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Autore: Eralery    09/04/2012    3 recensioni
Regulus Black/Marlene McKinnon | MiniLong.
E nonostante tutto, che si trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di malsano: qualcosa che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa che lo avrebbe o distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non sapeva ben definire. Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo via, alla luce del giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno senza che lui se ne accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e si era ritrovato circondato: circondato da muri di parole su parole che sapevano di rabbia, superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in fondo.

*
“Io non sono come loro, e se lo vuoi non lo sei neanche tu,” gli aveva detto Sirius, un giorno, e in quel momento si rese conto di volerlo.
Seconda classificata e vincitrice del Premio Giuria al contest "A white rabbit whit pink eyes ran close by Alice" indetto sul forum di efp da Daphne Kerouac.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mangiamorte, Marlene McKinnon, Regulus Black, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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dietro la pelle

Autore: Eralery.
Titolo: Dietro la pelle.
Personaggi: L’Ordine della Fenice, Marlene McKinnon, Mangiamorte, Regulus Black, Un po’ tutti.
Pairing: Marlene/Regulus.
Contesto: Malandrini/Prima guerra magica – da aprile 1977 ad agosto 1980.
Avvertimenti: Het, What If?, forse OOC.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Introspettivo.
Rating: Giallo.
Prompt utilizzati: Prigionia, animo, libertà, spavento (inteso come ‘paura’), malvagità.
Beta: Blankette_Girl
Introduzione:
 
E nonostante tutto, che si trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di malsano: qualcosa che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa che lo avrebbe o distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non sapeva ben definire. Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo via, alla luce del giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno senza che lui se ne accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e si era ritrovato circondato: circondato da muri di parole su parole che sapevano di rabbia, superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in fondo.

NdA:
Cara mia, preparati a delle note un po’ lunghine.
Allora, come ti ho già detto, il titolo della storia, Dietro la pelle, è una doppia citazione: a te, con Sulla tua pelle, e a Skins, perché Effy nella 4x05 dice quelle parole. Dietro la pelle, però, non è solo una citazione; in questa storia, infatti, ho cercato di mostrare quel che loro hanno dietro la maschera, dietro la pelle, di mostrare la loro anima, in un certo senso. Non so se ci sono riuscita, comunque.
Comunque. La storia percorre l’arco di tempo tra l’aprile del ’77 all’agosto del '80: questa shot (posso chiamarla così? D:) è in ordine temporale, e ogni pezzettino equivale ad un mese diverso – ma vaaaaa *capitan ovvio*.
Ecco, vorrei chiarire una cosa: Voldemort non ha ancora il ministero dalla sua parte, in quel tempo, lo acquisterà, per me, solo dopo la morte di Regulus. ^^’’
Un’altra cosuccia: ci sono dei pezzi non Reglene, perché comunque credo che l’evoluzione di Regulus sia una parte importante sia per il suo personaggio che, in un certo senso, per la coppia. I motivi per cui Regulus inizia ad avere dei dubbi e a cambiare idea sono spudoratamente ispirati alla meravigliosa fan fiction su Regulus di Julia Weasley, “Eroi non si nasce, si diventa”, così come i dialoghi del mini pezzo tra Severus e Regulus. Volevo metterlo in chiaro fin da subito perché il merito va tutto a quel genio, senza la quale io mi sarei persa completamente. C:
Ho paura di essere andata un po’ OOC. Mi spiego: la mia Marlene è una nata babbana, perciò probabilmente Regulus non l’avrebbe calcolata più di tanto. Ma se Marlene è babbana, è perché, a mio parere, da più spessore alla coppia. Il come lo vedremo più avanti.
Comunque… Il prompt su cui mi sono soffermata maggiormente, anche se non da subito, è prigionia. Prigionia perché Marlene, essendo, appunto, Nata Babbana, fuori da Hogwarts si ritrova più volte le strade sbarrate. Prigionia, perché Regulus ha avuto un’educazione ferrea, chiusa e severa: una prigione dell’anima, e Marlene è l’unico modo che ha trovato per uscirvi e trovare un po’ d’aria non viziata. Prigionia, perché il loro rapporto non sarà mai semplice e, in fondo, del tutto vero: avere gli occhi chiusi non aiuta a trovare la luce.
Ma ora come ora, rileggendo questa storia, io direi anche animolibertà: la liberta di Regulus, che sta nelle sue scelte, e molte di esse sono dovute a Marlene; la libertà di Marlene, limitata, costretta, ma comunque talmente grande da bastare per due.
Animo perché qui credo ci siano loro.

