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Autore: KrisJay    06/04/2012    5 recensioni
Un campeggio estivo nel Maine può essere un ottimo posto per una vacanza: pace, tranquillità... e anche qualche piccolo inconveniente che movimenterà le giornate. E' lì che Bella, una giovane produttrice di vini, trascorrerà la sua estate; insieme al suo amico Seth, infatti, accompagnerà un gruppo di bambini al campeggio per sei lunghe settimane. Ma si sa, al campeggio, come in qualsiasi altro luogo vacanziero, si conoscono molte persone e si instaurano nuove amicizie... e qualche volta, nascono anche dei nuovi amori.
"- Serve una mano? – una voce alle mie spalle, una gran bella voce devo dire, mi fa capire che non sono l’unica che è rimasta al parcheggio. Mi volto, sospirando, e quel respiro torna subito nei miei polmoni quando scopro a chi appartiene la voce.
Capelli rossi, tendenti al ramato, viso mostruosamente bello e una mascella squadrata da divorare con la bocca… e due occhi verdi e brillanti che sembrano smeraldi.
Merda, merda, merda! È il tizio che ho visto all’aeroporto.
Continuo a guardarlo come se davanti è appena comparso un fantasma. Credo che sto per fare un'altra delle mie figure di cacca."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amori in campeggio'
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The Camp Of Love - Capitolo1

Ehm… ok, sono di nuovo io che rompo le scatole con una nuova storia! ahahahha, ormai non me ne vado più da qui u.u ma approfitto del fatto che ‘Come in una favola’ sta per finire e lascio il primo capitolo della storia nuova :)
Cooomunque, ci sentiamo in fondo alla fine del capitolo u.u buona lettura!

 
 

 Cover

 
 

The camp of love

 
 
 

Capitolo uno - Presentazioni e programmazioni
 
 
 

