Autore: Eralery.
Titolo: Dietro la pelle.
Personaggi: L’Ordine della Fenice, Marlene
McKinnon, Mangiamorte, Regulus Black, Un po’ tutti.
Pairing: Marlene/Regulus.
Contesto: Malandrini/Prima guerra magica – da
aprile 1977 ad agosto 1980.
Avvertimenti: Het, What If?, forse OOC.
Genere: Drammatico, Sentimentale,
Introspettivo.
Rating: Giallo.
Prompt utilizzati: Prigionia, animo, libertà, spavento
(inteso come ‘paura’), malvagità.
Beta: Blankette_Girl ♥
Introduzione: E nonostante tutto, che si
trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di malsano: qualcosa
che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa che lo avrebbe o
distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non sapeva ben definire.
Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo via, alla luce del
giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno senza che lui se ne
accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e si era ritrovato
circondato: circondato da muri di parole su parole che sapevano di rabbia,
superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in
fondo.
NdA: Cara mia, preparati a delle note un
po’ lunghine.
Allora, come ti ho già detto, il
titolo della storia, Dietro la pelle,
è una doppia citazione: a te, con Sulla
tua pelle, e a Skins, perché Effy nella 4x05 dice quelle parole. Dietro la pelle, però, non è solo una
citazione; in questa storia, infatti, ho cercato di mostrare quel che loro
hanno dietro la maschera, dietro la pelle, di mostrare la loro anima, in un
certo senso. Non so se ci sono riuscita, comunque.
Comunque. La storia percorre l’arco
di tempo tra l’aprile del ’77 all’agosto del '80: questa shot (posso chiamarla
così? D:) è in ordine temporale, e ogni pezzettino equivale ad un mese diverso
– ma vaaaaa *capitan ovvio*.
Ecco, vorrei chiarire una cosa:
Voldemort non ha ancora il ministero dalla sua parte, in quel tempo, lo
acquisterà, per me, solo dopo la morte di Regulus. ^^’’
Un’altra cosuccia: ci sono dei pezzi
non Reglene, perché comunque credo che l’evoluzione di Regulus sia una parte
importante sia per il suo personaggio che, in un certo senso, per la coppia. I
motivi per cui Regulus inizia ad avere dei dubbi e a cambiare idea sono
spudoratamente ispirati alla meravigliosa fan fiction su Regulus di Julia
Weasley, “Eroi non si nasce, si diventa”,
così come i dialoghi del mini pezzo tra Severus e Regulus. Volevo metterlo in
chiaro fin da subito perché il merito va tutto a quel genio, senza la quale io
mi sarei persa completamente. C:
Ho paura di essere andata un po’
OOC. Mi spiego: la mia Marlene è una nata babbana, perciò probabilmente Regulus
non l’avrebbe calcolata più di tanto. Ma se Marlene è babbana, è perché, a mio
parere, da più spessore alla coppia. Il come lo vedremo più avanti.
Comunque… Il prompt su cui mi sono
soffermata maggiormente, anche se non da subito, è prigionia. Prigionia
perché Marlene, essendo, appunto, Nata Babbana, fuori da Hogwarts si ritrova
più volte le strade sbarrate. Prigionia, perché Regulus ha avuto un’educazione
ferrea, chiusa e severa: una prigione dell’anima, e Marlene è l’unico modo che
ha trovato per uscirvi e trovare un po’ d’aria non viziata. Prigionia, perché
il loro rapporto non sarà mai semplice e, in fondo, del tutto vero: avere gli
occhi chiusi non aiuta a trovare la luce.
Ma ora come ora, rileggendo questa
storia, io direi anche animo e libertà: la liberta di Regulus,
che sta nelle sue scelte, e molte di esse sono dovute a Marlene; la libertà di
Marlene, limitata, costretta, ma comunque talmente grande da bastare per due.
Animo perché qui credo ci siano
loro.
«Sai perché le particelle
subatomiche non obbediscono
alle leggi della fisica?
Si muovono secondo il caso, il caos,
la coincidenza.
Si scontrano l’una con l’altra nel
mezzo dell’universo
e poi c’è il bang! e l’energia.
Noi siamo come loro».
