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Autore: ferao    06/04/2012    11 recensioni
Raccolta di missing moments di "Una brezza lieve"!
***
#1: Erano ridicoli, tutti e tre: lei, lui e la situazione in cui si trovavano.
#2: Ci incastriamo alla perfezione, pensò per tutto il tempo che durò quel lungo bacio.
#3: Non pensava ad altro, nemmeno mentre l’odore di lei lo avvolgeva.
#4: È il primo giorno ed è come se ne fossero passati mille.
#5: La amava. La amava da morire.
#6: E tutto ricominciava da capo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve'
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Yessss! Finalmente!
Cari lettori, è assolutamente inutile che leggiate questa ff se non conoscete Una brezza lieve. Inutile. Perché questa one-shot e quelle che verranno dopo sono missing moments tratti da quella long, sono piene di richiami e spoilers e forse non capireste nemmeno di cosa diavolo parlo. Quindi, se non avete letto la ff sopra linkata, potete o ignorarmi o andare a leggervela.

Ai lettori che, invece, CONOSCONO la mia long: bentrovati! Mi siete mancati tantissimo!
Non vedevo l'ora di iniziare a pubblicare i tanto attesi MM, ma un lieve blocco di ispirazione e gli impegni dovuti ad altro mi hanno tenuta lontana da questi personaggi più di quanto pensassi. Mi spiace.
Come al solito un enorme grazie a quella santa di Agne, che sopporta TUTTE le mie lamentele e i miei piagnistei senza (quasi) fare una piega e mi incoraggia sempre. Scusami, tesoro, prometto che non sarò più così piagosa ^^'
Ed ora, finalmente, eccovi qui il primo dei momenti mancanti della serie. Spero sia di vostro gradimento.
Un bacio a tutti voi!
Fera


(PS: nella storia c'è un richiamo - ahimè - autobiografico. Non vi dico quale per non annoiarvi, ma sappiate che c'è.)










#1: La prima uscita


I primi giorni successivi a quel Capodanno furono giorni di assestamento. In genere, una volta usciti dal Ministero, Percy e Audrey erano troppo presi dalla strana euforia che segue immediatamente all’infatuazione per poter fare qualcosa di diverso dall’abbracciarsi, baciarsi e… Beh, lo sapete. […]
Comunque, il periodo di assestamento durò circa una settimana. Dopo, iniziarono ad andare anche a cena fuori insieme.
("Una brezza lieve", capitolo 15)
 
 
 
 
 
 
 
 
Inutile illudersi.
Non sarebbe mai arrivato prima delle sei in punto. Mai. Nemmeno se il Ministero fosse andato a fuoco, quello lì si sarebbe permesso di uscire dieci minuti prima.
E ormai dovresti saperlo bene, visto che vi siete ronzati attorno per mesi e che adesso uscite insieme da una settimana.
Uff.
Ma che ore sono?
Audrey sollevò di poco la testa e guardò la sveglia vicino al comodino: sei meno cinque minuti.
Diamine!
 
