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Autore: suni    06/04/2012    9 recensioni
“Tu sei il mio problema da quando avevamo undici anni.”
La sedia a dondolo ha smesso di cigolare. Potter è lì fermo, leggermente sporto in avanti, vagamente interdetto.
“Non…”
“Sei sempre in mezzo ai piedi e fai solo cose idiote. Per non parlare di quelle che dici. E non riesco a liberarmi da te, sono dieci anni che ci provo e niente, sei sempre maledettamente lì, da qualche parte.”
Adesso guarda Potter dritto in faccia e lui ha ancora quell’espressione di confusione, sbatte gli occhi, scrolla la testa.
“E io, allora? Vengo qui a salutare Arabella e chi è la prima e unica persona che incontro? Te.”

Per il "Let's ship again".
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Per il “Let’s ship again”, prompt del venerdì “sedia a dondolo", pre-slash.
Non ha il benché minimo senso, ma fa lo stesso.

 

Cotone

 

È… carino.
Draco vorrebbe non pensarlo, seriamente, perché non è una di quelle parole che dovrebbe accostare all’idea di Potter, ma non può negare che sia proprio così, che Potter seduto su una stupida sedia a dondolo che cigola leggerissimamente, sulla veranda, con lo sguardo fisso pigramente in aria verso un ritaglio di cielo, sia carino. Non in quel senso tipo “e però quanta roba”, perché Potter non è bello, minimamente, non ha nulla di attraente ma carino in un senso quasi tenero, mentre se ne sta lì, per una volta sereno, per una volta tranquillo, senza fare niente, senza avere una faccia preoccupata o nervosa o angosciata o qualche altra cosa. Si sta rilassando, ed è carino.
 Si avvicina con passo lento e Potter sentendo il rumore delle sue suole sulla stradicciola sterrata distoglie lo sguardo dal cielo e lo porta su di lui con un sussulto di realtà, sorride pigramente e al suo cenno del capo la sedia dondola in modo più marcato.
“Ehilà, Malfoy.”
“Si batte la fiacca?” risponde lui a mo’ di saluto, non troppo maligno, nemmeno scherzosamente, ma con quel tono ibrido che ha preso a usare con Potter da quando lavorano quasi insieme e sono, definirebbe, conoscenti.
Potter scrolla le spalle con altro mezzo sorriso, mentre Draco si siede su una poltroncina in vimini lì di fianco. Il giardino della Maple’s Magic House è semivuoto a quell’ora del pomeriggio, gli anziani ospiti della casa di degenza sono quasi tutti a riposare. Draco ci viene a trovare sua nonna, la vedova Malfoy, e sa che Potter invece ci viene per visitare la sua vecchia vicina di casa, Arabella qualcosa, una Maganò che lo teneva d’occhio quand’era bambino in mezzo ai Muggle. Potter ha sempre del tempo da sprecare per tutti, per quello è così nevrastenico.
La prima volta che si sono incontrati lì, Potter stava piagnucolando sulla sedia a dondolo. Draco per un attimo è stato molto felice di vederlo con gli occhi gonfi, si è ricordato di quella volta, a Hogwarts, quando Potter l’ha beccato a frignare e poi l’ha mezzo ammazzato. Lui ovviamente non ha tirato fuori la bacchetta, ma si è avvicinato con fare molto sereno, come qualcuno che non ha il minimo problema al mondo.
“Potter?”
Lui si è tutto arruffato, più del solito, ha passato velocemente le mani sul viso e per poco non è caduto dal dondolo.
“M-Malfoy!” ha farfugliato. “Cosa ci fai tu qui?”
Draco avrebbe potuto rispondere che era passato dalla nonna, che stava facendo il giro delle case di riposo d’Inghilterra perché non aveva proprio nient’altro da fare, che sentiva caldo e voleva stare un attimo nella veranda. Invece l’ha guardato con un po’ di scherno.
“Stavi piangendo?” ha chiesto, molto soddisfatto.
