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Autore: Leia    24/04/2004    11 recensioni
E' l'alba. Una macchina corre, solitaria, su una strada infinita. Una semplice striscia d'asfalto grigio cotto dal sole di eterne estati, persa nel mezzo del deserto del Colorado. E, all'interno dell'auto, due uomini. Uno guida, l'altro dorme. Hanno qualcosa da dirsi. E lo faranno, sotto la pioggia improvvisa dell'Arizona.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Orlando Bloom, Viggo Mortensen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa fic l'avevo in mente addirittura prima di Wicked Games. Per esser precisi avevo in mente l'idea in generale, ovvero quella di un lungo viaggio in auto su una delle tipiche strade dell'Arizona... e con anche già qualche particolare che ritroverete, sviluppato, nella storia. Inoltre, son stata notevolissimamente ispirata da una fanart che adoro, e che potete vedere a questo indirizzo: http://wickedgames.altervista.org/fotodicembre02.jpg (era la foto di Dicembre 2002 di WG... ma se non volete qualche suggerimento/spoiler sulla fic non guardatela ;P).

Tornando alla RPS, l'unica cosa che mi premeva davvero riuscire a fare, nel metterla giu', era ricreare le atmosfere e le immagini che si erano formate nella mia testa nel momento in cui l'avevo pensata. Non so se ci sia riuscita appieno, soprattutto perchè in alcune cose è venuta un po' diversa dall'idea originale. Essendo incentrata soprattutto sul dialogo, mentre scrivevo i personaggi hanno fatto un po' come volevano... :P e soprattutto l'hanno resa un po' più drammatica e "tesa" di quanto dovesse essere all'inizio. Fondamentalmente è una comedy, e fondamentalmente dovrebbe far sorridere... dovrebbe ^^; beh, insomma... mi direte voi quanto fa pena :P

Per specificare due cose sull'ambientazione, avrei voluto mettere nomi e descrizioni più dettagliate, ma non essendo mai stata in Arizona e avendo cercato solo qua e là qualche info ho preferito evitare di scrivere vaccate. Però vi assicuro che gli acquazzoni ci sono ^_- nelle settimane in cui ho scritto la fic ho continuamente controllato sul sito ufficiale dello stato previsioni del tempo e temperatura (c'eran pure le foto dal satellite :D), e credo proprio sia venuto giu', qualche giorno fa, qualcosa di simile a quello che descrivo nella storia! Riguardo al tempo del racconto... mhh, potrebbe essere avvenuto nel febbraio-marzo 2004 ma anche quando volete voi. Non è molto importante.

 

Ultime cose: probabilmente questa sarà la mia ultima RPS, per un po’ di tempo almeno. E’ che credo di aver detto tutto quello che avevo da dire su Orli e Vig (e tutto quello che non detto io, è stato raccontato in ogni caso dalle altre RPS italiane ^_-). Ho paura che scrivendo altre cose (perchè di idee comunque ne avrei, eccome) finirei solo per mettere giu’ banalità. Inoltre dubito che ideerò mai fic su altre coppie... dubito, eh! (se *dovesse capitare* che scriva qualcos'altro, la colpa sarà senz'altro di Serez!! Ricordatevelo!! :P). Comunque, chissà ^,^

Poi: ringrazio il periodo caccoso (anzi, *estremamente* caccoso), durante il quale ho cominciato a scrivere questa fic. Senza il modo terribile in cui mi sentivo in quei giorni forse non mi sarebbe mai venuta voglia di mettere giu' quest'ideuzza che mi frullava nel cervello da sempre, forse non avrei impostato la storia così, non avrei usato la prima persona (che mi ha permesso anche di sfogarmi, in qualche modo), non avrei fatto parlare Vig esattamente nella maniera in cui l'ho fatto parlare (idem come prima... soprattutto quando è un po' odioso :P) e non avrei azzeccato nessuna delle atmosfera e delle parole che avevo in testa. Per cui, evviva i momenti da taglio delle vene e di alienazione generale ^^;

 

Ho finito. Concludo dedicando questa fic a LoLL... in un modo speciale! Con tutto il cuore, GRAZIE, infinitamente... lei sa per cosa ^_-

Grazie, grazie, e ancora grazie. Sei grande :)

 

*Leia*

 

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Orlando, Viggo e chiunque nomini del cast della trilogia di 'The Lord Of The Rings' non ha fatto nieeeeeente di quello che racconto in questo parto malato della mia mente. Ciò che segue è soltanto un piccolo sogno, una visione della mia testa, il frammento di un universo alternativo. Non insinuo nulla sulla sessualità dei nostri amati attori, ma mi limito a fantasticarci su per divertirmi a tessere fra loro paesaggi, emozioni e profili. Li muovo nel teatro meraviglioso della scrittura, nulla di più.

A Orlando Bloom e Viggo Mortensen, a tutto il cast artistico e tecnico uscito vittorioso dagli Oscar 2004... vi voglio bene ragazzi, e grazie. Di Tutto.

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A R I Z O N A   R A I N

 

 

Il rumore del motore è un ronzio sommesso, ovattato dalla velocità. E’ piacevole.

Forse perché è l’unico suono che ascolto da ormai più di un’ora, mentre guardo questa strada infinita. All’orizzonte, oltre i profili irregolari delle rocce rosse ancora coperte dalle ombre, i colori tenui dell’alba si inseguono, sovrapposti tra loro in vaghe linee luminose. In altre circostanze, lo troverei uno spettacolo notevolmente ispirante.

Probabilmente manca ancora un po’ al levarsi del sole. Quindici, venti minuti? Mh, non ci giurerei.

Sospiro, piano, e percorro l’intero volante con le dita. Nessuna notte mi è mai sembrata tanto lunga come questa. Assurdamente lunga. Come assurdo è l’essere qui, adesso, in un qualche punto imprecisato tra Phoenix e Los Angeles, a guidare nel bel mezzo del deserto del Colorado alle cinque del mattino. Con questa strana sensazione addosso, sotto la pelle, di stanchezza e confusione unite a… rabbia, credo. O a qualcosa di molto simile. Gelosia?

Oddio… ecco che l’ho pensato. Ancora.

Mi passo una mano sul viso, stropicciandomi nervosamente gli occhi. E’ che… è fastidioso. E sfiancante. E nonostante sia ormai lontano chilometri, non riesco proprio a calmarmi…

Abbasso un po’ il finestrino. Non fa ancora caldo, ma ho bisogno di fare qualcosa. Oh, maledizione.

“Orli?”.

Lo chiamo, a voce bassa. Non troppo convinta, ad esser sinceri. Ho aspettato a svegliarlo anche per questo. Perché volevo pensare. Cioè, dovevo pensare. A cosa dirgli, a come dirgli… ah, neanche so che cosa. Dannazione. Comunque, son passate due ore e non sono riuscito a mettere insieme una frase nemmeno vagamente logica. Proprio io, che ho sempre trovato le parole per tutto, ora non ho la più pallida idea di come debba comportarmi…

Cosa diavolo mi prende?

Questo non è il solito Viggo Mortensen. Proprio no.

Scuoto la testa, e mentre mi sistemo meglio sul sedile getto un’altra occhiata veloce ad Orlando, accoccolato placidamente su quello a lato. Niente da fare, dorme ancora. Oh, beh… forse meglio così, dopotutto.

Torno a guardare davanti a me, iniziando a credere con una punta di sollievo che continuerà a farlo fino a Los Angeles, ma proprio in quel momento noto un leggero movimento con la coda dell’occhio.

“Mhh… ”.

Sta allungando le braccia. Solleva la fronte dal vetro.

Deglutisco, preparandomi ad ascoltare domande alle quali non saprò rispondere. Forse.

“Pensavo che avresti dormito per tutto il viaggio… ”, dico, cercando di mantenere un tono neutro.