Percy Weasley staccava sempre dal lavoro alle sei esatte. E quando si dice esatte si intende esatte: non un minuto in meno, non un minuto in più – a meno che non dovesse fare degli straordinari.
Oh, già, gli straordinari. Sarà fantastico quando ricomincerà con questa storia degli straordinari. Già.
A parte questa eventualità, Percy usciva sempre alle sei. Non sei e due, sei meno tre… Sei. Numero tondo. Non importava cosa avesse da fare dopo, non importava se ad aspettarlo c’era la ragazza che aveva – a fatica e con un “piccolo” aiuto da parte dei parenti di lei – riconquistato solo una settimana prima e con cui aveva condiviso momenti particolarmente intensi in quei giorni.
No. Nemmeno per lei Percy riusciva a fare un’eccezione: non sarebbe uscito qualche minuto prima per andare a trovarla. Da parte sua Audrey non osava nemmeno chiedergli una cosa del genere: temeva che la sola idea di venir meno alla sua severa etica professionale potesse farlo collassare.
Ed è meglio di no. Non so bene perché, ma sento di preferirlo vivo e sano.
Così, da una settimana a quella parte, Audrey aspettava ogni giorno che si facessero le sei postmeridiane per potersi incontrare con… quello che non sapeva bene come definire.
Capo? Amico? Amante? Ragazzo? Tizio-con-cui-faccio-cose-che-se-le-sentisse-mamma-mi-rinchiuderebbe?
… ma quando arriva?
Sdraiata sulla sua parte di letto, Audrey emise un ennesimo, sonoro sbuffo, dopodiché osservò per la quarantottesima volta la sveglia.
Sei meno due minuti.
Uffa.
Diamine, com’era irritante tutto ciò! Stare con il responsabile del suo dipartimento si stava rivelando più logorante del previsto: anzitutto, in ufficio dovevano comportarsi “come se niente fosse”, per evitare chiacchiere e richiami; per lo stesso motivo lei non aveva potuto raccontare nulla al suo collega e amico, Adams (ma quello avrà già capito tutto, figuriamoci); inoltre, guai a entrare o uscire insieme dal Ministero: assolutamente no! La giornata lavorativa di Audrey iniziava alle otto e terminava alle sedici, quella di Percy finiva due ore dopo… ma ovviamente lei non poteva aspettarlo nell’Atrium, no! Doveva tornarsene a casa e attenderlo lì da sola, con  un batticuore tale da non riuscire nemmeno a concentrarsi su un libro o guardare la televisione.
Ecco, ti pareva. Sia stramaledetta la vena romantica di mamma. Sembro una scema, sembro!
Beh, magari scema non era, però… presa sì. Potrà sembrare strano a chiunque – persino a lei sembrava strano – ma la realtà era questa: Audrey era completamente presa da Percy.
Bene. Sto impazzendo, è ufficiale.
… quando arriva?!
Quarantanovesima occhiata alla sveglia: sei meno un minuto.
Diamine!
 
Che poi non era tanto una questione fisica, quanto mentale: sì, è vero che fino a quel momento avevano fatto ben poco oltre ai baci e a tutto il resto, ma è innegabile che Audrey, già da prima, fosse interessata più che altro al “contenuto” di quel tipo strano con cui ora si frequentava; e adesso che quel contenuto le si rivelava sempre di più, la ragazza si sentiva ancora più curiosa, ancora più coinvolta, ancora più… presa.
Per questo, e solo per questo, non le importava della finta indifferenza di Percy al Ministero, delle rare occhiate che le lanciava solo quando era sicuro che nessuno lo notasse e di quel modo di incontrarsi che ormai non adottavano più nemmeno gli amanti clandestini; la infastidiva, ovvio, ma poteva sopportarlo, perché quello che le importava era che dopo sarebbe in ogni caso stata con Percy.
No, non sto impazzendo: sono già impazzita del tutto.
… che ore sono?!
Cinquantesima occhiata alla sveglia in due ore: le sei in punto.
 
Forse era vero che Audrey, in qualche modo, stava diventando pazza, perché prese a contare anche i secondi.
Sei e cinque secondi, sei e otto, sei e nove… Sei e quindici secondi… Sei e un minuto!
È in ritardo! È in ritardo! È in….
Un sonoro crack! annunciò l’arrivo di Percy, il quale, per prima cosa, si scusò del ritardo.
– Mi dispiace, mi dispiace tanto… – balbettò subito, mortificato. – Lo so che sono le sei passate, ma c’è stata confusione, Cresswell ha fatto un…
Audrey non seppe mai cosa aveva combinato Cresswell, perché ebbe l’ottima idea di fiondarsi giù dal letto e interrompere Percy, tirandolo verso di sé e baciandolo. Come al solito lui rimase interdetto per un breve istante, poi rispose con calma al bacio chinandosi di più verso di lei. La circondò con le braccia e dopo un bel po’ si staccò.
– Hai tagliato i capelli… – mormorò, osservandola con attenzione.
Audrey sorrise e si passò una mano nella chioma, accorciata della metà rispetto al giorno prima. – Stamattina, per questo sono arrivata più tardi. Speravo te ne accorgessi.
– Certo che me ne sono accorto. – Iniziò ad accarezzarle i capelli, indugiando poi sulla fronte e sul viso. – Stai molto bene così, sei… più bella.
Diamine. Mi ha DAVVERO fatto un complimento?
Insolito, decisamente insolito. Perlomeno, in quella settimana non era mai capitato prima; e il bello era che Percy sembrava non essersi nemmeno accorto dello stupore che aveva causato nella ragazza: continuava ad accarezzarle la fronte con tenerezza, scansandole i ciuffi di capelli e guardandola negli occhi come se non l’avesse mai vista prima di allora.
Anomalo. Molto anomalo.
 
