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Autore: AgnesDayle    07/04/2012    27 recensioni
Tra i quartieri alternativi di Brixton, Shoreditch e Camden Town la vita di Agnes Dayle è destinata a legarsi ad un gruppo rock emergente, e in particolare a due dei suoi componenti: Ian e Colin. Due giovani londinesi molto diversi tra loro che in comune hanno solo una passione, quella per la musica, e un certo interesse per Agnes.
Accompagnata dalle migliori canzoni rock di sempre, Agnes sarà catapultata in un mondo senza tempo fatto di concerti, feste sfrenate e personaggi eccentrici.
DAL PROLOGO:
"Quando verranno a chiederti del nostro amore, un amore così lungo tu non darglielo in fretta." Un ingorgo di parole premeva sulle labbra serrate ma quella promessa, almeno quella, l'avrebbe mantenuta. Non avrebbe omesso nulla. Avrebbe parlato della grande passione che li aveva uniti, dell'abisso nero e profondo in cui era stato facile perdersi e di un legame, d'affetto e d'amore, l'unica luce che non sarebbe mai andata via.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sutcliffe'
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Sutcliffe










Sutcliffe






La grande finestra che dava sul mercato di Brixton era l’unica fonte di luce e aria nella stanza grigia e anonima che presto sarebbe diventata il loro soggiorno. Quando ebbero portato dentro anche l’ultimo scatolone pieno di album, videocassette e dvd, spalancarono la finestra, nella speranza che l’aria pulita si portasse via l’odore stantio che aleggiava all’interno dell’appartamento. Una delle imposte, però, si richiuse subito e non ci fu verso di farla restare aperta come la sua gemella. Rassegnati, decisero di riposarsi per qualche minuto: uno si accomodò sul divano, trattenendo a stento una smorfia di disgusto per la polvere che si era sollevata; l’altro, invece, prese la sua nuova chitarra e si sedette sul pavimento.
─ Sutcliffe.
Colin fermò il plettro a mezz’aria e sollevò il capo verso Ian.
─ Perché?
Lo guardò accomodarsi meglio sul logoro divano che con tanta fatica avevano portato lì dentro. Quasi sorrise al pensiero della reazione che avrebbero avuto i suoi genitori alla vista di quella bettola. Poco importava che non gli avessero rivolto parola per più di un mese; li conosceva fin troppo bene: alla fine si sarebbero arresi e lo avrebbero aiutato. Non erano come…
─ Dev’esserci per forza un perché?─ interruppe i suoi pensieri, mentre si allungava in direzione del tavolino e prendeva una lattina di birra.
─ Quando si tratta di musica, c’è sempre un motivo.
Lo guardò sorseggiare la birra e sorrise quando imprecò perché troppo calda.
─ E poi cos’ha che non va il tuo cognome?─ insistette sinceramente confuso.
Ian assunse un’aria pensosa, corrucciata. ─ Non lo so…─ sollevò le spalle indifferente,─ Non mi sembra più il caso di usarlo, non per seguire una strada che mio padre detesta…
─ Poi, sinceramente, non capisco questo legame con Stuart Sutcliffe.─ commentò cercando di riportare l’attenzione sulla sua chitarra,─ Non era nemmeno un vero musicista…─ disse mentre lasciava scivolare il plettro lungo le corde.
─ Sutcliffe è…─ iniziò a spiegargli in difficoltà,─ Sutcliffe è un’idea. Solo questo.
Le ultime parole le aveva appena mormorate e, nella vana attesa che si spiegasse meglio, Colin lo aveva guardato irritato, ma l’altro neanche se ne accorse, preso com’era a guardare qualcosa alla sua sinistra.
 Seduto sul pavimento, tra la polvere e gli album dei Pink Floyd, tra vecchie riviste e amplificatori, Colin si sentiva euforico e impaziente di iniziare quella nuova esperienza con l’amico; non importava se gran parte dei loro soldi fosse andata persa nell’acquisto della sua chitarra e nella caparra per quel decrepito appartamento;  né importava che fossero poco più di due ragazzini inesperti. Quel giorno aveva il sapore di una promessa, qualcosa che prima o poi avrebbero gustato sicuramente…era solo questione di tempo.
Sembrava, tuttavia, che solo Colin fosse preso da quel senso di aspettativa. Ian se ne stava in silenzio, sorseggiava una birra che neanche gli piaceva e teneva lo sguardo fisso sulla finestra. In un primo momento, Colin pensò che fosse attirato dalle palazzine che si vedevano al di là di essa; ma seguendo più attentamente il suo sguardo, si rese conto che oggetto del suo interesse fosse in realtà l’imposta rimasta chiusa. Gli occhi leggermente socchiusi la studiavano con attenzione e, dall’espressione corrucciata, fu chiaro che non vedessero semplicemente una finestra: andavano oltre, un luogo il cui accesso era precluso agli occhi di Colin.

