The Best Day Ever
Lo sceriffo Emma
Swan sedeva a un tavolo del Granny’s diner,
sorseggiando distrattamente il suo caffè mentre scorreva il quotidiano e
aspettava l’arrivo di Henry. Di solito, Emma faceva colazione a casa e
poi incontrava Henry all’imbocco della strada che portava a casa sua. Ogni
mattina lo accompagnava a piedi alla fermata dell’autobus prima di
dirigersi in ufficio, ma non oggi. Oggi era il Giorno del Lavoro: ciò
significava che ogni bambino della classe di Henry avrebbe dovuto scegliere una
persona in città il cui mestiere lo affascinava e fargli da ombra per
tutto il giorno.
Emma era
abbastanza sicura che Henry non fosse poi così interessato nel diventare
sceriffo, ma poiché la sua insegnante era Mary Margaret, naturalmente la
richiesta di passare la giornata con lei alla stazione di polizia era stata
accettata. Regina si sarebbe di certo infuriata quando l’avesse scoperto:
con lei non esistevano ‘se’, scopriva sempre tutto.
Ma per la
prospettiva di poter passare un giorno intero con suo figlio, Emma avrebbe
volentieri marciato tra le fiamme dell’inferno – il che era un paragone
perfetto con le ire di Regina. Per fortuna, da quando lei era diventata
sceriffo, Regina sembrava più attenta nello scegliere quali battaglie
intraprendere. Sperava che quella di oggi passasse sotto silenzio.
La fredda brezza
mattutina le scompigliò i capelli ed Emma, impaziente, sollevò lo
sguardo per vedere chi fosse entrato. Ma era solo David Nolan,
che rise al vedere la sua espressione delusa.
« Cosa c’è
che non va, sceriffo? Aspettava qualcun altro? » scherzò, e
annuì quando Ruby gli chiese se voleva il solito.
Emma si
raddrizzò un po’ sulla sedia e cercò di stabilire quanto
dovesse mostrarsi amichevole con l’uomo che aveva spezzato il cuore della
sua amica... della sua migliore
amica.
Ma David era il
fascino fatto persona mentre cominciava a chiacchierare sul suo lavoro al
rifugio per animali. Presto Emma si ritrovò a sorridere e persino a
ridacchiare al resoconto delle disavventure che aveva vissuto per via di un
gattino che continuava a perdersi e a distruggere tutto.
« Quand’ero
piccola avrei tanto voluto un gattino » confessò; poi si morse il
labbro e distolse lo sguardo.
E quell’aneddoto
da dove sbucava? Non ne era sicura. Erano anni che non pensava più al
disperato desiderio che aveva accompagnato tutta la sua infanzia, quello di
avere un cucciolo tutto suo, qualcosa che le appartenesse completamente.
E non era da lei
condividere una cosa così personale con un uomo che conosceva appena, un
uomo che aveva calpestato i sentimenti di Mary Margaret...
« Mi
dispiace che non ne abbia mai avuti. Ogni bambina dovrebbe avere un gattino... »
La voce di David si spense; all’improvviso sembrava confuso.
« Signor Nolan? David, sta bene? » chiese, allarmata.
Lui scosse
appena la testa e poi rise. « Mi scusi, immagino che la mia mente non si
sia ancora del tutto ripresa... Per un istante, avrei giurato di averle
già parlato di un gattino. Ma noi non ci siamo mai incontrati prima che
mi svegliassi, dico bene? Le nostre strade non si sono mai incrociate prima di
allora. »
Emma scosse la
testa. « No. Era già in coma quando sono arrivata in città.
»
Ruby venne a
depositare di fronte a lui i suoi caffè da portar via.
David si
alzò e li afferrò. « Devo andare. Kathryn
mi sta aspettando... Ma volevo chiederle se per caso non avesse voglia di darmi
una mano. Lo sceriffo Graham faceva volontariato al rifugio un paio di sere a
settimana, e potremmo davvero aver bisogno di altro aiuto. »
« Oh, non
so... » La voce di Emma si affievolì mentre la porta si apriva di
nuovo. Il sorriso che di colpo le si allargò sulle labbra
illuminò tutto il locale.
David si
voltò per scoprire Henry che si avvicinava. Sorrideva anche lui mentre
ricambiava lo sguardo di Emma. « Va bene, vi lascio alla vostra colazione
insieme. Ma mi promette che ci penserà? »
Lei annuì
e lui se ne andò.