In una settimana che si frequentavano, i due ragazzi avevano fatto ben poco che non fosse venire subito al dunque, quando si incontravano dopo il lavoro. Un po’ perché il fatto di doversi ignorare al Ministero li frustrava parecchio, un po’ perché si erano accorti che c’erano un sacco di cose da scoprire l’uno nell’altra, ogni istante libero che passavano assieme lo impiegavano a recuperare quelle ore perdute, a trovare nuovi modi di conoscersi e a soddisfare quella sete che saliva dalla mattina quando si salutavano fino alle sei in punto del pomeriggio.
Per farla breve, era difficile che rimanessero ancora vestiti dopo cinque minuti.
Questa era stata la regola di quella settimana, una regola tacita che non aveva scontentato nessuno dei due, anzi; quella sera, invece, c’era qualcosa di diverso tra loro. Era come se fossero entrambi già sazi, come se non esistesse altro da fare che scambiarsi carezze languide in silenzio, guardandosi soltanto. Erano insieme, senza che nessuno li osservasse o potesse giudicarli, ed era… bello.
Anomalo. Ma estremamente piacevole.
 
Fu Audrey la prima a scendere dalle nuvole, perché Percy invece sembrava determinato a rimanerci; la ragazza sorrise e abbassò lo sguardo, concentrata su un’idea che le era venuta all’improvviso.
– Che c’è? – chiese Percy, aggrottando le sopracciglia.
– Stavo pensando… hai dei vestiti Babbani a casa, vero?
– Certo, perché?
– Va’ a cambiarti, capo. Ti porto fuori a cena.
 
 
In seguito, Percy si sarebbe chiesto perché Audrey avesse dovuto scegliere proprio un locale Babbano. Insomma, non c’erano luoghi magici che fossero di suo gradimento? A Londra, per esempio, c’era il Paiolo Magico, e… e…
– … e basta, Percy. In tutta la città esiste un solo pub magico.
– Beh, allora perché non andiamo lì?
– Perché i locali Babbani sono migliori; e poi, stare in mezzo ai maghi non significherebbe dover di nuovo fingere di ignorarci?
Quell’osservazione era inattaccabile, e Percy dovette arrendersi. – Va bene, – disse allora, – però… Non capisco, perché non possiamo Materializzarci?
– Perché questo è più divertente! – rispose Audrey prima di mettersi a ridere. – Scommetto che non hai mai preso la metro, vero?
No, Percy non l’aveva mai presa, ma era certo di poter vivere tranquillamente senza quella esperienza. Questa convinzione si consolidò quando il ragazzo vide il trabiccolo dall’aria malferma su cui, secondo Audrey, sarebbero dovuti salire.
Ma anche no.
– Peccato, l’abbiamo persa di poco… – sbuffò Audrey. – Ci toccherà prendere la prossima.
Si voltò verso Percy; interpretando male la sua espressione, iniziò a spiegargli come funzionava la metropolitana e cosa avrebbe dovuto fare una volta salito nel vagone. Istruzioni che il ragazzo non ascoltò, concentrato com’era a stringere la mano destra di Audrey con la sua sinistra come se ne andasse della propria vita.
A livello inconscio temeva che, mollando anche di poco la presa, si sarebbe perso in quella bolgia caotica e affollata senza possibilità di tornare indietro; non gli piaceva stare in mezzo a tanta gente, non gli era mai piaciuto, e la sola cosa che rendesse un po’ meno intollerabile quel momento era la mano tranquilla di Audrey che lo teneva ancorato lì.
Mano che, quindi, doveva tenere stretta il più possibile.
– Hai capito?
– Sì – rispose Percy meccanicamente. Poi si riscosse. – Ehm, come, scusa?
Audrey aprì la bocca, ma fu fermata dall’arrivo di una vettura dall’aspetto ancora più scalcagnato della precedente. – Bene, tocca a noi. Pronto?
Senza avere tempo di ribattere, Percy fu trascinato a bordo dalla ragazza. In meno di un secondo venne circondato dai Babbani e non seppe fare altro che guardarsi attorno, spaesato e confuso.
– Niente panico, capo, – gli sussurrò Audrey, anche lei schiacciata tra le persone che entravano e quelle che uscivano. Qualche istante dopo, finalmente, si fece un po’ di spazio attorno a loro, e Audrey consigliò a Percy di aggrapparsi alla maniglia sopra la sua testa.
Quale maniglia? Quella?