(Skins UK)
1.
Aprile 1977 (quinto anno)
Quando la porta accanto a lei si aprì, Marlene sollevo in alto il mento. Jenny, una delle sue più care amiche, era un Prefetto, e lei non poteva certo aspettare il ritorno in stanza per raccontarle tutto!
Non appena la testa riccioluta e castana dell’amica spuntò fuori dalla porta, Marlene scattò in piedi, sfoggiando uno dei suoi soliti, enormi sorrisi raggianti. Jenny sgusciò fuori dalla piccola folla di Prefetti e la raggiunse, mentre quella riponeva la bacchetta in tasca.
“Léne!” esclamò, ricambiando il sorriso.
Marlene la travolse in un abbraccio per qualche secondo, prima di lasciarla andare e iniziare a spostare il peso da una gamba all’altra. Marlene era così: non riusciva mai a stare ferma, aveva bisogno di muoversi e di avvertire movimento attorno a lei; l’immobilità la deprimeva, Jenny a volte pensava le facesse addirittura paura. Poi, la bionda disse: “Ti devo raccontare un sacco di storie, Jenny!”
“Andiamo in camera?” domandò allora quella, inclinando appena la testa di lato.
“Sì, ti racconto mentre andiamo,” annuì, e sembrava una bambina a cui viene donato uno di quei lecca-lecca grandissimi e coloratissimi.
“D’accordo,” le sorrise Jenny. “Prendo una cosa in aula e torno subito.”
Marlene annuì di nuovo e mentre l’amica rientrava, si passò una mano sui capelli e sul collo. Poi si osservò le punte delle scarpe, dondolandosi leggermente in avanti ed indietro. Ancora, si guardò attorno, chiedendosi perché l’amica ci stesse mettendo tanto – okay, erano passati solo due o tre minuti, ma ormai Jenny avrebbe dovuto sapere quanto odiasse aspettare.
“Hai perso qualcosa?” la richiamò una voce piatta.
Si girò rapidamente, con una mezza giravolta come suo solito, sorridendo affabilmente al ragazzo dai capelli neri che la guardava da qualche metro più in là: “Sì, la stanza mi ha rubato l’amica!”
Regulus inarcò le sopracciglia, scettico, per poi scrollare le spalle e andarsene. Mentre Jenny usciva nuovamente dall’aula, Marlene urlò un allegro: “Comunque ciao anche a te, Black!”
*
Settembre 1977 (sesto anno)
“Micetto!” esclamò – o meglio, quasi urlò – la voce di Marlene McKinnon. “Possiamo sederci?” aggiunse poi, accennando a se stessa e alle sue due compagne.
“No,” rispose pacatamente Regulus, riaprendo il libro all’ultima pagina che aveva letto.
Lei si corrucciò, arricciando le labbra in una smorfia da gatto insoddisfatto: “Ma i posti sono tutti vuoti! Ci sei solo te!”
“Su, Black, per favore!” s’intromise anche una delle altre due – Jenny Mc-qualcosa, ricordava vagamente Regulus, che in quel momento stava inarcando ancor di più le sopracciglia scure.
“Fallo per quella lezione di Pozioni in compagnia della sottoscritta!” continuò Marlene, riprendendo a sorridere, raggiante come sempre – aveva un bel sorriso, Marlene, e ti chiedevi come avesse fatto a mantenerlo, in un periodo del genere.
“Il calderone è esploso,” le ricordò il ragazzo, parlando lentamente, come se avesse davanti un bambino di cinque anni. “È esploso in faccia a me, mentre tu controllavi se per caso qualcosa ti avesse rovinato lo smalto blu.”
Marlene aprì la bocca per ribattere, pronta a difendersi – e difendere il proprio smalto, perché diamine, lo smalto è importante! – ma una sua compagna sbuffò sonoramente e strattonò le altre due per un braccio. “Léne, Jenny, andiamo, su,” sbottò con malagrazia – tipica dei Grifondoro, pensò Regulus come se fosse la cosa più naturale del mondo (e forse, per lui, lo era).
La ragazza di nome Jenny annuì e seguì l’altra, palesemente stizzita. Marlene rimase un attimo lì, ricambiando l’occhiata scettica del ragazzo con il solito sorriso tutto denti: “Tanto lo so che avresti detto di sì, se potessi!”
