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Autore: Doll_    10/04/2012    6 recensioni
Piccolo Spin-off su Piacevolmente Ingiusto.
Si consiglia, ma non è necessario, leggere la storia da cui è tratto.
June e Jack sono ormai una coppia, per quanto per i loro caratteri si possa definire tale e, decidendo di andare a trovare il cugino di June, Zac, e la sua famiglia, un piccolo grande desiderio si risveglia nell'animo dei due protagonisti.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'June e Jack'
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I'm here. Always.

 


A tutte coloro
che non hanno mai smesso
di credere nella persona che amano.
E che la amano,
soprattutto per le sue debolezze,
e i suoi difetti;
e che mettono questi,
alla base del loro amore.
Rendendoli un punto di forza.

June.


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“Ohh..sì, così…”
“June..”
“S-sì… Ohh, sììì! Perfetto-OH!”
E un altro gemito uscì dalle mie labbra.
“Se.. continui così però… Mi tenti-ahh…”
La sua voce. Non mi sarei mai stancata di sentirla. Possibile che anche a distanza di anni la mia voglia verso di lui non era mai diminuita ma, bensì, aumentata?
Possibile che ogni volta che uscivamo, sentivo il bisogno di tenere la sua mano stretta nella mia neanche avessimo avuto ancora diciassette anni?
E a diciassette anni, lui, la mano, non me l’aveva mica mai presa.
E a me, ovviamente, era sempre andata bene così.
Perché lui era fatto sbagliato; era una continua altalena di contraddizioni e sensazioni; era un susseguirsi di litigate, arrabbiature, ma anche di gioia e appagamento.
Perché mi sento più me stessa quando sono con lui, che quando sono… con me stessa.
E lo amavo più della mia stessa, insulsa vita –perché vita non è senza di lui.
Lo amavo come se avessi solo quegli attimi, quelle poche ore, per dimostrargli quanto avevo bisogno di sentirlo accanto a me.
Lo amavo come se fosse l’ultimo giorno nel quale potessi amarlo.
E allora ogni volta era normale che mi donassi completamente a lui senza poter desiderare altro che renderlo felice, in modo tale da far imprimere per sempre nella sua mente –come nella mia- quei momenti di unione e pace e serenità che raramente, nella quotidianità, ci caratterizzavano.
“Spingi..aaahh…più forte!”
Non riesco più.. a fare a meno di te.
“Oddio, sì… Sto, per…arhh…”
“Jack, Jack, Jack…”
“Sono qui…sempre… Amore-OOOHHH”
“Sì, sì!”
“…mio...”
“Ohhh!!!”
Solo un mormorio. Solo bisbigli. Solo gemiti. Solo ansiti. Solo noi.
Io e lui.
June e Jack.
Ed un esplosione dentro e fuori che ci teneva stretti l’uno nell’altra senza mai smettere di abbracciarsi e provare lo stesso, identico, piacere nel venire insieme.
I miei pensieri erano sconnessi. I miei occhi semiaperti riuscivano ad intravedere solo il suo viso contratto dall’amplesso. Il mio corpo sentiva unicamente il calore ricoprirlo e riempirlo di sensazioni che solo lui era in grado di trasmettere.
Lui veniva sempre qualche secondo dopo di me.
Diceva che la cosa che lo faceva eccitare di più era la mia espressione di goduria, in piena estasi. Penso lo rendesse quasi orgoglioso. Ed io non potevo che esserne doppiamente felice. Perché era un piccolo dettaglio, ma ciò sottolineava quanto l’uno dipendesse dall’altra e da ogni suo piccolo gesto.
Dopo qualche attimo di silenzio e di ripresa, comunque, restavamo sempre sul letto, ancora abbracciati, in ascolto dei battiti dei nostri cuori che piano piano si acquietavano.
Ora lui, accasciato al mio fianco, stremato, respirava ancora a fatica.
“Jack..?”
“Mh?”
“Ti amo.”
Ed era bello, bello, bello, poterglielo dire apertamente senza più alcun timore di essere rifiutata o di spaventarlo.
Erano passati otto anni, e quell’emozione che ci aveva legati in quei primi anni di liceo, non aveva mai smesso di fare il proprio effetto.
Quindi ero ancora innamorata di quel bastardo che nonostante tutto riusciva a farmi sentire una regina persino in una bettola.
Non rispose. Forse ancora stava metabolizzando il tutto, cercando di riportare a sé, cioè sotto il proprio controllo, il mondo reale.
Ma doveva aspettarselo, dato che ogni volta finito di fare l’amore, glielo ripetevo prima della buonanotte.
Poi ci fu un movimento. Sapevo già cosa stava per fare, ma ogni volta mi scaturiva sempre un’emozione diversa. Bellissima.
Dopo il mio solito “ti amo”, Jack voltava sempre il capo e mi baciava sullo zigomo, poco più sotto dell’occhio. Ed infine, sorrideva. Mi sorrideva.
E quel sorriso valeva molto più di cento ‘ti amo’ messi insieme.
“Domani dobbiamo svegliarci presto… Abbiamo l’aereo alle cinque di mattina.”
Glielo ricordai così. Ma sapevo già che stava per cadere nelle braccia di Morfeo.
“Hn.”
Sono qui. Sempre.
 