… che schifo! Chissà quanti l’hanno toccata prima di me! Dovrò lavarmi le mani due volte, questo è certo.
In risposta all’invito lanciò un’occhiata piuttosto eloquente a Audrey, che roteò gli occhi e sbuffò.
– Dai, Perce, rischi di cadere se non lo fai!
– Cadere?! – esclamò, e riuscì a contenere il volume della voce giusto per non spaventare i Babbani attorno. – Come, cadere? Si cade, da questo coso?
– Fai come ti dico, fidati! E datti una mossa, stiamo per partire.
Mentre le porte si chiudevano, Percy fissò di nuovo la maniglia e deglutì.
Tre volte. Me le laverò tre volte.
L’afferrò giusto in tempo per restare in equilibrio mentre, con un gran scossone, la vettura partiva di gran carriera.
 
Chissà come facevano quei Babbani a starsene così calmi mentre venivano sballottati dal movimento della metro; Percy si ritrovò ad osservare le persone attorno a sé in cerca di un minimo segno di inquietudine che gli facesse capire di non essere l’unico ad avere paura di quel coso. Ricerca vana: tutti sembravano indifferenti a quell’ondeggiare continuo, alcuni anzi apparivano molto rilassati; c’era chi leggeva, chi chiacchierava col vicino, e altri ancora che…
Percy distolse subito lo sguardo, arrossendo come se fosse stato sorpreso a spiare l’intimità di qualcuno; seduti su un unico sedile, due ragazzini di non più di sedici anni si scambiavano effusioni con una tranquillità sconvolgente, come se fossero da soli. Nulla di osceno, ovvio, ma Percy pensò che fosse quantomeno strano che non provassero nemmeno un po’ di vergogna… con così tanta gente attorno, poi!
– Tutto bene?
Aggrappata a un palo lì vicino, Audrey gli sorrideva incoraggiante; Percy riuscì con gran sforzo a fare una smorfia, ma prima che potesse rispondere la metro si fermò.
Finalmente!
Sospirò sollevato, preparandosi a tornare sulla terraferma, ma Audrey dissolse la sua illusione. – Ancora no, Percy, rimani dove sei.
Il ragazzo obbedì, e mantenne la posizione anche quando tanti Babbani invasero la vettura e lo spinsero da ogni lato, facendolo infine ritrovare pigiato contro Audrey.
– Tutto bene? – chiese lei di nuovo, mentre la metro ripartiva.
– Starò meglio quando scenderemo… – borbottò Percy. Ormai il fastidio che provava era evidente.
Perché, perché non si erano Materializzati? Perché Audrey aveva dovuto a tutti i costi trascinarlo in quel coso affollato come il più stretto degli ascensori del Ministero nell’ora di punta? Lo odiava già così tanto?!
– Coraggio, resisti, – disse Audrey, – mancano solo sei fermate. Nel frattempo che ne dici se…
Sorrise ancora, e prima che Percy potesse dire qualcosa gli si avvicinò di più e iniziò a baciarlo, proprio come i due adolescenti di prima, senza badare alla gente che li circondava.
Subito Percy avvampò e si staccò, guardandosi poi attorno con aria colpevole. Si aspettava, come minimo, di ritrovarsi quaranta paia di occhi addosso; rimase perciò stupito quando si rese conto che nessuno stava badando a ciò che lui e la ragazza facevano.
Ma…
… possibile che questi Babbani non abbiano il senso della decenza?
Audrey notò la sua espressione, capì quello che pensava e sbuffò per il divertimento. – Percy… – disse a bassa voce. – Non c’è niente di cui preoccuparsi. Qui non siamo in mezzo a… quelli come noi; per… loro è normale fare queste cose in pubblico, nessuno ci fa caso. Capisci?
Percy annuì, ma non accennò a diventare meno rosso in viso. Audrey si morse un labbro e tornò seria.
– Certo, se per te è comunque un problema, va bene… non preoccuparti, lo capisco.
Girò la testa e guardò altrove, un po’ delusa; ma la delusione durò solo una manciata di secondi, il tempo che ci impiegò Percy a dire, a voce bassissima e arrossendo ancora di più, che no, non era un problema.
Fu così che Percy imparò che viaggiare coi mezzi Babbani comportava almeno un grande vantaggio: poter usare il tempo che occorreva fino all’arrivo per lasciarsi baciare in tutta libertà da Audrey.
E ditemi se non è un vantaggio questo.
 
