“L’amore
è il funerale del cuore”
Del
cuore non saprei, ma della dignità e dell’amor proprio si, poco ma sicuro.
Gli
Him sono un bel gruppo, i testi sono dannatamente poetici e hanno una
musicalità accattivante.
Il
loro più grande pregio, credo sia il loro frontman.
Il
grande Ville Valo, sex simbol indiscusso, misterioso, affascinante, europeo….
Cosa
si potrebbe volere di più?
Niente,
difatti anche io volevo lui.
C’è
chi mi ritiene più bello di lui, chi nemmeno paragonabile e chi mi odia perché
sono un pallone gonfiato, sono bravo e bello e sono fottutamente stronzo.
La
mia stronzaggine è dovuta anche a lui, Ville Valo.
Bella
cosa, vero?
Lo
conobbi nel 2007, ad un festival in Germania o giù di lì, non ricordo granché,
ero ubriaco (come sempre).
Me
ne stavo con la schiena poggiata contro un amplificatore fumando come un turco,
quando lo vidi arrivare.
Non
avrei mai dimenticato quel momento, fu l’annuncio di una vincita al lotto ad
uno convinto di essere sano come un pesce che si scopre poi malato terminale.
Aveva
una giacca nera, probabilmente pezzo di un completo elegante, aperta che
svolazzava, un’anonima maglietta bianca con lo scollo a V, un paio di pantaloni
abbastanza larghi, verde militare scurissimo tenuti su da un’orribile cintura
con la fibbia a forma di cuore.
I
capelli castani che arrivavano fino a metà del collo avevano parecchi boccoli
leggeri e morbidi, di quella tonalità di castano chiaro che adoravo, solo su di
lui.
Gli
occhi erano di un’impenetrabilità tipica di ogni suo sguardo, oltre che di
quella stupefacente tonalità di grigio che ricordava il cielo plumbeo. Avrei
imparato che talvolta cangiavano virando leggerissimamente sull’azzurro,
soprattutto grazie alla luce del sole.
Non
avrei mai potuto immaginare che Ville Valo sarebbe stato forse la mia più
grande condanna.
Puntava
nella mia direzione e io fui percorso da brividi, ammaliato da quel finlandese
dal viso marmoreo e squadrato, anche più del mio.
Nel
mio viso severo c’è un'unica via di fuga, gli occhi scuri e caldi, nel suo no.
Mi
si avvicinò e giocando distrattamente col cappello che aveva in mano disse
“Sono il cantante degli Him, sai dove potrei trovare un pacchetto di
sigarette?” feci un mezzo sorriso, estrassi il mio dalla tasca e glielo poggiai
in mano.
“Ne
mancano due, ma credo che per un po’ dovrebbero bastarti. Io sono Brian” dissi
distrattamente col mio solito fare scazzato “Lo so, Gates. Io sono Ville”
Ville.
Conoscevo già gli Him, da qualche parte avevo anche una loro maglietta (rosa,
con Valo stampato sopra avvolto dalle lucine di natale, mentre fuma), ma io non
sono una ragazzina, io non ho nemmeno il tempo di spulciare Youtube o Google
alla ricerca di notizie e curiosità sul carismatico frontman di una band di
cui, fra l’altro, fino a quel momento mi ero interessato ben poco.
Fino
ad allora per me erano stati una band come un’altra e Valo era stato un
cantante come un altro, bella voce, certo, ma nient’altro.
Non
avrei mai creduto che uno sguardo potesse gelarmi così.
Prima
di conoscerlo non avevo mai dubitato della mia sessualità, da quel momento in
poi, non fui più sicuro di niente.
Detto
fatto, quella sera mi trovai sul pavimento del suo tourbus a spingere nel suo
corpo candido e invitante mentre gemeva vergognosamente sotto di me,
artigliandomi tutta la schiena.
Fu
la nottata più appagante di tutta la mia vita, come la prima dose per un futuro
tossico.
Quando
il corpo è ancora puro e vi si immettono sostanze stupefacenti, l’effetto è
talmente devastante e intrigante da spingerti a farlo ancora e ancora, non
sapendo che non sarà mai più come la prima volta.
Sei
portato a cercare ancora quella stessa emozione della prima volta, ma non ci
riuscirai mai più perché ormai il tuo corpo è infettato, sporco.
Se
lo si sapesse dall’inizio, dopo la prima volta saremmo tutti portati a
fermarci, ma nessuno lo sa, tranne chi non ha abbondantemente sorpassato quella
prima volta o quella ricerca.
Sesso, solo sesso, mi dissi una volta tornato nel mio tourbus, mentre
sotto l’acqua corrente lavavo via il suo odore e provavo a ripulire i graffi
che avevo bene o male su tutto il corpo. E forse quella volta mi credetti
anche, stupidamente.
