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Autore: Italianulare    05/04/2012    3 recensioni
Ho una cicatrice sul cuore con sopra il tuo nome.
«Perchè dovevi rovinare tutto?»
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luna, si dice muove marea e cuore umano


Sedetti accanto a Jack, era lui che mi aveva invitata e non conoscevo nessun’altro.
Non sapevo se era sincero e quindi l’aveva fatto perchè voleva seriamente farmi conoscere gente nuova, diversa o se voleva solo provarci. Fatto sta che ci ero andata e non so nemmeno il perché, qualcosa mi aveva spinto a farlo. Era una festa sulla spiaggia, una cosa tranquilla, aveva detto, infatti era così. C’era musica, un piccolo bar che distribuiva da bere e il tasso alcolico non era così elevato come credevo.
Quando vidi il fuoco con tutte le persone sedute attorno ad esso capii che Giacomo non aveva troppa voglia di farmi conoscere gente. Mi prese la mano e mi portò dove già altre aspiranti coppiette stavano facendo conoscenza. Mi faceva un po’ schifo l’idea di dover stare lì a fargli capire ad atteggiamenti che era solo un amico e non sarebbe mai stato altro, ma ingoiai il rospo e mi feci forza.
«Vado a prendere da bere ok?» chiese alzandosi. Annuii. «Tu vuoi qualcosa?» scossi la testa a destra e poi sinistra, nessun accenno a carinerie varie. Sorrise e se ne andò, così cominciai a guardarmi intorno. Suonava un pezzo dei Blur, Song 2, una canzone troppo energica per quel momento, non c’era nessuno che si scatenava all’uh-uh di Damon Albarn, perché tutti erano seduti attorno a sto fuoco e quelli che si credevano più duri erano al bancone a bere, perciò era parecchio comico. Attorno a noi c’erano gruppetti. Coppiette che si sbaciucchiavano, aspiranti coppiette che avevo già visto all’opera, gruppi di amici scapoli alla ricerca dell’anima gemella o di due gemelle da portarsi a letto, dipende dalle interpretazioni, ma non riuscii a vedere tutti bene in faccia perché ricomparve.
«Sono tornato!»Esclamò aspettandosi un mio sorriso o qualche segnale di apprezzamento, che non arrivò. Non stavo male con lui, semplicemente, sarei stata meglio con qualcun altro.
La canzone finì e stavamo tutti attendendo la prossima, che arrivò come un pugno nello stomaco.
 

Venerdì sera, le nove, dopo due giorni che piove
l’acqua per strada e l’inchiostro sul foglio lo stesso colore

 
«Che bella questa! Non ti piacevano gli articolo?»
«Si..»Risposi quasi senza fiato.
«Qualcosa non va?» sembrò preoccuparsi
«No, è tutto ok.. Sto solo ascoltando»finsi e lui se ne tornò a canticchiare guardando davanti a sé.
Questo era stato un colpo basso, avevo evitato di ascoltare quella canzone per molto tempo, conscia di quello che mi avrebbe suscitato e ora, che non avevo vie di scampo, mi aveva raggiunta e mi suonava addosso, bruciando mille volte di più.
Anche se non lo volevo con tutte le mie forze, tornai a quel venerdì sera con la mente. Chiusi gli occhi e rividi i suoi, distanti. Distanti come non mai. Cos’era successo lo sapevo. Sapevo già ogni cosa. Mi era già stata riferita, ma non da lui, non dal mio ragazzo. Mi salì un nodo alla gola nel rivivere quelle parole come tatuate sulla mia pelle, aprii gli occhi già inumiditi a dovere per provare a tornare alla realtà.

Guardando un quaderno di rime del ‘93
C’era una foto di un pezzo s’un treno con davanti io e te

 
Altro ricordo ancora troppo vivo. Un treno, un concerto, proprio di Ax, mille foto.
«Non trovi che i treni siano magici?» se ne uscì finito il tour de force di foto che mi aveva fatto fare.
«Si, li ho sempre trovati poetici..»commentai appoggiandomi alla sua spalla.
«Mah, probabilmente è perché sono con te, ma li trovo meravigliosi.» Alle sue parole sorrisi, come un’ebete. Mi prendeva, tantissimo, perché le cose che diceva erano sentite, non per fare colpo, per questo lo adoravo. Restammo in quel silenzio per infiniti minuti, i più belli della nostra vita.