Lui rimane in silenzio ancora un po’, poi, finalmente, si tira su.

“Che… mal di testa… ”, si lamenta con la voce impastata, portandosi una mano alla fronte. “Ma che ore sono?”.

“Quasi le cinque”, rispondo, evitando accuratamente di girarmi per non incrociare il suo sguardo. In particolare, non commento il mal di testa. E poi… oh, ma andiamo. Vig, vuoi che non se ne ricordi per niente?

“Se vuoi puoi tornare a dormire, tanto… beh, la strada è ancora lunga”.

Lui muove il collo, si mette a guardare fuori. Trascorre un minuto.

“Tu… non sei stanco di guidare?”, mi chiede alla fine, ancora un po’ roco. Meno male, mi stavo iniziando a preoccupare. Faccio un lungo sospiro.

“No, non ho sonno”.

“Potrei darti il cambio”.

“Non… credo sia il caso”.

Ecco. Un riferimento sottinteso. Anche se Orli potrebbe pensare che stia parlando della sua pessima guida, più adatta al rally che alle strade statali. Cioè… magari non si ricorda davvero, magari…

“Vig, ho dormito per almeno tre ore e mezza. Ho smaltito la sbornia”.

Ok, ha decisamente colto il riferimento sottinteso. E si ricorda.

I battiti del cuore mi iniziano ad accelerare, ma faccio finta di non sentirli rincorrersi in gola.

“Non importa. Guido io, ho detto”.

Il tono odioso che mi esce non è voluto, ma non mi scuso. Anzi, mi viene in mente che continuare sulla stessa linea non sarebbe affatto una cattiva idea.

“Potevamo rimanere a dormire là”.

Orli butta la frase con un tono che mi sembra ingenuo. Si è di nuovo voltato verso il finestrino.

“A mezzanotte mi hanno chiamato. Entro il pomeriggio devo essere a LA, alla mostra. Ci son dei problemi con l’allestimento”, mugugno. “Quindi ti riaccompagno a casa, poi vado”.

Silenzio. Mi concentro sulla strada, cercando di non pensare a nessun, particolare presentimento.

“Non avresti avuto problemi a dare a qualcun altro l’incarico di occuparsene… ”.

Chiudo gli occhi. Lo ammetto, ci avevo sperato fino alla fine.

“Orlando… ”.

“… non sei mai corso da nessuna parte, e ieri eri stanco… ”.

“Orli… ”.

“… dicevi che te la saresti presa con calma. La mostra può andare avanti anche senza… ”.

“… cazzo, ORLANDO!”.

Tolgo una mano dal volante, allargando il braccio per poi riappoggiare violentemente le dita sulla superficie nera e morbida del rivestimento dello sterzo. Inspiro. Espiro.

Perché fa così, dannazione? Sarebbe stato così semplice fare finta di nulla. Così semplice. E ovvio.

Alzo la testa verso l’alto, e muovendo lo sguardo noto che non si è mosso. So che dovrei fermarmi… dio, lo so. Ma non ci riesco.

“Vuoi che ti dica perché non ci siamo fermati? Lo vuoi davvero sentire? Beh, non ho certo problemi visto che sembra che tu non veda l’ora di parlarne. Perché oggi dovevamo tornare a LA con Karl, ma stamattina ci mancava poco che te lo scopassi. E sinceramente l’idea che ci riprovaste in macchina non mi andava molto. Sai com’è”.

L’ho detto. L’ho detto?

Ok, a dire il vero la frase esatta sarebbe stata ‘e se Karl ci avesse riprovato non sarebbe arrivato vivo fino a LA', ma comunque…

Viggo Mortensen, sei un perfetto imbecille.

Sento la gola secca. Aspetto.

Altro silenzio, interminabile.

“Adesso esageri”.

Orli pronuncia quelle due parole scandendo ogni sillaba.

“Lo sai che Karl non ha mai nascosto a nessuno cosa pensava di me, in questi anni. Stamattina era ubriaco, e… beh, cazzo, non so perché ma ho lasciato che mi baciasse. Però è successo, punto. Adesso vuoi dirmi che ti sei scandalizzato? Che Karl è un pervertito? O che magari lo sono io?”.

“No. Dico solo che tu ci stavi, che Karl è un incosciente e che stavate dando spettacolo in un posto dove metà della gente ci conosceva”.

Serro i denti. Tu ci stavi. Con Karl.

Ci stavi, Orlando. Ci stavi. Ci stavi, ci stavi. Ci stavi, DANNAZIONE.

Ma non sono ancora abbastanza contento. Eh, no.

“Dio santo, vuoi davvero che tutti i giornalisti del mondo inizino a raccontare chiacchiere del genere su di te?”, sbraito. “E poi… beh, non mi sembrava proprio che vi stavate limitando ad un semplice bacio”.

Lo sento sospirare. So che si sta arrabbiando. Il sottoscritto, invece, è sempre più un idiota.

Questa conversazione sta prendendo una piega pericolosa. Dio, ora quello che si sente ubriaco sono io…

“Cosa non hai capito di quello che ti ho detto?!”, riprende lui, alzando la voce. “E’ successo. Non ci stavo con la testa. E poi… ma si può sapere che cazzo te ne frega? Potevi prendere e ripartire da solo. Se ti ho dato così fastidio, potevi lasciarmi lì. Con Karl, ed i giornalisti che si sarebbero precipitati a fotografarci”.

Trascorre un istante, di silenzio gelido. Ed io mi sento attraversare da un brivido altrettanto freddo. Cristo, Orli…

Non ha idea di quanto vorrei dirglielo. Di quanto me ne freghi.

Perchè era abbastanza lucido per capire cosa stava facendo, su quel fottuto divano.

Abbastanza lucido per ricordare ogni cosa perfettamente, adesso. Esattamente... come la ricordo io.

La camicia sbottonata, il viso accaldato. I capelli scuri e sottili, attaccati alla pelle ambrata.

I pantaloni. Bassi. Che non lasciavano nulla all'immaginazione.

Nè alla mia... nè a quella di Karl. Karl, che lo toccava.

Aumento la pressione delle dita sul volante.

Dio. Dio.

Tu... ci stavi.

"E già che ci siamo... potevamo anche andare a tornare in aereo. Ma tu no, hai insistito per farti ben due volte sette, *poetiche* ore in auto. Tu e il tuo spirito artistico-lesionista fai da te".

Mi scuoto, anche se la sua voce mi risuona lontana. Lontanissima. Sposto gli occhi sullo specchietto, e mi mordo un labbro. Sta cambiando argomento?

Prima insiste perchè gli descriva i motivi del mio meraviglioso stato d'animo all'alba delle cinque del mattino, facendomi parlare di un paio di cose di cui avrei fatto volentieri a meno, e dopo due minuti mi tratta come se fossi per lui un perfetto sconosciuto...

Il mio mentore, diceva ai giornalisti. Una delle persone a cui sarò legato per sempre...

Ah, dannazione. Non posso... pretendere nulla. Non posso pensare che lui mi veda allo stesso modo.

Però l'ho sperato. Sempre.

In Nuova Zelanda, sul set, alle premiere. E tutte le volte che lo coinvolgevo nel mio mondo, osservandolo stupirsi ed entusiasmarsi di fronte a cose per me normali. Sempre.

Non so spiegare da dove sia nato, come sia nato, ma nonostante gli anni che ci separano l'ho... dio, sì, l'ho disperatamente desiderato. In ogni, singolo istante, da quando l'ho conosciuto. Naturalmente non solo a livello fisico, anche se... cazzo, le volte che sognavo di spingerlo contro la parete di qualche set o sul fianco di una collina neozelandese, durante i primi mesi. Per prenderlo velocemente, in fretta, di nascosto. Abbassandogli i pantaloni del costume, e stringendo la sua eccitazione tra le mani. Bevendomi l'espressione estatica del suo viso, dominato dal piacere...

