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Autore: Shinalia    09/04/2012    4 recensioni
estratto capitolo
« Sei una vampira, non puoi soffrire di emicranie! » ribattei mesto ed in tono leggermente acido.
Alzò gli occhi al cielo con evidente irritazione « Sembri un animale in gabbia. A casa sono tutti preoccupati … » Annuii distrattamente, non dando realmente peso alle sue parole. Notando la mia disattenzione Alice si indispettì « Bella si è divertita moltissimo a scuola! - squittì
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salvee! Ed ecco a voi l'ultimo capitolo di questa fanfiction. Ringrazio tutte voi che mi avete seguita, nonostante gli aggiornamenti spesso in ritardo, soprattutto nell'ultimo periodo. Mi dispiace per il blocco che ho avuto e per la mia incapacità di scrivere. Mi dispiace per la scarsa presenza, eppure sono lieta di aver finalmente concluso una di queste mi storie in corso e non posso far altro che sperare di porre termine anche alle altre ancora aperte. In quanto a voi, non vi ringrazierò mai abbastanza per la vostra pazienza. Grazie, grazie davvero.







*Avvertivo il fruscio della carta, un sospiro sommesso infrangersi, al di là dell’uscio. Mi sembrava quasi di poter scorgere i suoi occhi sgranati, le dita tremanti ed il rossore che, se fosse stato umano, avrebbe imporporato le sue guance. Ed io, in attesa, mi torturavo le mani, rannicchiate in grembo, con lo sguardo puntato su quella maledetta porta e la consapevolezza di aver compiuto una follia che alimentava la mia ansia, ad ogni istante, ad ogni attimo. Eppure ero lì, dinanzi a quella squallida stanza di motel, nel quale alloggiava, semplicemente in attesa di quel verdetto. Era avvenuto tutto improvvisamente. La lettera svanita nel nulla, il sorriso sornione sul volto di Alice che la sventola, noncurante del mio folle imbarazzo e della mia preoccupazione, dinanzi al gesto che avrebbe potuto compiere. Per un momento avevo quasi temuto l’avesse inviata, senza attendere il mio consenso.

