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Autore: RicksIlsa    10/04/2012    3 recensioni
« Okay, hai acchiappato un tipo, hai fatto tanti soldi e hai mangiato un cupcake costosissimo? Beh, immagino sia un bel compleanno » disse Henry con una risata.
Ma Emma scosse di nuovo la testa.
« C’è altro? Cosa, una coppetta di gelato da cinquanta dollari come dessert? » scherzò lui.
« No, ho comprato una... candelina. Per il cupcake... E poi l’ho accesa, ho espresso un desiderio e ho soffiato. »
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: David Nolan/Principe Azzurro, Emma Swan, Henry Mills, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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The Best Day Ever

 

 

 

 

Lo sceriffo Emma Swan sedeva a un tavolo del Granny’s diner, sorseggiando distrattamente il suo caffè mentre scorreva il quotidiano e aspettava l’arrivo di Henry. Di solito, Emma faceva colazione a casa e poi incontrava Henry all’imbocco della strada che portava a casa sua. Ogni mattina lo accompagnava a piedi alla fermata dell’autobus prima di dirigersi in ufficio, ma non oggi. Oggi era il Giorno del Lavoro: ciò significava che ogni bambino della classe di Henry avrebbe dovuto scegliere una persona in città il cui mestiere lo affascinava e fargli da ombra per tutto il giorno.

Emma era abbastanza sicura che Henry non fosse poi così interessato nel diventare sceriffo, ma poiché la sua insegnante era Mary Margaret, naturalmente la richiesta di passare la giornata con lei alla stazione di polizia era stata accettata. Regina si sarebbe di certo infuriata quando l’avesse scoperto: con lei non esistevano ‘se’, scopriva sempre tutto.

Ma per la prospettiva di poter passare un giorno intero con suo figlio, Emma avrebbe volentieri marciato tra le fiamme dell’inferno – il che era un paragone perfetto con le ire di Regina. Per fortuna, da quando lei era diventata sceriffo, Regina sembrava più attenta nello scegliere quali battaglie intraprendere. Sperava che quella di oggi passasse sotto silenzio.

La fredda brezza mattutina le scompigliò i capelli ed Emma, impaziente, sollevò lo sguardo per vedere chi fosse entrato. Ma era solo David Nolan, che rise al vedere la sua espressione delusa.

« Cosa c’è che non va, sceriffo? Aspettava qualcun altro? » scherzò, e annuì quando Ruby gli chiese se voleva il solito.

Emma si raddrizzò un po’ sulla sedia e cercò di stabilire quanto dovesse mostrarsi amichevole con l’uomo che aveva spezzato il cuore della sua amica... della sua migliore amica.

Ma David era il fascino fatto persona mentre cominciava a chiacchierare sul suo lavoro al rifugio per animali. Presto Emma si ritrovò a sorridere e persino a ridacchiare al resoconto delle disavventure che aveva vissuto per via di un gattino che continuava a perdersi e a distruggere tutto.

« Quand’ero piccola avrei tanto voluto un gattino » confessò; poi si morse il labbro e distolse lo sguardo.

E quell’aneddoto da dove sbucava? Non ne era sicura. Erano anni che non pensava più al disperato desiderio che aveva accompagnato tutta la sua infanzia, quello di avere un cucciolo tutto suo, qualcosa che le appartenesse completamente.

E non era da lei condividere una cosa così personale con un uomo che conosceva appena, un uomo che aveva calpestato i sentimenti di Mary Margaret...

« Mi dispiace che non ne abbia mai avuti. Ogni bambina dovrebbe avere un gattino... » La voce di David si spense; all’improvviso sembrava confuso.

« Signor Nolan? David, sta bene? » chiese, allarmata.

Lui scosse appena la testa e poi rise. « Mi scusi, immagino che la mia mente non si sia ancora del tutto ripresa... Per un istante, avrei giurato di averle già parlato di un gattino. Ma noi non ci siamo mai incontrati prima che mi svegliassi, dico bene? Le nostre strade non si sono mai incrociate prima di allora. »

Emma scosse la testa. « No. Era già in coma quando sono arrivata in città. »

Ruby venne a depositare di fronte a lui i suoi caffè da portar via.

David si alzò e li afferrò. « Devo andare. Kathryn mi sta aspettando... Ma volevo chiederle se per caso non avesse voglia di darmi una mano. Lo sceriffo Graham faceva volontariato al rifugio un paio di sere a settimana, e potremmo davvero aver bisogno di altro aiuto. »

« Oh, non so... » La voce di Emma si affievolì mentre la porta si apriva di nuovo. Il sorriso che di colpo le si allargò sulle labbra illuminò tutto il locale.