 

 

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Dietro la pelle
.

 

«Sai perché le particelle subatomiche non obbediscono
alle leggi della fisica?
Si muovono secondo il caso, il caos, la coincidenza.
Si scontrano l’una con l’altra nel mezzo dell’universo
e poi c’è il
bang! e l’energia.
Noi siamo come loro»
.
(Skins UK)

1.

Aprile 1977 (quinto anno)

Seduta per terra, sul pavimento di pietra di uno dei corridoi del quarto piano, Marlene si rigirava la propria bacchetta di legno d'acero tra le dita, facendo partire, di tanto in tanto, qualche scintilla dalla punta. I capelli mossi e biondi erano raccolti in una treccia disordinata dalla quale scappavano molti ciuffi, visto che se li era fatti da poco scalare da una sua compagna di dormitorio. Il bordo inferiore della camicia, lasciato scoperto dal maglione forse un po’ troppo corto, era stropicciato, così come anche le maniche candide che spuntavano fuori da quelle grigio scuro.
Quando la porta accanto a lei si aprì, Marlene sollevo in alto il mento. Jenny, una delle sue più care amiche, era un Prefetto, e lei non poteva certo aspettare il ritorno in stanza per raccontarle tutto!
Non appena la testa riccioluta e castana dell’amica spuntò fuori dalla porta, Marlene scattò in piedi, sfoggiando uno dei suoi soliti, enormi sorrisi raggianti. Jenny sgusciò fuori dalla piccola folla di Prefetti e la raggiunse, mentre quella riponeva la bacchetta in tasca.
“Léne!” esclamò, ricambiando il sorriso.
Marlene la travolse in un abbraccio per qualche secondo, prima di lasciarla andare e iniziare a spostare il peso da una gamba all’altra. Marlene era così: non riusciva mai a stare ferma, aveva bisogno di muoversi e di avvertire movimento attorno a lei; l’immobilità la deprimeva, Jenny a volte pensava le facesse addirittura paura. Poi, la bionda disse: “Ti devo raccontare un sacco di storie, Jenny!”
“Andiamo in camera?” domandò allora quella, inclinando appena la testa di lato.
“Sì, ti racconto mentre andiamo,” annuì, e sembrava una bambina a cui viene donato uno di quei lecca-lecca grandissimi e coloratissimi.
“D’accordo,” le sorrise Jenny. “Prendo una cosa in aula e torno subito.”
Marlene annuì di nuovo e mentre l’amica rientrava, si passò una mano sui capelli e sul collo. Poi si osservò le punte delle scarpe, dondolandosi leggermente in avanti ed indietro. Ancora, si guardò attorno, chiedendosi perché l’amica ci stesse mettendo tanto – okay, erano passati solo due o tre minuti, ma ormai Jenny avrebbe dovuto sapere quanto odiasse aspettare.
“Hai perso qualcosa?” la richiamò una voce piatta.
Si girò rapidamente, con una mezza giravolta come suo solito, sorridendo affabilmente al ragazzo dai capelli neri che la guardava da qualche metro più in là: “Sì, la stanza mi ha rubato l’amica!”
Regulus inarcò le sopracciglia, scettico, per poi scrollare le spalle e andarsene. Mentre Jenny usciva nuovamente dall’aula, Marlene urlò un allegro: “Comunque ciao anche a te, Black!”

*

Settembre 1977 (sesto anno)