Mi sembra che la bocca mi inizi a sanguinare. Smetto di premere i denti sulla pelle, ma mi arriva comunque in gola un vago sapore ferroso. Respira, Viggo. Respira.

Sì, forse è meglio che mi calmi. Se Orli lo notasse, non potrei certo giustificare l'improvviso rigonfiamento nella zona del cavallo dei miei jeans raccontandogli che lo stavo semplicemente immaginando gemere in una delle mie solite fantasie erotiche su di lui. Mh, è meglio che spari qualche altra bugia. O meglio, delle verità incomplete.

"Beh, scusami se ti considero un caro amico. Ti sembra così strano che voglia evitarti dei guai?", dico, controllando la voce che altrimenti mi tremerebbe. Un caro amico, ripeto mentalmente. Mph. Faccio una pausa. "Meno male che ti ho trascinato via. E poi... beh, ho promesso a Kate che ti avrei riportato da lei sano e salvo entro stasera".

Il solo pronunciare quel nome mi crea un'altra fitta all'altezza dello sterno, ma lo faccio soltanto per cercare di allontanarmi il più possibile dagli argomenti a rischio. Dio, ho troppo mal di testa per reggere tutto questo. Ma non potevo dargli una botta in testa quando si è svegliato?

Lui, però, non commenta. Si limita a scivolare in avanti sul sedile, incrociando le braccia sul ventre coperto solo da una leggera t-shirt grigia. Rimaniamo in silenzio. Il sole, alla mia sinistra, è ormai a metà sull'orizzonte. Un tir ci passa accanto, sorpassandoci e scomparendo, in poco tempo, dalla nostra vista.

"Lo racconterai?" riprende dopo un po', spezzando nuovamente il rumore continuo e monotono del motore. La domanda non ha un tono arrogante, ma timoroso.

"Che cosa?", sbotto nervosamente. Lui allarga le braccia.

"Cosa. Secondo te?".

"Mph. Cinque anni e a quanto pare non mi conosci ancora... ", commento, roteando gli occhi e allungando le labbra in un sorriso amaro. "Certo che non lo racconto. Ti ho appena detto che sono preoccupato dei giornalisti. Rilascio da sempre interviste col contagocce, e tu... ".

"Non parlo dei giornalisti. Parlo dei ragazzi. Di Kate".

"Ah. Beh, ma è esattamente la stes... ". Mi blocco, voltandomi di scatto verso di lui. "Pensi sul serio che io possa andare a dirlo alla tua fidanzata?".

"Ma no... no. Era... era soltanto per... ".

"E poi, se vi lasciaste la stampa non avrebbe sul serio più nulla su cui fare gossip. Nessuna succulenta notizia dalla star-del-momento per le adolescenti di tutto il mondo pazze di lui", continuo sarcastico. "A meno che, naturalmente, non sia tu a volere che 'Karl Urban' vada a sostituire 'Kate Bosworth' accanto al tuo nome, negli articoli... ".

Gli parlo sarcasticamente, sì. E con un po' di cattiveria, anche. Ma non mi stupisco più. Il solito, saggio, misurato e comprensivo Vig ha abbandonato questo corpo da parecchie ore, ormai...

Orlando non dice nulla. Ed io non mi volto.

"Davvero, in questo caso basta che tu me lo dica, e corro subito da Kate. In meno di due giorni stai certo che l'intero pianeta sarà a conoscenza della nuova, scioccante relazione del sex-symbol Orlando Bloom con il suo ex-collega, interprete di Eomer nella trilogia di Peter Jackson... ".

Vomito quelle parole su di lui, gliele vomito addosso senza bloccarmi, e mi odio. Mi odio. Così come odio Kate, come odio Karl... oh cazzo, no, non li odio. O forse sì. Forse perchè loro, almeno, hanno avuto il coraggio di mostrargli ciò che provavano. Quanto lo volevano.

"Vedi? Ci tengo alla tua carriera e alla tua vita sentimentale". Appoggio il gomito sinistro alla portiera, sorreggendomi la testa con la mano mentre l'altra continua a dirigere il volante. "Dovresti soltanto ringraziarmi".

Silenzio.

"Hai finito?".

La voce di Orli è soltanto un mormorio pronunciato tra i denti.

"Lo so che non ti va a genio Kate. Potevi anche evitare di ripetermelo così".

"Non deve mica piacere a me. Ma comunque contro di lei non ho niente, mi pare di avertelo già spiegato", dico. "Mi da' solo fastidio come la vostra manager continui a montare la vostra storia. E'... commerciale".

"Sai che non dipende da me".

"Si che dipende da te. Hai ancora in mano la tua vita, dannazione. E invece ti stai lasciando trascinare dalle regole di Hollywood. Mph, come l'ultimo pesce famoso caduto nella sua rete dorata... ".

Mentre pronuncio quelle parole, sento la cintura di sicurezza farsi improvvisamente stretta. Porto allora una mano all'altezza della spalla per cercare di allentarla, ma la sensazione di soffocamento non scompare. Sospiro, esasperato. Il sole è sempre più alto. Sposto lo sguardo più a destra, e noto che delle nuvole scure si stanno addensando davanti a noi.

"Non eri così, all'inizio".

La mia ultima frase risuona nell'auto debolmente. E' seguita subito dal rumore di un tuono, lontano ma nitido. Vedo con la coda dell'occhio che Orlando sussulta. Forse chiude per un attimo gli occhi.

"Io non... sono cambiato, Viggo", dice lentamente, trascorso qualche secondo. "Ho soltanto seguito la strada che mi sono creato, e adesso sono un attore. Un attore conosciuto. Ma era quello che sognavo. Non c'è nulla di male nell'essere famosi".

Si passa una mano sul mento, poi sulle labbra. Con forza.

"Lo sognavo", ripete piano. "E tu lo sai".

"Ma cinque anni fa il ragazzo di Canterbury che conoscevo mi aveva detto anche un'altra cosa", replico senza aspettare. Mi volto a guardarlo, e lui sostiene i miei occhi senza voltarsi verso il finestrino, senza muoversi di un centimetro, ma anzi trapassandomeli con i suoi. Scuri, ma luminosi come piccole pietre d'ebano e sabbia bagnate. Così vivi, e splendidi anche quando sono pieni di rabbia. Anche quando non riescono a capirmi.

"... ovvero che non si sarebbe mai lasciato inglobare dallo star system americano... ", proseguo, tornando a fissare, sconfitto, la strada. "... che non avrebbe mai staccato i piedi da terra. Che non avrebbe mai fatto nulla di cui pentirsi".

Non oso più girarmi. Ma il tono che usa subito dopo Orlando basta per farmi immaginare che espressione c'è sul suo viso.

"Ah, quindi ora credi che io sia uguale a tutti gli altri? Che stia allo stesso livello di quelli a cui importano soltanto soldi e carriera!?", esclama nervoso. "Grandioso. Veramente. Mi hai etichettato analizzando le quote del mio cachet, e condannato per cose che non ho ancora fatto ma che sei certo farò, non è vero?".

Aspetta qualche istante. Ha il fiato corto, veloce.

Io, vigliaccamente, non rispondo. Lui si volta di nuovo. Bruscamente.

"E sentiamo, da quanto tempo pensi questo di me? No, davvero, son molto curioso... in effetti mi chiedevo come mai ultimamente continuassi ad evitarmi. Perchè declinavi tutti gli inviti che ti facevo per venirmi a trovare sui set, nonostante non ci vedessimo da mesi".

"Orlando, non è questo che intendevo dire... ", riesco a tirar fuori con un filo di voce. Penoso, mi dico. Era meglio se stavi zitto...

