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Autore: Sheylen    05/04/2012    3 recensioni
-Storia in fase di sistemazione, chiedo scusa per la lunga attesa, ma prima o poi riprenderò-
Una stirpe perseguitata dalle Grandi Potenze. Costretta a vivere nei boschi, nascondendosi dalle superstizioni e dai Cacciatori.
Una bambina perseguitata dal proprio sangue. Costretta a sopportare gli sguardi maligni, nascondendosi dalle sue origini.
Dal 6° capitolo:
-Ci hanno chiamato in molti modi nel corso dei secoli, piccola Anne. Abbiamo prestato le nostre conoscenze mediche a questo mondo arretrato, e ci hanno benedette chiamandoci Salvatrici e Guaritrici. Abbiamo offerto a molti la nostra fede nella Natura e nella Dea, e i più colti ci hanno esaltato come Sacerdotesse e Profetesse. Poi è arrivata la Disgrazia Nera, e le Grandi Potenze dovevano pur condannare qualcuno per questo male sconosciuto e letale. È da allora che siamo conosciute come tu sai…-
[…]
Una ventina di voci femminili terminarono la frase all’unisono, dando voce ai pensieri di Anne.
-Noi siamo Streghe.-
-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-
Questo è il mio primo racconto qui, spero che vi piaccia ;) aspetto con ansia le vostre recensioni!!
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’aria aveva un fresco odore di tiglio, portato dal vento che soffiava da ovest, oltre le montagne. Un profumo intenso, tanto che alcuni bambini si fermavano in mezzo alle strade, in punta di piedi e con il naso all’insù, per riempire i polmoni di quella fragranza piacevole.
Anne non era tra quelli, Anne procedeva spedita cercando un punto riparato dove quell’odore di natura non arrivasse alle sue piccole narici.
Si staccò dal gruppo di bambini con cui aveva giocato quella mattina quando arrivarono all’altezza del vicolo che portava a casa sua, imboccandolo frettolosamente.
Davanti all’abitazione trovò Rufy, un randagio che ormai si era praticamente stabilito a casa loro. Se non fosse stato per François a quell’ora lei e la mamma l’avrebbero già cacciato via, ma François se n’era semplicemente innamorato, quindi si erano rassegnate a tenerlo.
Avrebbero fatto qualsiasi cosa, anche allevare un intero esercito di cani randagi, pur che François fosse felice.
La ragazzina scostò le pelli che facevano da porta d’ingresso, risistemandole dietro di sé dopo che fu entrata nella sala principale.
-Anne, sei tu?-
Sua madre doveva essere alle prese con una pentola sul fuoco, perché la voce proveniva dal cortiletto laterale, dove cucinavano in estate dato che all’interno dell’abitazione faceva troppo caldo.
-Sì, mamma, sono io.- rispose, affacciandosi dalla porta per salutare la madre.
Sua mamma era una giovane donna, sulla trentina, scura di capelli e chiara di occhi. Anne osservò il corpo magro e slanciato della madre, coperto come al solito dal vestito di lino beige e dal grembiule grigio chiaro, chiazzato da alcune macchie di terra e di gocce di intrugli. Sua madre lavorava con le erbe e con gli infusi, perché di mestiere faceva la guaritrice, anche se non era vista di buon occhio dalle donne del villaggio perché aveva due figli nonostante non si fosse mai sposata.
Anne soffermò lo sguardo sulle occhiaie scure che segnavano la carnagione pallida della donna, chiedendosi quanto avesse dormito quella notte.
-Vado a salutare François.- si congedò la ragazzina, spezzando il silenzio teso che spesso si creava quando restava sola con lei.
Non si era mai fatta fermare dal fatto che sua madre fosse vista con disprezzo dagli altri abitanti ed era riuscita, dopo anni di sacrifici e delusioni, a farsi accettare nel gruppo di bambini e ragazzini della città e, con un po’ più di tempo e non ancora da tutti, dai loro genitori.
Entrò nella stanza dove dormivano, prendendo una candela per farsi luce. La camera infatti era sempre buia, le finestre oscurate da pelli e teli, quindi sua madre aveva disposto alle pareti dei mozziconi di candela, in modo che la luce arrivasse solo fiocamente al grande giaciglio di paglia dove riposavano tutti e tre.
Suo fratello era steso supino, la coperta tirata su fino al mento nonostante il caldo estivo, con gli occhi chiusi e il respiro lento e regolare. Dormiva per la maggior parte del tempo e il resto delle giornate lo passava sempre rilegato in quella stanza, o al massimo nella sala principale seduto al tavolo.
In tutti i suoi sei anni di vita aveva messo piede fuori di casa una dozzina di volte, non di più.
Non appena la sentì entrare, François subito spalancò la palpebre, come svegliandosi da un sogno, e voltò il capo verso di lei.
La luce della candela illuminò le sue iridi bianche, che si muovevano senza meta nella sua direzione, senza però vederla.
-Sorellona…- sussurrò lui, abbozzando un sorriso di benvenuto.
-Ciao fratellino.- rispose lei, accucciandosi al suo fianco. -Hai sognato qualcosa di bello questa notte?-
-Oh si! È stato veramente bellissimo! Ho sognato di nuovo la Signora Bella! E poi una musica dolce, che veniva suonata dal vento del mattino.- spiegò il bambino, illuminandosi.
Anne sentì le guance che prendevano fuoco, mentre le mani si stringevano convulsamente fra di loro e nella mente riaffioravano tutte le maledicerie nei confronti della sua famiglia.
-François, lo vuoi capire che non sono cose belle?! Sono cose malvagie, da sacerdoti pagani e stregoni cattivi!-
Il bambino scosse la testa, sereno, ignorando la rabbia della sorella.