 §§§

 
La casa di mio cugino non era affatto male.
Poi, non era proprio da definirsi sua, poiché a quanto mi avevano detto, era della nonna della sua compagna e loro stavano mettendo invece da parte i soldi per comprarsene una di loro proprietà effettiva, così da staccarsi anche dal resto del nucleo famigliare che era un vero bordello data la gente che ci viveva.
Non a caso, in quel momento eravamo seduti nella tavola in cucina -per prenderci un caffè-, della casa del padre di Vic, che era attaccata alla loro tanto da avere pure una porta comunicante.
Vic, tanto per capirci, era la famosa compagna di Zac, cioè mio cugino, che ero venuta a trovare per presentargli Jack. L’uomo della mia vita.
Io e Zac ci passavamo solo quattro anni di differenza ed eravamo stati allontanati per parecchi anni a causa dell’incidente che aveva causato la morte dei suoi genitori.
Non eravamo proprio cugini carnali, ma da bambini eravamo così uniti che per poco non lo scambiavo per un fratello.
Comunque Zac era stato dato in affidamento a sua nonna Annie, che viveva appunto in Italia –dove ci trovavamo noi adesso-, mentre suo fratello maggiore, Jack –non il mio, eh-, era rimasto con altri parenti a New York.
Una storia molto sconclusionata, ma lo stesso con i suoi risvolti positivi data la bella famiglia che era riuscito poi a crearsi.
Fortunatamente mi ricordavo ancora molto d’italiano e quindi per me, interloquire con loro, non fu affatto difficile; ma per Jack, che non ci capiva un tubo e d’italiano sapeva mezza parola, fu una vera impresa, tanto che i discorsi di Victoria eravamo costretti a tradurglieli o io o Zac.
“Altro caffè, ragazzi?” Chiese lei, con un sorriso dolcissimo.
“No, no, grazie. Siamo apposto così.” Risposi di rimando, sapendo quanto a Jack facesse schifo il caffè da quella famosa sera della festa di carnevale nella quale ci si era quasi affogato per far passare più velocemente la sbornia.
“Il viaggio è stato duro?”
Vedere uno Zac quasi trentenne mi faceva ancora una strana impressione, ma inutile dire che la sua bellezza invece che affievolirsi, non aveva fatto altro che intensificarsi e renderlo ancora più affascinante di quanto lo era a vent’anni.
“Un po’… Ma io ci sono abituata. Per Jack è stato leggermente più traumatico.”
..E la sua espressione comatosa ne era la prova lampante.
“Eh, si vede! Non ti piace molto l’aereo, Jack?” Sorrise mio cugino, cercando di attaccare bottone con quel cerebroleso del mio ragazzo.
“Mh, diciamo che non impazzisco all’idea di salirci sopra come June, ecco.” Rispose, sorridendo a sua volta.
“Non ti piace viaggiare, quindi?”
“No, non tanto.” Ammise, con un sospiro afflitto, ma con gli occhi ancora sorridenti. “Lei invece lo ama.” Continuò, indicando me.
“Siete gli opposti, effettivamente.” Commentò, Vic, facendomi arrossire.
Gli opposti si attraggono.
Ed infatti anche Zac e Victoria erano inseparabili nonostante lui fosse un tipo estroverso e solare, mentre lei una tipa più timida e riservata.
Oramai io e Vic eravamo diventate amiche strette, dato che in un periodo nel quale avevo litigato furiosamente con Jack –prima del matrimonio di Maggie-, ero partita per l’Italia a trovarli, creando così una forte intesa con quella ragazza di quattro anni più giovane di me, che mi aveva aiutata, con la sua forza da leonessa, ad affrontare uno dei momenti più bui della mia vita.
“Mamma, mamma! Posso andare fuori a giocare?”
Improvvisamente fece capolino nella cucina una testolina mora, piena di ricci come Victoria, con due occhioni azzurri come Zac, che cercava di nascondersi dietro al vestitino per non far vedere i rossi alle guance, segni della sua timidezza.