Dopo quelle sei fermate dovettero scendere, cambiare vettura, aspettare altre quattro-cinque fermate e poi scendere di nuovo. Audrey sembrava perfettamente a suo agio in quel posto, sapeva come orientarsi e un paio di volte si fermò addirittura a salutare dei Babbani suoi coetanei, che – spiegò poi a Percy – non erano altro che suoi amici o conoscenti.
Da parte sua, il ragazzo badava solo a non lasciare la mano di Audrey e a non perderla d’occhio, anche se si sentiva molto meno preoccupato di prima.
– Okay, dovremmo esserci… sì, di qua.
Con uno strattone Audrey condusse Percy fuori da lì. L’improvvisa ventata d’aria fredda li fece rabbrividire, ma per lui fu anche un toccasana: l’atmosfera viziata della metro aveva iniziato a fargli girare la testa.
Respirò a fondo, grato per la prima volta in vita sua di sentire freddo. Era così contento di essere finalmente fuori che quasi non si accorse di essere trascinato verso un piccolo pub poco distante.
– Speriamo ci sia ancora posto… sì!
Audrey spinse la porta e fece strada a Percy nel locale; non era molto grande, ma c’era una buona atmosfera, nonostante si sentisse la completa assenza di magia lì dentro. La ragazza sembrava comunque a suo agio, perché salutò di nuovo un paio di Babbani e si diresse subito verso un tavolino come se fosse una cliente abituale.
Cosa che, in effetti, era.
– Venivo sempre qui, l’estate, quando uscivo con i miei compagni di classe – spiegò Audrey non appena lei e Percy si furono seduti. – Sai, alcuni erano nati da famiglie Babbane, quindi amavano questo genere di locali. Poi ho perso di vista i compagni ma ho mantenuto il posto – concluse con un sorriso. Sembrava davvero contenta di essere lì, come se quel luogo avesse qualcosa di speciale; Percy si guardò attorno, cercando di capire cosa fosse questo qualcosa: tutto ciò che vide, però, fu un ambiente non troppo dissimile dal caffè di Marcus, anche se decisamente più chiassoso e meno magico.
– È… particolare – osservò, usando il più diplomatico degli aggettivi che gli erano venuti in mente.
Audrey sembrò soddisfatta di quello scarno commento; sorrise di nuovo, poi lasciò vagare lo sguardo sulla sala. Era felice di trovarsi lì, in uno dei suoi locali preferiti, assieme a Percy. Certo, questi poteva mostrare un po’ più di entusiasmo, ma in fondo lo capiva; non era vissuto in mezzo ai Babbani come aveva fatto lei – soprattutto, non aveva mai passato molto tempo nella Londra Babbana – quindi era del tutto normale che si sentisse spaesato o a disagio.
Probabilmente anche lei avrebbe provato le stesse sensazioni, se non avesse avuto due nonni adottivi non-maghi e una madre con la passione per i quartieri Babbani della sua città. Quindi sì, lo capiva.
Un po’. Poco. A fatica.
 