Un consenso che certamente non avrebbe mai ottenuto, se non avesse agito come poi aveva fatto, raggirandomi senza alcuna esitazione e ponendomi dinanzi ai miei tormentosi dubbi.
Senza scampo.
In trappola, costretta ad ascoltare il ricatto, pronunciato da quelle labbra tumide, pronte a mettere in pratica le sue minacce, con la collaborazione di Emmett che, dietro di lei, attendeva solo un suo ordine. Inutile sperare non avesse letto quelle parole personali, destinate ad Edward.
Inutile sperare che il sogghigno, sul volto dei due, non fosse rivolto alla sottoscritta ed alle smielate frasi incise sulla carta, di quella lettera, che sarebbe stata difficile da contestare.
Ciò nonostante… in un modo o nell’altro, sarebbe giunta nelle mani del “brontolone dai capelli rossi”, come lo aveva definito Alice. Anche se è opportuno sorvolare, invece, sull’epiteto con il quale si era riferito a lui Emmett, sempre più volgare e meno incline a controllare la sua lingua. Quest’ultimo si era offerto di rintracciare lui stesso il fratello in fuga, grazie alle doti di veggente della piccoletta, pronto a metterlo al corrente di ciò che avrebbe dovuto sapere da tempo.
Ovviamente nessuna delle mie implorazioni o delle lacrime erano state ascoltate. Al contrario il tutto era stato liquidato con una semplice affermazione:
Sarà per il tuo bene.
E come contraddire una matta che vede il futuro ed un energumeno ragionevole come un bambino dell’asilo?
Semplicemente non si può.
Ed io mi ero arresa, esalando quel sospiro sommesso che aveva rappresentato la mia condanna e scatenato urla di giubilo che non avevo affatto condiviso e che erano il motivo per il quale mi trovavo, fuori dalla porta, in attesa che Edward leggesse una copia della mia lettera, che io stesso gli avevo consegnato. Non desideravo comportarmi da vigliacca ed una parte di me aveva quasi pensato di pronunciare quelle parole, dinanzi a lui, magari leggendo io stessa ciò che avevo scritto. Ma il timore di abbandonarmi all’imbarazzo ed alla conseguente ira, che questo destava in me, mi aveva fatta desistere dai miei intenti. Preferivo lasciarmi considerare una bambina, poco coraggiosa nell’ammettere i suoi stessi sentimenti, piuttosto che causare un ulteriore fuga di Edward.
Avevo già fatto abbastanza. – mi rammentai, rievocando le immagini che mi avevano tormentato negli ultimi mesi. Il suo volto desolato, afflitto da quelle parole da me pronunciate, in un impeto di rabbia. Follie e menzogne che erano ben lontane dalla verità; perché come avrei mai potuto temerlo? Come avrei mai potuto nutrire paura verso di lui, che era stato il mio protettore, in ogni fase della mia vita? Lui che mi aveva donato un amore fraterno, un’assoluta devozione che io avevo ripagato con disprezzo ed astio, perché incapace di affrontare ciò che invece avrei dovuto:
Quel tumulto di emozioni che gonfiavano il mio petto, quando lui mi era accanto.
Quelle che le note della mia ninna nanna risvegliavano in me.
Quelle che le sue carezze ed i suoi sorrisi gentili ridestavano.
Tutto in lui sembrava sempre capace di attrarmi, di rendermi schiava anche di quei semplici gesti che in altri non avrei neppure notato. Ma che, compiuti da lui, acquisivano un diverso significato.
Ed io avevo conservato il ricordo di ognuno di quegli istanti, nella mia mente, nel mio cuore, facendone tesoro, nutrendomene con una disperazione che era data solo da quell’amore, non ricambiato.
Un amore di cui ero pronta a renderlo partecipe, per porre finalmente termine a quel suo vagabondaggio, permettendogli di comprendere ciò che aveva mosso le mie azioni, negli ultimi anni. Ero ormai pronta a ricevere quel rifiuto, dalla quale ero fuggita, per lungo tempo.
Ero ormai pronta a fare i conti con quella parte della mia vita, che doveva essere conclusa e con essa quella mia prima “cotta” infantile; come era solita definirla mia madre, benché a me apparisse una definizione sin troppo riduttiva.
Ma in fin dei conti dovrebbe essere usuale, fraintendere ciò che si prova, dinanzi alle prime esperienze? Gonfiare il proprio cuore di un amore illusorio, vacuo e pronto a svanire in un soffio. Un amore al quale io mi ero spasmodicamente aggrappata, troppo spaventata dall’idea di rinunciarvi.
- Avrò quello che merito. Avrò ciò di cui ho bisogno ed incontrerò un uomo capace di far battere il mio cuore, solo per lui. Un uomo in grado di lenire le ferite del mio giovane cuore. Un uomo che non sia Edward. – mi ripetei, per l’ennesima volta, con il respiro spezzato e le lacrime pronte a scivolare sulla mia pelle nivea, accarezzandone le gote arrossate.
Non sono più una bambina.
I rumori attutiti, provenienti dall’interno della camera, mi costrinsero ad alzare lo sguardo, infrangendo le mie elucubrazioni, quando la porta si aprì dinanzi al mio volto dai lineamenti tesi.
«Bella! » l’espressione affannosa sul viso di Edward mi parve gratificante. Certo, pareva sul punto di crollare, preda di un colpo apoplettico, ma non sembrava disgustato, dalle parole che aveva letto su quella lettera.
Una lettera scritta da quella che lui aveva sempre considerato una sorella e che, scioccamente anche se per costrizione, si era ritrovata ad aprirgli il suo cuore, attendendo il suo giudizio in silenzio.
Un atteggiamento assolutamente insolito per me che, con lui, non sembravo mai in grado di mitigare le mie reazioni. Eppure era forse l’imbarazzo ad impedirmi di replicare con una frase sprezzante, indugiando in quel comportamento assurdo che avevo da tempo nei suoi confronti. Sin da quando avevo compreso la profondità dei miei sentimenti. Quegli stessi sentimenti che mi avevano terrorizzata e che avevano destato in me il bisogno di allontanarmi.
Avevo rimproverato Edward, per molte cose, in quel periodo.
In parte lo avevo considerato la causa di quell’allontanamento tra di noi, malgrado fossi stata io la prima  a frapporre quella distanza, semplicemente perché non lo ritenevo capace di ricambiare quell’amore che avevo compreso di provare per lui.
Non gli avevo concesso alcuna possibilità.
Non gli avevo permesso di comprendere ciò che mi aveva cambiata, costringendolo a prendere atto della mia ostilità, ma non di porvi rimedio.
Perché come avrebbe potuto? – mi domandai, ironicamente, osservando la punta delle mie scarpe, ossessionata da quelle elucubrazioni che erano state le mie compagne, durante quel lungo viaggio in aereo, che mi aveva condotta lì. Da lui.
Eppure, in quell’istante, ero lì a concedere ad entrambi quella possibilità che ci avevo negato, anche se probabilmente in ritardo.
«Non sembri molto in forma.» mormorai, con il capo chino ed il labbro stretto tra i denti, segno del mio palese nervosismo. Scorgevo il bordo di quella lettera color malva, ancora stretta tra le sue mani, ed ero comunque incapace di pronunciare qualcosa di sensato. Qualsiasi cosa.
Talvolta, però, le parole sono superflue.
 