Il
suo essere mise in crisi tutto il mio mondo, dal mio orientamento sessuale alla
mia sanità mentale, passando per i miei principi e i miei affetti.
Improvvisamente
ogni pensiero, ogni parola e ogni respiro erano in funzione di lui, era il mio
Sole, e io l’ennesimo pianetino, magari pure arido e disabitato, che gli
ruotava attorno come un povero sfigato.
Ci
incontravamo talmente di rado e oltre a questi rari bagliori non ci sentivamo
mai.
Capitava
che qualche volta mi chiamasse, giusto per accertarsi che fossi ancora suo e
che potesse continuare ad avermi a suo piacere.
Il
mio cuore era stretto nel suo pugno e continuava a violentarlo e abusarne senza
scrupoli, strappandomi un pezzo di anima alla volta.
E
io ero talmente debole da non riuscire a fermarlo, da riprenderlo e continuare
a vivere, magari provando dei sentimenti per qualcuno che li avrebbe meritati,
di certo più di lui.
Se
si fosse limitato a volermi così, in modo semplicemente animale, avrei saputo
gestirlo. In fondo era il mio stesso modo di fare, ma lui no.
Lui
non si limitava a questo.
Continuava
ad illudermi, quante notti, in preda al rimorso, cominciava a scusarsi, a dirmi
che non voleva trattarmi come faceva, che aveva paura dei suoi stessi
sentimenti, che si sentiva solo e che lo aiutavo a riprendere vita e tante di
quelle belle parole che mi avevano illuso e umiliato.
E
quelle notti l’avevo amato, in un modo così puro e semplice di cui non credevo
capace il mio cuore eppure lo avevo fatto, pentendomene il giorno dopo, ma
ripetendo l’errore la successiva volta insieme.
Lo
amavo, senza via di scampo, senza ragione e senza senno. Lui lo sapeva e lo
sfruttava a suo vantaggio, senza il minimo rispetto nemmeno per la banale
dignità umana.
Ero
uno stramaledetto illuso che sperava che qualcosa nell’uomo davanti a lui
potesse cambiare, che la smettesse di umiliarlo e sfruttarlo.
O
che almeno lo liberasse, mi sarebbe bastato anche quello, essere libero e
magari in grado di amare qualcuno che se lo meritava.
Invece
no, ero legato a lui, a quegli occhi che sembravano cielo in tempesta che
sembrava sul punto di diluviare ogni volta che facevamo sesso. Diventavano dannatamente
liquidi e caldi mentre spingeva nel mio corpo, facendomi piangere e urlare dal
dolore perché preso dalla foga non si sprecava nemmeno a prepararmi prima.
Lacrime,
baci e sangue, ogni volta per entrambi. Eppure continuavamo.
Gli
animali spesso e volentieri sono più intelligenti degli umani. Il loro istinto
li istiga a fuggire dal dolore, di qualsiasi tipo possa essere. L’essere umano
no, o perlomeno io, noi no.
Il
picco massimo di amore o stupidità (sta a voi scegliere il termine più adatto.
Personalmente credo siano perfetti entrambi), lo raggiunsi durante un Uproar di
nemmeno ricordo quale anno, forse il 2008 o il 2009, chi lo sa, ero ubriaco
(novità).
I
sevenfold sarebbero “entrati” verso metà tour e già mi ero informato su quali
band ci sarebbero state.
Ammettiamolo,
ero elettrizzato e terrorizzato allo stesso tempo. Avrei finalmente passato un
altro piccolo periodo senza soffrire per poi rimanere nel mio angolino a
leccarmi le ferite e vedere di rimettere a posto i pezzi che lui avrebbe lasciato
dietro di sé.
Mi
ricordo di Zack dannatamente preoccupato per me che mi urlava addosso e mi
diceva di lasciarlo perdere e io che puntualmente non lo ascoltavo, ma alla
fine era lui che mi sopportava nelle notti insonni e mi evitava di spaccare
tutte le chitarre per la rabbia, facendomi fermare ad un massimo di due.
Comunque,
Ville mi passò di fianco senza nemmeno guardarmi ed ero convinto che avrebbe
continuato a camminare senza degnarmi di un “ciao” ma non fu così.
Mi
afferrò per un polso e mi tirò in uno dei vicoli bui di cui ogni backstage è
pieno.
Mi
spinse contro il muro fatto da impalcature di metallo e mi tenne il viso con
una mano, osservandomi.
Era
un po’ più alto di me, ma decisamente più magro, eppure mi lasciavo fare
qualsiasi cosa volesse.