Il sorriso di
Henry era una copia del suo mentre si lasciava cadere sulla sedia di fronte a
lei. Alzò gli occhi su Ruby, che era dietro il bancone. « Cialde! »
esclamò.
La giovane donna
inarcò un sopracciglio.
« Per
favore? » aggiunse lui, coi suoi migliori occhi da cucciolo. Ruby rise e
cominciò a occuparsi della sua ordinazione.
Quel giorno Emma
assaporò ogni momento che poté trascorrere con Henry. Non avevano
fatto quasi nulla, ma non importava. Dopo tante settimane in cui aveva potuto
vederlo appena, questo tempo insieme a lui era prezioso.
Mangiarono cibi
preconfezionati, scarrozzarono sulla macchina della polizia (Emma lasciò
persino che Henry suonasse la sirena un paio di volte) e andarono a passeggiare
sotto il ponte a pedaggio. Emma non aveva mai passato una giornata intera con
Henry prima d’ora. Niente Regina, nessuna adolescente incinta che
scappasse con un bambino promesso al signor Gold...
Era bellissimo. Era perfetto. Soltanto loro due.
La parte
migliore furono le conversazioni. Per un tacito accordo, oggi l’Operazione
Cobra non esisteva. Così quei due solitari, probabilmente due delle
persone più sole in tutta la città, parlarono l’uno all’altra
solamente di se stessi.
Henry voleva
sapere di più sull’infanzia di Emma. All’inizio per lei fu
difficile aprirsi, ma più cose condivideva, più diventava facile.
Nonostante crescere fosse stata una faccenda solitaria e difficile, c’erano
stati anche dei bei momenti: quando aveva tredici anni, la famiglia affidataria
con cui era vissuta per tre anni e mezzo l’aveva portata a Disney World...
A quindici anni aveva battuto il colpo decisivo al torneo di softball della
scuola... A diciassette aveva vinto dei biglietti di prima fila per un concerto
di Madonna... E per il suo ventunesimo compleanno era andata a Vegas e aveva
vinto settemila dollari al poker.
« E tu? Voglio
dire, so che Regina non è proprio la mamma ideale, ma di certo ti
avrà regalato dei bei ricordi... »
Henry rimase zitto
a lungo. Emma si accontentò di lasciarlo pensare in silenzio, mentre camminavano
tra gli alberi.
« No. Non
è stato tutto brutto. Andava meglio
quando ero più piccolo e non capivo la differenza tra cose buone e cose
cattive. Non mi sono mai sentito affamato; ho sempre avuto i migliori vestiti e
giocattoli che il denaro possa comprare. Quando stavo male, lei restava sempre
a casa dal lavoro e si prendeva cura di me. Una volta mi ha portato a
cavalcare. È stato parecchio fico... » S’interruppe con un
sorriso di nostalgia.
« Sul
serio? Cavalli? Sei più
coraggioso di me » disse Emma con un leggero brivido.
Henry
alzò lo sguardo su di lei, sorpreso. « Non ti piacciono i cavalli?
» chiese.
Emma
incrociò le braccia e gli lanciò un’occhiata, sulla
difensiva. « Sì che mi piacciono. È... è solo che
nessuno mi ha mai insegnato a cavalcarne uno, ecco tutto. »
Lui sbuffò
e lei gli diede una spintarella scherzosa.
« Cos’altro
ti ha insegnato? » gli domandò qualche minuto dopo, quando
raggiunsero il fiume.
Henry raccolse
qualche sasso e cominciò a cercare di farli rimbalzare sull’acqua.
Emma si unì a lui, ma nessuno dei due ebbe successo. La corrente era
troppo forte.
« Uhm,
quando avevo sette anni, un bambino della scuola mi ha invitato a una festa in
piscina. Io le ho detto che non volevo andarci perché non sapevo
nuotare. Lei ha detto che avrei potuto prendere delle lezioni, ma io non ho
voluto, così le ho detto la verità... che non andavo molto d’accordo
con gli altri bambini a scuola. Era così arrabbiata che le avessi detto
una bugia. Ha cominciato a gridare e a lanciare cose in giro... »
Rabbrividì.
Emma gli
posò una mano confortante sulla spalla.
