Casa, ha scritto.
E poi, a seguire: Giusto?
Soltanto una stupida ed insignificante conferma, che però continua a ronzarmi silenziosa ma fastidiosa – proprio come un’ape – in testa anche parecchio tempo dopo aver spento il laptop, con una risposta affermativa a commento.
E adesso che sono a letto – le luci tutte spente, l’intera stanza d’albergo immobile e muta tranne che per il leggero russare del mio husky – adesso quella domanda retorica mi assilla letteralmente ogni singolo pensiero che riesco a produrre, attaccandolo quasi all’istante come fosse un virus in un romanzo di Stephen King.
Mi giro e mi rigiro, inquieto, tra le coperte. Quando allungo le gambe in largo non trovo quelle confortanti di qualcun altro. Ogni nuovo punto del materasso che arrivo a toccare è freddo, e anche se il riscaldamento è acceso e la temperatura della stanza è piacevole, non riesco a non rabbrividire piano.
Non sono più abituato a stare da solo.
Anzi, di più.
Odio esserlo.
E la prospettiva che lentamente si fa strada ora dentro di me mi trasmette dei brividi nuovi, più forti e spiacevoli.
È paura.
Terrore che è così che andrà a finire, questa volta.
Nessuna pace, nessuna riconciliazione, nessuna speranza di redenzione interiore.
La favola bella che viene bruscamente interrotta, come quando all’improvviso si riaccendono le luci in sala, dopo il film.
Lascio andare un piccolo sussulto d’angoscia mio malgrado, e vorrei averlo qui in questo momento, per lasciare che mi stringa forte a sé, e perdermi nel suo odore, tra le sue braccia, nel posto della mente che da un po’ di tempo ho preso a chiamare... casa, appunto.
Fossi un adulto la farei finita con questa stupida pausa, che sta avendo il solo effetto di fare del male ad entrambi, nonostante tutte le parole che possiamo pronunciare a voce alta, davanti agli altri.
Ma sono solo un bambino indifeso e arrogante, e non importa quanto io possa essere ferito, non rinuncerò a cercare di vincere una stupida battaglia che so perfettamente lascerà sul campo più cicatrici che risultati.
E proprio come un bimbo mi faccio piccolo piccolo e mi rannicchio contro il mio stesso corpo, stringendo forte gli occhi e lasciando finalmente andare le lacrime.
Vorrei solo andare a casa.