Regulus era seduto in uno degli scompartimenti del quarto vagone, quando sentì una risata allegra e forte accompagnare il cigolio della porta che si apriva. Alzò lo sguardo dal libro, mentre una testa bionda faceva capolino dal corridoio con altre due more dietro.
“Micetto!” esclamò – o meglio, quasi urlò – la voce di Marlene McKinnon. “Possiamo sederci?” aggiunse poi, accennando a se stessa e alle sue due compagne.
“No,” rispose pacatamente Regulus, riaprendo il libro all’ultima pagina che aveva letto.
Lei si corrucciò, arricciando le labbra in una smorfia da gatto insoddisfatto: “Ma i posti sono tutti vuoti! Ci sei solo te!”
“Su, Black, per favore!” s’intromise anche una delle altre due – Jenny Mc-qualcosa, ricordava vagamente Regulus, che in quel momento stava inarcando ancor di più le sopracciglia scure.
“Fallo per quella lezione di Pozioni in compagnia della sottoscritta!” continuò Marlene, riprendendo a sorridere, raggiante come sempre – aveva un bel sorriso, Marlene, e ti chiedevi come avesse fatto a mantenerlo, in un periodo del genere.
“Il calderone è esploso,” le ricordò il ragazzo, parlando lentamente, come se avesse davanti un bambino di cinque anni. “È esploso in faccia a me, mentre tu controllavi se per caso qualcosa ti avesse rovinato lo smalto blu.”
Marlene aprì la bocca per ribattere, pronta a difendersi – e difendere il proprio smalto, perché diamine, lo smalto è importante! – ma una sua compagna sbuffò sonoramente e strattonò le altre due per un braccio. “Léne, Jenny, andiamo, su,” sbottò con malagrazia – tipica dei Grifondoro, pensò Regulus come se fosse la cosa più naturale del mondo (e forse, per lui, lo era).
La ragazza di nome Jenny annuì e seguì l’altra, palesemente stizzita. Marlene rimase un attimo lì, ricambiando l’occhiata scettica del ragazzo con il solito sorriso tutto denti: “Tanto lo so che avresti detto di sì, se potessi!”
“Ah, sì?” chiese Regulus, mentre la voce di una delle altre due chiamava ancora Marlene. “E perché?”
“Perché blu,” rispose Marlene, andando poi via con passo vagamente saltellante.

*

Gennaio 1978 (sesto anno)

Il volto di Marlene era rigato da lunghi fili di dolci appesi al soffitto. Gli occhi azzurri, grandi e truccati con matita e rimmel, erano limpidi ed ingenui come al solito. Mielandia le era sempre piaciuta: per lei, nata e cresciuta fino agli undici anni nel mondo Babbano, quello era il paradiso – rane di cioccolata che saltavano, caramelle che ti sollevavano da terra, scarafaggi di gelatina a grappolo: era meraviglioso.
“Marlene, hai fatto?” la chiamò Audrey, una ragazza di Tassorosso con cui aveva fatto amicizia il mese prima.
“Sì, quasi,” rispose calma lei. “Se vuoi uscire, mi aspetteresti fuori? Devo prendere alcune cose!”
“Certo. Ti aspetto fuori, intanto mi faccio una sigaretta,” rispose, uscendo dal negozio, seguita dal rumore di una porta che sbatteva e di campanellini che si scontravano tra di loro.
Marlene rimase così ancora un po’, giusto due minuti, osservando i mille colori e le varie forme delle caramelle appese che aveva davanti. Solo quando la caramella che aveva preso come ‘misura’ ripeté un colore già visto, si raddrizzò e si sistemò meccanicamente la gonna con un gesto della mano.
“Che stavi facendo?”
“Blacky!” esclamò, raggiante, con un sorriso a trentadue denti. Vedendolo storcere la bocca in una smorfia, aggiunse senza scomporsi: “Preferisci Regghy? O lisca di pesce?”
“Scusa?”
“Scusa cosa?”
Regulus aprì la bocca per replicare, ma la richiuse dopo poco, limitandosi ad una scrollata di spalle e ad un appena accennato abbassarsi di palpebre. “Che stavi facendo, comunque?” chiese nuovamente, raddrizzando un po’ la schiena.
“Guardavo le caramelle,” rispose con semplicità la ragazza, annuendo alle proprie parole e facendo così muovere le ciocche bionde che aveva lasciato libere sulle spalle, coperte da un cappotto di fattura Babbana.
“Hai sedici anni o ne hai sei?”
Marlene arricciò il naso, un po’ infastidita. “Mi stai dando della bambina?”
“Forse,” sillabò Regulus, impassibile. Immobile – pensò Marlene. Quelle labbra raramente si piegavano in un sorriso, mai in una risata – lei, perlomeno, non l’aveva mai udito ridere – e il movimento più usuale di quel volto era quello scettico e dannato inarcare le sopracciglia.
“Blacky,” iniziò con fare amorevole, inclinando la testa di lato e sorridendo. “Ti sembro una bambina?”
Regulus si soffermò sul volto, scendendo poi fino alle spalle. Giunto a quel punto, rialzò lo sguardo, imperturbabile, mentre la risata trillante della ragazza gli giungeva alle orecchie.
“Merlino, poi sono io la bambina,” rise Marlene, afferrando un pacchetto di Cioccorane e passargli accanto per andare alla cassa. Così facendo, gli pizzicò un fianco, facendolo piegare appena.
Sorrise. Ti sei piegato, non sei immobile come vuoi sembrare.