« Poi, il
giorno dopo, era come un’altra persona. Mi ha portato in una palestra con
una grande piscina coperta. Penso che avesse pagato qualcuno perché la
tenessero chiusa, perché siamo stati soli io e lei per tutto il giorno. Mi
ha insegnato a nuotare, e abbiamo giocato a fare le sirene... è stata l’ultima
volta che ha giocato con me. Dopo, tutte le volte che le ho chiesto di andare a
nuotare insieme, mi diceva sempre che aveva da fare, e poi non ero troppo
grande per giocare ancora a facciamo-finta? »
Emma
sospirò e gli strofinò la spalla. « Nuotare. Quindi, sai
cavalcare e nuotare. Due cose che io non ho mai imparato a fare » ammise.
« Non sai
neanche nuotare? » domandò lui sbalordito.
Lei scosse la
testa, sorridendo. Camminarono in silenzio per qualche minuto, ascoltando il
rombo dell’acqua.
« I miei
compleanni sono sempre stati divertenti. Si assicurava che avessi tutto quello
che desideravo e non era mai troppo impegnata per farmi divertire »
confessò Henry all’improvviso.
Emma
annuì, ma non disse nulla. Ascoltare i suoi bei momenti con Regina era
una cosa dolceamara. Dolce perché era grata che Regina fosse riuscita a
regalargliene, amara perché la paura che lui aveva di Regina sembrava inquinarli.
Aveva dato Henry in adozione nella speranza che qualcuno gli assicurasse un’infanzia
migliore, una vita migliore, di
quella che avrebbe potuto dargli lei. Ma a quanto pareva si era sbagliata.
« Raccontami
del tuo compleanno più bello in assoluto » disse lui all’improvviso,
spezzando quei tristi pensieri.
« Il più
bello in assoluto? » Si fermò e raccolse le idee. « Mmm, beh, avevo finalmente acciuffato questo tipo che non
pagava le cauzioni e di cui avevo seguito le tracce per settimane. In effetti
ci ho anche guadagnato un bel po’... »
« Quindi
hai ottenuto molti soldi? È un compleanno piuttosto bello. »
Emma scosse la
testa. « No, non è questa la parte bella. Ero così indietro
con le bollette che non mi è rimasto molto. Però avevo abbastanza
soldi da fermarmi in un ottimo negozio di dolci mentre tornavo a casa. Ho preso
un cupcake alla vaniglia con crema di formaggio. Costava
dieci dollari e li valeva tutti, fino all’ultimo penny. »
« Okay,
hai acchiappato un tipo, hai fatto tanti soldi e hai mangiato un cupcake costosissimo? Beh, immagino sia un bel compleanno »
disse Henry con una risata.
Ma Emma scosse
di nuovo la testa.
« C’è
altro? Cosa, una coppetta di gelato da cinquanta dollari come dessert? »
scherzò lui.
« No, ho
comprato una... candelina. Per il cupcake... E poi l’ho
accesa, ho espresso un desiderio e ho soffiato. »
« Che cosa
hai desiderato? » chiese Henry incuriosito.
Emma prese un
respiro e batté le palpebre, per scacciare le lacrime che minacciavano
di cadere. « Ho desiderato che, per la prima volta in tutta la vita, non
dovessi passare il mio compleanno da sola. »
Henry rimase in
silenzio per un attimo; gli occhi gli si illuminarono mentre cominciava a intuire
cosa gli stava raccontando. « E... il tuo desiderio si è avverato?
»
Annuì. «
Appena ho soffiato sulla candela, qualcuno ha bussato alla porta. Quando l’ho
aperta ho trovato questo ragazzino che mi diceva che io ero sua madre. Vedi,
era venuto per portarmi a casa, là dove appartenevo. Ed ecco perché
è stato il miglior compleanno che abbia mai... »
Le braccia di
Henry di colpo erano avvolte strette attorno alla sua vita. Il viso era nascosto
nel suo stomaco, ma Emma avrebbe potuto giurare che stava piangendo.
Lo strinse
forte, poi gentilmente allentò la stretta delle sue braccia. Si lasciò
cadere in ginocchio così che lui potesse guardarla dall’alto. Solo
qualche mese prima si sarebbe ritrovata all’altezza dei suoi occhi. Stava
crescendo così in fretta...
« È
stato anche il mio compleanno preferito » disse Henry, asciugandosi gli
occhi.
Emma rise. «
Non era il tuo compleanno... »
« Sì
che lo era! È stato il mio compleanno, Natale e le vacanze estive, tutto
insieme! Tu hai espresso un desiderio, io ne ho espressi un milione! Sempre lo
stesso fin dal giorno che ho saputo che ero stato adottato... Sempre quello!