***

Stare seduto in macchina lo faceva impazzire. Per tutto il tempo in cui si trovava da solo su quel sedile posteriore, mentre un estraneo guidava l’elegante automobile, era costretto a un’inerzia che da giorni cercava in tutti i modi di evitare. Da giorni…Quasi gli venne da ridere quando si accorse di non avere idea che giorno fosse. Doveva essere mercoledì. Il trentuno…Esisteva il trentuno di luglio? Sì, era il trentuno.
Erano trascorsi dieci giorni, quindi; ma a lui apparivano come una matassa di avvenimenti intrecciati tra loro in maniera confusa: corse all’ospedale, incredulità, telefonate e attesa, lunga ed estenuante attesa.
Forse detestava quell’immobilismo forzato proprio perché gli mostrava la sua condizione.
Stavolta non poteva aiutare Agnes: non aveva parole di conforto perché non ne aveva nemmeno per se stesso né poteva alleviare il suo dolore,  perché solo una persona avrebbe potuto farlo e Colin lo sapeva fin troppo bene, visto che aveva il suo stesso bisogno.
Ma soprattutto non poteva fare nulla per Ian.
— Siamo arrivati.— lo avvertì l’autista.
In realtà aveva tenuto lo sguardo fisso sul finestrino e lo aveva già capito da sé; ma stava cercando di prepararsi ad uscire dal veicolo.
— Non si stancano mai…— commentò guardando la piccola folla raccolta all’ingresso dell’ospedale.
— Le conviene aspettare i ragazzi.— rispose l’altro voltandosi appena verso di lui.
Pochi minuti dopo venne aperto lo sportello e Colin uscì fuori con un cappello e un paio di occhiali da sole a proteggerlo da fotografi e fans. Ripensò a tutte le volte in cui aveva preso in giro Ian perché ricorreva sempre a questi espedienti; adesso, invece, comprendeva l’amico: era qualcosa di necessario per proteggere la parte più vulnerabile di sé dalle intrusioni esterne.
— Colin!— lo chiamavano tutti insistentemente mentre camminava verso l’entrata, scortato dalle guardie.
Ma lui non rispose a nessuno. Neanche in quei giorni difficili i giornalisti e i paparazzi li avevano lasciati stare: c’era chi si era introdotto nell’ospedale alla ricerca di notizie e chi aveva ipotizzato che Ian non avesse sterzato volontariamente. E poi c’erano gli ipocriti che piangevano l’ennesimo membro del Club27, lasciandosi andare a commemorazioni fuori luogo.
Dopo aver salutato qualche medico e infermiere, gli fu dato il permesso di entrare nella stanza di Ian.
Chiuse la porta con attenzione e prese un po’ di tempo prima di voltarsi. Quando lo fece, provò un senso di fastidio nel trovare le tende accostate e la stanza in penombra: c’era il sole al di là di esse, era un peccato.
Fece qualche passo verso il lettino e si costrinse a rivolgervi lo sguardo.
Alla vista del corpo fragile avvolto da tubi, bende e gesso, chiuse gli occhi e si strinse le braccia addosso. Sospirò e lo guardò di nuovo.
Avrebbe voluto scuoterlo e gridargli qualcosa contro.
Già da tempo aveva capito che quel giorno Ian stava andando da lui e più volte aveva immaginato cosa si sarebbero detti se fossero riusciti a vedersi.
Ian lo avrebbe trovato cambiato, ne era certo. Forse avrebbe visto nei suoi occhi la stessa sicurezza che anni prima Colin aveva scorto in quelli chiari del ragazzino che suonava il pianoforte in un’aula vuota: la sicurezza di chi ha scelto la propria strada ed è pronto a tutto pur di percorrerla.
Forse alla fine Ian aveva capito le ragioni di Colin: solo se avesse trovato un percorso che fosse solo suo, sarebbero riusciti ad essere davvero amici, senza ombre e senza recriminazioni.
E così era stato. Colin alla fine era tornato. Mancava solo Ian.