Quella foto sul treno era ancora a casa mia, chiusa in un cassetto per evitare che per sbaglio se ne uscisse da sola.
Alzai lo sguardo nel vano tentativo di eliminare quell’immagine nella mia testa, ma mi si ripropose davanti.
Impossibile. Pensai.Ma quegli occhi, non possono che essere di una persona sola.
Non dire boiate. Mi auto convinsi.
Poi cedetti.No, è lui.
Con sei miliardi di persone al mondo a quello schifo di festa doveva esserci proprio l’unica persona che mi aveva fatto così male da piangere intere notti, senza fermarmi neanche un attimo, la persona a cui erano indirizzati i miei pensieri in quel momento?

E allora tanti perché dimenticati sono tornati amplificati
e più complicati insistono su come e quando ci siamo lasciati
su perché oggi sento il blues dopo gli anni passati

 
Erano due anni che non mi imbattevo in quegli occhi. Non erano di un colore particolare perché erano marroni, come tutti gli altri, ma erano speciali. Brillavano. Brillavano quando sorrideva, quando ci guardavamo, quando pensava a qualcosa che non mi avrebbe mai detto, mi bastava uno sguardo per capirli. Ora, speravo di trovarmi davanti a un muro invalicabile, così da mettermi il cuore in pace, ma non fu così. Mi vide e cambiò posizione alzò le maniche della felpa e si appoggiò alle ginocchia fissandomi, sicuro di sé?
Neanche per sbaglio, nei suoi occhi vidi un’insicurezza biblica che tentava di nascondere con l’atteggiamento da playboy, come facevo io.

Giro la televisione, corrida di idee banali
l’amico mi propone movida per locali, ma ho scarica la pila da tempo

 non ha senso divagare penso a come mi facevi stare,
 spengo il cellulare


E quell’alzata di maniche l’aveva fatta apposta..
«Tieni la mia felpa, non vorrei riportare a casa un cadavere» scherzò mettendomi addosso l’indumento che mi stava enorme.
«Vorrei ricordarti che i tuoi polmoni sono più sensibili dei miei, Mister bronchite» lo presi in giro stringendomi nella sua felpa che non mi stava per niente scomoda in quel momento.
«Si, ma sei tu che sei fradicia, scema!»
«Colpa tua eh!» lo rimproverai. Sorrise e posò la sua fronte sulla mia guardandomi fisso negli occhi, colpita e affondata. «Giuro che ora mi faccio perdonare, ti faccio il caffè o te, la droga che preferisci e ti metto a dormire nel mio letto, io dormo in salotto, ok?»
«Ma..i mostri?-Mi presi in giro da sola. - E’ meglio che rimani a dormire con me..c’è scritto sull’oroscopo!» tirai fuori l’altra scusa subito.
«Oroscopo?»Si allontanò di poco divertito.
«Diceva dei nostri due segni ‘C'è la condivisione di così tante cose che è facile possano condividere anche il letto.’ Capito?» gli domandai divertita.
«Ho capito tutto, maliziosa!»rise dandomi un pizzicotto sotto al mento.
«Chi?»mi allontanai fingendomi offesa
«Tu!»
«Io?»Feci ancora più stupefatta alzandomi una manica della sua felpa.
«E chi sennò?»
«Ma smettila!» alzai anche l’altra.
«Nono, non la smetto, so a cosa stai pensando!»
«E a cosa starei pensando?»tornai ad alzare la manica della felpa, anche se l’avevo già fatto.
«Stai pensando che vuoi venire a letto con me, ma vuoi nasconderlo. Fingi di essere sicura, ma continui ad alzarti le maniche della felpa benché stiano benissimo su da sole, per trovare qualcosa da fare..» sorrise soddisfatto.
«Sgamata..»Commentai abbassando lo sguardo. Delicato, posò una mano sotto al mio mento e mi avvicinò alle sue labbra, stregata dai suoi occhi.
«Ma è proprio per questo che mi piaci, scema.» Sorrise ancora e mi regalò un bacio.