14/06/2010
 
Cammino senza nessuna fretta tra i filari del vigneto e osservo i grappoli d’uva che stanno crescendo e che verranno raccolti non appena saranno divenuti maturi.
Io però approfitto di quel momento e oltre a controllare la crescita dei tanti grappoli, mi preoccupo che le viti non abbiano nessun tipo di problema.
Sarebbe terribile se a metà giugno, quando mancano solo pochi mesi alla vendemmia, fossimo costretti a dover intervenire perché le piante hanno contratto qualche spiacevole malattia, che altererebbe in qualche modo il sapore e la qualità dei vini che produco.
Da quel che vedo, però, capisco che è tutto nella norma e che non ci sono anomalie di alcun tipo. Le cure che quasi ogni giorno io e gli altri addetti alle vigne apportiamo alle viti si possono notare anche da lontano.
Sbuffo dopo aver appuntato le ultime notifiche sulla cartellina che mi porto sempre dietro - come Linus si porta sempre dietro la sua coperta -, e poi mi copro la testa usando proprio la cartellina, mentre lancio un’occhiataccia indispettita verso il sole alto e già troppo caldo per essere solo le prime ore del mattino.
La mia è stata proprio una bella idea quella di andarsene in giro sotto il sole rovente, senza portarsi dietro almeno un berretto.
Faccio dietro-front dopo aver sbuffato nuovamente. Tanto ho già controllato quello che dovevo controllare e sarà meglio che mi ritiri per un po’ all’ombra, prima di beccarmi la prima insolazione dell’estate.
Sono pessima, me ne rendo conto, continuo a blaterare tra me e me senza essermi prima presentata a voi!
Ma rimediamo in fretta, dunque, vediamo...
Io sono Isabella Swan, ma potete chiamarmi Bella, poiché tutti i miei parenti/amici/conoscenti mi chiamano così. Sono nata nel lontano (ma neanche tanto lontano) 1987 e sono, come forse avrete già capito, la proprietaria del vigneto dove sto bazzicando in questo preciso momento.
Vi starete giustamente chiedendo come fa una ragazza di quasi ventitré anni a essere già proprietaria di un vigneto. È una domanda curiosa questa ed è normale che lo pensiate. Quindi, vi posso rispondere subito.
Mio nonno, il buon caro e vecchio Jack Swan, al momento della sua morte me l’ha lasciato in eredità, assieme all’azienda vinicola della quale era proprietario. Quando lo seppi rimasi molto scioccata, ma in senso buono ovviamente. Non mi sarei mai immaginata in tutta la mia vita che il nonno potesse un giorno lasciarmi l’attività che aveva svolto per tutta la sua esistenza, diventata in seguito una piccola fortuna.
Avevo compiuto da poco diciannove anni, quando il nonno moriva, e ero in partenza per il college a Dartmouth, per studiare arte. Immaginate quale fu la mia faccia, capendo di essere diventata proprietaria e responsabile di una delle aziende vinicole più importanti e famose della California, con guadagni annuali pari a quasi 10 milioni di dollari.
Probabilmente, simile a quella che avete voi in questo preciso istante.
Da una parte ero felice di quella novità, il lavoro del nonno mi era sempre piaciuto sin da quando ero una bimbetta minuscola che si divertiva ad assaggiare gli acini d’uva, nascondendosi tra le viti quando giocava.
Mi è sempre piaciuta l’idea di lavorare all’aria aperta e di stare a stretto contatto con la natura, una cosa che non avrei fatto facilmente se mi fossi laureata in arte, per diventare un critico d’arte.
L’eredità del nonno stravolse i miei progetti e lo fece al momento giusto.
Decisi di prendermi un anno sabbatico e di trasferirmi nella villa che il nonno costruì vicino ai vigneti e dove, per quasi cinquant’anni, risiedé insieme a nonna Isabella.
Quando seppe dei miei progetti, ne rimase contenta, sia perché avrei colmato un po’ il vuoto che la scomparsa del nonno le lasciò e sia perché, a detta sua, avrei trovato il modo di capire veramente quanto fosse bello produrre i vini.
Il periodo del mio trasferimento avvenne proprio durante la vendemmia, sembrava quasi una specie di coincidenza fortunata. Ricordo che la nonna mi diede appena il tempo di farmi sistemare nella mia camera, trascinandomi subito dopo dai vari operai che stavano raccogliendo le uve, che avrebbero poi trasportato nello stabilimento situato poco lontano.
Quell’anno non mi persi niente, non saltai nessun passaggio della produzione. Rimanevo quasi incantata a osservare quello che accadeva in quel posto, nonostante lo sapessi da una vita intera. Ma in quel momento mi sembrava che capivo solo allora quello che veramente mio nonno mi spiegava, sempre con lo stesso entusiasmo e la stessa passione.
Ero rimasta giorni interi a osservare e a farmi spiegare tutto quello che accadeva all’interno dello stabilimento: dalla spremitura delle uve, per passare alla fase di fermentazione e di macerazione, fino ad arrivare alla svinatura e alla conseguente fase di affinamento. Feci la mia scelta solo osservando tutto ciò, ma solo quando mi fecero assaggiare il risultato di tutto quel lavoro diedi la risposta definitiva.
Avevo scelto di continuare quello che era stato il lavoro del nonno, sperando di riuscire a essere alla sua altezza e di non far rimpiangere i tempi in cui era il padrone dell’azienda. La nonna era fiduciosa delle mie capacità, oltre che felice della mia scelta.
Fu lei a confessarmi che il nonno sperava che almeno uno dei suoi nipoti continuasse quella che era stata la sua passione, oltre che un lavoro. Ed era contenta che io realizzassi questo suo desiderio.
I primi tempi che passai nelle campagne della Napa Valley, la zona in cui si trovava l’azienda, furono tutti all’insegna dello studio e della scoperta di quello che sarebbe presto diventato il mio mondo.
Imparavo a riconoscere le varie specie di viti che avevamo nei campi attraverso la forma e il colore delle foglie e a prendermi cura di esse, appuntandomi le dosi e i tempi delle varie concimazioni ed il metodo di potatura che garantiva, alla nuova annata, un raccolto più abbondante.