***

Aveva trovato Ian davanti alla finestra, intento ad osservare il violento temporale che infuriava oltre le imposte spalancate. Stranita, gli aveva chiesto cosa gli fosse preso e perché se ne stesse lì a prendere freddo e acqua. Poi lui si era voltato a guardarla con un sorriso enigmatico e Agnes aveva dimenticato le sue domande.
Quel giorno, Ian era bello da togliere il fiato. Il suo aspetto era inspiegabilmente diverso: non era qualcosa di nuovo, qualcosa di cui difettasse gli altri giorni; piuttosto era la mancanza di qualcosa., una leggerezza insolita e proprio per questo commovente.
Lo guardò con dolcezza mentre le camminava incontro.
─ Finalmente sei a casa.─ le disse baciandola sulle labbra.─ Mi sei mancata oggi…
─ Guardati, sei tutto bagnato.─ lo rimproverò scostandosi da lui che, senza nemmeno risponderle, la riavvicinò a sé facendola borbottare infastidita.
─ Avevo voglia di uscire, oggi.─ soffiò sulla pelle delicata del collo, provocandole un brivido.
─ Con questo tempo?─ chiese stranita.
Lui sollevò il volto e, dopo averle sorriso di nuovo, le prese la mano e la fece avvicinare alla finestra.
─ Non sono uscito proprio per non fare borbottare la mia ansiosa ragazza.─ le spiegò mentre la spingeva ad affacciarsi: lo scroscio della pioggia era interrotto solo dal fragore dei tuoni; il buio era spezzato solo da lampi improvvisi.
— Perché te ne stai qua?— chiese spingendolo un po’ con la spalla.
— Te l’ho detto…— le rispose con quel sorriso un po’ storto.— Avevo voglia di uscire.
— Io, invece, volevo solo tornare a casa e starmene al caldo.
— Va’ a metterti più comoda.— le suggerì allontanandosi dalla finestra. Mentre entrava nella camera che ormai condividevano, lo vide armeggiare con i suoi album,  forse indeciso tra quale inserire nel giradischi.
Quando, pochi minuti dopo, tornò nel soggiorno, lo trovò  comodamente seduto sul divano con i piedi appoggiati sul tavolino: una mano era ferma tra i capelli umidi e l’altra portava alle labbra quella che sembrava una sigaretta; la testa si muoveva appena al tempo della musica e mormorava le parole della canzone.
— Vieni?— le domandò facendole cenno accanto a sé.
Non se lo fece ripetere neanche mezza volta e gli corse accanto, facendolo ridere. Da quando avevano fatto l’amore per la prima volta, qualcosa tra loro si era sbloccato: era come se Agnes avesse trovato la chiave per accedere al mondo di Ian, quel mondo che aveva solo intravisto ascoltando le sue canzoni. E il premio per tutta la fatica fatta, per tutte le incertezze che aveva dovuto sopportare era proprio lì, davanti a lei: Ian, senza muri a dividerli, né difese a ferirla; Ian…
— Rock’n’Roll Star?— chiese sollevando le sopracciglia.— Da quando ti piacciono gli Oasis?
La guardò stranito per un momento e, appena l’ebbe abbracciata a sé, le rispose scrollando le spalle: — Praticamente da sempre.
— Sarà, ma credo che sia la prima volta che li sento in questa casa…— commentò accoccolandosi meglio tra le sue braccia. Fattasi più vicina, però, fu attratta da qualcos’altro.
— Ma cosa fumi?— gli domandò sospettosa.
— Non fare l’innocentina adesso.— la redarguì mentre, sollevata la testa, cacciava fuori il fumo dalle labbra. Gli sorrise colpevole, al ricordo degli spinelli divisi con Colin e a volte anche con Astrid.
— Infatti chiedevo perché lo voglio anch’io!— lo sorprese con un’espressione buffa che lo fece ridere.
— Solo se prometti di non farmi confessioni imbarazzanti dopo solo un tiro!— la provocò, allontanando lo spinello da lei, che prontamente cercò di rubarglielo.
Dopo quel piccolo battibecco, decisero di dividersi lo spinello e un pacco di patatine e di innaffiare il tutto con una Guinness. Agnes non seppe dire né come né quando, ma a un certo punto si ritrovarono a cantare a squarciagola una canzone: i loro visi erano vicini, il sorriso di uno sul sorriso dell’altra. E quelle parole…

