spinta.
Patrick
rise, - Non sono una donnetta come te, - sfilò all'amico il
pacchetto di sigarette di tasca, - questa la offri tu.
Si
appoggiarono al muretto, passandosi l'accendino.
- Sai, -
disse poi a Mike, - ci ho provato, ti giuro, ma la tua amica non
riesco proprio a capirla. Pensavo che sarebbe stata felice dopo ieri
sera, e invece sembrava quasi che le abbia dato fastidio. Mike sembrò
capire al volo di chi stesse parlando,
- J è
una brava ragazza, fin troppo forse, ed è terribilmente innocente.
Pensa di avere fatto da pappone e si è sentita in colpa.
Patrick
rise di gusto.
- In
colpa per che cosa, scusa? Amico, le donne sono un piacere, non un
dovere!
- Ma io
sono d'accordo con te, - si difese Mike. - J è troppo piccola per
capirlo.
- Quanti
anni ha, scusa?
-
Diciannove, anzi, venti. Vedrai, capirai conoscendola, - gli disse
sibillino, mentre tornava al lavoro.
Vent'anni.
Ne aveva sicuramente di più di quanto ne dimostrava, e sicuramente
non ne aveva meno della maggior parte delle ragazze che aveva avuto,
eppure era molto più ragazzina di loro. Lei non si truccava, non si
laccava le unghie e non si arricciava i capelli come invece faceva la
maggior parte delle sue coetanee, ma soprattutto non aveva quella
malizia a cui Patrick era abituato. Sabato sera, quando l'aveva
guardata senza sapere che fosse “Jay” e aveva deciso lei come
bersaglio, aveva intuito che avrebbe dovuto faticare più del solito.
Lei aveva distolto subito lo sguardo, imbarazzata, e quando le si era avvicinato aveva iniziato a respingerlo infastidita, come se realmente non volesse avere niente a che fare con lui, e non per un gioco civettuolo architettato per fare la difficile e poi cedere; ma nonostante quello che la ragazza dimostrava con i suoi comportamenti Patrick aveva capito una cosa durante i suoi ventiquattro anni di vita: nessuna donna arrossisce per caso.
Peccato
che poi si fosse rivelata essere Jay, anzi, J, e e per il bene comune
lui avesse dovuto riporre ogni mira nei suoi confronti. Patrick aveva
capito al volo quanto Sam fosse protettivo con lei. Se avesse
cominciato a corteggiarla come faceva di solito, lui non lo avrebbe
affatto gradito e Patrick non aveva alcuna voglia di andarsi a
ficcare in una situazione del genere.
Con il
senno di poi era meglio così: l’ingenuità e il caratterino di J,
malgrado quello che decantavano i suoi amici, si sarebbero rivelati
più una grana che altro.
La
campanella del pranzo suonò, e lui si avviò affamato alla trattoria
dove lavorava Michelle, una rossina tutto pepe che lo guardava sempre
con gli occhi dolci.
-
Bambola, - le disse entrando e facendola arrossire di piacere, - il
fine settimana senza di te è stato uno strazio.
Puoi
aspettarti il meglio da una donna che arrossisce: non lo fanno mai
per caso.
- E poi?
- la incalzò Melly mentre J le raccontava gli avvenimenti del week
end.
- A
quanto sembra lei gli ha dato il ben servito, essendo tutta presa
dall'irlandese; Frank era arrabbiato come un bambino.
Melly
diede una sonora manata al bancone: - Oh, quanto avrei dato per
esserci e vedere la faccia di quel tontolone, - sospirò.
Melly
era... meravigliosa. Era difficile pensare a lei e trovare altri
aggettivi: quarantatrè anni appena festeggiati portati con fierezza,
e il cuore da ragazzina che fino a due anni prima aveva vissuto
bighellonando per il mondo come un soffione trasportato di qua e di
là dal vento.