-La Signora Bella non è cattiva: lei mi vuole bene, me lo dice sempre, e dice anche che sono un bravo bambino, che mi comporto bene.-
Anne gli prese le manine, poggiandoci sopra la fronte.
-François, ti prego non dire così! Gli abitanti dei boschi sono crudeli, sono loro che…- iniziò, ma non ebbe la forza di continuare e corse fuori dalla stanza.
Riuscì a smettere di correre solo quando arrivò nella piazza principale del villaggio, dove si teneva il mercato. Si sedette sul muretto vicino al pozzo, in un angolo riparato dagli sguardi altrui.
Anche suo fratello credeva in quelle cose pagane.
Erano mesi ormai che sognava i boschi e le ninfe, come chiamava lui le fate malvagie.
Non bastava la mamma, anche suo fratello doveva essere stregato da quelle magie oscure. Dopotutto quello che gli avevano fatto, François seguiva quelle stregonerie, quelle fate malvagie. Già, perché non potevano essere state che le fate malvagie a portargli via la vista, a farlo diventare cieco dopo la prima notte dalla nascita. Un momento prima dormiva sereno con i suoi bellissimi occhi verdi e il momento dopo gli occhi si erano trasformati in iridi bianche vuote e buie.
Allora Anne aveva solo quattro anni, ma si ricordava benissimo che cosa avevano iniziato a dire le donne del villaggio quando si era sparsa la notizia.
"Ecco, questa è la punizione che si merita quella strega, è la prova che è una pagana: Dio l’ha castigata perché andava a letto col diavolo!" mormoravano le donne quando passava sua madre, additandola senza pudore.
Ma nonostante questo, ogni volta che qualcuno si sentiva male chiamavano lei, che si impegnava al massimo per curare il malato utilizzando tutte le conoscenze e le erbe di cui disponeva, ma di tanto in tanto qualcuno moriva e allora risaltava fuori la faccenda della strega malvagia amante del demonio.
Anche lei era stata emarginata all’inizio e per potersi creare il barlume di una vita sociale si era dovuta rimboccare le maniche e ingoiare insulti e occhiatacce, facendo buon viso a cattivo gioco, mentre sua madre accettava la situazione serenamente, continuando a portare con sé amuleti e oggetti pagani e saltando puntualmente la messa domenicale. Inoltre aveva posizionato in casa la statuetta di una donna che rappresentava la Dea Madre, quella che suo fratello chiamava la Signora Bella, e ogni sera posava un fiore ai suoi piedi, facendosi un segno con il dito sulla fronte.
Tutto questo nonostante sapesse benissimo che erano state proprio quelle creature pagane a rovinare la vita a tutta la loro famiglia, più di tutti al piccolo François, che non aveva mai potuto vedere la luce e che era sempre costretto a letto dalla malattia e la debolezza.
Anne immaginò per l’ennesima volta quello che poteva essere successo quella notte, mentre lei e la mamma dormivano tranquille.
Una creatura mostruosa, dagli arti lunghi e sproporzionati, che si intrufolava in casa loro dalla finestra, ed entrava silenziosa nella camera da letto, ritirando le gigantesche ali che crescevano sul suo dorso squamato, e che allungava le mani verso gli occhi del suo fratellino, trafiggendoli con i suoi terribili artigli.
La mamma non aveva mai pianto per quello, anzi aveva detto a François che lui era il più fortunato del mondo perché poteva immaginare le cose come voleva lui e poteva vederle con il cuore e la mente. Era la mamma che descriveva gli oggetti a François, era lei che gli aveva spiegato cos’erano il sole, le nuvole, il cielo, la neve e il fuoco, perché Anne non ne aveva la forza. Ogni volta che entravano in argomento cecità, Anne andava in panne, non ci capiva più niente e iniziava a piangere.
 
-Aiuto! Vi prego aiutatemi!-
Le grida distrassero la ragazzina dai suoi pensieri, mettendola sull’allerta.
Le donne che giravano per le bancarelle interruppero i loro acquisti e, come Anne, si mossero verso la direzione da cui provenivano le urla per capirne la natura.
-Santa Misericordia!- invocarono le donne vicino a lei non appena videro l’uomo che chiedeva aiuto.
Era steso prono per terra, la mano alzata come per trovare qualcosa a cui reggersi, e il braccio scoperto era chiazzato da orribili macchie nere, che si intravedevano anche sul volto dell’uomo, sotto la barba grigia. Emanava un fetore putrescente, di morte.
Una delle donne urlò, coprendosi la bocca con la mano, mentre altre si allontanarono quasi di corsa, come per scappare da una maledizione. La fornaia, accorsa anch’ella, si girò subito verso di Anne.
Per un momento la ragazzina temette di essere accusata la causa di quella nuova malattia e gli occhi le si riempirono di lacrime.
-Va’ subito a chiamare tua madre,  dille di venire in fretta e di portare i medicamenti!-
Anne annuì spaventata, iniziando a correre il più veloce che poteva.
Arrivò trafelata alla sua casa, tenendosi la pancia con una mano.
Cercò il fiato necessario per chiamare sua mamma, ma i suoi polmoni imploravano ossigeno senza pietà.
Fu con sollievo che notò che sua madre aveva scostato le pelli per uscire, probabilmente per andare a prendere dell’acqua al pozzo.
La donna prese subito fra le mani il volto della figlia, domandando preoccupata cosa le fosse successo.
-In piazza…- ansimò la bambina, indicando la via da cui era venuta -Servono le medicine…-
-Corro.- rispose la madre, rientrando in casa per poi sparire rapidamente dietro l’angolo.
Anne aspettò ancora qualche minuto davanti all’uscio, attendendo che il cuore rallentasse il suo battito ritmico, poi si incamminò anch’ella verso la piazza.
  
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