Maybe I just want to fly

I want to live I don't want to die
Maybe I just want to breath

Quando la canzone finì, Agnes si concesse un attimo per guardare Ian: sorrideva, quel giorno. Le sue labbra erano distese, serene; i suoi occhi chiari erano lì con lei, non recavano traccia della patina di malinconia che li adombrava normalmente. Stava disteso sul divano, rilassato e apparentemente spensierato. La guardava ed era una di quelle rare volte in cui non sembrava vedere nient’altro che lei. Era qualcosa di così raro che Agnes avrebbe voluto fermare quel momento e godere anche del più piccolo particolare.
— Lo so, mi ami e non puoi vivere senza di me.— affermò fingendosi comprensivo.— Ma non dirlo, lo so che lo faresti solo per colpa dell’erba.
— Ma…— esclamò fulminandolo,— Ian Sutcliffe sei proprio un…—
— Nah…Non chiamarmi Sutcliffe.— la interruppe con una piccola smorfia di fastidio.— Non oggi.
Lo guardò più attentamente e quasi le venne voglia di mettersi le mani sulle tempie. — Oggi sei più incomprensibile del solito. Lo sai, vero?— vedendolo scuotere la testa divertito, continuò a parlare: — E poi cos’è questa storia di Sutcliffe? Colin mi ha raccontato che hai deciso di suonare al Kirchherr’s per via del suo nome e che avete anche litigato per questo! Che c’è, adesso ti farai chiamare Best?— gli domandò con un sorriso ironico.
— Agy…— iniziò dopo aver riflettuto un po’.— La verità è che Stu Sutcliffe ha vissuto gran parte della sua vita in modo sbagliato, tentando di fuggire da quella che fin dall’inizio sapeva essere la sua strada. Quando finalmente aveva trovato il suo cambiamento, morì.— terminò socchiudendo appena gli occhi.
— Cosa vuoi dire con questo?
— Che oggi non voglio essere chiamato Sutcliffe.— le rispose sollevando gli occhi verso di lei, occhi che impiegarono qualche istante prima di tornare di nuovo sereni. — Solo questo.