Non era
sposata, ma non si curava del suo stato civile. Amava con tutto il
cuore il pub che un tempo era stata dei suoi genitori ed era stato
solo per prendersi cura di esso e dei ragazzi che lo frequentavano
che un bel giorno aveva riportato bauli e valigie a Germantown,
dichiarando al fratello che si sarebbe cavata gli occhi piuttosto che
vederlo farlo fallire. Frank aveva rivelato una volta a J, una sera
che era di buon umore, che tutt’ora faceva fatica a stabilire per
quanto tempo la sorella sarebbe rimasta in città, e che nonostante i
suoi modi spesso lo innervosissero, specialmente le numerose volte
che si trovavano in disaccordo riguardo alla gestione del pub,
accettava di buon grado la sua presenza, che gli permetteva di fare
la bella vita per tutta la settimana mentre lei lavorava al posto
suo.
Dal canto
suo, Melly non nascondeva di rimpiangere la sua vita vagabonda, ma
osservando il luogo che era stato teatro della sua infanzia e in cui
il padre aveva riversato tutto il suo sudore, e facendo scorrere lo
sguardo sui frequentatori abituali che lo consideravano alla pari di
un monumento cittadino, ammetteva candidamente che alla sua età era
arrivato il momento di mettere radici, e che Germantown sarebbe stata
la sua ultima stazione fino alla pensione: rimandava ad allora tutte
le mete che le sarebbe ancora piaciuto visitare o rivedere.
La vita
le aveva insegnato parecchie cose, ma più che per i mirabolanti
racconti J amava il carattere schietto e buono della donna, e
l'ardore con cui viveva ogni sua giornata.
- Ti
giuro che per un momento mi ha fatto pena. Sembrava così convinto di
sé fino a un momento prima che deve essere stato un colpo per lui
vedere crollare il suo castello di carte.
-
Baggianate: si è solo illuso e lo sapeva benissimo. Ci ha solo
sperato fino alla fine, negando l'evidenza. Se quel ragazzo ha fatto
davvero la corte tutta sera a Betta davanti ai suoi occhi io al suo
posto avrei alzato subito bandiera bianca, - stabilì, sicura.
J aprì
un cassetto e ne estrasse un blocchetto e una penna, comunicandole
che sarebbe scesa nel magazzino a controllare i rifornimenti e a
buttare giù un promemoria di ordine da fare al fornitore il giorno
successivo, e Melly la lasciò andare con un cenno del capo mentre
continuava a spolverare ad una ad una le bottiglie alle sue spalle.
Come ogni lunedì la serata era tranquilla: c'erano gli immancabili Mike e Mel che bevevano le loro pinte chiacchierando con un gruppo di giovani del quartiere seduti al tavolo vicino; poco più in là tre ragazze erano approdate per una serata di conforto ad una di loro che aveva litigato con il ragazzo; ed infine un gruppo di uomini si godevano la loro ultima birra della giornata prima di ritornare a casa delle mogli.
Melly
guardò incuriosita verso la porta che ci stava aprendo. Entrò un
ragazzo alto da solo; i capelli biondo scuro ricadevano mollemente
sui lineamenti cesellati, le spalle quadrate e imponenti si muovevano
con fluidità, la cadenza tranquilla e sicura di chi si trova a suo
agio in qualsiasi situazione.
Ancor
prima che aprisse bocca, Melly capì immediatamente chi si trovava
davanti a lei.
- Il
forestiero, immagino, - gli disse quando ebbe raggiunto il bancone. -
Ti posso portare qualcosa da bere?
Sul volto
comparvero delle fossette che accompagnavano un sorriso.
- Patrick
O'Connor, al suo servizio, - disse con un cenno del capo. - La mia
fama mi precede. Merito di Sam? - le disse con il melodico accento
che lo contraddistingueva.
- Questa
volta il caro vecchio Sam non ha colpa, ho altre fonti. Melanie
Parker, ma ti prego di chiamarmi Melly. - Tese la mano oltre al
bancone, fissando negli occhi il ragazzo.
Patrick
la guardò e l'afferrò prontamente.
- Dammi
un whiskey. Ce l’hai il Connemara?