Ero
un bambolotto nelle sue mani, avrei fatto tutto quello che voleva, sempre.
Quell’uomo
era stato la mia rovina.
“Ciao
Gates, è tanto che non ci si vede, eh?” le sue dita tracciavano il contorno
delle mie labbra, mentre la sua voce era dannatamente bassa e calda, piena di
doppi fini e promesse sussurrate che avrebbero infranto il mio cuore
martoriato, ma che mi avrebbero fatto felice ancora per una notte.
Senza
darmi tempo o modo di rispondere si tuffò famelico sulla mia bocca e ancora più
repentinamente mi dischiuse le labbra intrecciando la lingua con la mia in un
gioco perverso, carezzandola e succhiandola, mimando qualcosa di ancora più
porno che non sarebbe diventato mai niente di più. Aveva il solito spettacolare
sapore di nicotina, cioccolata alla menta e di lui di cui la mia bocca non si
sarebbe mai impregnata abbastanza.
Ville
non sarebbe mai stato mio, triste verità.
L’uomo
davanti a me separò le labbra dalle mie e passò la lingua sulle sue,
guardandomi famelico.
“Brian,
stai fremendo” constatò mollando finalmente il mio viso e facendo scivolare la
mano sulla mia schiena, languidamente.
“Mmmm…
devo prenderlo come un buon segno?” sospirò palpandomi il sedere.
“C-come
preferisci” mi schioccò un altro bacio, questa volta più casto e intrecciò
entrambe le braccia attorno alla mia schiena, spingendo il mio corpo contro il
suo, quasi gemendo quando il mio cavallo dei pantaloni sfiorò involontariamente
il suo.
“Mi-mi
sei mancato” sospirai afflitto e speranzoso, ma almeno avrei avuto un’altra
bella notte, magari qualcuna più di una.
“Anche
tu Bri, ma adesso devo andare. Ci vediamo in giro” e se ne andò, come ogni
volta, come dopo ogni notte, ogni bacio ed ogni promessa.
Mi
lasciò da solo nel mio fottutissimo dolore.
Mi
asciugai gli occhi col dorso della mano prima che potessi anche solo provare a
piangere e dopo un paio di respiri profondi, mi piazzai una sigaretta fra le
labbra, la mia migliore espressione di scazzo sul viso e uscii da quel
fottutissimo vicolo.
Sta
di fatto che la settimana dopo passò e lui non si fece vedere nemmeno una
volta. Io non avevo nemmeno voglia di stargli dietro, di questo complice Zack
che mi teneva talmente impegnato che non avevo nemmeno il tempo e quando ormai
lo avevo ero talmente stanco che rimanevo nel tourbus a dormire.
Erano
le due di notte, gli altri erano dispersi nel tourbus di Dio sa chi e io me ne
ero rimasto nel salottino a guardare un film con addosso una canotta e il
pantalone della tuta quando, sacrilegio, mi finirono le sigarette.
Dovetti
mettere le scarpe, la felpa, una giacca e uscire a comprarle.
Si
moriva di freddo, battevo i denti come un dannato mentre camminavo a passo
svelto verso il primo distributore che mi ricordavo di aver visto.
Arrivai
finalmente davanti a un negozio chiuso con un distributore automatico all’ingresso
e mentre facevo la scorta delle mie adorate Marlboro, notai una figura
accovacciata per terra, di fianco al distributore.
Probabilmente
non me ne sarei fottuto una beneamata mazza se in quella macchia nera che se ne
stava rannicchiata contro il muro non avessi visto due occhi cinerei che mi
fecero perdere un paio di battiti.
“Ville”
“Brian…” sospirò a stento, visibilmente sorpreso, prima di lanciarmi uno
sguardo strano e poi affondare di nuovo il viso nelle braccia poggiate sulle
ginocchia.
Rimasi
interdetto per un momento, poi mi abbassai e prendendolo per le spalle lo
sollevai, rimettendolo diritto in piedi. Il viso era forse ancora più pallido
del solito ed era completamente gelido.
“Ville,
ma che cazzo…. vuoi morire assiderato o cosa?” “Bri, lasciami qua, così crepo e
mi tolgo di mezzo” “Non muori se stai qua, finisce solo che devono tagliarti
qualche dito perché andato in cancrena. Se devi crepare fallo in modo più
rapido e d’effetto” “Tu dici? Magari alla Kurt Cobain….” “Dai, scherzavo” “Io
no”
Gli
misi un braccio attorno alle spalle e lui mi guardò triste.
“Brian,
per favore, lasciami qua a soffrire da solo, non merito te e la tua compagnia”
abbassò lo sguardo, come in imbarazzo e io gli sollevai il viso portando due
dita sotto al suo mento.
