Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: lethebadtimesroll    10/04/2012    11 recensioni
Un problema non sottovalutabile giungeva con i bulli: spietati come animali sia con i ragazzi che con le ragazze, attratti dal cercare rogne solo per dimostrarsi all'altezza o per divertimento, erano l'incubo di tutti, soprattutto di noi. Bisognava sempre evitarli, sempre.
Ma se inspiegabilmente ci si ritrovava a volersi ritrovare sulla strada del ragazzo più forte e più temuto della scuola, se ci si ritrovava a osservarlo da lontano, a sognare continuamente i suoi occhi scuri, beh, allora era davvero un casino.
-
- M-Mi hai spaventata – balbettai, con il cuore che batteva a mille, sebbene il verbo al passato non fosse poi così azzeccato.
Alzò un angolo della bocca in un sorrisetto, continuando a fissare davanti a sé da sotto le lenti scure degli occhiali.
Restammo in silenzio per un po’, con il solo sottofondo del chiacchiericcio post-lezioni. Di tanto in tanto, qualche curioso ci osservava dalla parte opposta del corridoio.
Si decise a parlare solo quando il silenzio iniziava a pesare sul serio, passandosi una mano tra i capelli biondi – C più… Non mi sembra poi tanto grave. –
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Io prendo un hamburger Minnesota. – riconsegnai il menu ad una cameriera decisamente annoiata. – Grazie. –
- Di niente, cara – rispose, e suonò così canzonatoria che le scoccai un'occhiataccia: era un controsenso.
Scossi la testa. - Allora, racconta! – mi rivolsi poi a Rose, quando fui sicura che la cameriera fosse a debita distanza.
- Non puoi immaginare – rispose quella, sporgendosi sul tavolo. – Justin e Madison stanno davvero insieme! –
Raccolse una ciocca di capelli dietro l'orecchio, attendendo una mia risposta.
- È questo quello che dovevi dirmi? -
Annuì entusiasta.
Allora era vero. Cercai di coprire i brividi sulle braccia con le maniche della felpa. Mi sembrava che improvvisamente facesse freddo...
- Grazie - dissi piatta alla cameriera quando mi appoggiò il piatto davanti.
D'accordo, iniziamo. Mi chiamo Lily Williams, e la rossa seduta davanti a me è Rose Jackson.
La nostra vita ruota praticamente intorno alla scuola: diligenti, pensavamo noi, nerd pensavano gli altri.
Funziona così: per quanto Montreal possa essere una città moderna, industrializzata, sviluppata, una volta varcata la soglia della Westmount High School ci si può considerare in pieno settecento, parlando di classi sociali.
Noi "nerd" facciamo parte della popolazione inferiore, secondo la gente che conta.
Secondo me, è tutta una cazzata.
Un problema non sottovalutabile giungeva invece con i bulli: spietati come animali sia con i ragazzi che con le ragazze, attratti dal cercare rogne solo per dimostrarsi all'altezza o per divertimento, erano l'incubo di tutti, soprattutto di noi. Bisognava sempre evitarli, sempre.
Ma se inspiegabilmente ci si ritrovava a volersi ritrovare sulla strada del ragazzo più forte e più temuto della scuola, se ci si ritrovava a cambiare gli orari delle lezioni solo per osservarlo qualche istante in più da lontano, beh, allora era davvero un casino.
Il ragazzo in questione, Bieber, poteva essere definito un predatore.
Gli occhi marroni – che avevo intravisto qualche volta solo di sfuggita – sembravano passare l’anima da parte a parte. Individuava subito i punti deboli delle persone, e ciò lo rendeva stranamente un bullo intelligente, quindi doppiamente pericoloso. Non aveva scrupoli né riguardi, chiunque capitasse sulla sua strada poteva definirsi ufficialmente in pericolo.
Nonostante fosse appena diciottenne era già alto, e i muscoli - sebbene poco definiti - avevano un’aria minacciosa: nel corso di quattro anni di scuola superiore era riuscito a conquistarsi la fama di ragazzo più forte del quartiere, e a nessuna persona sana di mente passava per l’anticamera del cervello di mettersi sul suo cammino.
E proprio perché Bieber era un predatore, era dotato inevitabilmente di una bellezza devastante.
Una bellezza di quelle che non vengono ignorate, una bellezza superficiale e profonda allo stesso tempo. Un dono che sapeva sfruttare al meglio, soprattutto per farsi fare favori e commissioni - in genere di tipo sessuale - anche se solo le ragazze più belle e popolari della Westmount potevano vantare di essere passate per il suo letto.
Per quanto avessi cercato di mentire a me stessa, la cosa era ormai troppo evidente: ero attratta da lui, non solo dalla sua bellezza ma anche dal suo carattere ribelle e dalla totale noncuranza delle regole.
Il che era come minimo preoccupante, considerando il tipo di ragazza che ero.