***

— Te l’ho detto, non c’è bisogno.— ripeté dopo un profondo sospiro. — Mamma, rimani a casa. Se ci sono novità, ti faccio sapere.
All’altro capo del telefono rispose un mormorio incomprensibile.
— Di nuovo?— chiese incredula,— Mamma, non l’hai nemmeno conosciuto.— commentò spazientita.
— Sì, ma è così triste.— le rispose con la voce rotta.— Così giovane…
— Mamma, non è morto.— la interruppe nervosamente,— È in coma e può svegliarsi da un momento all’altro.
Il sospiro sconfortato di sua madre la fece sentire una bambina ingenua, ma cacciò subito quella sensazione e senza troppe cerimonie salutò sua madre e cacciò il telefono in tasca.
Avrebbe voluto essere l’unica persona al mondo a interessarsi delle condizioni di Ian. Aveva perso il conto delle persone che avevano telefonato o erano andate all’ospedale con l’intento di confortarla e si erano invece trovate a piangere tra le sue braccia. E poi c’erano quelle che lei stessa teneva alla larga da sé perché sapeva che sarebbero riuscite a farla crollare. Sì, ad Agnes sarebbe piaciuto interpretare la parte della ragazzina fragile confortata da tutti; ma era ben consapevole di non potersi permettere debolezze.
L’unico momento in cui aveva davvero ceduto, lasciandosi andare a un pianto straziante, era stato diversi giorni prima, quel famoso 21 luglio. Non aveva pianto quando Colin le aveva telefonato nel corso dell’incontro di lavoro. Né aveva pianto quando, alcuni minuti dopo, aveva telefonato un incredulo Woody. Lo aveva fatto solo quando, in hotel, aveva trovato la sua camera vuota: il letto era stato rifatto, tutto era stato rassettato. Non aveva trovato traccia di lui, di loro. Come se quella stanza non li avesse mai visti insieme, come se la notte scorsa fosse stata davvero un sogno.
Poi c’era stato l’ospedale, con il via vai dei medici e parole di cui faticava a comprendere il significato: shock emorragico, ipovolemia da correggere, insufficienza respiratoria, fratture al femore e al bacino. E dopo era arrivato il peggio e proprio quel peggio era ciò che in un primo momento non aveva ben capito: emorragia subaracnoidea. Aveva compreso l’entità del pericolo soltanto quando i medici avevano nominato qualcosa di noto: coma. Solo di sfuggita aveva afferrato percentuali di sopravvivenza, ma chissà come queste erano scivolate subito via dalla sua memoria. Forse era stato un meccanismo di difesa, forse non era stata in grado di accettare anche questo.
L’iniziale spaesamento, però, aveva ben presto lasciato spazio a una forza nuova, che aveva lasciato tutti sorpresi: quelle parole incomprensibili erano diventate parte di lei, i medici e gli infermieri erano diventati volti conosciuti; stava tutti i giorni attaccata al telefono alla ricerca dei migliori chirurghi dello stato; litigava per ottenere informazioni precise sulla pressione arteriosa, frequenza cardiaca e frequenza respiratoria.
Una nuova Agnes, aveva detto qualcuno. E forse era davvero così: faticava lei stessa a riconoscersi in quella giovane donna dagli occhi stanchi, ma decisi; era quasi incredibile come tutti si fossero appoggiati a lei in quella situazione. Persino i genitori di Ian…
Quando erano arrivati, Agnes non li aveva accolti con il distacco e il gelo di Colin. Era stata gentile, per un momento aveva anche abbracciato sua madre. Sapeva che Ian aveva sofferto molto per il loro allontanamento e, benché nessuno glielo avesse confermato, aveva anche intuito che il ragazzo era arrivato persino a sentirsi colpevole ai loro occhi per quello che era successo a suo fratello. Nonostante questo, però, non si era sentita di trattarli con sufficienza. Lei li capiva: era facile amare Ian, volergli bene; meno facile era stargli accanto, sopportare le sue fragilità. Dopotutto non si era comportata in modo così diverso da loro: anche Agnes aveva abbandonato Ian nel momento in cui aveva più bisogno di lei, voltando le spalle a quel lato del ragazzo che lui stesso detestava più di ogni altro.
Ora lo sapeva.
Da quando si erano conosciuti, Ian l’aveva aiutata ad uscire dalla condizione di anonimato in cui aveva sempre vissuto la sua vita, arrivando persino a costringerla ad affrontare tutte le sue debolezze e paure. Solo che lo aveva fatto in silenzio, senza clamore, nel solito modo sfuggente di chi fa del bene agli altri senza chiedere un riconoscimento. E proprio per questo, tutti quei gesti erano passati inosservati; stupida e cieca, non aveva capito cosa avesse fatto per lei: aveva cancellato le sue insicurezze.
Tranne una. Quella più importante, quella più dannosa: la fragilità di un amore sincero davanti alle ombre più nere dell’altro.
Ora sapeva di essere fuggita nel momento in cui aveva visto quanto fossero profondi gli spazi vuoti nell’animo di Ian, con quanta forza fossero sbarrate certe finestre, come fosse solido il muro. E questa era la sua colpa più grande: se solo fosse rimasta con lui, se solo gli avesse mostrato di amare anche le sue difese, Ian avrebbe imparato a non temere se stesso, ad accettarsi.
Ora aveva capito.
L’amore vero aspetta. Non lascia mai andare. Lotta. Senza condizioni, senza cedimenti. Lotta anche quando tutti attorno hanno abbassato lo sguardo, sconfitti.
L’amore vero aspetta. Ti troverà, ti verrà a prendere…Ovunque. Nella vita, nella morte. E se c’è qualcosa tra la vita e la morte, arriverà anche lì.
L’amore vero aspetta. Fino alla fine, anche dopo la fine.
— Peter, cosa aspettiamo?
Una voce di bambina la riscosse dai suoi pensieri. Non si era nemmeno accorta che, mentre ripercorreva le ultime settimane, due bambini si erano seduti accanto a lei nella sala d’aspetto dell’ospedale.
Vide il ragazzino più grande rivolgere un’occhiata infastidita alla bambina che aveva posto la domanda. Si sistemò meglio sullo scomodo sedile, forse proprio per prendere tempo, e quando rispose, lo fece con voce brusca: — Aspettiamo che nonno muoia.
Agnes trattenne il respiro, come se quelle parole dure fossero rivolte proprio a lei. Con la coda dell’occhio, vide la bambina abbassare un po’ il capo e rivolgere uno sguardo desolato verso la porta socchiusa davanti a loro: si intravedevano delle persone sedute attorno a un letto, in silenzio. In attesa.
— Miss Dayle?
Agnes sollevò lo sguardo e ritrovò il volto familiare di uno dei medici che si erano occupati di Ian.
— Di qua, prego.— le fece un cenno gentile verso un’altra porta lì vicino.
Si alzò a fatica dal sedile e, appena prima di muoversi verso quella porta chiusa, rivolse uno sguardo a quei due bambini. Poi diede loro le spalle e si costrinse a fare qualche passo incerto.
L’amore vero aspetta.