La donna
rise, soddisfatta: a pelle le piaceva, con i suoi modi un po' rudi ma
gentili. - Ne tengo una bottiglia proprio per i tipi come te, - gli
rivelò mostrandogli, nascosto dalle altre, il vetro verde della sua
terra natia.
Il
sorriso di Patrick si fece più ampio,
- Allora,
Melly, - le chiese, dopo aver preso una sorsata, - a chi devo il
piacere di averti parlato di me?
La
risposta gli arrivò dalla porta sul retro che si schiuse cigolante,
e apparve J.
-
Forestiero?
-
Ragazzina, - la salutò lui, sollevando il bicchiere nella sua
direzione,
- Che ci
fai qua? Sai che Betta lavora solo il fine settimana, vero? - gli
chiese scostante, fingendo di essere molto impegnata a sistemare i
bicchieri puliti.
- Lo so,
- le spiegò, guadagnandosi un'occhiata carica di disappunto, -
aspetto Sam, ieri sera mi ha detto che sarebbe venuto qui.
- Siete
diventati così amici? - Più che una domanda sembrava un rimprovero,
ma non riuscì nell'intento di intaccare la serenità del ragazzo.
Melly intanto si era allontanata per andare a ritirare i bicchieri
vuoti dai tavoli, e con la coda dell'occhio J giurò di aver visto un
sorriso divertito.
- È un tipo a posto, mi piace, - le rivelò.
- Oh! -
Si finse dispiaciuta. - Ma lui ha altri gusti, mi dispiace di dover
essere io a spezzarti il cuore.
- Mi era
sembrato che ieri sera nel magazzino tu avessi visto con i tuoi occhi
quali sono i miei di gusti, - la punzecchiò divertito.
J incassò
il colpo imbarazzata e piena di vergogna per essere stata scoperta si
allontanò da lui. Si diresse verso il frigo delle bibite, che decise
avere un disperato bisogno di essere pulito.
Patrick
la seguì.
- Dai,
dicevo per scherzare! - Il forestiero sembrava divertito dalla sua
reazione.
J si
voltò a guardarlo con occhi fiammeggianti. - Senti, prima fai lo
stronzo con me, poi cerchi di rimediare in un modo squallidissimo e
alla fine mi umili. Che vuoi da me?
- Quando
avrei fatto lo stronzo esattamente?
- Alla
Sierra, quando ci siamo conosciuti, - gli ricordò J, nervosa.
- Ma in
che modo, esattamente? Forse mi è sfuggito qualche particolare,
- Mi hai
importunato: io ero stanca e arrabbiata e te l'ho fatto capire
subito, ma tu hai continuato. Per non parlare del fatto che da vero
simpaticone hai iniziato a prendermi in giro per il mio nome.
- Non ti
ho preso in giro, ho solo domandato: non era mica colpa mia se
nessuno mi aveva specificato che Jay era una ragazza. Non ho
fatto commenti sul tuo nome. - La seguì di nuovo mentre lei tornava
alla postazione di partenza, per spillare una birra a Mark che gliela
aveva chiesta all’altro lato del bancone.
- Non è
mica il mio nome! - replicò stizzita
- Non mi
hai dato modo di chiederti quale fosse il tuo vero nome.
- Forse
perché non volevo che mi fosse chiesto. - J spinse la pinta a Mark e
si sciacquò le mani, sulle quali era colata della schiuma,
- E
comunque non intendevo darti fastidio, solo scambiare due
chiacchiere. E per quanto riguarda Betta, non mi sembrava che
ritenessi squallido Mike quando le dedicava i suoi apprezzamenti.
- È il
modo in cui...
- Senti:
è una bella ragazza, ci avrei provato comunque. Non pensavo forse di
farlo subito, ma poi l'occasione è arrivata da sola: se è andata
bene anche a te che problema c'è?
J lo
fissava, seria. Non era in grado di continuare la discussione. Aveva
intuito che lui sapeva far valere meglio le proprie argomentazioni, e
più continuavano a discutere e più lui ribaltava la frittata,
facendola finire dalla parte del torto. Sospirò e chiuse il
discorso, per quanto le riguardava in modo definitivo.