"Mi dispiace se non sono rimasto quel ragazzino ingenuo ed incosciente appena uscito dalla scuola di recitazione", mi blocca, aspro. "L'Orlando Bloom che si buttava da un elicottero in volo rischiando ogni volta di ammazzarsi".

"Piantala. Non hai capito niente. Non è... ".

"O forse è per quello che è successo stanotte? Mi hai visto su quel divano con Karl e adesso pensi che non mi ci vorrà molto perchè vada a farmi decine di colleghi, produttori e registi per... non so, avere nuove parti, ho ragione?!".

Sta gridando. Cazzo.

"No. Non ho mai detto questo. Stai facendo tutto da solo".

"Ah, certo... ".

"Andiamo. Non era la prima volta che perdevi il controllo in occasioni del genere, e per di più in questa hai... decisamente raggiunto il limite. E' che... ". Cerco le parole. Disperatamente. Sospiro. "... Dio santo, non fai mai attenzione, non sei... per niente responsabile! Nonostante ti si ripetano sempre le stesse cose, tu... ".

Mi blocco ancora. Piego un braccio, passandomi le dita tra i capelli.

"Ah, sai che ti dico?". Lo fisso. "Che preferivo di gran lunga quel... ragazzino venuto dalla campagna inglese che faceva bungee jumping senza il consenso di Peter, in Nuova Zelanda! Almeno lui ogni tanto le ascoltava, le persone che si preoccupavano per lui. Ed anche se era un incosciente, non dimenticava mai chi era. Quello in cui credeva".

Orli mi restituisce la stessa occhiata. Tagliente.

"Puoi sempre mandare a fanculo questo Orli, Vig. Nessuno ti obbliga a continuare ad essergli amico".

"Sei infantile".

"Ma quando ti fa comodo ti sta bene che lo sia, vero?".

"Mph, e anche patetico... ".

"Basta. Mi sono stancato".

Ci metto un attimo per capire da dove viene la musica che inizia, d'un tratto, a diffondersi nell'auto. Sono troppo sconvolto da quello che la mia bocca ha detto negli ultimi cinque minuti, in effetti. Dove abbia intenzione di arrivare, non lo so. E soprattutto, non ho assolutamente idea se sia in grado di bloccarmi.

"Che... diavolo fai?".

"Ascolto la radio".

"Stiamo parlando. Spegnila", sibilo.

Perchè? Perchè continuo ad usare questo tono?

"Non abbiamo nient'altro da dirci. E di certo è meglio la radio che altre quattro ore di conversazione con te".

Mi sento attraversare, d'improvviso, da qualcosa di indefinito. Non so dargli un nome, ma di qualunque cosa si tratti non è... per niente piacevole.

Si irradia per il mio corpo, pungente e veloce, simile ad un veleno. Doloroso.

No, così non va. Dannazione, non sono preparato a perderlo per delle cose... così stupide...

Viggo, finiscila qui. Adesso.   

"Invece lo farai. Ho detto che si spegne".

E la spengo.

Va bene, è evidente che ormai il mio cervello non comunica più col resto. Non c'è altra spiegazione.

Orlando rimane immobile per mezzo secondo. Allunga il braccio, la riaccende. Io sospiro, e velocemente rischiaccio il piccolo tasto sul frontalino elettronico del cruscotto. Il display luminoso torna scuro.

Un altro sospiro profondo. Non faccio in tempo a portare le dita sul volante che l'ultima canzone di qualche cantante hip-hop mi risuona di nuovo nelle orecchie. Chiudo gli occhi, ormai al limite. Quando li riapro e mi giro verso Orli, lui mi sta fissando con aria di sfida, e le labbra serrate.

Lo osservo. Aggrotto le sopracciglia, ma nel momento in cui faccio per dirgli qualcosa un altro rumore, improvviso ma lieve, attira l'attenzione di entrambi. Ci giriamo verso la strada.

Mille, piccole gocce d'acqua stanno scivolando velocemente lungo la superficie trasparente davanti a noi, picchiettando con insistenza sul vetro già completamente inondato di pioggia. Non so perchè, ma rimaniamo per almeno dieci secondi a fissare le scie che scorrono sul parabrezza investito dall'aria, completamente inebetiti. Per fortuna mi riprendo abbastanza in fretta da azionare i tergicristalli prima di finire fuori strada e far rotolare la macchina nel deserto. Riappoggio saldamente le mani sullo sterzo, cercando di calmare i battiti che mi martellano impazziti le tempie. Dio, per fortuna che la strada è sempre dritta...

Per un attimo, lo ammetto, ho avuto paura. Non sono il tipo da distrarsi alla guida. Anzi, non sono il tipo da distrarsi in generale. Ok, oggi c'è davvero qualcosa di strano in me... magari son posseduto da qualche strana entità, e non lo so.

"Sta piovendo", mormora Orli a voce bassa.

Io stringo le labbra, scuotendomi a fatica dalla visione dell'auto capovolta tra le rocce.

"Me n'ero accorto".

La musica, alla radio, si interrompe. Una voce maschile si scusa con gli ascoltatori, e passa la linea alle previsioni del tempo. Tutti e due puntiamo gli occhi sul frontalino sopra il cambio.

«Una forte perturbazione sta interessando ora lo stato dell'Arizona, dopo aver attraversato, ieri sera, la Bassa California. Proveniente dall'Oceano Pacifico, si sposterà soltanto nel tardo pomeriggio a nord-est, verso New Mexico e Colorado. Sconsigliamo a tutti gli ascoltatori di mettersi in viaggio nel corso della mattinata, in quanto sarà di forte intensità, soprattutto nelle zone intorno a Phoenix, Mesa e Prescott... ».

"Fantastico", commento, ignorando il resto dell'annuncio. "Ci mancava, direi".

Orli si sporge in avanti. Cerca di guardare il cielo. Non credo veda granchè.

"Forse è meglio se ci fermiamo da qualche parte", dice poi, riappoggiandosi con la schiena al sedile. "Lo dice anche la radio. Non è il caso di continuare se arriva un mezzo nubifragio".

Io gli lancio un'occhiata veloce, tentato di rispondergli un'altra volta male. Se me ne avesse lasciato il tempo, avrei proposto la stessa cosa. Stacco per un momento la mano destra dal volante, e scalo una marcia. Ma quanto sei bambino, Vig. E poi dici a lui...

"Mph. Quanto ci scommetti che siam lontani chilometri dal prossimo motel?", borbotto.

"Come sei pessimista. Io non credo", risponde pacato Orli. "Aspetta, all'andata ti avevo messo nel cruscotto una guida delle... ". Apre lo sportello davanti a sè, e sorride trionfante. "Eccola! 'Guida completa alle strade dello Stato dell'Arizona'. Perfetto. Ora guardo se trovo qualche informazione sulle stazioni di servizio, o qualcosa del genere... ".

"Ma che previdente... ", commento con sarcasmo. Basta, tutta questa tensione non mi fa bene. E poi, diavolo... non voglio continuare a discutere con lui. Anche se è sicuramente meglio litigare che dirgli cose di cui, poi, potrei pentirmi davvero...

Chiudo gli occhi, e faccio l'ennesimo, lungo sospiro. Sarebbe la giornata perfetta per confessargli tutto. Davvero. Ma probabilmente non sarei capace di controllarmi. E finirei soltanto per rovinare tutto. Beh, per questo direi che son già adesso sulla buona strada, in realtà...

"Ehi!", esclama Orlando improvvisamente, allegro. "Che ti dicevo? A sessanta chilometri da qui, ad un paio d'ore dal confine c'è un motel. In quaranta minuti al massimo dovremmo arrivarci, penso".

"Mhh". Mi concentro sul movimento dei tergicristalli. "Fantastico".

Silenzio, e ticchettio ipnotico della pioggia. Un movimento minimo di Orli, verso di me.

"Quante volte ancora hai intenzione di ripeterlo?".