“Ma non stavi dormendo?” Rispose Vic, leggermente confusa dalla sua apparizione.
Jack rimase un attimo paralizzato di fronte a quella visione e già m’immaginavo cosa stesse pensando.
Victoria era più piccola di noi e già aveva due figli.
Lucy, la bambina che era appena entrata, e Jonathan, che probabilmente era a giocare con i suoi zii Marco e Mattia –fratelli gemelli di Vic.
Anche Lucy e Jon erano fratelli gemelli, ma eterozigoti, ovviamente.
Io piano piano ci stavo facendo l’abitudine, ma di primo impatto mi lasciava sempre molto a cui pensare.
Come, ad esempio, a quando anche io e Jack avremmo avuto dei bambini.
Seli avremmo avuti.
Di solito, nella vita in America, non ci pensavo mai. O meglio, cercavo di non pensarci mai. Ma lì, in Italia, improvvisamente ogni senso materno si ampliava e la voglia di poter creare anche io una famiglia tutta mia, cresceva e si faceva più impellente; quasi opprimente.
Solo una volta, io e Jack avevamo affrontato l’argomento.
Lui voleva tempo, perché non era sicuro di poter permettersi una responsabilità così grossa come un figlio. Diceva che sentiva di dover ancora maturare quel senso paterno e che per nulla al mondo avrebbe rischiato di diventare un padre come il suo.
Assente, incapace di emozioni umane e troppo esigente.
Sosteneva, scherzando, che per certe cose, a lui, gli ci sarebbe servita una scuola.
Io, comunque, non avevo fretta e lo avrei aspettato sempre.
“Poi mi sono svegliata.” Rispose la piccola, ridestandomi da quei pensieri.
“E perché vuoi andare fuori?”
“Perché ci sono i maschi!”
I maschi, ovviamente, erano Marco, Mattia e Jonathan.
“Ma loro stanno giocando a pallone, Lucy.”
“Li voglio solo guardare!”
“Eh, lo so io perché vuole uscire così tanto la signorina…” Sospirò con fare saccente, Zac, guardandola si sottecchi.
Lucy soppresse un risolino birichino, coprendosi la bocca con le manine, poi, volgendo lo sguardo al padre urlò: “Papàààà!!!”
“Perché dici così?” Gli chiese, curiosa, Vic, sorridendo nel vedere sua figlia così imbarazzata.
“E’ arrivato Andrea, l’amichetto di Marco.”
Me lo ricordavo, quel bambino con l’espressione perennemente imbronciata e quegli occhi verdi talmente espressivi.
Era il fratellino minore di Susanna, la migliore amica di Victoria.
Marco, Mattia e Andrea ora facevano la prima media, mentre Lucy e Jonathan avevano solo quattro anni.
A Jack, Andrea, gli sarebbe sicuramente andato a genio.
Praticamente erano uguali.
Quando lo avevo conosciuto per la prima volta, e stavo male per Jack, non ero riuscita a sostenere la somiglianza nei caratteri fra i due, ed ero subito andata a rinchiudermi in camera per cercare di levarmi quella tristezza di dosso.
“Lucy! Ti sei presa una cotta per Andrea!?”
Victoria e la sua espressione da finta sorpresa erano troppo buffe. Così tanto che anche Jack si mise a ridere, vedendo poi come il rossore si espanse su tutto il faccino di Lucy.
“M-ma, no!” Tentò la bambina, cercando di non guardare le espressioni che le rivolgeva il padre per farla cedere, ma che invece la facevano ridere sempre di più.
“Zac, lasciala stare un po’!” Lo rimproverai scherzosamente.
“Sì, ma guarda che io sono geloso, eh ragazzina.”
Inutile. Quel babbuino in veste di padre proprio non ce lo vedevo.
E, allora, anche Jack ne sarebbe stato in grado…
“ZIAAAAAA!!!”
Lucy, accortasi improvvisamente della mia presenza, mi saltò addosso con così tanta forza che quasi caddi addosso a Jack che era seduto al mio fianco.
“Amore mio! Neanche un bacetto mi hai dato!”
Ma nemmeno il tempo di finire la frase che già mi aveva sbavato mezza faccia.
 