*

Febbraio 1978 (sesto anno)

“Perché ti parla?” le domandò Astris, con gli occhi verdi sgranati e l’espressione confusa.
Marlene si strinse nelle spalle, spazzolandosi i capelli e controllandosi nello specchio del bagno del terzo piano. “Boh,” si limitò a rispondere e rimise la spazzola dentro la borsa. Si controllò nuovamente, passandosi un dito sotto l’occhio destro per cancellare un piccolo sbafo di matita.
“È strano.”
“Mmh, Blacky non mi è mai sembrato molto normale. O sbaglio?” ridacchiò Marlene, voltandosi verso l’amica, che era seduta per terra con la schiena poggiata al muro, e appoggiandosi al lavabo dietro di lei.
“Un po’ strani lo siamo tutti,” commentò l’altra, sbattendo le palpebre velocemente. “Anche io e te siamo strane. Anche Xeno è strano. Siamo tutti strani.”
Marlene rise forte, gettando la testa all’indietro e socchiudendo gli occhi. “Forse hai ragione.”
“Tu cosa vuoi fare?” chiese ancora Astris, mentre l’altra si accendeva una sigaretta con un accendino Babbano.
“Non so,” rispose, aspirando del fumo. “Niente, credo. È troppo magro.”
“Non intendevo quello,” disse Astris, guardandosi con attenzione una ciocca di capelli biondo sporco. “Non hai paura di legarti?”
“Legarmi? A Black?” esclamò, ridendo con maggiore intensità. “Non corro nessun pericolo, Ast, tranquilla. È un misantropo, quello.”
“Secondo me, ha solo troppi Gorgosprizzi per la testa,” ribatté l’altra, con quell’aria perennemente spaesata. Marlene l’adorava anche per quello, perché, nonostante molti la credessero matta, Astris ti faceva ridere, con quelle sue uscite quasi ad effetto. Distraeva, in un certo senso; distraeva dalla guerra e dal destino che Marlene sapeva già di avere.
 

*

Maggio 1978 (sesto anno)

La pioggia che continuava a battere e la scopa sulla spalla coperta dall’uniforme della propria squadra, Regulus stava percorrendo la distanza che c’era tra il campo da Quidditch e gli spogliatoi. I vestiti gli si erano appiccicati al corpo magro e un po’ gracilino, i capelli neri e lunghi ricadevano ai lati del volto infervorato e le labbra erano dischiuse in una smorfia seccata.
Quando arrivò agli spogliatoi e vide una ragazza bionda poggiata al muro, riparata appena dalla pioggia scrosciante, sbuffò. “Salazar, mi perseguiti.”
Marlene si corrucciò: sporse il labbro inferiore in avanti come era solita fare e aggrottò la fronte. Poi arricciò gli angoli delle labbra e ribatté: “In realtà stavo aspettando Smith.”
Regulus rimase immobile per un attimo, e in quell’attimo Marlene l’odiò con tutta se stessa: Regulus poteva permettersi di rimanere fermo, immobile, ed aspettare finché voleva, perché non c’erano scadenze sulla sua testa, sul suo cuore, sulla sua vita. A Marlene, invece, tutto ciò non era permesso: a volte pensava addirittura di avere un foglietto appiccicato sulla nuca con su scritta la data di scadenza – come sui prodotti che puoi comprare al supermercato.
“Buon per te,” sviò Regulus, alzando le spalle. Un po’ di fastidio, sotto sotto, quelle parole gliel’avevano procurato: era strano, il legame che si era creato tra di loro. Forse legame è una parola troppo forte per descrivere una situazione come la loro, ma a Regulus non venivano in mente altre parole. E nonostante tutto, che si trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di malsano: qualcosa che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa che lo avrebbe o distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non sapeva ben definire. Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo via, alla luce del giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno senza che lui se ne accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e si era ritrovato circondato: circondato da muri di parole su parole che sapevano di rabbia, superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in fondo.
Fuori o dentro, Regulus. Luce o buio. Imprigionato o libero, fuggitivo.
Marlene, intanto, annuì impercettibilmente e le sue labbra si mossero appena nel mormorare parole che mai giunsero all’orecchio di Regulus; poi si raddrizzò, si sistemò la gonna della divisa ed i capelli e lo oltrepassò dicendo semplicemente: “Già.”
Forse non era quello il giorno della luce. Forse non lo sarebbe stato mai.






***

La fanfiction partecipa al contest "A White Rabbit whit pink eyes ran close by Alice", indetto da Daphne Kerouac sul forum di Efp.
Per chi fosse interessato, QUESTA è la mia pagina, dove ogni tanto potete trovare qualche novità sulle storie in corso e in pubblicazione. 

   
 
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