Non era facile ricordarmi tutti quei passaggi, per non parlare delle varie e tante malattie che attaccavano la vite, che qualche volta anche le nostre avevano contratto, ma me la cavavo e riuscivo in breve tempo ad avere una buona padronanza della materia. Diciamo che per essere una che non aveva mai studiato agraria, a farlo nel giro di pochi giorni, andavo abbastanza bene.
Avevo provato a rendere partecipe mio fratello Jasper della mia nuova attività e mi sarebbe piaciuto un sacco lavorare insieme a lui, se avesse preso la mia stessa scelta. Purtroppo le cose non andarono nel modo che sperai.
Nonostante il nonno avesse lasciato l’azienda sia a me sia a lui, Jasper si rifiutò con tutto se stesso di prendere parte all’attività di famiglia. A sua detta, voleva continuare a fare quello per cui aveva studiato duramente, ossia crearsi una carriera nel campo della pubblicità.
Una cosa però mi aveva promesso, e la stava mantenendo ancora oggi: curava la pubblicità dell’azienda ed il sito Internet. In cambio, ovviamente, delle sue solite bottiglie di vino settimanali che si scolava insieme a sua moglie Alice.
Alice e Jasper non sono due alcolizzati; è solo che, come un po’ tutta la nostra famiglia, hanno la passione per il vino e approfittano del fatto che io, da brava sorella e cognata, non gli faccio pagare quello che bevono durante i pasti. Sarebbero finiti in bancarotta se ogni settimana dovevano andare a comprare sette bottiglie di vino da 34 dollari l’una.
Il prezzo del vino, il Cabernet-sauvignon, è un po’ altino - lo penso anche io-, ma è il risultato di una qualità di uva pregiata, un incrocio di uve bianche e rosse. All’azienda non produciamo solo questo vino, però; mio nonno, forse per ricordare le origini italiane di nonna, aveva scelto di coltivare anche altre uve e di produrre alcuni vini noti in Italia, come il Sangiovese e il Chianti.
È bello ritrovare in qualche modo attraverso il vino le origini della nostra famiglia.
Va bene adesso la smetto di parlare di me, penso di avervi scocciato abbastanza.
Mi metto a correre, sempre con la cartellina sulla testa, fino a vedere il limitare dei vitigni e la villa dove abito insieme a nonna. Sento il bisogno di bere qualcosa di fresco e che mi rilassi un poco, prima di andare a fare una visitina allo stabilimento.
Tutti là dentro mi dicono che se decido di non andarci per un giorno non succede nulla di male, ma io davvero non ce la faccio a lasciar stare.
Se non faccio almeno una volta al giorno il giro dei locali  e delle cantine mi sento male. Se non ci credete, mia nonna vi darà la conferma.
Raggiungo felice l’ombra del portico, lieta di sentire finalmente fresco e non più il caldo infernale della California, ed entro in casa togliendomi gli occhiali da sole.
La casa della nonna, o meglio anche casa mia, è arredata con i colori caldi del marrone e con mobili moderni che ricordano i dettagli rustici della campagna. Dopotutto, noi abitiamo qui, no?
Poggio gli occhiali da sole e la cartellina sul mobile del corridoio e mi dirigo verso la cucina, ignorando bellamente il salotto e l’invitante divano beige dove mi piace tanto leggere e starmene in santa pace. So che la nonna si trova là, perché sento il buon odore del cibo che mi guida verso di lei. Se nonna non cucina per un reggimento intero non si sente tranquilla.
Quando entro in cucina, una cucina enorme e simile per arredamento a tutto il resto della casa, la trovo impegnata a montare qualcosa dentro a una terrina.
Forse, penso tra me, sta preparando le frittelle, ma potrebbe anche fare a meno di farlo. Sull’isola della cucina c’è già un vassoio intero di biscotti al cioccolato, (i miei preferiti), una torta alle noci e dei muffin assortiti.
-Ancora non hai smesso di cucinare?- chiedo, avvicinandomi a lei, arrampicandomi poi sul ripiano per potermi sedere.
La nonna alza lo sguardo verso di me, arricciando le labbra e interrompendo per qualche secondo il suo lavoro, prima di riprenderlo. Non è sorpresa per la mia comparsa improvvisa, diciamo che si è abituata in questi quattro anni alle mie uscite bizzarre.
Nonna Isabella ha un aspetto giovanile per la sua età, sessantacinque anni portati meravigliosamente. Se non fosse per i capelli bianchi che tiene sempre legati in una croccia dietro il capo, potrebbe passare per una signora più giovane.
Anche il nonno era giovane quando scomparve, aveva compiuto da pochissimo sessantanove anni, ma come tutti sappiamo bene se il cancro decide di portarti via dai tuoi cari prima del tempo non puoi fare nulla per impedirlo.
-Sai che mi piace farlo- mi risponde dopo un po’, sorridendo. Mi lancia un’occhiata di sbieco e mi molla uno schiaffetto sulla mano.
-Scendi da lì, signorina! Qui sopra ci si cucina, non ci si siede. Quante volte devo ripetertelo?-
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo, e scendo dal ripiano e prima di andare a occupare posto a tavola mi avvicino all’isola e a tutto quel ben di Dio che c’è posato sopra. Afferro un biscotto, mordendolo e sentendo i pezzi di cioccolato fondente che si sciolgono in bocca, e rubacchio anche un muffin ai mirtilli.
-Bella, smettila di mangiare i dolci- mi ammonisce.
Mi volto, pensando che mi abbia vista, invece la trovo voltata verso la finestra, impegnata a montare le uova. Alcune volte mi viene da pensare che abbia gli occhi anche dietro la testa, poiché mi sgama nonostante non riesca a vedermi.
-Non fto.. non sto mangiando- balbetto e immediatamente nascondo dietro la schiena il muffin e quel che resta del biscotto.
Nonna ride. -Farò finta che sia così, ma non toccare altro, quelli sono per i ragazzi. Per te sto preparando le frittelle.-