 §§§

 
“Prima… con Lucy, ti ho osservato.”
Jack ed io eravamo arrivati finalmente nella stanza d’hotel e stavamo sistemando le nostre cose per il soggiorno.
Quel pomeriggio era stato fantastico. Dopo il primo approccio impacciato, Zac e Jack si erano praticamente chiusi nei loro discorsi tanto estraniare me e Victoria, costringendoci quasi ad andare fuori a dipingere insieme a Lucy mentre ogni tanto tenevamo d’occhio anche Mattia, Marco, Andrea e Jonathan.
Sì, quella casa era praticamente un parco giochi.
Dopo pochi minuti, comunque, erano usciti anche gli uomini e così Zac aveva convinto Jack a giocare a calcio insieme ai bambini, donandomi una delle visioni più belle della mia vita. La spensieratezza sul volto del mio biondo era qualcosa di magnifico.
Se l’avessi potuto conoscere da bambino, probabilmente sarebbe stata quella l’espressione che avrebbe avuto. E quasi mi dispiaceva che certe esperienze avevano indotto quell’infantilità dolcissima a ridursi, fino a nascondersi in qualche parte del suo subconscio. Sì, nascondersi. Perché poi quella parte finalmente era uscita fuori.
Forse nostro figlio avrebbe preso proprio quello da lui.. sarebbe stato davvero bello.
“Anche io ti ho guardato giocare con i bambini.”
“Sì, ma… Non so, è stato…”
“Strano. Sì, lo so. Capisco.”
“Ho quasi avuto la voglia di averne uno. Un bambino tutto nostro, intendo.”
Deglutii a vuoto. Il cuore aveva perso forse quattro battiti.
“Mh.. quasi?” La voce era un sussurro roco, spezzata dall’emozione di sentire quelle parole uscire dalle sue labbra.
“Tu saresti una madre perfetta.”
“Anche tu saresti un padre perfetto, Jack.”
Gli sorrisi e decisi di alzarmi e andargli incontro per guardarlo dritto negli occhi e trasmettergli la mia stessa sicurezza.
“N-no… Non credo.”
Ed era in quei momenti che riaffiorava invece quella parte di Jack che amavo quasi più delle altre. Più di quando faceva lo spavaldo, l’indifferente, il coraggioso o il saggio della situazione.
Amavo quella parte piena di incertezze, di confusioni, di turbamenti… perché quando veniva fuori faceva scorgere ai miei occhi ciò che veramente era: un uomo fatto anche lui di carne; di dubbi, il quale sentiva addosso tutto il peso del mondo sulle proprie spalle. La amavo di più perché quella era la sua parte debole e, quindi, quella che più delle altre necessitava di essere protetta, curata e sostenuta.
Quella che più di tutte meritava di essere amata.