- Vuoi un
altro goccio, forestiero? - domandò, con un'aria da divinità offesa
che si piegava a porgere un ramoscello di pace.
Il
forestiero sorrise. - Volentieri, ragazzina. Tu non mi fai compagnia?
- Ma sono
in servizio, - replicò lei imbarazzata. - E non ho ancora l'età per
bere.
-
Scherzavo, non avvampare di nuovo. - Si mise a ridere sonoramente.
Qualcosa
la indusse a non prendersela, nonostante un lato di lui le desse
ancora fastidio. Sarebbe passata, ne era certa: doveva solo
dimenticare quell'inizio disastroso,
- Con
ghiaccio? - disse, prendendolo in giro, e questa volta fu il turno di
lui di guardarla sconvolto dalla domanda. - Ehi, scherzavo. - Gli
passò il bicchiere con una debole risatina.
- Questa
volta hai vinto tu, ragazzina.
Melly
annunciò la sua presenza. - Ma bene, vedo che avete fatto pace. -
Sorrise benevola. - Forestiero, Sam sta entrando proprio adesso. J,
versagli una birra.
J A volte
si sentiva in colpa per adorare così tanto il martedì, come se il
fatto di amare il suo giorno libero facesse di lei una fannullona;
eppure non poteva farne a meno.
Si era
alzata in tempo per bere un caffè con Tom, e mentre lui usciva di
casa per andare al lavoro J sprofondava nel divano, godendosi i
programmi del mattino e spiluccando l'ultimo dei muffin che aveva
preparato domenica con Katie e Ann.
Il trillo
del campanello di casa la svegliò. Non si era accorta di essersi
appisolata. Ancora intontita, barcollò fino alla porta, e fu
abbastanza accorta da passarsi una mano sulla guancia sulla quale era
rimasto appiccicato l’ultimo rimasuglio di dolce.
-
'Giorno. - Sbadigliò, concedendosi di stropicciarsi gli occhi,
- Che
faccia, - la prese in giro ridendo Bobby, il postino che da tempi
immemori svolgeva il suo servizio nel quartiere.
- Dovrei
vergognarmene, lo so. - Firmò la bolla della ricevuta,
- Regali
di compleanno in ritardo, eh? - chiese Bobby, notando che il
destinatario era proprio J.
- Chi lo
sa. - Lesse il nome del mittente e capì che il postino aveva
ragione. Ma d’altra parte lo sapeva benissimo che la persona in
questione avrebbe continuato a spedirle il regalo di compleanno con
alcune settimane di ritardo per il resto della sua vita. - Buona
giornata, Bobby. - Chiuse la porta con il piede, mentre portava
l’enorme pacco in salotto con tutt’e due le mani.
La
scatola di spedizione, marrone, anonima e piena di timbri, rivelò al
proprio interno della carta da regalo dalle tinte accese, mimetizzata
da listarelle e coriandoli di carta che avevano lo scopo di
proteggere il regalo dagli scossoni del viaggio.
J Si
riservò di leggere il biglietto d'accompagnamento per ultimo, e
facendo attenzione a non sparpagliare sul divano la carta, estrasse
il pacchetto. Dopo aver fatto scivolare via il filo argentato, aprì
con cura i lati strappando via lo scotch delicatamente, mentre
un'altra scatola in cartone lucido veniva alla luce.
Barney's,
un altro capo d’abbigliamento impossibile da utilizzare che sarebbe
finito nel fondo del suo armadio insieme a tutti gli altri che
venivano presi in mano solo ogni tanto da Katie o Annabell che li
ammiravano estasiate.
Sollevò
il coperchio e si trovò di fronte una velina ripiegata che
proteggeva una stoffa rosso veneziano, accesa e improbabile come il
vestito che creava.