Uh, frittelle.. buone!
-Con lo sciroppo d’acero?-
Alcune volte me ne esco con domande che sembrano non esser uscite dalla mia bocca, ma da quella di una bambina piccola. Non posso farci niente però se la nonna è così brava a cucinare e ogni cosa che fa rappresenta una festa per le mie papille gustative.
-Sì tesoro, ci metto anche lo sciroppo d’acero.-
La sua risposta mi entusiasma così tanto che ripongo il muffin nel mucchio insieme agli altri, mentre il biscotto finisce nella mia bocca.  
Mi avvicino all’enorme tavolo in noce e scosto la sedia, rischiando di strozzarmi con il boccone di biscotto, mentre osservo Principessa, la gatta persiana di nonna, dormire tranquillamente sopra di essa.
-Nonna, Principessa ha rischiato grosso- la informo, prendendo malamente la gatta tra le braccia. Quest’ultima miagola indispettita e tira fuori le unghie, ma quando capisce che sono io si rilassa e si sistema meglio tra le mie braccia.
-Stavo per trasformarla in un cuscino da sedia!-
Mi siedo, carezzando il morbido pelo bianco di Principessa, mentre questa fa le fusa e si gode le coccole che le sto riservando. Nonna, nel frattempo, deve aver messo a cuocere le frittelle perché il buon odore che sento mi sta facendo crescere la fame.
-Povera micetta. L’hai salvata spero.-
Annuisco. -Oh sì, è salva.-
Cinque minuti dopo nonna si avvicina al tavolo e mi posiziona davanti, con un sorriso, l’enorme montagna di frittelle che ha preparato. Sono così belle da vedere e l’odore è così invitante che ne mangio un pezzo senza preoccuparmi di mettere lo sciroppo d’acero.
-Allora, tesoro, sono buone?- mi chiede lei, sedendosi accanto, carezzandomi una spalla.
Annuisco, con il boccone ancora in bocca.
-Come sempre!-
Lascio la presa sulla gatta che, da brava ruffiana, si è addormentata sulle mie cosce e allungo il braccio per recuperare la bottiglia di sciroppo d’acero. Mentre lo faccio mia nonna mi blocca il braccio e se lo porta sotto gli occhi, scrutandolo attentamente.
-Che succede?-
Nonna lascia passare qualche secondo prima di rispondermi con un'altra domanda. -Hai messo la protezione solare prima di uscire? Ti si è arrossata la pelle-
-Ehm…-
Nonna durante l’estate, mi ricorda sempre di spalmare la protezione solare sulla pelle prima di uscire.