 
Quello che accadde dopo potrebbe sembrare strano, se si considera che questi due ragazzi avevano già portato la loro relazione ad un livello in cui servono un’intesa e una confidenza particolare per poter andare d’accordo: nonostante ciò, e nonostante di solito non provassero alcun tipo di imbarazzo l’uno nei confronti dell’altra, dopo un breve scambio di battute si ritrovarono muti, senza sapere assolutamente cosa dire.
Una situazione del genere sarebbe comprensibile per un primo appuntamento, o tra due persone che non si conoscono bene, ma… sembra inspiegabile per due ragazzi che lavorano insieme, si conoscono da quasi quattro mesi, sono usciti insieme almeno un paio di volte e stanno insieme da una settimana.
Perché due persone così dovrebbero rimanersene in silenzio, a disagio, durante una cena insieme?
Bella domanda. Che cavolo ti prende, Perce? Non dirmi che ti aspetti che sia lei a parlare per prima! Sei tu l’uomo, quindi pensa a qualcosa da dire e non fare l’idiota.
Ci pensò. Percy concentrò tutte le proprie facoltà intellettive nello sforzo di produrre una frase con cui rompere il ghiaccio; da parte sua Audrey non lo aiutava minimamente. Nonostante fosse lei la parte spigliata della coppia, in quel momento sembrava preda dello stesso imbarazzo che invadeva il suo compagno, e lo esternava tenendo le braccia incrociate e appoggiate sul tavolo e guardandosi attorno senza fissare gli occhi su nulla.
– Menu, ragazzi?
Entrambi sobbalzarono quando la cameriera si rivolse loro; la prima a riprendersi fu Audrey, che ringraziò e prese in mano i menu.
Poi, di nuovo silenzio.
 