Era proprio vero quello che diceva Shakespeare «L’amore è un fumo fatto dal vapore dei sorrisi»

Sarà la pioggia, la notte che
saranno solo i rimorsi, fumo e caffè

e  sarà ancora buio, ma la luna non c’è
Cara mia ex, la luna non c’è


«Quel caffè di cui si parlava?» domandai cauta osservando la pioggia che continuava a scendere imperterrita e venendo percorsa da un brivido.
«Prima mi offri una sigaretta..» contrattò dalla cucina.
«E’ dentro alla borsa.»concessi, necessitavo di quel caffè bollente, avevo patito tanto di quel freddo per quel bagno indesiderato.
«Ma te la fumi con me?»
«Dipende..»
«Da?» uscì con un vassoio preparato ad hoc e si sedette accanto a me posandolo sul tavolino.
«Se ti fai perdonare a dovere si»
«Si può fare» concesse lasciandomi un bacio sulle labbra, poi afferrò la tazzina e cominciò a sorseggiare il suo caffè.
Passammo il pomeriggio sul divano a fumare, bere caffè e ridere con la nostra musica di sottofondo. La pace dei sensi.

E guarda come un uomo matura senza premura
perde la misura poi giura scuse che valgono spazzatura

 
Spostai lo sguardo che avevo puntato sulle mie scarpe per non immergermi ancora in quegli occhi, sul fuoco, ma mi raggiunsero loro, soddisfatti, per indicare quanto erano maturati.
Scuse che valgono spazzatura..sussurrai con le labbra tremanti.
«Giò, mi devi credere! È stato solo uno stupidissimo errore!» disse tenendosi la testa tra le mani, quella era una delle tante cose che erano uscite dalla sua bocca quella sera, non ne avevo ascoltata neanche una, aveva trovato un muro di fronte a sé. Era assurdo, era l’unico che mi aveva presa in quel modo e l’unico che riusciva a leggermi, mi aveva cambiata, mi aveva fatto prendere il mondo in modo diverso, ero uscita dal mio guscio, ma avevo visto troppo e ora di nuovo muro, barriera.
«Tu non devi dire una parola. Non ne hai il diritto.» stronza come una volta. Perché quella volta riuscivo a farmi valere così.
«Ma, cerca almeno..»
«Non devo cercare nulla, ho trovato tutto. Addio»

Altra lacrima.
Di fronte a me questa volta c’era un sorriso comprensivo e due occhi che chiedevano scusa, ma confessavano di aver sofferto anche loro.
Asciugai la lacrima e tornai a guardare in alto, provando a ricostruire la corazza, caduta in pezzi.

Prende a pugni porte sveglia il vicinato
fa a botte con che era appena sgarbato
la notte ti chiama ubriaco

 
Infatti così aveva fatto, quel venerdì sera l’avevo sbattuto fuori perché volevo continuare in pace il mio lavoro di masochismo eliminandolo dalla faccia della terra e lui aveva preso a urlare e prendere a pugni la porta fino a quando non ero uscita e gli avevo sibilato in lacrime che non lo volevo più vedere. Allora si era allontanato e poi la sera mi aveva richiamato, alle 4. E io avevo risposto senza guardare il numero.
«Ah, hai risposto. Ciao Giò..»
«Cosa vuoi?» risposi assonnata
«Voglio essere perdonato. Tu non hai idea del male che ho all’occhio ora.»
«E che c’entra l’occhio?»
«C’era questo, che metteva il dito nella piaga, sai come sono..ci siamo un po’ presi»
«Pensi di farmi pena?”»
«Si. Mi sto attaccando ad ogni cosa. Ti prego….» il tono di voce era basso e il nodo in gola si faceva sentire.
«Dovevi pensarci prima.» Chiusi la chiamata e non si fece più sentire, come desideravo.