“Hai la pelle chiara, ti bruceresti in poco tempo!” Ripete sempre e il più delle volte le do ragione perché so di che colore diventerei se dimenticassi anche solo una volta di ‘proteggermi’.
Un rosso acceso, più di un pomodoro maturo.
-Me ne sono dimenticata- sussurro. Riesco a liberare il braccio dalla presa di nonna e così posso cominciare a ricoprire le frittelle di sciroppo… al diavolo la linea!
La sento sospirare. -Più tardi, prima di andare da Alice, la metti così non ti scotti, va bene?-
-Devo andare da Alice?- mi volto verso di lei, confusa, con la bottiglia ancora a mezz’aria.
-A che fare?-
-Credo per parlare della gita di quest’anno, ha chiamato poco fa. Eri ancora in vagabondaggio per il vigneto-. Scrolla le spalle, cominciando a versare del succo d’arancia in un bicchiere.
-Ah giusto, la gita- dico, sentendomi un po’ rimbambita per essermene dimenticata. Come potevo dimenticarmene? Non è la prima volta che prendo parte a questa attività estiva.
Continuo a mangiare le mie frittelle, prendendo ogni tanto un sorso di succo dal bicchiere e sto per chiedere a nonna se le devo prendere qualcosa in paese, quando la porta di servizio della cucina si apre, rivelando sulla soglia un ragazzone formato gigante, dalla carnagione ambrata.
Dopo che ha aperto la porta, Jacob bussa per annunciare il suo arrivo, come se noi non lo abbiamo visto spalancarla.
Mossa stupida, molto da lui.
-Signora Isabella, posso entrare?-
-Ma che domande sono, Jake? Certo che puoi entrare, caro. Vuoi un po’ di caffè o delle frittelle? Ne ho lasciate un po’ anche per te-.
Nonna torna in piedi in un baleno, contenta dell’arrivo del mio amico e ancora più contenta perché può farlo rimpinzare di cibo come sempre.
Jake sorride. -Non rifiuterei mai le vostre strepitose frittelle, signora-.
Soffoco una risata stringendo le labbra e, per evitare di fare danni, mi porto in bocca una nuova forchettata di frittelle, mugugnando un ‘ruffiano’ che può essere benissimo spacciato per un gemito.
Jacob si accomoda a tavola stando alla mia destra, osservandomi mentre m’ingozzo di cibo.
-Buongiorno Bella, attenta che se continui così finirai con l’ingrassare.-
Sbuffo, lanciandogli un’ occhiata ammonitrice, e rifilandogli una dolorosa pacca sulla spalla. Rido per la smorfia di dolore che compare sul suo viso.
Conosco Jacob da anni, per essere più precisa dal giorno in cui sono nata. Le nostre famiglie, gli Swan e i Black, si conoscono non so da quanto tempo e sia io che lui sin da piccini siamo sempre stati insieme. Come amici, ovviamente.
Non ho mai provato nulla di più che un forte affetto di amicizia, ed anche per lui è la stessa cosa, anche se nei primi anni delle superiori, mi faceva capire che cominciava a provare qualcosa di diverso nei miei confronti. Per fortuna tutto poi è sparito.
Nonno e nonna, che hanno sempre considerato Jake come un nipote acquisito, speravano che tra noi due scoccasse la “scintilla dell’amore”, come la chiamava sempre nonno, ma alla fine si sono rassegnati entrambi all’idea che noi siamo soltanto amici, amici stretti e basta.
Specialmente adesso che Jake ha trovato il vero amore della sua vita, una ragazza che sin dalla prima volta che l’ho vista ho pensato fosse la sua degna anima gemella. Lei si chiama Leah, è una giovane veterinaria che ha cominciato da poco a lavorare nello studio del dottor Ross, a Napa, e la caratteristica che me l’ha fatta piacere dal primo momento è stata la sua capacità di tenere a bada quella sottospecie di orso/mostro che ha scelto come fidanzato.
Jake un paio di mesi prima le ha chiesto di sposarlo e lei ha accettato subito, nonostante siano entrambi giovani e all’inizio della loro carriera lavorativa ma secondo loro, se c’era l’amore tutto il resto poteva aspettare.
Leah mi ha scelto come sua testimone, facendo nascere una litigata colossale, giacché anche Jake vuole che io sia la sua testimone. Alla fine siamo giunto a un compromesso, farò da testimone a Jake e alla nascita del loro primo bimbo, sarò la madrina.
Insomma, in qualche modo mi avranno sempre tra i piedi, ma se la sono cercata loro ed io mica posso dire di no.
-Cavolo, Bella, sei sempre più manesca ogni giorno che passa!- commenta Jake, mentre si massaggia la parte lesa e mi guarda storto.
-Tu mi prendi in giro, io attacco… sai come la penso, no?- sorrido malignamente, bevendo il succo d’arancia e accarezzando allo stesso tempo il pelo di Principessa, che la voce del mio amico ha svegliato.
Lui sembra notare, solo grazie al movimento del mio braccio, che ho la gatta acciambellata sulle cosce. Si sporge per osservarla meglio.
-Oh, ma guarda chi c’è qui! Ciao, Principessa.-
Jake allunga la mano per accarezzarla, ma come accade ogni volta la gatta caccia fuori gli artigli, mostrandoglieli e soffiando come se fosse minacciata.
Lo fa sempre, soprattutto con le persone che non conosce e che sono estranee alla casa, come ad esempio i vari operai che lavorano allo stabilimento e che ogni tanto passano per salutare la nonna. Con me l’ha fatto i primi tempi, nonostante mi conoscesse già, ma pian piano si è abituata alla mia presenza. Ed ora, sembra che io sia la sua padrona.
Anche con Jacob potrebbe passare per tale, ma non sembra proprio. Principessa continua a soffiargli contro, come se fosse la prima volta che lo vede. Le ha dato anche un soprannome, quel cretino…
-La gatta che ti affetta è in ottima forma oggi-. Ecco, questo è il soprannome.
-Ma perché la chiami così? Poverina non fa del male a nessuno. Invece a sentire te sembra una specie di serial killer!-
-Anche tu una volta pensavi che avesse qualcosa contro di te, ammettilo.-
Scrollo le spalle. -Ma dopo ho cambiato idea, perché questa bella birbantella ha capito che io non le farei mai e poi mai del male… giusto, Principessa?-
Prendo la gatta tra le braccia e la sollevo in aria, portando il suo piccolo muso alla stessa altezza del mio; lei non batte ciglio, si limita a guardarmi come se a lei la cosa fosse indifferente. Per farmi capire meglio il concetto, miagola.
-Proprio non ti è simpatica la mia gatta, eh Jake?- .
Nonna, tornata di nuovo a tavola con noi, posa un enorme piatto di frittelle piene di sciroppo davanti al mio amico sorridendogli.
-Non gli è mai stata simpatica, nonna. È una cosa del tutto normale-.
Lascio un’ultima carezza alla gatta, prima di posarla sul pavimento in cotto della cucina e poi mi alzo in piedi, stirandomi le braccia.
-Io vado, nonna. Hai bisogno di qualcosa giù a Napa?-
-No cara, ho tutto quello che serve, ma grazie comunque- mi rivolge un sorriso dolce, mentre versa il caffè per Jacob in una tazza.
-Dov’è che vai?- Jake mi osserva incuriosito e si porta una forchettata spropositata di frittelle alle labbra.
Lo guardo per un po’ impressionata, prima di rispondergli.
-Vado da Alice, ha chiamato prima e sembra che voglia parlarmi della gita di quest’anno.-
Lui deglutisce l’enorme boccone e scoppia a ridere. -Ah giusto, la gita estiva! Se non fosse per lei, tu staresti ogni singola estate a rompere le scatole in azienda. Devo ringraziare Alice se ti manda via quelle poche settimane!-
Lo guardo male, ma non ribatto. So che ha ragione e che sarei capace di non passare neanche un giorno di vacanza estiva perché devo tenere sotto controllo le cose nell’azienda, ma, per fortuna, Alice da un paio di anni a questa parte ha trovato un’idea carina per i bambini di Napa e mi ha chiesto se volevo farne parte.
Visto che l’idea mi piace ho accettato e, per rendere felici quei piccoli marmocchi, sono anche disposta a separarmi dalle mie amate viti e andare a passare sei settimane all’aria aperta.
-Ed io invece devo ringraziarla se per quelle settimane non sentirò le tue stronzate!- ribatto e scoppio a ridere, seguita da lui.
La nonna è meno felice di noi, invece, e mi guarda male come fa ogni volta che mi sente parlare in quel modo poco educato. Mi avvicino a lei e la abbraccio, lasciandole un enorme bacio sulla guancia che la fa ridere subito. Lei non è capace di restare arrabbiata per molto tempo. Per le cose serie sì, riesce a tenere il muso per giorni, ma per scaramucce del genere è facile farle tornare il sorriso.
-Quanto sei ruffiana!- esclama, ridendo.
-Adesso va’, tanto ci penserà Jacob a portare i dolci agli altri.-
-Stai attenta che lui se li mangia tutti per strada!-
-Ehi! Ma per chi mi hai preso?!- dice lui, sentendosi preso di mira.
Scoppio a ridere, e il buon umore per quella scenetta mi resta addosso anche quando vado a recuperare la borsa e gli occhiali da sole per uscire di casa. Mi fermo prima ancora che possa aprire la porta, bloccata dalle parole amorevoli che la nonna mi urla dalla cucina.
-Bella, tesoro, ricordati la protezione!-
Cambio i miei programmi e mi lancio di corsa verso le scale che mi porteranno al piano superiore, per mettere quella benedetta protezione solare.
 