“No!” si è affrettato a rispondere Potter. “Stavo soltanto… Soltanto…”
Draco avrebbe potuto lasciare che si arrabattasse col suo patetico e inconcludente pigolio di scuse, rimanendo a guardarlo e sfoderando un’aria sprezzante e compiaciuta, ed è stato molto tentato. Poi forse è stato che la guerra è finita per tutti, che Potter faceva un po’ schifo ma più che altro pena, che era il salvatore del paese e avrebbe dovuto starsene a un qualche pranzo di gala o a farsi fotografare dai giornalisti e stringere la mano dai maghi più importanti d’Inghilterra e invece era lì, a piangere nel giardinetto di un posto in cui morivano i vecchi, o che nei corridoi del Ministero lui lo incrociava abbastanza spesso e ogni volta aveva l’aria stanca e preoccupata e non sembrava felice come avrebbe dovuto esserlo qualcuno nella sua situazione, Draco non lo sa. Sa soltanto che si è schiarito la voce.
“Allergia primaverile?” ha ipotizzato, vago.
Potter l’ha guardato quasi con riconoscenza.
“Esatto,” ha confermato.
Draco ha annuito noncurante.
“Dovresti prendere una pozione, per quello,” ha commentato, sentendosi completamente fuori luogo, quasi arrabbiato con se stesso perché parlava con Potter, che gli aveva pressoché rovinato la vita.
Anche Potter deve averlo pensato, perché è rimasto zitto a guardarlo. Poi si è schiarito la voce, aggrottando pensosamente la fronte.
“Sai giocare a dama magica?” ha chiesto, di punto in bianco.
Draco l’ha guardato senza capire.
“A dama?” ha ripetuto.
“Sì. Sai giocare?”
Draco sa giocare a dama. Gliel’ha insegnato sua nonna e curiosamente, gli ha rivelato Potter un attimo dopo, mentre disponeva la scacchiera in dotazione alla Maple’s, a lui l’ha insegnato la signora Figg, che è appena stata ricoverata lì. Era una sua vicina di casa a Privet Drive, ha spiegato, e per molto tempo lui non ha immaginato che avesse a che fare col mondo magico.
Hanno fatto un paio di partite in silenzio, spostando le pedine con lentezza, assorti. Draco non si è stupito del fatto che a nessun dipendente della Maple’s sembrasse inopportuno che i visitatori restassero lì a fare giochi da tavolo come se fosse un centro ricreativo, perché Potter fa quello che vuole, è Potter. Non si sono parlati e Draco, durante quelle giocate, ha pensato di capire cosa frulla nella testa di Potter, che in fondo è una sentinella condannata ad assistere alla sofferenza e alla morte di coloro che lo attorniano mentre a lui tocca una vita gloriosa, talvolta a loro discapito. Ma forse è un po’ così la vita di tutti, senza la parte della gloria.
“Dovrei tornare in ufficio,” ha detto Potter alla fine della seconda partita.
“Anch’io ho da fare,” ha commentato Draco.
Si sono salutati con un cenno, prendendo ciascuno la sua strada. Draco l’ha guardato sparire con uno strano senso di malinconia che non c’entrava niente con Potter ma che gli è rimasto appiccicato addosso per tutta la giornata insieme alla percezione di aver fatto una cosa senza senso, una cosa disdicevole, stando lì a giocare a dama con qualcuno che odia.
Il mercoledì successivo Draco è tornato alla stessa ora. È stato per caso, dev’essere stato per caso, ne è convinto, e Potter era di nuovo sulla sedia a dondolo, questa volta però era mezzo addormentato. Draco l’aveva visto due giorni prima, al Ministero, mentre correva avanti e indietro con aria stravolta. Potter lavora troppo e probabilmente per la maggior parte del tempo fa cose che non gli interessano per niente.
Si è seduto sulla poltroncina in vimini, quella che da allora occupa tutte le volte, e ha pensato di nuovo che era tutto molto inopportuno, che non sarebbe piaciuto a suo padre e non piaceva nemmeno a lui, e che avrebbe fatto meglio ad andare via. Invece ha giocato a dama.