Cambio stazione radio. Lascio su una canzone di Neil Young. Abbasso il volume.

"Cosa?".

"Fantastico".

Non dico niente. Lui mi guarda, e continua a farlo per i successivi dieci minuti.

"Che c'è?", gli chiedo alla fine, girandomi spazientito.

"Niente. Pensavo ad una cosa".

"Sentiamo".

"Che... beh, questa situazione mi ricorda quando siam rimasti una notte intera sul monte Egmont", mormora. "Nell'Isola Nord. Alla... fine delle riprese. Volevamo fare un giro in macchina... ".

"... e siamo rimasti bloccati da quella nevicata improvvisa", concludo subito io. Le mie labbra si allargano in un lieve sorriso, e il nervosismo scompare. Improvvisamente. Dio... quella notte. "Già. Ma quella volta non c'erano motel nelle vicinanze".

"Vero".

Guardo Orlando. Anche lui sta sorridendo. Mi sta sorridendo. In un modo... che non mi capitava di vedere da tempo.

"Siamo rimasti tutto il tempo in macchina", prosegue, dolcemente. "Anche con il riscaldamento acceso faceva un freddo incredibile".

"E quando il motore si è spento e io non sono più riuscito a farlo ripartire, ci siam spostati dietro... ", intervengo ancora. Torno con lo sguardo sulla strada, e socchiudo gli occhi. "Abbiam aspettato l'alba stringendoci tra di noi per evitare di congelarci. Anche se... beh, sinceramente ammetto di essermi detto più volte nella testa che non ci avrebbero più trovati. Ti ricordi? Neanche i cellulari prendevano".

Rido, e noto che Orlando mi fissa con un angolo della bocca sollevato, perso nei ricordi.

"Oppure, che la mattina dopo ci avrebbero ritrovati rannicchiati sul sedile posteriore, gelidi e rigidi come prosciutti in una cella frigorifera... ".

Lui scoppia in una sonora risata.

"Una bellissima immagine, non c'è che dire".

"Già. L'ultima scena di un libro drammatico, o di uno di quei film in cui scoprono, alla fine, i corpi dei due amanti morti abbracciati... ".

Solo nel pronunciare le ultime parole capisco ciò a cui ho... involontariamente alluso. Stringo le dita sul rivestimento del volante, preparandomi ad un lungo, imbarazzato silenzio. Orli, però, sembra non preoccuparsene affatto e, anzi, ride ancora. Io allora sospiro, sollevato. In effetti perchè dovrebbe preoccuparsi? Probabilmente soltanto io, quella notte, non avevo fatto altro che pensare al suo corpo premuto contro il mio. Immobile nel buio, mentre osservavo i nostri respiri diventare evanescenti nuvole di vapore ad ogni parola che sussurravamo, ricordo di aver addirittura pensato che avevo avuto già abbastanza, fin troppo, di quello che sognavo da mesi. Che quell'abbraccio inconsapevole mi sarebbe bastato. E che anche se fossi morto prima dell'alba, non me ne sarebbe importato più di tanto...

La pioggia si fa sempre più fitta, ma per fortuna non violenta. Oltre il vetro vedo solo una grigia cortina nebulosa, che copre la strada dai contorni, oramai, sempre più vaghi. Il cielo è quasi totalmente coperto ma, curiosamente, a sud-est risplende ancora uno spicchio di sole.

Surreale, penso mentre lo osservo. E per qualche istante, nonostante sia seduto, mi sembra di vacillare.

"Avevamo parlato... del futuro. Del nostro futuro dopo la trilogia".

Orlando smorza il tono della voce, mentre dice la seconda parte della frase. Come se avesse paura di star gridando, o di superare il suono insistente della pioggia.

"Tu... mi avevi detto che non avevi mai conosciuto nessun giovane attore con una passione ed un talento come i miei. Che ero una rivelazione. E che presto tutti se ne sarebbero resi conto", continua sommessamente. Volge piano il viso verso di me, ma io non riesco a staccare gli occhi dalla linea di mezzaria segnata sull'asfalto. "Non l'ho dimenticato... per tutti questi anni. Mai. Sei stato il primo ad avere fiducia in me. E se oggi sono arrivato fin qui, è soprattutto merito tuo. Anche se forse avrai smesso di crederci, sei stato davvero il mio mentore. Lo sei ancora".

Per un attimo, solo un attimo, mi sento in colpa. Avverto anche della vaga felicità, ma così come mi sfiora appena svanisce con la stessa, impalpabile leggerezza, immediatamente. Faccio un piccolo sorriso. Una piega della labbra minima, che mi viene spontanea. Amara.

Perchè improvvisamente... sento questo nodo alla gola?

"Non avevi affermato che non avevamo... ". Deglutisco. Con fatica, un'immensa fatica. "... più nulla da dirci?".

Orli piega la guida, che ha ancora tra le mani, abbassando lo sguardo sulle proprie dita. Aspetta. La pioggia continua a investire l'auto, ed il suo suono si unisce a quello della radio, frammentato e lontano, per colmare il silenzio lasciato dalla mia voce tremante.

"Qualcosa... era rimasto", mormora infine. Arrotola più volte il libro, lo ridistende, lo gira. Non so che espressione abbia sul viso. E non sono sicuro di volerlo sapere. "Ma Vig... ".

Sentirlo pronunciare il mio nome così, abbreviato e senza esser accompagnato, questa volta, da un'altra frase pungente o aspra, basta per riportarmi alla mente i primi anni. Quando Orlando mi chiamava sempre, ogni volta, Vig. Quando era sereno, incosciente, appassionato, ingenuo, curioso. Quando... beh, era semplicemente Orli. E noi due solamente Orli e Vig, senza riflettori nè tappeti rossi ad accompagnare i nostri passi...

Socchiudo gli occhi. Lui riprende a parlare, anticipato però dal bagliore di un lampo che, per un attimo, illumina a giorno la strada grigia.

"... i giorni in Nuova Zelanda... non potranno più tornare. E nemmeno i sogni di allora".

La sua voce, questa volta, mi sembra vicina ad incrinarsi, ma forse mi sto sbagliando. Magari è soltanto il crepitio del tuono che, rimbombandomi nelle orecchie, si è sovrapposto alle sue parole...

"Probabilmente... non sono l'Orlando che speravi diventassi. In effetti, non... sono nemmeno la persona che io stesso sognavo di essere... ". Controlla la voce, la abbassa. "... qualcuno... simile a te... ".

Il frammento di sole è ancora là, spezzato in due dal bordo di una nuvola nera. Il suo contorno, però, è del colore vivo dell'oro.

E di nuovo, quelle vertigini...

"Orli, io non... ".

La frase mi si blocca in gola. La corona di luce, che circonda la coltre scura sopra l'orizzonte, risplende sfidando le nubi cariche di tempesta. La vedo, con la coda dell'occhio. Mi abbaglia, e mi brucia gli occhi.

"In fondo... hai ragione, sai? Ti ho deluso, Vig. So solo essere un altro burattino nelle mani di Hollywood. Un ragazzino che adora la fama che ha conquistato, che conta felice le copertine sulle quali appare ogni settimana e che accetta senza problemi che la propria manager lo costringa a far coppia con un'attrice mediocre che ha bisogno di lui per farsi pubblicità... ".

"Orli... no, smettila... ".

"... unicamente per denaro. Un idiota che va a tutti i party più in per farsi fotografare e conoscere produttori che gli facciano avere nuovi ruoli. Un coglione che sa concludere le serate soltanto da ubriaco perso, arrivando vicino a farsi scopare dal primo che... ".

"... SMETTILA, HO DETTO!".