-
 

Ci metto poco ad arrivare a Napa. La città non è poi così lontana da casa nostra, in una ventina di minuti sono arrivata a destinazione. Sulla mia macchina percorro le varie vie per arrivare all’agenzia di viaggi di Alice.
Da quello che posso vedere, la città sta già attirando i primi turisti della stagione. Non ne vengono così tanti dalle nostre parti e spesso quelli che vengono qui sono attirati più per i vini che si producono nella nostra regione che per le altre cose. È  un fattore positivo per il turismo della zona, ma non l’unico.
Fermo la macchina quando arrivo nella via dove si trova l’agenzia e, dopo averla spenta, scendo e innesco subito le sicure. Sono previdente, è vero, ma sono anche tanto affezionata al mio piccolo gioiellino che mi sono regalata appena qualche mese fa: una Mini Cooper rossa fiammante con il tettuccio bianco.
Ero stanca di prendere sempre il furgone della nonna, nonostante lei mi abbia sempre detto che non era un problema, ma ho voluto fare ugualmente qualcosa per rendermi un po’ più indipendente anche sull’argomento “mezzi di trasporto”. Per questo motivo ho acquistato la mia macchinina.
Molti mi hanno detto che avrei potuto permettermi di meglio, molto più di un’auto comune come la Mini, ma sinceramente a me non è mai importato molto il lusso e lo spendere i soldi senza un senso.
Mi serviva un’auto che mi permettesse di spostarmi senza problemi e senza dipendere dagli altri. Mi è piaciuta quella che ho acquistato e la storia è finita. Se gli altri poi pensano che abbia sbagliato, a me non interessa.
Sistemo la borsa a tracolla sulla mia spalla e mi avvio verso l’entrata dell’agenzia, passandomi una mano tra i capelli e sbuffando per il caldo che continua a farsi sentire ancora più intensamente di prima.
Meno male che ho messo la protezione, penso tra me e me, mentre poggio una mano sulla porta e spingo per aprirla. Subito un’ondata di aria fresca m’investe da capo a piedi, facendomi sospirare di sollievo. La pelle si ricopre di brividi, ma la cosa è solo temporanea. Sia ringraziata l’aria condizionata!
-Uh, Bella, gliel’hai fatta ad arrivare! E chiudi la porta, sbrigati!-
Apro gli occhi, che ho chiuso non appena sono entrata, e mi affretto a richiudermi la porta dietro le spalle mentre osservo la piccola Alice che cerca qualcosa in una montagna di fogli stampati.
Alice, la mia migliore amica, e mia cognata, è piccola solo per modo di dire. La sua statura e il suo fisico minuto la fanno sembrare una ragazzina, anche più piccola di me. In realtà ha ventisei anni, tre in più della sottoscritta.
I suoi capelli corvini, corti e con le punte sparate in tutte le direzioni, si muovono ogni tanto a causa dell’aria condizionata accesa e ogni tanto si vede il piccolo fermaglio pieno di strass, che ha appuntato su un lato, brillare come se si trovasse sotto il sole. Alza gli occhi, sorridendomi e facendomi cenno di avvicinarmi a lei.
-Siediti un secondo. Finisco di cercare una cosa e poi te la mostro. Vuoi un po’ di caffè intanto? O del tè freddo?- chiede, riportando gli occhi e il naso in mezzo alle scartoffie.
Scuoto la testa, sorridendole e togliendomi finalmente gli occhiali da sole.
-No, sono a posto così. Sei da sola oggi?- chiedo, vedendo che è l’unica persona presente nel locale.
Di solito con lei ci lavora anche una ragazza, Lauren.
Lauren ha la mia stessa età e abbiamo frequentato insieme lo stesso liceo, ma non siamo mai state molto amiche. A scuola, nei corridoi, ci scambiavamo giusto il banale e semplice “ciao”.
Adesso invece non c’è quasi più neanche quello. Io vengo di rado a Napa, giusto per trovare i miei genitori, i miei amici e per fare un po’ di spesa quando la nonna non può venirci, mentre lei è troppo impegnata a rimorchiare e a credersi chissà chi per considerare gli altri. Di questo passo non verrà neanche più a lavorare, da quello che vedo.
Alice sbuffa, capendo a chi mi sto riferendo.
-Lascia perdere, sta diventando una situazione assurda! Ma non voglio parlare di Lauren-sono-troppo-figa-e-gagliarda. Ho altro di cui discutere con te adesso!-
Inarco le sopracciglia proprio nello stesso momento in cui lei riesce a sfilare una serie di fogli dal mucchio, senza far cadere tutti gli altri a terra. Si sporge verso di me, che mi trovo dall’altra parte della sua scrivania, sorridendomi.
-Ecco il programma di quest’anno! Ho faticato un sacco a trovare un altro campeggio nel Maine, ma alla fine ci sono riuscita!-
Il suo sorriso estasiato mi contagia, anche se non capisco per quale motivo abbia dovuto cambiare campeggio.
-Non potevamo tornare in quello dell’anno scorso?- le chiedo. Eravamo stati bene, il cibo era buono e lo svago non mancava, e la natura e il paesaggio che ci circondava non era male.
Alice mi guarda male. -Pensi che dopo quello che hanno combinato Zac Efron e Jesse McCartney al loro bungalow vi avrebbero fatto tornare tranquillamente? Quando hanno saputo chi era che li stava chiamando hanno riappeso il telefono senza dire nulla-.
Mi mordo le labbra per la brutta figura che l’anno scorso ha fatto l’agenzia di viaggi di Alice, ma anche perché quel ricordo è talmente assurdo che mi fa ancora venire da ridere. Mi trattengo però, sapendo che la persona che ho di fronte può reagire male alla mia reazione.
I due bambini che ha citato Alice, per l’appunto Zac e Jesse, avevano avuto la brillante idea di accendere un fuoco dentro il loro bungalow in piena notte perché volevano abbrustolire i loro marshmallow, non essendogli bastati, evidentemente, quelli che avevano mangiato insieme al resto del gruppo qualche ora prima.