La terza volta Potter aveva già preparato la scacchiera e stava dondolandosi sulla sedia, con lo sguardo perso sul roseto rampicante che cresce lì vicino. È stata la prima volta che gli ha sorriso vedendolo arrivare e Draco si è sentito nuovamente molto sbagliato. In ufficio quasi non si parlano, anche se per la verità nemmeno lì dicono granché, qualche commento sulle loro mosse, a volte su qualche fatto di cronaca.
Si vedono tutti i mercoledì. Non c’è nessuna valida ragione perché succeda, Draco direbbe che non si diverte neanche, con Potter, e nemmeno giocare a dama è un granché spassoso, però non manca mai. Forse perché mentre sta lì seduto nel silenzio della Maple’s muovendo solo una mano, con l’unico sottofondo del cigolio della sedia a dondolo, si dimentica tutto il resto. Si dimentica che è quasi un reietto e che tutti i soldi della sua famiglia non bastano a ricomprare il rispetto, si dimentica che buona parte del paese lo odia o nel migliore dei casi lo disprezza, che un sacco di gente che prima lo avrebbe salutato con rispetto ora finge di non vederlo nemmeno. Si dimentica le nevrosi di sua madre e le ricorrenti depressioni di suo padre, è come passare due ore in un batuffolo di cotone, morbido, ovattato. Dev’essere la stessa cosa che succede anche a Potter.
Si sta affezionando a Potter, poi. Non che abbia sviluppato qualche stima per lui, nemmeno gli interessa nulla della sua vita, di cui del resto sa poco o nulla e quel poco è di dominio pubblico, ma sta diventando una presenza familiare al punto da trovare carino che se ne stia lì a prendere fiato, a dondolare tranquillo il mercoledì pomeriggio.
Mentre si siede, Potter gli sorride ancora. È il momento in cui si accorge, dalla qualità amara di quel sorriso, che forse non è così carino come al solito. Forse quella che ha scambiato per tranquillità è soltanto tristezza, oggi.
“E’ l’ultima volta che vengo,” annuncia infatti Potter, raddrizzando una pedina nel riquadro. “La signora Figg è morta stamattina,” aggiunge, rispondendo alla sua muta domanda.
“Mi dispiace,” replica istintivamente Draco.
Gli dispiace? Non per la signora Figg, di certo, perché non l’ha mai vista in vita sua. Forse non gli dispiace nemmeno per Potter, che tanto a interrare gente c’è abituato. Gli dispiace per la sua pausa settimanale di cotone, perché adesso non sa con quale altro palliativo sostituirla, e forse gli dispiace non vedere più Potter perché, assurdamente, sembra avere su di lui un effetto balsamico.
“Non ha sofferto,” aggiunge Potter distrattamente. “Si è solo addormentata.”
“Meglio così,” osserva Draco senza sapere che altro dire.
Potter annuisce, muovendo un pezzo.
“Ho adottato i suoi gatti. Aveva un sacco di gatti, li ho presi con me.”
Draco cerca di non pensare a Grimmauld Place invasa dai felini o alla faccia che farebbe qualunque suo familiare all’idea di bestiole pelose che si fanno le unghie sulla tappezzeria della magione dei Black.
“Molto nobile, Potter,” osserva unicamente, risfoderando il tono ibrido mentre muove a sua volta. “La Weasley non sarà contenta.”
Harry si stringe nelle spalle.
“Ci siamo lasciati.”
Draco per un momento pensa di aver capito male. Potter e Weasley sono tipo la love story del millennio, la coppia più amata del paese, i Merlino e Morgana dell’età moderna.
“Eh?”
“Domenica. Ginny pensa che io sia incapace di ricominciare. Non so cosa dovrei ricominciare, per la verità. Ho un lavoro, un ruolo e credevo di avere anche una futura moglie.”