Il vetro del parabrezza si fa di colpo pericolosamente vicino, mentre mi sento dilaniare da una fitta di dolore acutissima in mezzo al petto. Riesco a vedere Orlando aggrapparsi alla portiera e sollevarsi per un istante dal sedile, trattenuto dalla cintura di sicurezza, un attimo prima di chiudere gli occhi. Solo quando entrambi ripiombiamo violentemente contro lo schienale mi arrivano gli ultimi echi del suono stridente provocato dalle gomme sull'asfalto bagnato.

Risollevo le ciglia. Fisso il centro del volante col respiro accelerato, rendendomi conto di starlo stringendo convulsamente. Non riesco a muovere le mani. Il mio piede destro, invece, è ancora pigiato al massimo sul pedale centrale. Sposto piano lo sguardo al di là del cofano, mantenendo le spalle incurvate, tese. La macchina è ferma sul margine della strada, vicinissima al bordo dove l'asfalto termina per essere sostituito dalla terra rossa del deserto. Oltre la linea grigiastra al lato della corsia, un dislivello di almeno due metri e mezzo mi fa deglutire. Rumorosamente. Una sterzata un po' più netta e avremmo fatto un bel volo...

Sbatto gli occhi un paio di volte, e soltanto quando realizzo questo pensiero terribile mi volto per guardare Orli. E' sprofondato nel sedile, spostato leggermente verso la portiera con una mano stretta sul piccolo bracciolo rivestito di cuoio e l'altra sulla propria gamba, aperta. Mi sta fissando con gli occhi ancora sbarrati, e lucidi. Pieni di lacrime non scese.

Mi mordo un labbro, rimanendo a guardarlo senza riuscire a dire una parola. Anch'io, sotto le palpebre, sento qualcosa iniziare a pungermi.

"Tu...".

Si rialza leggermente, facendo leva con un braccio.

"... tu... sei molto di più, di... di questo, cazzo...".

E' l'unica cosa a cui riesco a pensare. E che riesco a pronunciare. Mi chiedo se Orlando capirà che mi sto riferendo a ciò che ha detto prima e risposto la testa, tornando a fissare la strada.

Adesso, è ferma. Definita.

"E non mi hai deluso. Non potresti mai... mai, farlo", aggiungo, ansante. Fisso la pioggia scendere con gli occhi quasi vitrei, sentendomi sempre più alienato. Le braccia, e le dita strette sul volante, mi tremano ancora. Ma è come se non le percepissi più parte di me, e non fossi qui. Non in questo corpo, almeno. Come se... mi stessi osservando da fuori. E stessi scuotendo la testa rivolto al me stesso seduto nell'auto. Con disapprovazione.

Davvero... vuoi continuare in questo modo? A stare così male... per lui?

E' questo che mi direi. Sì... probabilmente, mi chiederei soltanto questo.

"E... cosa sono, allora, Vig?".

La voce di Orli mi arriva alle orecchie. Debole, rotta, affaticata. Implorante.

Ma non mi giro. Non posso... girarmi.

Perchè se fossi morto davvero, questa volta, non me lo sarei mai perdonato.

Ha ragione lui. Non è più come cinque anni fa, in Nuova Zelanda sul Monte Egmont.

Questo... tutto questo, non mi basta. Stavolta, non mi basta più.

Chiudo gli occhi. Li riapro.

Le lacrime, sul mio viso, stanno scorrendo.

"Vig... ?".

Stacco la cintura. Spalanco la portiera. Esco dall'auto.

La sensazione improvvisa dell'acqua sulla pelle mi fa rabbrividire, ma è quello che voglio. Quello di cui ho bisogno. Giro velocemente intorno alla macchina passando davanti ai fari accesi, e arrivato a pochi centimetri dal margine della scarpata mi fermo. Sollevo il viso al cielo. Gradualmente sento la camicia attaccarsi alla pelle, mentre le gocce di pioggia, leggere, proseguono a scendermi lungo il collo. Le raccolgo con le mani, quindi porto le dita bagnate sulle guance. Fra i capelli.

Dio... non ce la faccio più.

Ma alle mie spalle, d'un tratto, un rumore. La portiera che sbatte. E la sua voce, ancora.

"Dobbiamo... dobbiamo arrivare al motel. Non possiamo fermarci".

Un altro tuono rimbomba nel cielo, ma io non ho nessuna reazione. Tengo le mani sulla fronte facendo dei lunghi, profondi respiri, e soltanto dopo qualche secondo mi decido ad abbassare le braccia. Le metto sui fianchi, prendendo a fissare l'asfalto.

"Tra... un minuto", mormoro senza inflessioni.

Dietro di me, solo la pioggia che scende. Poi, un sussurro appena udibile.

"Mi dispiace".

Chiudo gli occhi, piegando un poco le labbra.

"Se siamo usciti di strada la colpa non è tua, Orlando, ma mia".

"Non... non mi riferivo a quello".

"E a cosa?".

"A tutto... il resto". Una pausa, breve. "A me, e a te".

Un brivido mi percorre la schiena, ma so che non è per la pioggia. E se ho la vista offuscata, è solo a causa dell'acqua che mi bagna il viso...

"Tu sei un grande attore, Orlando. Lo pensavo cinque anni fa, e lo penso ancora", cerco di dire senza che la voce mi si spezzi. "Come penso che tu sia un bravo ragazzo, ed un caro amico. Che non deve assomigliare a nessuno. Ci siam soltanto persi di vista, e in queste ultime ore son stato un po' nervoso, tutto qui. Quindi dimentica... dimentica tutte le cazzate che ho sparato. Davvero".

Fantastico Vig. Ottimo lavoro. Esattamente quello che...

"Non è quello che volevi dire".

Spalanco gli occhi.

"Dimmi cosa c'è. Sul serio. Se non è per quello che... che sono diventato a Hollywood, per cosa?".

Premo le mani sulle anche.

"Ti ho detto che... non c'è nient'altro".

"Voglio saperlo, Vig. Non ho intenzione di... rischiare di perdere la tua amicizia per un motivo che nemmeno conosco!", lo sento esclamare con rabbia. "Non voglio incontrarti la prossima volta col la paura di leggere nei tuoi occhi quello che ho visto stamattina. Di qualunque... qualunque cosa si tratti".

Rilascio le braccia lungo le gambe. Mi inizio lentamente a voltare, cosciente di essere arrivato ad un punto di non ritorno. Ma sei stato tu a volerlo, Vig, mi dico. Tu.

I fari dell'auto trapassano violentemente il grigiore dell'aria, rendendo visibili le gocce d'acqua che, fitte e perpendicolari al terreno, si inseguono velocemente fino ad infrangersi sulla strada. A pochi passi dai fasci luminosi, immobile e con uno sguardo stanco negli occhi scuri, Orlando mi guarda. I ciuffi mossi dei folti capelli castani sono adesso lisci, disordinati, attaccati alla nuca e alla fronte alta a causa della pioggia che li ha, ormai, completamente inzuppati. La maglietta aderisce al suo corpo perfetto come una seconda pelle, delineando il profilo del suo busto con precisione quasi matematica, mentre gli ampi pantaloni scuri gli cadono sui fianchi spigolosi pesantemente, grondando acqua.

Per un momento resto a fissarlo, rapito. E stringendo i pugni mi ritrovo a deglutire più volte, per tentare di non pensare a quanto è meraviglioso, e bellissimo, e sorprendentemente sensuale. Dischiudo le labbra per cercare aria mentre, alla sua sinistra, la luce del frammento di sole all'orizzonte aumenta d'un tratto d'intensità con lo spostamento di una nuvola, per accarezzargli il viso triste con la sua aurea dorata. Fiocamente.

"Orlando... ".

Lui inclina la testa, inarcando malinconico le sopracciglia.

"Per cosa... Vig?", ripete.

Deglutisco ancora. La pioggia inizia a farsi più forte.

"... la verità è che... non riesco più a sopportare di vederti circondato da tutti... tutti loro", confesso allora, ignorando il tocco violento e pungente delle gocce d'acqua sulle spalle. "Da Kate, da... dalla tua manager, e da tutti... quegli attori e... attrici... ".