“Ah, sì?” chiese Regulus, mentre la voce di una delle altre due chiamava ancora Marlene. “E perché?”
“Perché blu,” rispose Marlene, andando poi via con passo vagamente saltellante.
*
Gennaio 1978 (sesto
anno)
Il volto di Marlene era rigato da lunghi fili di
dolci appesi al soffitto. Gli occhi azzurri, grandi e truccati con matita e
rimmel, erano limpidi ed ingenui come al solito. Mielandia le era sempre
piaciuta: per lei, nata e cresciuta fino agli undici anni nel mondo Babbano,
quello era il paradiso – rane di cioccolata che saltavano, caramelle che ti
sollevavano da terra, scarafaggi di gelatina a grappolo: era meraviglioso.
“Marlene, hai fatto?” la chiamò Audrey, una ragazza di Tassorosso con cui aveva
fatto amicizia il mese prima.
“Sì, quasi,” rispose calma lei. “Se vuoi uscire, mi aspetteresti fuori? Devo
prendere alcune cose!”
“Certo. Ti aspetto fuori, intanto mi faccio una sigaretta,” rispose, uscendo
dal negozio, seguita dal rumore di una porta che sbatteva e di campanellini che
si scontravano tra di loro.
Marlene rimase così ancora un po’, giusto due minuti, osservando i mille colori
e le varie forme delle caramelle appese che aveva davanti. Solo quando la
caramella che aveva preso come ‘misura’ ripeté un colore già visto, si
raddrizzò e si sistemò meccanicamente la gonna con un gesto della mano.
“Che stavi facendo?”
“Blacky!” esclamò, raggiante, con un sorriso a trentadue denti. Vedendolo
storcere la bocca in una smorfia, aggiunse senza scomporsi: “Preferisci Regghy?
O lisca di pesce?”
“Scusa?”
“Scusa cosa?”
Regulus aprì la bocca per replicare, ma la richiuse dopo poco, limitandosi ad
una scrollata di spalle e ad un appena accennato abbassarsi di palpebre. “Che
stavi facendo, comunque?” chiese nuovamente, raddrizzando un po’ la schiena.
“Guardavo le caramelle,” rispose con semplicità la ragazza, annuendo alle
proprie parole e facendo così muovere le ciocche bionde che aveva lasciato
libere sulle spalle, coperte da un cappotto di fattura Babbana.
“Hai sedici anni o ne hai sei?”
Marlene arricciò il naso, un po’ infastidita. “Mi stai dando della bambina?”
“Forse,” sillabò Regulus, impassibile. Immobile
– pensò Marlene. Quelle labbra raramente si piegavano in un sorriso, mai in una
risata – lei, perlomeno, non l’aveva mai udito ridere – e il movimento più
usuale di quel volto era quello scettico e dannato inarcare le sopracciglia.
“Blacky,” iniziò con fare amorevole, inclinando la testa di lato e sorridendo.
“Ti sembro una bambina?”
Regulus si soffermò sul volto, scendendo poi fino alle spalle. Giunto a quel
punto, rialzò lo sguardo, imperturbabile, mentre la risata trillante della
ragazza gli giungeva alle orecchie.
“Merlino, poi sono io la bambina,” rise Marlene, afferrando un pacchetto di
Cioccorane e passargli accanto per andare alla cassa. Così facendo, gli pizzicò
un fianco, facendolo piegare appena.
Sorrise. Ti sei piegato, non sei immobile
come vuoi sembrare.
*
Febbraio 1978 (sesto
anno)
“Perché ti parla?” le domandò Astris, con gli
occhi verdi sgranati e l’espressione confusa.
Marlene si strinse nelle spalle, spazzolandosi i capelli e controllandosi nello
specchio del bagno del terzo piano. “Boh,” si limitò a rispondere e rimise la
spazzola dentro la borsa. Si controllò nuovamente, passandosi un dito sotto
l’occhio destro per cancellare un piccolo sbafo di matita.
“È strano.”