Ma non tutto andò secondo i loro piani.
Li scoprimmo presto per fortuna, ma ormai avevano già combinato un bel po’ di danni: una cassapanca e alcune sedie andarono bruciate, e a causa del fumo loro e gli altri due bambini che erano presenti nel bungalow si beccarono una lieve intossicazione da fumo. Non era nulla di grave, per fortuna, ma ciò costò loro la fine dei campeggi estivi. E anche i nostri soggiorni futuri in quel campeggio, a quanto pare.
-Già, hai ragione- commento, e involontariamente sulle labbra mi scappa un sorriso.
Alice arriccia le labbra ma non dice nulla, decidendo di lasciar correre e di riportare la sua attenzione sui fogli che sono poggiati sulla scrivania. Lo faccio anch’io, curiosa di scoprire cosa ha organizzato per la nuova gita estiva.
-Allora, ho trovato un nuovo campeggio: è completamente dall’altra parte del Maine, ma è molto simile a quello dell’anno scorso, e ci sono più attività da svolgere. Ah, e si trova proprio sul lago Sebasticook!- mi spiega, entusiasta.
-Naturalmente, come l’anno scorso dovete prendere un aereo: arriverete a Bangor con questo e poi con un pulmino arriverete a destinazione. Tutto chiaro?-
Annuisco.
-Tutto chiaro, praticamente la solita storia di tutti gli anni.-
Alice sorride.
-Esattamente!-
Mi porge i fogli che mi ha mostrato fino a quel momento.
-Questa copia è per te, giusto per documentarti meglio. Io ne ho una salvata sul computer e, come sempre, per qualsiasi problema puoi chiamare qui. In fondo alla lista ho messo anche una lista con tutti i bambini che parteciperanno quest’anno-.
La lista dei nomi è proprio quello che vado a vedere, preferendo leggere il programma e le varie documentazioni che ha fatto Alice con più calma a casa. Vedo che quest’anno i partecipanti sono trentasei, otto in più rispetto all’anno scorso, e che tra di loro c’è anche la piccola Amy, la nipotina di Alice. Per il resto rimango delusa quando non trovo i nomi di Zac e Jesse, anche se so perfettamente che a loro è vietato il campeggio per tutto il resto della loro vita.
Sono due bambini vivaci e casinari, è vero, ma sono anche tanto simpatici! L’anno scorso erano stati senza dubbio gli intrattenitori del campeggio e superavano di gran lunga anche gli addetti e gli animatori che ci lavoravano.
-Quand’è che si parte?- chiedo, mentre rimetto in ordine i fogli e riporto lo sguardo su di lei.
-Il cinque Luglio, subito dopo il giorno di festa. Partirete nel tardo pomeriggio e la mattina dopo arriverete a Bangor. Starete lì per sei settimane, fino al 15 di agosto e il 16 si ritorna a casa. La partenza è fissata per quella mattina alle undici. Che ne pensi?- mi spiega tutto in un fiato e devo dire che come sempre ha fatto un buon lavoro.
-Penso che sei la migliore, Alice, sul serio!- le rivolgo un enorme sorriso, mentre lei ride divertita.
-Benissimo! Quindi, adesso posso anche comunicarti la novità di quest’anno-.
Si rilassa sulla sua poltrona rossa imbottita e sospira, sorridendo.
Inarco un sopracciglio.
-Quale novità?-
-Quest’anno avrai un collega, mia cara. Ti aiuterà a tenere sott’occhio tutti i bambini, tanto per evitare che combinino troppi danni come l’anno scorso.-
Sbuffo. È la prima volta in tre anni che Alice decide di inserire un secondo accompagnatore nella gita. Non mi da fastidio la cosa, soprattutto perché so che ha ragione e che una mano in più a tenere sott’occhio trentasei bambini fa comodo. Spero solo che abbia trovato qualcuno valido e che sappia a cosa va incontro. E spero per lei che non lo abbia fatto per aiutarmi a trovare un fidanzato.