Avanzo di qualche passo. Lo sguardo di Orli su di me inizia a farsi interrogativo.

"... e odio anche aprire un giornale, al mattino... o accendere la televisione, collegarmi ad un sito internet per poi scoprire che... tu sei dall'altra parte del mondo a girare un nuovo film. Senza che... nessuno mi abbia avvertito. Senza che nessuno me l'abbia detto".

Mi blocco, e faccio un lungo respiro.

"Senza che... tu, me l'abbia detto".

Lui continua a guardarmi, sempre più confuso.

"Questo... è il motivo?", dice, alzando la voce per superare il rumore della pioggia. "Io non... credo di aver capito bene. Spero tu stia scherzando, perchè davvero non... ".

"E' esattamente quello che ho detto".

"Ma... Vig, sinceramente... ". Si porta una mano sulla fronte, trascinando indietro i capelli che ha sugli occhi. Torna a guardarmi. "... forse... insomma, forse solo mia madre sa sempre dove sono! E anche tutti gli altri... i ragazzi, e... ".

"E' questo il punto. Io non sono tutti gli altri".

Lo dico senza pensarci. Lo dico, e non penso alle conseguenze.

"Non voglio essere... come tutti gli altri, per te", ripeto ancora. Fisso negli occhi Orlando, riuscendo a scorgere nelle sue iridi liquide il disorientamento totale, forse dell'imbarazzo. Non ho idea di cosa stia pensando, ma non m'importa. Continuo ad osservarlo senza distogliere lo sguardo e lui, dopo un po', socchiude la bocca. Deglutisce. Cerca di dire qualcosa, poi ci ripensa, e si ferma. Si guarda i piedi. Infine, risolleva la testa. Di scatto.

"Tu non puoi.... chiedermi una cosa simile", pronuncia muovendo appena le labbra esangui. I suoi occhi brillano, fra le gocce di pioggia, ridotti a due fessure circondate da lunghe ciglia scure. "Perchè non... posso concedertelo. Non è in mio potere farlo".

Io faccio un altro passo. Non smetto di fissarlo, ma Orlando sorride. Scuote la testa, lentamente, poi sorride.

Con quegli spicchi luminosi e tristi che mi osservano. In un modo così dolce.

"Non puoi tenermi sotto controllo, Viggo".

Questa volta, le sue parole mi arrivano nitide. Le ha dette a voce alta, chiara, scandendole piano. Senza farle uscire ruvidamente, ma accarezzandole con gentilezza. Mi chiedo se ci sia del rimpianto nel suo tono malinconico, insieme a qualcosa che non è in grado di spiegarmi se non col silenzio. Me lo chiedo più volte nella testa, mentre avanzo verso la sua sagoma sottile, stagliata netta contro la strada.

"Viggo... ?".

Muove il viso, apre la bocca, la richiude. Rivoli veloci gli scorrono sul viso, gocciolandogli dal mento. 

E fra me e lui, solo un muro invisibile di acqua, luce ed aria. Così fragile, adesso, da abbattere.

Allungo prima un piede, poi l'altro. Ancora una volta, quindi un'altra, velocemente. I pochi centimetri che mi separavano da lui si fanno di colpo inesistenti, ed io mi ritrovo in un attimo a stringergli le spalle. A sentire il suo corpo teso, reso sensibile dalla pioggia, aderire al mio. Il mio, che lo tiene premuto contro la portiera dell'auto con una violenza ed una possessività che non credevo parte di me.

"Ed invece... voglio farlo... ", gli sussurro all'orecchio, sfiorandogli le ciocche bagnate con le guance. "... perchè voglio che tu... sia soltanto mio, Orlando. Soltanto... sotto il mio controllo... ".

Respiro il suo profumo, e mi sposto appena. Quel tanto che basta per arrivare ad un soffio dalla sua bocca, e premere le mie labbra sulle sue. Fredde, bagnate. Senza aspettare di vedere la sua reazione al mio gesto, alle mie parole, senza permettergli di replicare. Sento il suo sapore mescolarsi a quello della pioggia, mentre un brivido caldo mi sale lungo la schiena, percorrendola velocemente. Aumento la pressione contro la sua bocca, incapace di fermarmi, ma quando vi insinuo anche la lingua lui non mi allontana. D'istinto spingo allora il  bacino contro il suo, e percependo la sua eccitazione un'altra scarica di incredibile intensità mi attraversa improvvisamente, costringendomi a staccarmi dal suo viso per riprendere fiato. Emetto un sospiro di piacere, e solo in quel momento mi accorgo delle sue mani sulla mia vita.

Socchiudo gli occhi, ancora non completamente cosciente di ciò che ho fatto, di ciò che sto facendo e, finalmente, incontro i suoi. Sorpresi, felici.

"Da... da quando?", domanda con un sussurro, aggrottando con un mezzo sorriso la fronte.

Io lo guardo per un po', poi gli ricambio la stessa curva ironica delle labbra.

"Dall'inizio. Da subito".

Un silenzio, che dura pochissimo.

"Non... ", mi bisbiglia sul mento, cominciando a ridere. "... non... non ci posso credere... ".

Appoggia la testa contro la mia ed io, non riuscendo a resistere, mi unisco a lui, continuando a tenerlo stretto a me.

"Siamo due stupidi... ".

Gli prendo il viso tra le mani e le nostre risate, intervallate da piccoli baci, superano il rumore scrosciante della pioggia che prosegue a cadere. Ridiamo a lungo senza fermarci fino a che, insieme, abbassiamo la voce. Ci guardiamo, quindi riprendiamo a baciarci prima dolcemente, poi con foga sempre maggiore. Lasciamo l'auto alle nostre spalle e prendiamo ad indietreggiare, senza ricordarci però della scarpata a pochi passi da noi. Soltanto quando sento il vuoto improvviso sotto il mio piede cerco di spingere Orlando verso la strada, ma scivolo sulla terra ormai diventata fango, perdendo l'equilibrio e trascinandolo con me nella caduta.

Rotolo per almeno una decina di secondi senza avere il coraggio di aprire gli occhi, sentendo soltanto la ripidità del terreno trascinarmi in basso ed il corpo di Orlando stretto tra le mie braccia. Quando poi, rallentando, incontriamo il punto d'arrivo della piccola discesa rimaniamo immobili, accucciati nella penombra di quel piccolo pezzo di deserto come in attesa di qualcos'altro, o forse semplicemente stupiti che la cosa sia finita così in fretta. Dopo un po' sollevo le ciglia e, col cuore a mille, faccio un profondo sospiro. Per fortuna non c'erano rocce...

"Si, siamo veramente due stupidi... ", mormoro, alzando la testa verso il margine della strada oltre il quale intravedo la vaga luce dei fari dell'auto, attraversata trasversalmente dalla pioggia. "E' la seconda volta in mezz'ora che rischiamo di morire in un modo davvero stupido. Un bel record".

Sospiro ancora, ma il mio pensiero torna immediatamente ad Orli. Abbasso gli occhi su di lui, disteso di schiena e coperto in parte dalle mie gambe.

"Stai bene?".

Orlando fissa il mio sguardo preoccupato, quindi si lascia andare in un'altra risata.

"Mai stato meglio".

Io alzo un angolo della bocca, sollevato.

"Un po' infangato, forse", dico, cercando di pulirgli una guancia sporca di terra con le dita ma finendo solamente per peggiorare le cose. "Ma sicuramente molto sexy".

Lui ridacchia una seconda volta. Avvicina il mio viso al suo, circondandomi il collo con le braccia coperte di fango.

"Concordo assolutamente... ".