In
realtà, prendendo tra le dita l'abito e srotolando a cascata il
tessuto, la prima sensazione che provò fu di estasi. quel vestito
era indubbiamente bello: lo scollo a barchetta era morbido, tutt'uno
con le maniche formate da due graziose balze; una cinturina laccata
delineava il punto vita lasciando sotto libera l'ampia gonna.
Ma Janet
era lontana da troppo tempo da lei e dal quartiere, o non le avrebbe
mai preso quel vestito così inadatto. Era oggettivamente bello, ma J
non conosceva una sola occasione in cui avrebbe potuto indossarlo,
inoltre era così diverso da lei che calzandolo sarebbe sembrata una
bambina con gli abiti della sorella maggiore. Ripiegò la stoffa,
rimettendola nella sua scatola, e scovato il biglietto strappò la
busta.
Cara Jill,
vent'anni
sono una data molto importante per una ragazza, e ogni ragazza che
compie vent'anni deve avere nell'armadio almeno un vestito come
questo.
Sarai
bellissima, già lo so!
Tanti auguri,
Zia Janet
Erano
Cinque anni che non si faceva viva a Germantown, come poteva sapere
se sarebbe realmente stata bella?
Janet
probabilmente dava per scontato che avendo parte dei suoi geni
sarebbe sicuramente andata così.
Janet era
la sorella gemella di sua madre, e l'unica persona al mondo a
chiamarla ancora Jill: ormai aveva rinunciato a chiederle di evitare
di usare quel nome. Si era sposata con uno yankee di passaggio e poi
l'aveva seguito fino a New York, dove aveva meticolosamente lavorato
per estirpare le proprie radici. La prima volta che era tornata, J lo
ricordava ancora, aveva osservato lei e sua madre chiedendosi come
potessero essere due sorelle gemelle tanto differenti: Janet con il
suo accento finto della city, i capelli cotonati freschi di piega e
il trucco che le induriva lo sguardo, non aveva niente a che spartire
con la madre, che deliziosa nel suo vestitino verde con i capelli
lisci tagliati a caschetto sembrava ancora una ragazzina.
La sera aveva sentito suo padre e Peter ridere su quanto Janet fosse ridicola, e su come sicuramente la trovassero stupida i newyorkesi, che ovviamente indovinavano che sotto a quelle piume lucenti stava una bifolca del sud; lei era in camera sua, ma aveva sentito distintamente la madre rimproverarli difendendo la sorella, che a suo dire era stata costretta a bardarsi così proprio per colpa di quella nicchia di persone fiere delle loro origini che guardavano con sospetto tutto ciò che non fosse prettamente yankee. La grande mela era crudele, l'aveva sentita dire, e Janet cercava solo di non farsi inghiottire.
Si domandò tristemente quanto nelle parole della madre fosse sincero, quanto lei credesse ancora nella sorella, e come avrebbe reagito nel sentirla parlare al suo funerale.
* * *
-
Mi porto via la bambina,
Tom. Sarai d'accordo
con me che saprò crescerla
molto meglio io di come faresti tu.
- J era in camera sua, ma aveva riconosciuto la voce dura e
squadrata della zia, nella quale
aveva inutilmente sperato di sentire le note morbide di sua
madre.
-
Janet,
non dire fesserie. Jill
non se ne andrà da nessuna parte! - aveva
sbottato suo padre, sicuramente vicino a metterla
alla porta.
-
Sii obiettivo, tu lavori tutto il giorno, la
bambina con
chi starebbe? Per non parlare dell'educazione che potrebbe ricevere
grazie a me a
Manhattan. Sai bene
che le possibilità economiche mie e di Jack...
Tom
l'aveva interrotta malamente:
- Non voglio
ripetertelo, mia figlia sta con me.
Non ha bisogno di niente di ciò che puoi darle.
A seguire aveva sentito dei rumori confusi, sedie che stridevano spostandosi e passi veloci.
-
Sei un bifolco orgoglioso,
Tom, e se ti ostini a fare così
Jill crescerà proprio come tutti voi: intrappolati in questo stupido
quartiere a vita! - aveva strillato in
modo teatrale.