Per fortuna ero abbastanza intelligente, e nonostante lo osservassi più del lecito - tanto che Rose iniziava ad insospettirsi - cercavo di fare ciò che mi riusciva meglio, ovvero restare nell’ombra. Se si fosse accorto che ero interessata a lui sarei stata spacciata: non sapevo che cosa sarebbero stati in grado di combinare lui e i suoi amici, ma dopo ciò che avevo visto negli ultimi anni potevo aspettarmi di tutto.
Annuendo distrattamente alle parole di Rose, ormai era trascorsa mezz’ora e il mio hamburger mi era finito tra le mani senza neppure che me ne accorgessi.
- Andiamo, o faremo tardi per matematica – esordì Rose, alzandosi dalla sedia rumorosamente e aggiustandosi i capelli. Diedi un’occhiata fugace all’orologio sul mio polso e raccolsi la borsa. Pagai veloce il conto alla cassa e uscimmo fuori senza neppure infilare la giacca. Una volta scesi gli scalini del ristorante intravidi subito la scuola, dall’altra parte della strada.
- Giovedì ci ritroviamo a casa di Mark per vedere Creepshow 2 – si schiarì la voce, alzando gli occhi verdi verso il cielo nuvoloso. – Vieni anche tu? –
Mi concessi qualche secondo per riflettere. Giovedì…
- Non so, non penso, venerdì ho il compito di storia. – Attraversammo il piazzale della scuola, diretta verso la scalinata che portava all’entrata.
- Oh, andiamo, ci sarà da divertirsi! -
Ridacchiai. Un po' di horror vecchissimi, i pop corn, il divano... - Mi hai quasi convinta - dissi ridendo. Ma il sorriso mi si spense sulle labbra quando alzai gli occhi in prossimità della scalinata, ed ebbi un tuffo al cuore.
- Oh merda – mormorai. Un campanello di allarme suonò subito nel cervello quando scorsi alcuni ragazzi in cima alle scale.
- Che c’è? – chiese Rose, guardandosi attorno. – Oh, merda. – sussurrò a sua volta quando li vide.
- Non guardarli – intimai sottovoce, dirigendomi lentamente verso la porta, come se ritardare l’entrata sarebbe servito a farli scomparire.
- Non credo vadano al corso di matematica... –
Ignorai Rose, continuando a salire le scale riluttante, tenendo lo sguardo ben piantato per terra.
Respira, Lily.
Mi fermai con Rose nel pianerottolo, in uno spazio di tre metri quadrati e decisamente non in buona compagnia.
Posai la mano tremante sul campanello di fianco alla porta: mi sembrava che la mia paura fosse percepibile a miglia di distanza e cercai di assumere un’aria sicura, senza successo.
Mentre fissavo il legno della porta mi balenò in mente il titolo di un giornale che avevo letto due settimane fa "
Lite tra ragazzi, un ferito grave ricoverato al Westminster Hospital  : una denuncia e una sospensione, è questa la giusta punizione?"   
Due settimane fa. Quei ragazzi avevano quasi ammazzato di botte un tizio di terza ed ora erano lì in piedi di fianco a me, a squadrarmi in silenzio.  
Le gambe mi stavano cedendo dalla paura, mentre l’odore acre del fumo di una sigaretta mi si insinuava nelle narici. Sentii un rumore di passi all’interno dirigersi verso la porta: sospirai, immediatamente più sollevata.
- Lily, Rose, entrate! – il legno bianco lasciò posto alla faccia della bidella che ci accolse contenta – Siete qui per il corso? –
Annuii, regalandole un sorriso spaventato: ma non feci in tempo a mettere piede nel corridoio che mi sentii tirare per la manica, e nello stesso istante una fitta di paura mi attanagliò lo stomaco.
- Ehi. -
Quella voce profonda bastò a raggelarmi il sangue.
Dannazione, non mi ero accorta che ci fosse anche lui.
Mi voltai piano, mentre le altre due scomparivano dietro alla porta.
Codarde.
- Sì? – la mia voce era un sussurro mentre alzavo gli occhi sul viso del ragazzo biondo.
- Ti è caduta questa. –
Mi allungò la giacca: la presi con mani tremanti, indugiando velocemente sulla sigaretta che teneva tra le due dita della mano.
Come diavolo aveva fatto a cadermi?
La ripresi alla svelta e con un – grazie – strascicato mi dileguai dietro alla porta, cercando di mettere la maggior distanza possibile tra me e lui.
La porta si richiuse automaticamente: l'ingresso della scuola però era già vuoto.
Mi avviai verso la classe, cercando di togliermi dalla mente gli occhi indagatori di Justin, che ero riuscita ad evitare con cura per quattro anni.
Avevo come la sensazione che non mi avrebbe più ignorata.
Ero ufficialmente in pericolo.
   
 
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