Che poi, per quanto lo riguardava, Percy amava il silenzio. Da morire. Amava lasciar riposare le orecchie e non essere costretto ad ascoltare le chiacchiere vane di nessuno. (C’è da aggiungere che era abituato a non considerare mai vane le proprie chiacchiere, ma beh, questo è un discorso a parte.)
In condizioni normali, quindi, avrebbe forse sopportato quella mancanza di conversazione senza il minimo sforzo e con un certo piacere; se fosse stato fuori a cena con chiunque non fosse Audrey si sarebbe semplicemente rilassato, avrebbe mangiato e atteso senza problemi che un qualunque (noioso) argomento di conversazione gli venisse in mente prima o poi.
Il problema era che si trovava a cena con Audrey. Il che rendeva quella situazione del tutto diversa.
Audrey era la ragazza che conosceva da quattro mesi, che gli piaceva da tre e con cui si frequentava in maniera regolare da una settimana: naturale che desiderasse fare bella figura con lei, o almeno non passare da scemo.
Cosa che invece stai facendo benissimo, a quanto pare.
Rimanersene lì impalato senza spiccicare una parola, in effetti, era un comportamento un po’ sciocco, proprio inadatto al tipo di persona che desiderava mostrare di essere; eppure, più cercava di vincere se stesso e quell’incomprendibile ansia che gli era salita, meno ci riusciva. La cosa peggiore era che, in genere, questo non accadeva. Con Audrey riusciva ad essere spontaneo senza alcuno sforzo, era sempre… facile stare con lei.
Sempre, tranne in quel momento.
Così, alla fine, decise che era meglio nascondersi dietro il menu e fare finta di niente, aspettando che accadesse qualcosa.
Nel frattempo, Audrey si stava dando a sua volta della sciocca. Non capiva nemmeno lei cosa diamine fosse quel disagio inaspettato, né perché fosse così forte da legarle la lingua.
Sapeva perfettamente che Percy non era tipo da prendere iniziative di nessun tipo; il fatto che una volta le avesse per sbaglio offerto un caffè e che la volta successiva fosse riuscito ad invitarla al ballo all’ultimo secondo erano eventi irripetibili e straordinari, e Audrey se ne era resa conto dal primo istante.
No, per quel genere di cose Percy aveva bisogno di spinte e incoraggiamenti; di suo, non sarebbe mai stato in grado di fare un primo passo. Non l’aveva fatto nemmeno la notte di Natale: Audrey ricordava con un vago imbarazzo – misto a soddisfazione – il modo in cui lei aveva dovuto insistere perché Percy la riaccompagnasse a casa, con tutto ciò che questo avrebbe comportato. Fosse stato per lui la serata sarebbe terminata con un bacio, e basta.
Un po’ poco, insomma. Voglio dire, lui mi piace da mesi… cos’avrei dovuto aspettare, un matrimonio?
Insomma, di sicuro Percy non si sarebbe incaricato spontaneamente di iniziare una conversazione in quel momento, e Audrey lo sapeva. Di conseguenza, doveva farlo lei.
Sì, ma come? Gli chiedo di parlarmi di qualcosa? E di cosa? Della famiglia è meglio di no, a quanto ho capito. Della scuola? E se non vuole?
Del lavoro NO, non intendo parlare di lavoro mentre mangio. Dunque?
… oh diamine. Non posso crederci. È la prima volta in vita mia che non so cosa dire.
 
Finalmente, dopo qualche minuto, la cameriera tornò a prendere le ordinazioni. Con un certo sollievo Audrey rispose subito, poi guardò Percy. – Tu cosa prendi?
Ecco. Bella domanda. Per tutti quei minuti Percy era rimasto a guardare le scritte sul menu senza leggerle davvero, un po’ perché concentrato a cercare un modo per uscire dall’impasse, un po’ perché un pensiero lo tormentava: erano in un locale Babbano, ma lui ovviamente aveva solo soldi magici. Come diamine avrebbe pagato?
Sperava di avere un po’ più tempo per pensarci, ma a quanto pareva la cameriera aveva una certa fretta di allontanarsi. Percy arrossì e rispose a Audrey: – Ehm… quello che prendi tu.
– Oh. Va bene.
La cameriera segnò tutto e si allontanò, lasciando i due a fissarsi con espressioni vacue, privi della difesa del menu.
Cavolo. E ora?
Nervosa, Audrey iniziò a mordersi l’interno di una guancia. Quel gesto risvegliò qualcosa in Percy, che finalmente ebbe un’intuizione.
– Ehm…
Sì? – fece subito lei, sorridendo speranzosa.
– Ehm… hai visto che bello?
– … che cosa?
– Il meteo. Insomma. Finalmente non piove più.
Il tempo. Stava parlando del tempo, da bravo inglese qual era. Audrey sgranò gli occhi, indecisa se rispondere o scoppiare a ridere. Da parte sua, Percy sembrava essersi reso conto dell’infelicità di quell’idea, perché era arrossito e aveva chinato il capo, iniziando a giocherellare con la forchetta.
Alla fine Audrey decise di ridere.
 