***

Era rimasto appoggiato alla parete per tutto il tempo in cui Agnes aveva parlato. Le braccia conserte, il capo appena chinato e un’impellente voglia di fumare. Non si era mosso da quel corridoio che avrebbe dovuto portarlo alla sala conferenze del Chelsea and Westminster, nella sedia rimasta vuota accanto ad Agnes.
All’ultimo momento non aveva avuto la sua stessa forza: l’idea di rivivere quegli ultimi due anni davanti a degli estranei lo aveva paralizzato e, prima che Agnes iniziasse a parlare, non ne aveva nemmeno compreso l’utilità, il senso.
Quando le aveva parlato di quelle perplessità, Agnes gli aveva sorriso e gli aveva spiegato che era una promessa e lo doveva a tutti e tre. Colin non aveva comunque capito.
Poi la voce delicata di Agnes aveva iniziato a raccontare e tutti i suoi dubbi erano spariti, lasciando spazio unicamente al passato.
“Sentire suonare i Fifth Beatle, lasciare entrare le parole di Ian era qualcosa di sconvolgente. Io sono cresciuta con la musica, ma nelle loro canzoni ritrovavo me stessa e tutte le mie paure…”
La passione che li aveva uniti.
“Quando  io e Colin portammo le mie cose nel loro appartamento, trovai davvero la mia casa: appoggio incondizionato e caloroso conforto.”
L’affetto.
“Ho quest’immagine nella mente: il sorriso di Ian mentre mi porge la mano per tirarmi fuori dal camerino.”
L’amore.
“Cantavo davanti a una folla di sconosciuti e le uniche persone che vedevo davvero erano loro: Ian e Colin.”
L’unica luce che non sarebbe mai andata via.
— Ammetto che siamo stati ingenui, a volte anche ingrati. Ogni intrusione nella nostra vita privata è stata giustificata con qualcosa che suonava come “siete stati voi a scegliere questa vita”.  E forse avete ragione voi. Ma quello che ferisce è che nessuno ha davvero tentato di conoscerci: siete stati fin troppo rapidi ad affibbiarci ruoli e caratteri. E così facendo abbiamo perso tutti. Ian in particolar modo, perché lui stesso si era già dato una parte da interpretare e voi avete portato a termine il lavoro che aveva iniziato .
 Ian è diventato Sutcliffe, l’artista dannato, incapace di vivere tra le persone comuni. Ma, come vi ho mostrato, Ian era anche altro. E non raccontatevi che era lui a nascondersi, perché avreste potuto vederlo in ogni momento: la sua musica e le sue parole erano delle imposte socchiuse verso la realtà, verso chiunque fosse disposto a guardare davvero.
Il nemico di Ian non era né la vita né la realtà, come troppo spesso io stessa ho pensato; la sua peggiore paura, il suo più grande turbamento era Sutcliffe, la fragilità di chi vuole vivere fino in fondo, di chi vuole sentire davvero e non sa trovare il modo.
Ora Sutcliffe è morto ed è rimasto solo Ian. Vi prego di averne maggiore cura.