Ci vuoi fare il progetto di una vita
Lui si fa trovare a letto con una tua amica
Pensa solo a se stesso divide amore dal sesso
Ha belle parole ma mantenere ciò che ha promesso
Non gli è mai successo troppo egoista per un compromesso

 
Questa volta le lacrime non tardarono a scendere sulle mie guance, trattenni un singhiozzo e mi sforzai di rimandarle indietro, ma davanti a me due occhi bastardi mi guardavano come una volta e non erano certo d’aiuto.
Quando quella notizia mi era arrivata dall’alto dei tacchi vertiginosi di quella specie di lucciola da autostrada il mondo mi cadde addosso.
«Si, non è male a letto..»
Quelle parole ruotavano nella mia testa rafforzate dall’immagine di loro due insieme, seguite dal ricordo di me quella sera, mentre parlavo di lui alle amiche e raccontavo di come era un rapporto meraviglioso.
Uscii da quel locale facendo finta di non aver capito a chi si riferisse la baldracca e scappai. Camminai per ore senza una meta, rifiutando ogni chiamata entrante, non curante di chi fosse. Mi fidavo ciecamente perché pensavo di conoscerlo, pensavo che non mi avrebbe tradito, se non avesse sentito nulla per me semplicemente mi avrebbe lasciato spiegandomelo. Tutte le convinzioni acquisite così difficilmente caddero in un nano secondo, forse non mi ricordavo nemmeno come mi chiamavo.
Raggiunsi un albero che dava l’idea di protezione e mi sedetti. Guardavo davanti a me, altro non potevo fare, senza fare nulla, ascoltando solo il rumore del vento. Ero caduta, dovevo rialzarmi.

 
Così ero messo e adesso confesso ascoltando il tuo pezzo
Preferito tra i miei dei miei vecchi dischi


 
Troppi ricordi giravano nella mia testa.
Rimbalzavano nella mia testa tutte le immagini dei pomeriggi a casa sua ad ascoltare le canzoni per tirarne fuori una playlist che fosse solo nostra. Le cuscinate e le prese in giro. I discorsi filosofici.
Perché dovevi rovinare tutto?

Bevo una birra che vorrei fosse whiskey

 
Alzò il bicchiere che teneva in mano mimando ‘cincin’ con le labbra.
A che cazzo brindi? Pensai
Poi si passò una mano sulla guancia mimando il gesto che avrei dovuto fare io per asciugare la lacrima bastarda.
Scossi la testa e pensai che doveva essere ubriaco, ma era fottutamente serio.

Ho una cicatrice sul cuore con sopra il tuo nome

 
Le nostre bocche si mossero sincronizzate perfettamente nel pronunciare l’uno il nome dell’altra. Mentre compievo il mio gesto lo fissavo in quei suoi occhi neri schifosamente penetranti che si erano incatenati ai miei diverse volte, in svariate situazioni.

Ma voglio tu sia felice anni luce da questa canzone
e dal male che ti ho fatto lui saprà curarti
mentre conto i miei errori realizzati tardi

 
Chissà, probabilmente si era pentito. O semplicemente aveva solo nostalgia dei nostri momenti insieme. I ricordi gli avevano affollato la mente e non si dava pace.
Si.
Sogna.

La luna si dice muove marea e cuore umano
io invece non ne ho idea vivo a Milano il mare è lontano