__________________
 
Un sogno. Un sogno ad occhi aperti. Il frutto del mio corpo debilitato, della stanchezza e della spossatezza che avevano attanagliato la mia mente, a causa di quel torpore nel quale avevo trovato rifugio. Perché il trascorrere dei giorni era un tormento, una condanna che non potevo combattere. Qualcosa alla quale avrei desiderato porre rimedio, ma impossibilitato a farlo, per il bene della mia famiglia, conscio che Alice avrebbe assistito ad ogni gesto folle che avrei potuto compiere. Così mi ero abbandonato all’immobilità di quella vita priva di significato, semplicemente in attesa.
Ma in attesa di cosa?
Probabilmente di quella lettera che mi era stata recapitata. Uno scherzo, una punizione per i miei pensieri impuri, per i miei desideri, per quel bisogno che neppure la lontananza sembrava in grado di sopire. Se non avessi riconosciuto la scrittura confusionaria e arrotondata di Bella avrei riso, nervosamente, dinanzi a quel foglio di carta color malva, intriso del suo dolce profumo.
Forse avrei stracciato quel pezzo di carta, preda dell’ira, se non avessi percepito il battito frenetico di un cuore, al di là della porta. Quel ritmo cadenzato e dolce, che mi aveva cullato durante ogni notte trascorsa nella mia casa, quello al quale mi ero aggrappato, per trovar pace, anche negli istanti più bui della mia esistenza. Perché mi bastava saperla lì, separata da me solo da qualche misera parete, avvolta tra le braccia di Morfeo, calda e morbida. Viva. Mia.
Mia solo nella mia mente, solo nei miei desideri.
Mia sorella.
La mia famiglia.
Una parte di me, forse la migliore.
La mia metà mancante, quell’anima a me affine.
Colei che mi attendeva, al di là di quella dannata porta, che non avevo il coraggio di aprire. E così avevo permesso ai miei occhi di abbeverarsi di quelle frasi, incise sulla carta, nutrendosi della speranza che esse sembravano voler insinuare in me.
Una confessione e neppure un accenno del biasimo che ero ben conscio di meritare. Nessun rimprovero, ma solo un’assoluzione e… amore?
Come avrei mai potuto ritenere possibile, una simile meravigliosa possibilità, rammentando ciò che ci aveva diviso, negli ultimi anni?
Come avrei mai potuto accettare il significato sotteso a quelle parole, senza posare lo sguardo sul volto di lei, per trovarvi conferma?
Ed era stato questo ad esortarmi ad allungare le dita verso la maniglia di quella porta, che mi era improvvisamente parsa più pesante di quanto avrebbe mai potuto essere, per un vampiro. Forse perché al di là di essa si celava quella risposta che avevo agognato per anni o forse l’infrangersi di ogni mia illusione.
Forse perché è la verità ad essere pesante, anche quanto essa può apparire meravigliosa, perché può permetterci di comprendere quanto i sentimenti ci soggioghino, troppo spesso, annullando ogni raziocinio. Preda di essi ci trasformiamo in creature insicure, talvolta stolte, sciocche e, semplicemente, umane.
Perché è umano amare.
E’ umano sperare.
E’ umano vivere.
 
Ti amo, come il respiro che l’immortalità mi ha sottratto, ma al quale non sono in grado di rinunciare.
Ti amo, come quel cuore che temevo di aver perduto e che tu nuovamente mi hai donato.
Ti amo, perché mi hai permesso di comprendere quanto vuota fosse la mia esistenza, priva di un reale sentimento. Di questo calore che ora riscalda il mio corpo freddo e la mia mente ed i miei occhi, che si abbeverano della tua figura, della dolcezza che il tuo sguardo basso non può celare. Del timore, probabilmente riflesso anche sul mio stesso viso. La paura del rifiuto, l’angoscia dell’attesa.
E tante le parole che indugiavano sulle mie labbra immobili e che avrei dovuto pronunciare
Tante le emozioni palesi sul mio volto, che probabilmente mai avrei potuto adeguatamente esprimere.
Perché le parole sono solo parole.
Ed allora, per la prima volta, fu il mio istinto a guidarmi, esortandomi a posare le labbra sulle sue.
Il nostro primo vero bacio.
 
 
 
The End
   
 
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