Inizialmente rise piano, perché non voleva offendere i sentimenti di Percy; poi però la voglia di sghignazzare si fece incontenibile, e allora aumentò il volume. Rise rischiando di capovolgersi sulla sedia, rise tenendosi la pancia, perché finalmente si era resa conto di quanto assurda fosse quella situazione.
Era assurda. Avevano entrambi vent’anni suonati, avevano fatto l’amore almeno una decina di volte in quei giorni, e si comportavano come due tredicenni al primo appuntamento da Madama Piediburro. Erano ridicoli, tutti e tre: lei, lui e la situazione in cui si trovavano.
Per questo Audrey rise, rise e rise come una pazza, finché non decise che forse era il caso di smetterla. Soffocando gli ultimi singulti tornò a guardare Percy, e si calmò del tutto: il ragazzo aveva l’espressione mesta di chi sa che non potrà mai rimediare all’umiliazione che sta subendo.
– Sai – disse lei – che cosa penso?
Percy scosse il capo.
– Che quando due persone parlano del tempo significa che non hanno più nulla da dirsi. Secondo te, la nostra relazione è già a questo punto?
Fu allora che nella testa di Percy scattò lo stesso meccanismo, la stessa comprensione di quanto tutto quel frangente fosse surreale. Surreale e decisamente stupido.
Guardò Audrey negli occhi e sorrise.
– No, non credo – disse.
E subito dopo: – Oggi ho pensato a te tutto il giorno.
Quella frase, pronunciata per un motivo non del tutto chiaro allo stesso Percy, fece quasi prendere un infarto a Audrey. Perché sì, va bene cercare un modo per rompere il ghiaccio, ma quello andava ben oltre.
Diamine. È meraviglioso.
La ragazza fece un largo sorriso. – Anch’io ho pensato a te.
Percy rispose con un sorriso identico.
Da quel momento, la conversazione andò avanti senza alcun intoppo. Altro che ghiaccio.
 
 
 
Alla fin fine, cenare in un locale Babbano non era stato male come temeva, anzi. Per fortuna, comunque, che Audrey aveva sterline sufficienti per pagare per entrambi.
– Te le renderò il prima possibile, promesso – ripeté Percy per la decima volta, quando furono davanti alla porta della casa di Audrey.
– Segnamele in busta paga, così facciamo prima – rise lei. – Scherzi a parte, spero che tu ti sia trovato bene.
– Benissimo, direi. A parte il fatto che non sapevo cosa stessi mangiando.
– Colpa tua, avresti dovuto leggere il menu invece di dare retta a me!
Percy rise. Aveva riso moltissimo quella sera, più di quanto non avesse fatto in due anni. Non capiva proprio perché fosse stato teso e imbarazzato a inizio serata: stare con Audrey era così semplice, così normale.
Avrebbe dovuto conoscerla anni prima, maledizione. O forse no, forse era meglio così; magari prima non sarebbe stato pronto per una come lei.
Si riscosse da quei pensieri quando sentì le labbra di Audrey sulle proprie. Anche quello era semplice; in tutti quei giorni non si era mai reso pienamente conto di quanto ogni gesto tenero, con lei, sorgesse spontaneo. Valeva la pena di approfondire anche quell’aspetto della loro relazione, decisamente.
– Beh… – disse, dopo essersi staccato a malincuore da lei. – Credo sia meglio che io vada.
Inaspettatamente Audrey annuì, sorridendo. – Va bene. Ci vediamo domattina.
– Cerca di arrivare puntuale, per favore.
– Farò il possibile.
Un altro sorriso, poi Percy rimase davanti al portone finché Audrey non fu sparita dietro di esso.
Invece di Smaterializzarsi subito, si voltò e si incamminò senza fretta. Non aveva alcuna premura di tornarsene a casa, voleva semplicemente godersi la sensazione di aver passato una bella serata; si sentiva tranquillo, sereno, quasi felice. E – stranamente – non sentiva nemmeno il bisogno di rimanere con Audrey: andava già bene così.
Sì, beh, insomma, è ovvio che passare la notte da lei sarebbe stato perfetto; però ecco, posso farne a meno. Sono pur sempre un gentiluomo, insomma.
Assorto com’era non sentì che, a pochi passi da lui, il portone si stava riaprendo.
– Senti…
Con un sobbalzo si voltò. Audrey era ricomparsa sulla soglia, un po’ titubante.
– Pensavo che… insomma, non è che ti andrebbe…
… oh, beh. Un gentiluomo non scontenta mai una signora.
Sorridendo sotto i baffi, Percy ripercorse senza fretta la strada verso Audrey.




   
 
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