 
«Cavolo! Ci voglio andare al mare!» si lamentava come un bambino.
«Senti Fra, smettila!» cercavo di zittirlo mentre disegnavo. Diceva che le mie mani erano qualcosa di meraviglioso mentre disegnavo, che fermavo il mondo e che erano qualcosa di talmente bello che non si potevano fotografare, o filmare era come «E mai nessuna foto renderà giustizia al tuo sorriso quando esplode all’improvviso sul tuo viso».
Allora si accorse che ero tutta concentrata e si sedette sul divano, appoggiandosi alle ginocchia per osservarmi ed io, con i suoi fari puntati addosso, continuavo la mia opera, ero troppo ispirata. Mi osservava per un motivo ben preciso, non per la mia mano, ne per guardare il disegno, solo per aspettare che la mia lingua facesse capolino dalle labbra, segno della mia pura concentrazione, adorava prendermi in giro, credo fosse proprio nato per questo. Mi guardava divertito, pronto a cogliere la mia debolezza, non potevo farne a meno e la cosa lo divertiva parecchio.
Quando accadde, finalmente, scoppiò a ridere con la solita reazione:la mia lamentela. Forse non ci faceva più ridere poi così tanto, ma continuavamo a farlo, consci di tutto ciò, per il semplice fatto che ci ricordava che ci appartenevamo.
«Ma che stai disegnando poi?» chiese svaccato sul divano due minuti dopo.
«Nulla..» risposi vaga
«Dai, che è?» chiese sempre più insistente.
«Non rompere» provai a zittirlo di nuovo. Ma questa volta non funzionò, si alzò e si diresse verso di me, quando scorse il disegno osservai i suoi occhi, si illuminarono. Ritraeva me e lui che sorridevamo, era solo abbozzato, ma già carico, non so il perché, ma era il miglior disegno che io avessi mai fatto.
Ce l’aveva fissa con i sorrisi, per lui erano quasi un incantesimo. «Ogni persona è bella quando sorride» diceva.

E quando lui sorrideva sembrava che dovesse succedere qualcosa di strabiliante da un momento all’altro, il mondo si fermava in quel nano secondo lui era una luce che illuminava il mondo.

Quando uscivamo era diverso sempre erano luci intense
Ora vedo opache insegne e pioggia di novembre

Mi manchi guapa manca ogni litigata
Manca il sapore di tornare e ritrovarti a casa
L’odore di una maglietta prestata
La tua voce che mi consola fare la pace in una
Piazzola dell’autostrada

 
Mi mancava, e ora lo ammettevo. Prima non volevo neanche provarci a pensare a lui, facevo qualsiasi cosa per togliermelo dalla testa, non sapevo che avrei solo peggiorato le cose. Perché, in quel momento, il suo profumo era così chiaro alla mia memoria olfattiva che mi sembrava persino di poterlo toccare e la sua voce tornava alla mente sempre più forte e faceva sempre più male.
Il mio tentativo di rimuovere il ricordo di quello che era successo, senza sconfiggerlo era vano alla stregua del tentativo di trattenere sott’acqua un pallone quando credi di esserci riuscita lui schizza fuori molto più potente di prima e, quando ti colpisce…
 

E quante cose non dette micro vendette
Appendi la mia foto al muro e gioca a freccette
Sarà che infine maturo col delay
Che le regine non scelgono i plebei
Sarà che ti vorrei

 
 
 
Nuovo messaggio.
Il cellulare segnalava il numero sconosciuto, ma io lo sapevo a memoria.
Il testo era lo stesso della canzone “Sarà che ti vorrei..”.
Un pugno nello stomaco.
“Che cazzo faccio ora?” Pensavo ancora scossa continuando a fissare lo schermo del telefono per non alzare gli occhi.
Non ce ne fu bisogno.
«Vieni con me..»
Un sussurro.
Un brivido.
Una lacrima.
 
I ricordi erano venuti a galla affogandomi e lui, protagonista di questi, mi aveva salvata di nuovo, tendendomi la mano, che avevo tenuto moltissime volte, per aiutarmi ad alzarmi da lì, allontanarmi dai cretini che non mi conoscevano, per raggiungerlo.
La corazza cadde al suo «Ci riproviamo? Mi manchi terribilmente.» Mormorò piano al ritmo delle onde, sulla riva, mentre il mondo ci cercava, ma noi non eravamo lì in quel momento, come tutto, del resto.
Io lui e la luna, che faceva il suo compito.

• • •
Spazio autrice.
Bene. Devo solo ringraziarvi per essere arrivati fino a qui.
So, thank you.

  
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