Fu
lo zio concludere la conversazione:
- Janet, Tom è
troppo buono per dirti quello che ti sto per dire io: vattene al
diavolo, torna nella tua bella città perchè la tua presenza qui non
è gradita.
I
passi si erano avvicinati alla sua stanza, e
aveva sentito qualcuno
bussare.
Per
un fugace istante aveva
avuto un tuffo
al cuore nel vedere quei lineamenti, così camuffati ma che in
sottofondo riflettevano il viso di
sua madre.
-
Piccola Jill, - aveva detto zia
Janet
entrando, con una voce molto più pacata dei toni con cui si era
esibita con il lo zio e il padre.
- Ora io devo andare, il mio aereo parte tra poco e Jack
domani deve essere al lavoro.
Vienimi pure a trovare quando vuoi, ok? - Si
era avvicinata inondandola con quel profumo stucchevole, posandole un
bacio sulla fronte.
-
Janet... - l'aveva ammonita suo padre dalla porta.
La
zia le aveva accarezzato la guancia, poi si era sollevata
ed era uscita.
* * *
La zia
Janet l’aveva invitata spesso nelle sue lettere a raggiungerla
durante le vacanze, ma non era più tornata nel Tennessee se non in
occasione del terzo anniversario delle morte della sorella, quando
con toni più melliflui aveva provato ad avanzare nuovamente la
proposta di prendersi cura di lei, ricevendo lo stesso rifiuto. Da
allora si era limitata ad inviare a J regali che le raccontavano la
vita che avrebbe potuto avere con lei a New York, forse per
invogliarla ad andare forse per umiliare suo padre con cose che lui
non poteva permettersi di darle, riflesso di una vita troppo lontana
da loro.
J non le
era molto legata, ma una piccola parte di lei non se la sentiva di
rompere ogni legame con lei, sapendo che sotto ai lustrini rimaneva
l'immagine della donna che sua madre sarebbe diventata.
Ripose
l'abito nell'armadio, l'ultima delle scatole impilate ordinatamente
una sopra all'altra, e decise di aver riposato abbastanza, così si
diede da fare per riassettare la casa.
Accese la
radio, impostando l'antenna su una stazione locale che ovviamente
alternava Elvis a Cash, e dopo aver ripulito la dispensa e sistemato
negli armadi il bucato pulito si mise a preparare il pranzo, visto
che Tom sarebbe tornato a casa per la pausa.
- Mi vuoi
far morire? - le disse il padre una volta entrato, guardando con
diffidenza la pentola dentro la quale sobbolliva una specie di sugo
da cui spuntavano dei pezzi di carne. Se c'era una faccenda domestica
nella quale J non spiccava era proprio la cucina, infatti in genere
era sempre lui ad occuparsene e lei si limitava a scaldare la pizza
o preparare dei panini imbottiti.
- Dai,
pa, - si lamentò, - mi sono fatta dare la ricetta dal macellaio,
vedrai che sarà buonissimo! - gli assicurò mentre finiva di
apparecchiare la tavola e lui andava a lavarsi le mani.
-
Programmi per il pomeriggio? - le domandò sedendosi.
Lei gli
servì un mestolo di intruglio rossiccio. - Niente di che. Pensavo di
andare a fare la spesa e poi di aspettare che Ann finisca il lavoro.
Ci siamo messe d’accordo per andare a fare un giro in città.
Tom
stappò una birra con cui si diede il coraggio di assaggiare la
pietanza, che si rivelò troppo salata e la carne troppo dura,
praticamente impossibile da masticare.
- J,
tesoro, non c'è nient'altro da mangiare? - le chiese implorante,
mentre lei stessa faceva una smorfia disgustata e risputava nel
piatto il boccone.
- Stai
lì, faccio due panini.
- Sicura
che non vuoi che ci pensi io? - Il padre ghignò e svuotò il
contenuto dei piatti nella pentola, per poi versare il tutto nella
spazzatura.