“Diamine, Potter, questa non è proprio la tua settimana,” commenta Draco a disagio. Non gli piace ricevere le confidenze di Potter, gli fa sentire un’intimità con lui che non vorrebbe avere.
“Non è importante,” risponde lui, senza notare il suo disagio. “Forse mi dispiace di più per la signora Figg che per me e Ginny.” Poi si mordicchia un labbro nervosamente, muove un pezzo di malagrazia. “E mi dispiace non giocare più a dama, e non avere più questo dondolo sotto le chiappe.”
Draco rimane ammutolito. Potter è capace di dire cose che lui non potrebbe mai esternare a cuor leggero. Rivelare a un vecchio nemico di apprezzare la sua compagnia è qualcosa che non farebbe nemmeno se minacciato di morte.
“Dispiace un po’ anche a me.”
Draco è moderatamente sicuro che quella sia la sua voce, e che siano state le sue labbra a muoversi e ad articolare le parole, ma è assolutamente certo di non aver pensato né detto nulla di vagamente simile.
“Per il… dondolo. Sentirà la tua mancanza,” aggiunge impettito, cercando di conservare il sangue freddo.
Potter lo guarda di sbieco e si mette a ridere piano, sottovoce. È tutto molto imbarazzante, vorrebbe alzarsi e andare via, magari commentare che finalmente smetterà di incontrarlo lì, ma sarebbe penoso. Nessuno l’ha mai costretto a tornare alla Maple’s ogni mercoledì, nessuno gli ha mai fissato appuntamento, l’ha fatto semplicemente perché gli andava e perché Potter è rassicurante, non chiede niente, non si aspetta niente ed è, come lui, una provetta stracolma a due dita dall’esplosione.
“Il dondolo se ne farà una ragione,” commenta Potter, filosofico. Mangia due pedine di fila e Draco si irrita. È distratto, adesso, a disagio, e non riesce a giocare.
“Perché lo hai detto?” sbotta irritato, spezzando l’atmosfera soffice della partita.
Potter lo guarda perplesso.
“Detto cos…?”
“Perché te ne sei uscito e hai detto che ti mancherò? Non è una cosa che si fa, questa, andare a dire alla gente che odi che ti mancherà,” ribadisce Draco stizzito.
Harry spalanca gli occhi.
“Ma io non ti odio.”
“Non dovresti permetterti, ecco tutto.”
Riprende una pedina con mossa rabbiosa, scrutando astioso la scacchiera.
“Malfoy, qual è il tuo problema?”
“Non ho nessun problema, Potter, lasciami concentrare.”
“…Ti trema la mano.”
La sua mano sta tremando veramente e Draco deposita la pedina e lascia cadere il braccio con uno sbuffo, chiudendo gli occhi.
“Tu sei il mio problema da quando avevamo undici anni.”
La sedia  a dondolo ha smesso di cigolare. Potter è lì fermo, leggermente sporto in avanti, vagamente interdetto.
“Non…”
“Sei sempre in mezzo ai piedi e fai solo cose idiote. Per non parlare di quelle che dici. E non riesco a liberarmi da te, sono dieci anni che ci provo e niente, sei sempre maledettamente lì, da qualche parte.”
Adesso guarda Potter dritto in faccia e lui ha ancora quell’espressione di confusione, sbatte gli occhi, scrolla la testa.
“E io, allora? Vengo qui a salutare Arabella e chi è la prima e unica persona che incontro? Te.”
“Non ti ho chiesto io di giocare a dama!”
“Potevi anche rifiutare, eh.”
“Non… Non…”
È pazzesco. Messo in difficoltà e addirittura lasciato senza parole da quel coglione di Potter. Quella spina nel fianco eterna. Draco non perde mai le parole, ha sempre la replica pronta. E invece adesso e lì e non sa più nemmeno cosa sta pensando.
Poi c’è la mano di Potter appoggiata sulla sua.
“Senti, Malfoy, va bene così.”
Draco lo scruta allibito. Bene, è andato del tutto. Prima o poi doveva succedere.
Potter si stringe nelle spalle.