***

Qualche ora prima

— Avevi promesso che mi avresti aspettata in hotel.
— Dovremmo smetterla con le promesse. È chiaro che non sono il nostro forte.
Sospirò quando sentì la sua risata fievole trasformarsi in un pianto pieno di angoscia. Piegò la testa un po’ di lato e si sforzò di sorriderle nonostante ogni piccolo movimento lo facesse soffrire.
— Vieni qui…
La vide respirare profondamente per calmarsi e andargli incontro con passi incerti.
— Sto bene. Davvero. Non farti condizionare da tutti questi macchinari. Starò bene.— tentò di rassicurarla. Ma lei non lo guardava nemmeno in viso, i suoi occhi sfuggivano ai suoi.
— Lo so.— mormorò sfiorando appena le lenzuola che lo coprivano.
La guardò spaesato e cercò di toccarle la mano, ma lei la spostò per portarla sul viso e asciugare l’ennesima lacrima che era scivolata sulla guancia.
— Agy?— la chiamò confuso dal senso di distacco che riusciva ad avvertire.
— Ti ho aspettato….— disse dopo quella che a era parsa un’eternità,— Ti ho aspettato e ho fatto di tutto per arrivare a questo momento. Ti ho aspettato anche quando tutti mi ripetevano di prepararmi a lasciarti andare. E quando rispondevo che ti avrei aspettato sempre, nessuno riusciva a capire. L’unico che avrebbe capito eri tu, ma tu non c’eri.
Allungò la mano e trovò il suo polso sottile. La presa non era salda, ma lei l’avvertì subito.
— Sono qui, amore.
Finalmente i loro occhi riuscirono a incontrarsi, indifesi e spauriti come mai prima d’allora: — Eri andato via di nuovo.— sussurrò mentre nuove lacrime minacciavano di sopraffarla.
La guardò senza sapere cosa dire per tranquillizzarla, per cancellare la paura dai suoi occhi. Come la notte in cui era andato nel suo hotel, non poteva fare altro se non mostrarle come fosse lì, come anche lui avesse fatto di tutto per tornare da lei.
— C’è una promessa che devo mantenere.— disse improvvisamente.
Ian la guardò stranito: — Quale?
— Voglio raccontare di questi due anni.
— Perché?
— Perché meritiamo di essere visti davvero, Ian. Soprattutto tu. Dovrebbero vederti come ti vedo io. E anche tu dovresti.
Nonostante non ne fosse particolarmente convinto, non poté che annuire quando notò gli occhi di Agnes illuminarsi a quell’idea. — Fai pure.— disse alla fine e da come lo guardò capì di averla sorpresa.
Agnes sorrise e Ian seppe di aver fatto la cosa giusta. La vide abbassarsi verso lui e sentì le sue labbra poggiarsi sulle sue delicatamente: non si sarebbe mai stancato di quella delicatezza.
— Andrà bene dopo…— bisbigliò guardandolo dritto negli occhi.
La porta si chiuse dietro Agnes e, senza nemmeno rendersene conto, Ian si assopì quasi subito.
Quando si svegliò, gli occhi leggermente socchiusi vennero colpiti da una luce molto forte. Qualcuno aveva scostato le tende dalla finestra e da questa facevano capolino i raggi del sole, che arrivavano dritti sul suo viso procurandogli un piacevole tepore. Per la prima volta sentì di non avere paura di quella luce, era come se si fosse riappacificato con essa.
Sapeva che alcuni spazi sarebbero rimasti sempre vuoti, ma ora capiva che questo era normale; sapeva che ci sarebbero stati giorni in cui Sutcliffe avrebbe fatto di tutto per tornare, spingendolo sull’orlo di quel precipizio in cui era crollato tempo prima e da cui era risalito a fatica; sapeva che avrebbe avuto la tentazione di lasciare che Sutcliffe colmasse quegli spazi vuoti con le sue innumerevoli ombre.
Ma c’era qualcuno per cui valeva la pena tentare di aggrapparsi alla realtà.
C’era chi lo avrebbe aspettato sempre.
C’era quel 4 agosto 2013: il giorno del suo ventottesimo compleanno.
Tutto era possibile, quel giorno.
Anche l’impossibile.