David si voltò per scoprire Henry che si avvicinava. Sorrideva anche lui mentre ricambiava lo sguardo di Emma. « Va bene, vi lascio alla vostra colazione insieme. Ma mi promette che ci penserà? »

Lei annuì e lui se ne andò.

Il sorriso di Henry era una copia del suo mentre si lasciava cadere sulla sedia di fronte a lei. Alzò gli occhi su Ruby, che era dietro il bancone. « Cialde! » esclamò.

La giovane donna inarcò un sopracciglio.

« Per favore? » aggiunse lui, coi suoi migliori occhi da cucciolo. Ruby rise e cominciò a occuparsi della sua ordinazione.

 

 

 

Quel giorno Emma assaporò ogni momento che poté trascorrere con Henry. Non avevano fatto quasi nulla, ma non importava. Dopo tante settimane in cui aveva potuto vederlo appena, questo tempo insieme a lui era prezioso.

Mangiarono cibi preconfezionati, scarrozzarono sulla macchina della polizia (Emma lasciò persino che Henry suonasse la sirena un paio di volte) e andarono a passeggiare sotto il ponte a pedaggio. Emma non aveva mai passato una giornata intera con Henry prima d’ora. Niente Regina, nessuna adolescente incinta che scappasse con un bambino promesso al signor Gold... Era bellissimo. Era perfetto. Soltanto loro due.

La parte migliore furono le conversazioni. Per un tacito accordo, oggi l’Operazione Cobra non esisteva. Così quei due solitari, probabilmente due delle persone più sole in tutta la città, parlarono l’uno all’altra solamente di se stessi.

Henry voleva sapere di più sull’infanzia di Emma. All’inizio per lei fu difficile aprirsi, ma più cose condivideva, più diventava facile. Nonostante crescere fosse stata una faccenda solitaria e difficile, c’erano stati anche dei bei momenti: quando aveva tredici anni, la famiglia affidataria con cui era vissuta per tre anni e mezzo l’aveva portata a Disney World... A quindici anni aveva battuto il colpo decisivo al torneo di softball della scuola... A diciassette aveva vinto dei biglietti di prima fila per un concerto di Madonna... E per il suo ventunesimo compleanno era andata a Vegas e aveva vinto settemila dollari al poker.

« E tu? Voglio dire, so che Regina non è proprio la mamma ideale, ma di certo ti avrà regalato dei bei ricordi... »

Henry rimase zitto a lungo. Emma si accontentò di lasciarlo pensare in silenzio, mentre camminavano tra gli alberi.

« No. Non è stato tutto brutto. Andava meglio quando ero più piccolo e non capivo la differenza tra cose buone e cose cattive. Non mi sono mai sentito affamato; ho sempre avuto i migliori vestiti e giocattoli che il denaro possa comprare. Quando stavo male, lei restava sempre a casa dal lavoro e si prendeva cura di me. Una volta mi ha portato a cavalcare. È stato parecchio fico... » S’interruppe con un sorriso di nostalgia.

« Sul serio? Cavalli? Sei più coraggioso di me » disse Emma con un leggero brivido.

Henry alzò lo sguardo su di lei, sorpreso. « Non ti piacciono i cavalli? » chiese.

Emma incrociò le braccia e gli lanciò un’occhiata, sulla difensiva. « Sì che mi piacciono. È... è solo che nessuno mi ha mai insegnato a cavalcarne uno, ecco tutto. »

Lui sbuffò e lei gli diede una spintarella scherzosa.

« Cos’altro ti ha insegnato? » gli domandò qualche minuto dopo, quando raggiunsero il fiume.

Henry raccolse qualche sasso e cominciò a cercare di farli rimbalzare sull’acqua. Emma si unì a lui, ma nessuno dei due ebbe successo. La corrente era troppo forte.

« Uhm, quando avevo sette anni, un bambino della scuola mi ha invitato a una festa in piscina. Io le ho detto che non volevo andarci perché non sapevo nuotare. Lei ha detto che avrei potuto prendere delle lezioni, ma io non ho voluto, così le ho detto la verità... che non andavo molto d’accordo con gli altri bambini a scuola. Era così arrabbiata che le avessi detto una bugia. Ha cominciato a gridare e a lanciare cose in giro... » Rabbrividì.