Tutte le candeline dei compleanni, tutte le monete nelle fontane, tutte le
stelle cadenti. Ogni notte guardavo fuori dalla finestra e desideravo che tu
fossi qui. E adesso vorrei... » S’interruppe, abbassò il
capo e si coprì il viso con le mani.
Emma
sentì una stretta allo stomaco. Stava per dirle che voleva che lei
credesse alla sua teoria delle favole?
« Cosa,
Henry? Cosa desideri adesso? » domandò, tirandogli via le mani dal
volto.
« I-io... è solo che... Lei cerca in tutti i modi di
farti andare via! Vuole che tu molli tutto e decida di andartene. Così,
ogni notte desidero che resti. Desidero che la mattina, quando l’autobus
passa davanti alla stazione di polizia, la tua macchina sia lì. E quando
la vedo sono felice perché so che avrò un altro giorno... »
Emma lo abbracciò
forte, incapace di trattenere le lacrime. Le parole che seguirono, pronunciate
in un sussurro stridulo, furono rotte dai singhiozzi. « La ragione per
cui quel compleanno è stato il migliore... è perché è
stato solo il primo. Adesso ogni
compleanno sarà il più bello in assoluto, perché ho te. Henry,
io non ti lascerò mai. Lo sai, vero? Tua... Regina potrà anche
cercare di tenerci lontani, ma io non sarò mai lontana. »
Henry non aveva
mai sentito niente di così bello.
Emma prese un
profondo respiro e lo tenne stretto all’altezza delle braccia.
« Devi
capire una cosa. Non ne avevo l’intenzione, ma penso di averti
abbandonato quando sei nato. Non sapevo che cosa sarebbe successo, Henry, e mi
sentirò sempre in colpa per averlo fatto. Ma ti giuro che non
commetterò mai più quell’errore. Mai. »
Si fissarono, le
lacrime che scorrevano sui loro volti. « Lo so. »
Lo abbracciò
di nuovo. Poi sobbalzarono entrambi al rumore improvviso di un rametto
calpestato: Mary Margaret e David Nolan venivano di
corsa verso di loro.
David era andato
a prendere Mary Margaret per accompagnarla a casa, quando era comparso il
sindaco.
« Emma!
Regina è venuta a scuola, lei... Cos’è successo? Perché
piangete? » domandò la giovane insegnante.
Emma e Henry si
asciugarono in fretta le guance con le mani sporche. « Noi, uh... stavamo
condividendo un momento » spiegò Emma, sorridendo a David quando
lui le tese un fazzoletto.
Si asciugò
velocemente il viso e lo passò a Henry perché facesse lo stesso. I
sorrisi che illuminavano entrambi rassicurarono Mary Margaret e David.
« Beh,
Regina non è molto contenta, come puoi immaginare. Ho dovuto dirle che
era con te » ammise Mary Margaret con aria colpevole.
Emma rise e
tutti la guardarono come se fosse impazzita. « Non importa » disse,
guardandoli negli occhi uno ad uno, e inginocchiandosi infine di fronte a Henry.
« Regina non ha niente a che fare con noi. Henry, noi siamo i buoni... »
« ... e le
buone » intervenne Mary Margaret.
«
Sì, e le buone. E il bene vince sempre, alla fine. »
« È
vero. Il bene vincerà sempre sul male » disse David, sorridendo.
Tutti e quattro
si voltarono e si rincamminarono verso la stazione dello sceriffo, dove
sapevano che avrebbero trovato Regina ad aspettarli.
Emma rise quando
David s’inginocchiò per portare Henry a cavalluccio. La mano di
Mary Margaret si strinse attorno alla sua, e lei s’immerse completamente
nelle risate e nei sorrisi che la circondavano, desiderando che fosse per
sempre così.
La parola ‘famiglia’
continuava a fluttuarle in mente e, anche se con ogni probabilità non l’avrebbe
mai ammesso ad alta voce, sapeva che una piccola parte di sé, nel
profondo, sperava che Henry avesse ragione su tutto. Che fossero davvero una famiglia e che lei, Emma,
avrebbe spezzato la maledizione che li aveva allontanati, e poi avrebbe
sconfitto la Regina Cattiva una volta per tutte.
Il suo sorriso
si allargò. Anche così, non importava. Aveva oggi. Loro avevano oggi. E questo era davvero
il giorno più bello in assoluto.