***


Quando le imposte sono spalancate

E non temi né il temporale né il sole
Quando finalmente ti svegli
E scopri che Sutcliffe è andato via.





Note d’autore:

Credevo che non ci sarei mai riuscita e invece eccomi qui: la mia prima long conclusa. Già al pensiero di pubblicare e inserire ‘completa’ tra gli avvisi mi viene un nodo alla gola, ma mi tocca farlo. Anche perché vi ho fatte penare abbastanza. Forse il finale di questa storia lascerà qualcuno deluso e sì, ammetto che mi dispiacerebbe; ma quello che davvero volevo per i miei protagonisti era una crescita. E così in realtà Sutcliffe sono  tutti e tre, sebbene in tre modi differenti: Sutcliffe è Agnes quando ha paura di buttarsi prima, quando ha paura di amare il lato più oscuro di Ian dopo; Sutcliffe è Colin perché ha messo la sua vita nelle mani degli altri; Sutcliffe, più di ogni altro, è Ian perché ha sempre avuto paura di esporsi, persino nella musica. Sutcliffe è chi sceglie di vivere all’ombra e di non vedere mai la luce, chi ha paura di cambiare strada per le sue insicurezze e quando decide di farlo è troppo tardi.
Quindi Sutcliffe è un’idea che muore tre volte nel corso di questo capitolo conclusivo.
La storia è conclusa e io devo smettere di parlare! Ma ci sono alcune cose che mi preme dire.
Mi piacerebbe conoscere il parere di tutte voi. Capisco che recensire può venire difficile a volte e se adesso ve lo chiedo è solo perché mi piacerebbe ringraziarvi tutte personalmente, sapere cosa vi ha portate fin qui e se questo finale in fondo ve lo aspettavate oppure no.
Ringrazio tutte voi per aver voluto trascorrere un po’ del vostro tempo insieme ad Ian, Agnes e Colin. Ringrazio chi mi ha incoraggiata con pazienza, anche quando i miei tre personaggi prendevano il sopravvento!
Ringrazio chi ha segnalato la storia, spendendo parole meravigliose e ovviamente ringrazio l’amministrazione del sito per averla inserita tra le storie  scelte.
Ringrazio mia sorella, perché senza di lei questa storia non avrebbe mai visto una fine.
Ringrazio Agnes, Ian e Colin per avermi permesso di conoscere lati nuovi di me stessa e affrontarne altri più bui.
Ringrazio quelle persone che sono diventate amiche speciali.
Se avete voglia di seguirmi, qui trovate il mio link su fb e qui trovate la mia nuova storia.
Vi saluto e mando un abbraccio a tutte,
Agnes.


True Love waits
Live forever
   
 
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