“Si vede che deve andare in questo modo. Ci sarà una ragione per cui ci gravitiamo intorno, solo che non la sappiamo.”
“Questa te l’ha detta la Cooman?” sibila Draco molto nervosamente. È una puttanata, una solenne fesseria, ed è imbarazzante, e stupida. E la mano di Potter sta ancora lì. Poi, lentamente, si ritrae, lasciando l’aria fredda sulle sue dita.
“Sai, sono un po’ stanco. Non mi va di finire la partita,” dice Potter con un mezzo sospiro.
“Nemmeno a me.”
Draco si è già alzato senza nemmeno ben realizzarlo, mettendo un mezzo metro tra se stesso e Potter.
“Malfoy…”
“Ci si vede. In ufficio, o qualcosa del genere.”
“Malfoy…”
“Oh, e Malfoy cosa?” sbotta lui.
“… Ci incontriamo per caso da qualche altra parte?”
Draco sente sciogliersi un nodo nello stomaco. Harry Potter e la sua mancanza di buon senso, questa è una cosa che non capirà mai. E che non vuole capire, va bene così. Come ha detto Potter, va davvero bene così.
“…Portati una scacchiera,” borbotta, brusco.
Harry annuisce con un ultimo sorriso, appena prima che lui gli volti le spalle.
 
 
Draco vede la sedia a dondolo prima di tutto il resto. Gli manda il cervello in allerta. È di nuovo primavera, c’è di nuovo una sedia a dondolo, lui e Potter non si sono parlati da tre mesi. Se non fosse stato così importante reperire un paio di introvabili manuali antichi di incantesimi, non si sarebbe mai trascinato fino a quella sperduta biblioteca di quello sperduto maniero del Galles dove si trovano solo vecchi fanatici eruditi ed esperti di storia magica tagliati fuori dal mondo. Nel patio non c’è nessuno che legge, lo vede anche lì, da lontano, c’è solo quella sedia vuota e un paio di panche.
Poi non è sicuro di quello che vedono i suoi occhi. Forse è il caldo che gli fonde le meningi, perché individua chiaramente una sagoma spettinata che zompetta verso la sedia a dondolo, con un librone tra le mani, e poi si siede per leggere. Nel fottuto Galles.
Sta già marciando verso di lui prima ancora di avere ben compreso, con una gran voglia di mollargli uno schiaffone o di affatturarlo una volta per tutto. Potter solleva lo sguardo per sistemarsi gli occhiali sul naso e nel vederlo rimane fermo, stupito, con la mano a mezz’aria.
“Cosa ci fai tu qui?” sbotta lui.
Potter sembra sul punto di mettersi a ridere.
“Ho accompagnato Hermione a cercare del materiale, lei è in biblioteca. E tu?”
“Io sto lavorando!”
Non sa nemmeno perché lo dica con tanta violenza. O perché abbia voglia di menare Potter. Quello, dal canto suo, sembra non interessarsi minimamente del pericolo.
“Mi dispiace, non ho la scacchiera,” afferma, ilare.
Draco lo guarda, in silenzio, con la rabbia che scema e che nemmeno sa da dove venisse fuori. Potter è lì per caso, assolutamente per caso, proprio oggi, così. E invece di essere arrabbiato adesso è quasi sollevato, perché allora è vero.
“E’ proprio una condanna, eh?” mormora.
Potter sorride facendo spallucce.
“Ti siedi?”
Draco sospira, si guarda intorno e si accomoda nell’angolo più vicino della panca. Poi lo guarda, sbuffando.
“Dovremo comprarti una sedia a dondolo,” osserva, per dire qualcosa.
“Me la regali tu?” chiede candidamente Potter.
Draco storce il naso, contegnoso, e non risponde niente. Potter ridacchia e, dondolando, appoggia la mano sul suo avambraccio.
“Ma, tipo, dove andiamo a cena?”
“…In un posto senza Muggle.”
Harry getta indietro la testa, e si mette a ridere.
   
 
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