Emma gli posò una mano confortante sulla spalla.

« Poi, il giorno dopo, era come un’altra persona. Mi ha portato in una palestra con una grande piscina coperta. Penso che avesse pagato qualcuno perché la tenessero chiusa, perché siamo stati soli io e lei per tutto il giorno. Mi ha insegnato a nuotare, e abbiamo giocato a fare le sirene... è stata l’ultima volta che ha giocato con me. Dopo, tutte le volte che le ho chiesto di andare a nuotare insieme, mi diceva sempre che aveva da fare, e poi non ero troppo grande per giocare ancora a facciamo-finta? »

Emma sospirò e gli strofinò la spalla. « Nuotare. Quindi, sai cavalcare e nuotare. Due cose che io non ho mai imparato a fare » ammise.

« Non sai neanche nuotare? » domandò lui sbalordito.

Lei scosse la testa, sorridendo. Camminarono in silenzio per qualche minuto, ascoltando il rombo dell’acqua.

« I miei compleanni sono sempre stati divertenti. Si assicurava che avessi tutto quello che desideravo e non era mai troppo impegnata per farmi divertire » confessò Henry all’improvviso.

Emma annuì, ma non disse nulla. Ascoltare i suoi bei momenti con Regina era una cosa dolceamara. Dolce perché era grata che Regina fosse riuscita a regalargliene, amara perché la paura che lui aveva di Regina sembrava inquinarli. Aveva dato Henry in adozione nella speranza che qualcuno gli assicurasse un’infanzia migliore, una vita migliore, di quella che avrebbe potuto dargli lei. Ma a quanto pareva si era sbagliata.

« Raccontami del tuo compleanno più bello in assoluto » disse lui all’improvviso, spezzando quei tristi pensieri.

« Il più bello in assoluto? » Si fermò e raccolse le idee. « Mmm, beh, avevo finalmente acciuffato questo tipo che non pagava le cauzioni e di cui avevo seguito le tracce per settimane. In effetti ci ho anche guadagnato un bel po’... »

« Quindi hai ottenuto molti soldi? È un compleanno piuttosto bello. »

Emma scosse la testa. « No, non è questa la parte bella. Ero così indietro con le bollette che non mi è rimasto molto. Però avevo abbastanza soldi da fermarmi in un ottimo negozio di dolci mentre tornavo a casa. Ho preso un cupcake alla vaniglia con crema di formaggio. Costava dieci dollari e li valeva tutti, fino all’ultimo penny. »

« Okay, hai acchiappato un tipo, hai fatto tanti soldi e hai mangiato un cupcake costosissimo? Beh, immagino sia un bel compleanno » disse Henry con una risata.

Ma Emma scosse di nuovo la testa.

« C’è altro? Cosa, una coppetta di gelato da cinquanta dollari come dessert? » scherzò lui.

« No, ho comprato una... candelina. Per il cupcake... E poi l’ho accesa, ho espresso un desiderio e ho soffiato. »

« Che cosa hai desiderato? » chiese Henry incuriosito.

Emma prese un respiro e batté le palpebre, per scacciare le lacrime che minacciavano di cadere. « Ho desiderato che, per la prima volta in tutta la vita, non dovessi passare il mio compleanno da sola. »

Henry rimase in silenzio per un attimo; gli occhi gli si illuminarono mentre cominciava a intuire cosa gli stava raccontando. « E... il tuo desiderio si è avverato? »

Annuì. « Appena ho soffiato sulla candela, qualcuno ha bussato alla porta. Quando l’ho aperta ho trovato questo ragazzino che mi diceva che io ero sua madre. Vedi, era venuto per portarmi a casa, là dove appartenevo. Ed ecco perché è stato il miglior compleanno che abbia mai... »

Le braccia di Henry di colpo erano avvolte strette attorno alla sua vita. Il viso era nascosto nel suo stomaco, ma Emma avrebbe potuto giurare che stava piangendo.

Lo strinse forte, poi gentilmente allentò la stretta delle sue braccia. Si lasciò cadere in ginocchio così che lui potesse guardarla dall’alto. Solo qualche mese prima si sarebbe ritrovata all’altezza dei suoi occhi. Stava crescendo così in fretta...

« È stato anche il mio compleanno preferito » disse Henry, asciugandosi gli occhi.