Le nostre labbra si incontrano ancora, ma dopo esserci abbracciati più volte rigirandoci sul terreno rossastro e denso sotto di noi ci blocchiamo di colpo, interrotti dal fragore assodante di un tuono che, insieme al suo lampo, illumina i nostri corpi stretti l'uno all'altro sul fondo della piccola scarpata. Orlando starnutisce, ed io scoppio a ridere.

"Mmh... anche se l'idea era piuttosto allettante, forse è meglio se continuiamo a raccontarci quello che non ci siam detti per cinque anni una volta arrivati al motel... ", riprendo maliziosamente, sfiorando un suo capezzolo con la lingua per poi allontanarmi a malavoglia e riabbassargli la maglietta bagnata sul ventre.

Lui riapre gli occhi, fissandomi con un po' di frustrazione ed un po' d'imbarazzo.

"Hai... hai ragione", bisbiglia rabbrividendo. Nonostante il diluvio la temperatura non è molto bassa, ma siamo stati decisamente troppo a lungo sotto l'acqua.

Lo attiro verso di me. Senza troppe difficoltà ci rimettiamo in piedi, e stando attenti a non scivolare riusciamo, in pochi minuti, a tornare alla macchina. Saliamo senza dirci nient'altro, ma una volta chiuse le portiere e girata la chiave nella toppa un rumore gracchiante e stentato mi suggerisce la peggiore delle ipotesi.

"Batteria scarica", dichiaro. Guardo Orlando, e alzando le spalle strizzo un occhio. "Avevi dei dubbi, per caso?".

Lui, per tutta risposta, ride.

 

*

 

"Però, litigare così per qualche altro anno non sarebbe stato poi tanto male... ".

Orli alza il viso al cielo, tirandosi per l'ennesima volta indietro i lunghi ciuffi scuri. Torna a guardarmi, ed un sorriso ironico gli si delinea sulle labbra.

Io lo fulmino con un'occhiata, affettuosamente. Cerco di sistemarmi meglio il borsone sulle spalle, quindi torniamo entrambi con gli occhi verso l'orizzonte, alla ricerca del motel ormai vicino. Anche se sono le sei passate ancora non c'è anima viva in giro, e le corsie sono completamente sgombre. Visti così, carichi di valigie e bagnati fradici mentre camminiamo sul lato di una superstrada nel bel mezzo del deserto all'alba, probabilmente sembriamo due autostoppisti reduci da una notte parecchio sfortunata. Ma, decisamente, non è il nostro caso. Non è il mio. Per me, infatti, questa è stata la notte più fortunata della mia vita. E la più bella.

"Adesso, però, voglio saperlo", esclama d'un tratto Orli, scuotendomi dai miei pensieri. Mi giro, allargando la bocca senza capire.

"Che cosa?".

"Se sei stato geloso. Per Karl".

Resto per un istante a fissare i suoi occhi pieni di malizia, quindi comincio a scuotere lentamente la testa.

"Oh, no... non dirmi... ".

"Invece si".

"Oh, brutto... ".

Mollo le valigie sull'asfalto, per gettarmi su di lui e vendicarmi con qualche secondo di crudele, spietato solletico. Finisco per immobilizzarlo tenendogli le braccia bloccate con una mano, mentre l'altra è ferma intorno alla sua vita. Lo bacio sul collo, e lui getta la testa all'indietro, incontrando la mia spalla. Ridiamo.

"E così l'hai fatto per vedere se mi ingelosivo... ".

"Beh... no, non proprio. Più che altro per disperazione", spiega. Si scioglie dal mio abbraccio, ed evitando di guardarmi raccoglie la propria borsa. "E' che... ormai ero praticamente certo che non fossi ricambiato. Cioè... per tutti questi anni, non è mai successo nulla tra noi. E di certo non mi ero fatto illusioni in questi giorni quando... ci siamo rivisti. Però... forse, dentro di me... beh, ci speravo. O lo sentivo, chi lo sa". Mi sorride. "Comunque, è per questo che ieri notte ho deciso di ubriacarmi, e di lasciarmi andare con Karl. Ero davvero giù di morale, te lo assicuro. E questa mattina non eri soltanto tu ad essere al limite".

Io distendo le dita delle mani, stringendole a pugno un paio di volte e facendo dei lunghi, profondi respiri per dimenticare la scena della sera prima. Controllo, Viggo. Controllo. Ricorda che se non fosse stato per Karl probabilmente non sarebbe successo proprio nulla, su questa strada...

"Mh, lo sai vero che dovrò comunque picchiare il nostro caro collega per aver osato metterti le mani addosso?", gli dico serio.

Lui mi fissa sconvolto, ed io scoppio a ridere.

"Sto scherzando", riprendo con un sorrisetto. Forse, aggiungo nella mia mente. Recupero la valigia, e ricomincio a camminare. "Ma quello che ti ho detto quando... ti ho baciato, alla macchina, è vero".

La sua espressione, da imbronciata ed ironica, cambia. Si fa distesa, e dolce.

"Voglio avere il controllo su di te. Essere... con te, sempre. Anche quando sei lontano", mormoro piano, guardandolo negli occhi. "Essere il primo e l'ultimo dei tuoi pensieri, ogni giorno".

Si ferma, ancora. Le nuvole hanno coperto l'ultimo spiraglio di sole, ad est. Ma anche se tutta l'Arizona si è svegliata sotto ad un mattino grigio e cupo questo piccolo, piccolissimo angolo d'asfalto bagnato sembra luminoso più di cento giornate estive. Ed il cielo sopra di noi terso, e azzurro.

Rimaniamo a guardarci senza dire nulla, mentre la pioggia continua a cadere. Non ha diminuito d'intensità, ma chissà come mi pare leggerissima. Gentile.

Sorridiamo. E dopo qualche istante, insieme, ci voltiamo.

Il motel è a cento metri da noi, appena visibile attraverso il velo d'acqua. Ci scambiamo un'ultima occhiata e, ridendo ancora, affrettiamo il passo.

 

 

"Benvenuti. Cosa posso fare per... ".

L'uomo della reception, rimasto fino a quel momento chinato sui fogli sparsi sotto di lui, rialza lo sguardo. Ci squadra, e spalanca la bocca.

Fermi a pochi passi dall'ingresso, madidi d'acqua, gocciolanti e completamente sporchi di terra e fango, io ed Orlando lasciamo cadere tutto per terra. In un attimo, una considerevole pozza d'acqua si forma intorno alle nostre valigie, allargandosi sul pavimento dalle tinte pastello della piccola sala.

"Vorremmo una stanza. Matrimoniale", preciso, sfoggiando il più cordiale dei sorrisi. "Mi raccomando, la migliore che avete".

L'altro sbatte un paio di volte gli occhi, faticando a richiudere la piccola bocca dalla curiosa forma a cuore.

"Ce... certamente, signori", balbetta, voltandosi per cercare meccanicamente una chiave fra quelle appese alle sue spalle e appoggiandola, poi, sul bancone con lentezza. "E quanto... quanto vi tratterrete?".

Lancio un'occhiata veloce ad Orli. La curva della sua bocca assume subito una piega eloquente, mentre i suoi occhi, socchiudendosi, sorridono con le labbra. Mi volto nuovamente verso il proprietario.

"Oh, l'Arizona ci piace moltissimo. Credo... mhh, anche un paio di settimane. O tre. Sa, il deserto è grande da visitare a piedi".

L'uomo sgrana gli occhi, incredulo.

"Co... come?".

Io agito un braccio, e rido.

"Oh, stia tranquillo... e non faccia quella faccia", lo rassicuro, portando l'altra mano alla tasca posteriore dei pantaloni zuppi per sfilare il portafoglio ridotto nelle stesse, identiche condizioni. Lo appoggio sulla superficie della reception provocando un buffo, sordo rumore acquoso. Sorrido un'altra volta. "Paghiamo con carta di credito. In anticipo". 

 

 

FINE

  
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