“Mmh, Blacky non mi è mai sembrato molto normale. O sbaglio?” ridacchiò
Marlene, voltandosi verso l’amica, che era seduta per terra con la schiena
poggiata al muro, e appoggiandosi al lavabo dietro di lei.
“Un po’ strani lo siamo tutti,” commentò l’altra, sbattendo le palpebre
velocemente. “Anche io e te siamo strane. Anche Xeno è strano. Siamo tutti
strani.”
Marlene rise forte, gettando la testa all’indietro e socchiudendo gli occhi.
“Forse hai ragione.”
“Tu cosa vuoi fare?” chiese ancora Astris, mentre l’altra si accendeva una
sigaretta con un accendino Babbano.
“Non so,” rispose, aspirando del fumo. “Niente, credo. È troppo magro.”
“Non intendevo quello,” disse Astris, guardandosi con attenzione una ciocca di
capelli biondo sporco. “Non hai paura di legarti?”
“Legarmi? A Black?” esclamò, ridendo con maggiore intensità. “Non corro nessun
pericolo, Ast, tranquilla. È un misantropo, quello.”
“Secondo me, ha solo troppi Gorgosprizzi per la testa,” ribatté l’altra, con
quell’aria perennemente spaesata. Marlene l’adorava anche per quello, perché,
nonostante molti la credessero matta, Astris ti faceva ridere, con quelle sue
uscite quasi ad effetto. Distraeva, in un
certo senso; distraeva dalla guerra e dal destino che Marlene sapeva già di
avere.
*
Maggio 1978 (sesto anno)
La pioggia che
continuava a battere e la scopa sulla spalla coperta dall’uniforme della
propria squadra, Regulus stava percorrendo la distanza che c’era tra il campo
da Quidditch e gli spogliatoi. I vestiti gli si erano appiccicati al corpo
magro e un po’ gracilino, i capelli neri e lunghi ricadevano ai lati del volto
infervorato e le labbra erano dischiuse in una smorfia seccata.
Quando arrivò agli spogliatoi e vide una ragazza bionda poggiata al muro,
riparata appena dalla pioggia scrosciante, sbuffò. “Salazar, mi perseguiti.”
Marlene si corrucciò: sporse il labbro inferiore in avanti come era solita fare
e aggrottò la fronte. Poi arricciò gli angoli delle labbra e ribatté: “In
realtà stavo aspettando Smith.”
Regulus rimase immobile per un attimo, e in quell’attimo Marlene l’odiò con
tutta se stessa: Regulus poteva permettersi di rimanere fermo, immobile, ed aspettare finché voleva,
perché non c’erano scadenze sulla sua testa, sul suo cuore, sulla sua vita. A
Marlene, invece, tutto ciò non era permesso: a volte pensava addirittura di
avere un foglietto appiccicato sulla nuca con su scritta la data di scadenza – come sui prodotti che puoi
comprare al supermercato.
“Buon per te,” sviò Regulus, alzando le spalle. Un po’ di fastidio, sotto
sotto, quelle parole gliel’avevano procurato: era strano, il legame che si era
creato tra di loro. Forse legame è una parola troppo forte per descrivere una
situazione come la loro, ma a Regulus non venivano in mente altre parole. E nonostante
tutto, che si trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di
malsano: qualcosa che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa
che lo avrebbe o distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non
sapeva ben definire. Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo
via, alla luce del giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno
senza che lui se ne accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e
si era ritrovato circondato: circondato da muri di parole su parole che
sapevano di rabbia, superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in fondo.
Fuori o dentro, Regulus. Luce o buio.
Imprigionato o libero, fuggitivo.
Marlene, intanto, annuì impercettibilmente e le sue labbra si mossero appena
nel mormorare parole che mai giunsero all’orecchio di Regulus; poi si
raddrizzò, si sistemò la gonna della divisa ed i capelli e lo oltrepassò
dicendo semplicemente: “Già.”
Forse non era quello il giorno della
luce. Forse non lo sarebbe stato mai.
La fanfiction partecipa al contest "A White Rabbit whit pink eyes ran close by Alice", indetto da Daphne Kerouac sul forum di Efp.
Per chi fosse interessato, QUESTA è la mia pagina, dove ogni tanto potete trovare qualche novità sulle storie in corso e in pubblicazione.