- Come
sei simpatico, - disse sarcastica, mettendogli davanti un panino. -
Oggi è arrivato il pacco, - lo informò poi, a bocca piena.
- La
puntualità di quella donna mi lascia sempre sbalordito, - commentò
. - Un altro stupido cappellino?
- Ci sei
quasi: un vestito da sera di Barney's, del genere fatalona.
Il padre
sospirò.
- Abbi
pazienza piccola, non lo fa con cattiveria nei tuoi confronti, è
fatta così. - Si pulì la bocca dalla senape e le diede un bacio
sulla fronte, alzandosi. - Ci vediamo stasera?
- Non
abbiamo intenzione di stare fuori tanto, ceno a casa. Ordino una
pizza, ok?
-
Perfetto. - Le strizzò l’occhio prima di uscire.
J lavò i
piatti e s'impegnò a raschiare via dalla pentola i rimasugli dello
sfortunato pranzo. Ormai era tardi per la spesa, così si fece una
doccia e aspettò pazientemente la telefonata di Ann per mettersi
d'accordo per l'ora.
Alle
cinque, come avevano deciso, sentì il clacson avvertirla d'uscire,
così afferrò il giubbettino di jeans e la raggiunse in macchina
- Scusami
se non mi sono cambiata, - la salutò Ann, che vestiva ancora il
tailleurino da segretaria, - ma poi avrei fatto tardi e avremmo
trovato i negozi chiusi. - si giustificò mentre metteva in moto.
-
Figurati, Ann, non vedo il problema. Devi comprare qualcosa?
- Il
vestito che mi sono provata settimana scorsa quando siamo andate con
Katie, non riesco a togliermelo dalla mente. Tu, mia cara formichina?
- Non ho
molto da spendere, ma se trovo un paio di jeans potrei farci un
pensierino.
Ann rise.
- Come no, non avevo dubbi: la tua divisa.
-
Zucchero, non essere cattiva, sai che non mi ci vedo con gonne e
gonnelline. Che male c'è?
Sorpassarono
un camioncino e si immisero nella statale.
-
Assolutamente niente, scherzavo un po', Perché tu come al solito non
ti smentisci. Bobby ha messo in giro la voce che è arrivato il
pacco, è vero?
J annuì.
- Un vestito rosso di Barney’s. Sai, rimanendo in tema, proprio il
mio stile.
- Per
quello devi fare giudicare me, lo sai. Chi è stata a convincerti a
prendere quella graziosa magliettina che indossi? - Parcheggiò,
lasciando come suo solito la macchina per metà fuori dalle striscie.
- Ehi, guarda un po' lì, - le disse acquattandosi contro di lei ed
indicandole un punto fuori dal finestrino. J seguì la direzione del
dito, fino a raggiungere i tavolini di un bar dove stavano seduti il
forestiero e Betta.
- Che
fortuna.Non vorrai andare a salutarli, spero, - borbottò
- Mi
sembrava che Sam avesse detto che avevate fatto pace, - ribattè Ann
uscendo dalla macchina e chiudendo la serratura. - Comunque no, non
ci tengo ad andare da quell'ochetta della tua collega. Certo che
sembrano fare sul serio.
- Katie
dice che nemmeno una pazza farebbe sul serio con lui.- Entrarono nel
negozio, ma continuarono a seguire con lo sguardo la coppia che
chiacchierava allegramente.
- È
ovvio, intendevo sul serio dati i personaggi. Su, andiamo.
Ann si
confuse le idee provando altri quattro vestiti oltre a quello che era
inizialmente intenzionata a comprare,così alla fine non seppe
decidersi, lanciò però una camicetta a J intimandole di comprarla
dato che il colore avrebbe messo magnificamente in risalto i suoi
occhi blu.
Quando
alla fine uscirono, il negozio era ormai in chiusura. J aveva
ascoltato il consiglio di Ann ed era soddisfatta, mentre Ann
stringeva il sacchetto contenente il primo abito, ma continuava a
pensare agli altri che aveva visto in negozio.