Emma rise. « Non era il tuo compleanno... »

« Sì che lo era! È stato il mio compleanno, Natale e le vacanze estive, tutto insieme! Tu hai espresso un desiderio, io ne ho espressi un milione! Sempre lo stesso fin dal giorno che ho saputo che ero stato adottato... Sempre quello! Tutte le candeline dei compleanni, tutte le monete nelle fontane, tutte le stelle cadenti. Ogni notte guardavo fuori dalla finestra e desideravo che tu fossi qui. E adesso vorrei... » S’interruppe, abbassò il capo e si coprì il viso con le mani.

Emma sentì una stretta allo stomaco. Stava per dirle che voleva che lei credesse alla sua teoria delle favole?

« Cosa, Henry? Cosa desideri adesso? » domandò, tirandogli via le mani dal volto.

« I-io... è solo che... Lei cerca in tutti i modi di farti andare via! Vuole che tu molli tutto e decida di andartene. Così, ogni notte desidero che resti. Desidero che la mattina, quando l’autobus passa davanti alla stazione di polizia, la tua macchina sia lì. E quando la vedo sono felice perché so che avrò un altro giorno... »

Emma lo abbracciò forte, incapace di trattenere le lacrime. Le parole che seguirono, pronunciate in un sussurro stridulo, furono rotte dai singhiozzi. « La ragione per cui quel compleanno è stato il migliore... è perché è stato solo il primo. Adesso ogni compleanno sarà il più bello in assoluto, perché ho te. Henry, io non ti lascerò mai. Lo sai, vero? Tua... Regina potrà anche cercare di tenerci lontani, ma io non sarò mai lontana. »

Henry non aveva mai sentito niente di così bello.

Emma prese un profondo respiro e lo tenne stretto all’altezza delle braccia.

« Devi capire una cosa. Non ne avevo l’intenzione, ma penso di averti abbandonato quando sei nato. Non sapevo che cosa sarebbe successo, Henry, e mi sentirò sempre in colpa per averlo fatto. Ma ti giuro che non commetterò mai più quell’errore. Mai. »

Si fissarono, le lacrime che scorrevano sui loro volti. « Lo so. »

Lo abbracciò di nuovo. Poi sobbalzarono entrambi al rumore improvviso di un rametto calpestato: Mary Margaret e David Nolan venivano di corsa verso di loro.

David era andato a prendere Mary Margaret per accompagnarla a casa, quando era comparso il sindaco.

« Emma! Regina è venuta a scuola, lei... Cos’è successo? Perché piangete? » domandò la giovane insegnante.

Emma e Henry si asciugarono in fretta le guance con le mani sporche. « Noi, uh... stavamo condividendo un momento » spiegò Emma, sorridendo a David quando lui le tese un fazzoletto.

Si asciugò velocemente il viso e lo passò a Henry perché facesse lo stesso. I sorrisi che illuminavano entrambi rassicurarono Mary Margaret e David.

« Beh, Regina non è molto contenta, come puoi immaginare. Ho dovuto dirle che era con te » ammise Mary Margaret con aria colpevole.

Emma rise e tutti la guardarono come se fosse impazzita. « Non importa » disse, guardandoli negli occhi uno ad uno, e inginocchiandosi infine di fronte a Henry. « Regina non ha niente a che fare con noi. Henry, noi siamo i buoni... »

« ... e le buone » intervenne Mary Margaret.

« Sì, e le buone. E il bene vince sempre, alla fine. »

« È vero. Il bene vincerà sempre sul male » disse David, sorridendo.

Tutti e quattro si voltarono e si rincamminarono verso la stazione dello sceriffo, dove sapevano che avrebbero trovato Regina ad aspettarli.

Emma rise quando David s’inginocchiò per portare Henry a cavalluccio. La mano di Mary Margaret si strinse attorno alla sua, e lei s’immerse completamente nelle risate e nei sorrisi che la circondavano, desiderando che fosse per sempre così.

La parola ‘famiglia’ continuava a fluttuarle in mente e, anche se con ogni probabilità non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, sapeva che una piccola parte di sé, nel profondo, sperava che Henry avesse ragione su tutto. Che fossero davvero una famiglia e che lei, Emma, avrebbe spezzato la maledizione che li aveva allontanati, e poi avrebbe sconfitto la Regina Cattiva una volta per tutte.

Il suo sorriso si allargò. Anche così, non importava. Aveva oggi. Loro avevano oggi. E questo era davvero il giorno più bello in assoluto.

   
 
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