“Guardami negli occhi, Jack.” Verde nell’azzurro. “E’ vero. Nessuno è perfetto in niente, e probabilmente io e te siamo la coppia più disastrosa dei tempi. A malapena riusciamo a badare l’uno all’altra, quindi figurati ad un bambino. Ma questo non significa che non potremmo mai averne uno, in futuro. Perché se sono certa di una cosa, è che voglio passare il resto della mia vita con te, ed una famiglia la desidero. Vorrei potermi alzare cinquanta volte la notte per cullare un fagottino e riuscire a farlo addormentare. Vorrei potermi soffermare a guardarlo ore e ore solo per scorgere somiglianze del tuo viso nel suo. Vorrei poter litigare con te nel bel mezzo del supermercato per una stupida marca di pannolini e vorrei poterti vedere giocare a calcio con lui fuori al giardino mentre io tento di cucinare un pranzo decente. Vorrei sentirlo chiamarti “papà” e vorrei sentirmi chiamare “mamma”. Vorrei che al suo primo giorno di scuola lo accompagnassimo insieme e vorrei trattenerti dallo sbroccare alle maestre ai colloqui coi genitori. Vorrei poterlo vedere crescere al tuo fianco, insieme a te. Vorrei diventare nonna e stringerti forte la mano dall’emozione. Perché è questo che desidero. Invecchiare con te, Jack. Trascorrere ogni momento della mia vita in tua compagnia. Mi basterebbe un solo sorriso per raggiungere il paradiso… e sarebbe stupendo se quel sorriso fosse stampato anche sul viso di un nostro figlio.”
E se non bastò quel discorso uscito dal nulla, a farmi scoppiare, di certo le lacrime di Jack furono la goccia che fece traboccare il vaso.
Così lo abbracciai più stretto che potei, sentendolo talmente fragile come mai prima di allora, e piangendo insieme per la prima volta da che ricordassi, sfogandoci poi in una notte piena di passione nella quale, stringendoci prima dell’unione, mi sussurrò delle parole che mai dimenticherò in vita mia.
“I tuoi occhi… Vorrei una bambina con i tuoi occhi.”

§§§

 
Nove mesi dopo nacque Samantha. Con dei lunghi capelli biondi, un sorriso che avrebbe raccontato la storia di un amore mai separato… e due occhi verdi smeraldo.

 
 
 
 










Angolo Autrice:
Ta-daan… Tanto tempo ed una notte insonne per scrivere questo spin-off ed ora quasi mi commuovo.
Probabilmente sarebbe dovuta essere stata questa la fine più adatta alla storia di June e Jack, e l’unica cosa di cui mi dispiace è che sia venuto fuori un capitoletto così corto. Avrei potuto scrivere altro, però le dita sono andate da sole ed hanno tirato fuori questa sottospecie di epilogo che spero comunque sia di vostro gradimento.
Godetevelo tutto, perché non ce ne saranno altri, ahimè.
La storia finisce definitivamente qui, com’è giusto che sia, ma io non smetterò mai di ringraziarvi per le vostre splendide recensioni lasciate a Piacevolmente Ingiusto.
Ah, per chi lo volesse sapere, Zac e Vic sono i protagonisti della mia prima storia Un Gigolò in Affitto, mentre Marco, Mattia e Andrea (più un altro personaggio che conoscerete leggendo) sono i nuovi protagonisti della mia nuovissima storia Amici di Letto.
Concluso lo spazio pubblicità, me ne vado direttamente a nanna e vi auguro una buona lettura!
Un bacionissimo: Doll_
 

 
 
   
 
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