- È
un'ingiustizia, - borbottò mentre si avviavano alla macchina, - se
solo mi avesse fatto lo sconto mi sarei presa anche l'altro!
- Quello
che hai comprato era il più bello, non preoccuparti, - l'assicurò
leale J.
Una voce
dall’altra parte della strada le chiamò. - Ehi, bamboline!
Si
voltarono entrambe, riconoscendo una con disappunto e l’altra con
entusiasmo la voce di Patrick. J era pronta a fargli un cenno educato
e a risalire in macchina, ma Ann la trascinò trotterellando da lui.
- Ti
abbiamo visto prima in dolce compagnia, ma non volevamo disturbarti,
- lo informò solerte Ann, sorridendogli allegra.
- Eh già,
mi immagino la fitta conversazione che avete avuto, - commentò J
sarcastica. Betta non era nota per le sue doti comunicative.
-
Ragazzina, non essere cattiva, - le disse lui con un ghigno che ebbe
il potere di fare sbattere le ciglia ad Ann. - In fondo è una brava
persona, sai?
Lei
sbuffò.
- Mi
immagino, ma contento te. - Scrollò le spalle,
- A dire
la verità, - continuò il forestiero - mi ero dato appuntamento qui
con Miss Melania, un incontro d'affari, e quando è andata via ho
incontrato la dolce cameriera e ci siamo fermati un po' a parlare.
Se era
lui il suo nuovo collega c'era da stare freschi: Betta impegnata a
fare gli occhi dolci agli uomini, il forestiero a fare la corte a
tutte le clienti di sesso femminile e lei a sgobbare per tutti.
- Che
genere d'affari? - l'anticipò curiosa Annabell, con un tono
carezzevole.
-
Musica, bambine: farò qualche serata al pub.
J lo
fissò e scoppiò in una risata benevola, con sua sorpresa.
-
Forestiero, dimmi: ti impegni ad essere un clichè vivente o ti viene
naturale?
-
Naturale, ragazzina: ci sarà un motivo se sono venuto proprio negli
States. Di lavoro per muratori ce n'è in tutto il mondo, - le spiegò
sorridendo, mentre la fossettina sul suo mento si accentuava.
Ann
occhieggiò l'orologio.
- Credo
che sia meglio che andiamo. Patrick, stasera ci troviamo al bar del
nostro quartiere: i ragazzi giocano a stecca e noi si spettegola un
po', sei dei nostri?
- Certo,
bambolina, è meglio che insegni a questi ragazzotti americani come
si gioca, - rise lui, avviandosi.
Le due
ragazze tornarono in macchina.
- È un
miracolo: hai fatto la simpatica alla fine, - la stuzzicò.
- Suvvia
Ann, mi conosci: non tengo certo il muso a lungo io, sto cercando di
essere più morbida nei suoi confronti.
- Certo,
anzi: credo che fosse la prima volta che tieni il broncio a qualcuno,
- annuì comprensiva.
-
Piuttosto, tu, - indagò J. - Ti vedo particolarmente morbida
con lui.
Ann rise
di cuore.
- Ma no,
Scricciolo: flirto un po' ma innocentemente, Patrick è un gran bel
pezzo di ragazzo ma ho capito benissimo di che pasta è fatto e dal
momento che ormai fa parte del gruppo non è mia intenzione di creare
dei malumori per un paio di bacetti. - Si fermò davanti alla casetta
azzurra. - Ricordati il tuo sacchetto. Alle nove da Billy!
nda Scusatemi per l'attesa, ma questa
storia non riesco a scriverla nei tempi canonici, mi richiede un po'
più di concentrazione.
Ringrazio di cuore Kukiness per il suo lavoro di betaggio eccelso, grazie a lei sto imparando molto!
Non voglio accattonare recensioni, di sicuro sapere cosa ne pensate mi
farebbe piacere e non vi nascondo che sarebbe un bello stimolo a
continuare, ma spero che in ogni caso a prescindere dalla recensione
qualcuno la legga e l'apprezzi.
Il prossimo capitolo non si farà aspettare così tanto, lo prometto!