Sono secoli che cerca di spronarmi a trovarne uno.
-E chi è? Devi dirmelo, lo conosco almeno?- chiedo, cercando di sapere qualcosa in più su di lui.
Alice annuisce. -Lo conosci, sì, ma al momento non si trova qui. Tornerà tra qualche giorno, credo, ma sta venendo la sorella a prendere la copia del programma e per dirmi quand’è che tornerà con più sicurezza.-
Mentre Alice parla la porta dell’agenzia si apre di scatto. Mi volto, trovando così sulla soglia una Leah alquanto accaldata, che cerca di riprendere fiato a grandi boccate.
-Ciao Leah- la saluto.
Lei, ricambiando il mio saluto solo con la mano, si avvicina a noi dopo aver chiuso la porta e si siede sulla sedia accanto alla mia, passandosi stancamente una mano sulla fronte sudata.
–Scusate, scusate il ritardo-, dice, respirando ancora velocemente. -Abbiamo avuto un po’ da fare all’ambulatorio-.
Alice le lancia un’occhiata preoccupata e allo stesso tempo minacciosa.
-Leah, ti avevo detto che potevi fare tutto con calma! Come vedi Bella è ancora qui, le ho giusto giusto finito di spiegare le ultime cose.-
Lei scuote le spalle, sospirando ancora.
-Non fa niente, sul serio. Questo caldo ci ucciderà tutti, quest’anno!-
-Tieni, cara, prendi un po’ di tè.-
Alice le passa un bicchiere e una caraffa di vetro piena di quello che sembra tè al limone, con tanto di fettine galleggianti sulla superficie.
-Comunque… tuo fratello ti ha detto quand’è che tornerà a casa?-
-Seth? Quindi è lui il mio collega?- chiedo, facendo scorrere lo sguardo da Leah ad Alice e viceversa.
Mi risponde Leah dopo che si è scolata quasi mezza caraffa di tè.
-Sì, è lui. Ha detto che quest’anno voleva passare una vacanza diversa rispetto alle altre e ha deciso di prendere parte al progetto. Tornerà la prossima settimana, forse martedì o mercoledì. Sta aspettando che escano i risultati degli ultimi esami e poi rientrerà dal college.-
Ho smesso di ascoltarle colpita dalla nuova informazione. Sono sollevata che si tratti di Seth. Lo conosco da qualche anno ormai, da quando Jacob ha conosciuto Leah e so per certa che è un bravo ragazzo. E anche che con lui non mi devo per nulla preoccupare. Ha la testa sulle spalle e in più ho la conferma che quella pazza di Alice non sta cercando di fare da Cupido.
Seth mi piace, sì, ma è più piccolo di me di tre anni ed è mio amico, come io sono sua amica. Non potrà mai esserci nulla tra di noi.
-Alice, devi dirmi altro oppure posso andare?- chiedo, attirando la sua attenzione.
-Vorrei tornare a casa a dare un’occhiata in azienda-.
Lei scoppia a ridere, così come Leah.
-Strano che non ci sei ancora andata! Meno male che per quelle poche settimane in cui sei via darai un po’ di tregua a chi dovrà restare a lavorare.-
-Sì sì…- fingo di ascoltarla mentre mi metto gli occhiali da sole.
-Ci sentiamo Alice, salutami Jasper… ah, digli che il suo prezioso vino se lo vuole deve venire a prenderselo di persona stavolta! La nonna vuole vederlo, non si è più fatto vivo e gli manca.-
-Riferirò, salutami tanto la signora Isabella.-
-Se ti sente che la chiami così, Alice… ormai anche per te è semplicemente “nonna”!- le faccio notare con un sorrisino.
Lei alza le spalle.
-Non posso farci nulla, non riesco a chiamarla in quel modo!- si giustifica ridendo.
Saluto Leah, che si sta documentando sul programma della gita, ed esco dall’agenzia. Mentre mi avvicino alla mia macchina, non posso fare a meno di pensare a quello che accadrà durante l’estate.
Sarà sicuramente divertente come le altre e naturalmente spero che non accadano casini simili all’incidente dell’anno prima.
Ma mentre avvio il motore e mi preparo a tornare a casa, non penso minimamente che durante questa vacanza la mia vita potrebbe cambiare di nuovo…
 
 
 
 

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Eccomi qua! Ve l’avevo promesso che tornavo :D
Questa nuova storia è nata per caso, e la trama è venuta fuori all’improvviso tanto che ho dovuto scriverla su carta per evitare di dimenticarla XD  
In questo primo capitolo conosciamo Bella e quello che è il suo lavoro e la sua vita, cioè i vigneti e la produzione dei vini. Ho approfittato di questa storia e ho fatto un rapido ripassino su come si fa il vino… sono andata a recuperare i miei vecchi libri di scuola, alle volte possono tornare utili XD
Il campeggio, il vero posto dove si svolgerà la storia, comparirà nei prossimi capitoli e la maggior parte della storia si svolgerà lì; dopotutto, la trama ha preso vita proprio grazie alla foto di un campeggio :)
Va bene, smetto di chiacchierare XD ma prima ringrazio tutte voi che avete letto questo primo capitolo e anche chi lascerà una recensione, vi ringrazio già da adesso! E per finire ringrazio la mia cara pazza Meredhit, mia pre-reader che corregge anche i capitoli (per sua sfortuna XD) e anche la mia amorina Ever Lights che ha realizzato la bellissima copertina della ff *-* vi voglio tanto bene ragazze! Tanto tanto *-*
Adesso vi saluto, e vi lascio un paio di foto per mostrarvi il posto dove abita Bella :)
Qui abbiamo la sua casa in campagna
 
 

E qui il suo vigneto
 
 

Alla prossima, un bacione a tutte :*
KrisC 

   
 
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