“Sai
bene che non potrei mai farlo. Ti và di venire nel mio tourbus? Non c’è
nessuno, i ragazzi sono ad una festa” “E tu?” “Non ne avevo voglia” dissi
distrattamente scrollando le spalle.
“Su,
andiamo che mi si sta gelando il culo” dissi strofinando una mano sul suo
braccio e camminando, tenendolo stretto contro il mio petto.
Camminammo
in silenzio fino al mio tourbus. Sapevo per certo che quelle zucchine dei miei
compagni di band non sarebbero tornati. Li conoscevo troppo bene, sarebbero
collassati sul pavimento di qualche altro tourbus e cazzi loro. Avevamo il bus
tutto per noi.
Alla
fine del primo piano, nell’estremità più estrema, si trovava una sorta di
salottino privato con tanto di porta che si chiudeva solo dall’interno. Giusto
per sicurezza, così di certo non avrebbero rotto le scatole.
Ville
rimase in piedi a guardare enorme letto/divano che occupava quasi tutta quella
minuscola stanza e poi mi guardò come in cerca d’indicazioni.
“Guarda
che puoi sederti, non morde mica” feci io distrattamente, buttandomi di fianco sul
letto in modo per niente delicato. Lui invece si voltò e si sedette, rimanendo
fermo a fissarsi le mani.
“Allora,
vuoi dirmi che succede?” dissi distrattamente, avvicinandomi a lui. Lui
dischiuse le labbra e sembrò sul punto di cominciare a parlare, ma le richiuse
e si voltò di nuovo in avanti.
Dopo
due secondi, si voltò ancora verso di me, di scatto, incollando le labbra alle
mie e salendomi sopra, senza darmi modo nemmeno di pensare.
Il
mio cuore perse un paio di battiti quando le sue mani gelide mi sfilarono la
felpa o quando la sua lingua m’invase la bocca senza il minimo permesso o
accenno di delicatezza.
No,
Brian, cazzo. Non farti trattare come una marionetta, non del tutto almeno.
Poggiai
una mano sul suo viso e forzai per muovere più lentamente sia le labbra che la
lingua, senza fretta, senza tutta quella corsa. Quando si fanno le cose di
fretta, non si bada alle proprie azioni e io non volevo che succedesse così
ancora una volta.
Le
mie mani scivolarono lentamente sulla sua schiena sotto la sua maglietta e lo
strinsi a me, ancora coperti dai vestiti, solo per il piacere di sentire il suo
corpo contro il mio.
Sollevò
la testa e mi guardò interrogativo.
“Che
stai facendo?” Lo baciai di nuovo, lentamente, intrecciando le labbra con le
sue e facendo scivolare una mano nell’incavo della sua schiena perfetta.
Ricambiava titubante i miei baci, ma poco importava, volevo decidere io per una
volta. Non che volessi metterlo a novanta o dare via a giochino perversi da
coppia annoiata, eh.
Quello
che volevo era dannatamente semplice e per parecchi versi naturale, ma noi non
l’avevamo mai fatto. Mi prese per le spalle e guardandomi dall’alto cercò
spiegazioni.
Bah,
tanto valeva dirglielo, mentre lo guardavo con gli occhi socchiusi e liquidi,
ancora truccati e le labbra roventi di miliardi di baci che non mi aveva mai
permesso di dargli.
“Lasciati
amare, solo per una volta. Lascia condurre me, facciamo come dico io, solo
stanotte” Sbuffò e abbassò lo sguardo, come un genitore che ha a che fare con
un bambino capriccioso.
“Ti
farai solo del male…” “Lo so, ma almeno per una volta nella vita voglio provare
cosa significa” “Cosa?” “Fare l’amore e non del banalissimo sesso”
Rimase
di sasso, guardandomi con i suoi spettacolari occhi cinerei e io lo baciai di
nuovo, carezzandogli i fianchi da sotto la maglietta.
Era
gelido come un pezzo di marmo, aveva davvero rischiato l’ipotermia per fare il
coglione.
Le
mie mani scivolavano lentamente sul suo corpo, carezzandolo e riempiendolo di
baci, senza fretta, anche se ci stavamo eccitando entrambi e qualche respiro
troppo rumoroso cominciava a condensarsi sulla pelle dell’altro.
Lo
feci stendere e gli salii sopra, osservandolo mentre, completamente nudo, mi
guardava curioso e addolcito, aspettando il mio prossimo gesto insolito e
delicato.
Lo
baciai ancora, dolcemente e lui rispose nello stesso modo, lo sentii
addirittura sorridere contro le mie labbra. Chissà cos’era a farlo sorridere.
Feci
scivolare le labbra dietro al suo orecchio e da lì passai un po’ di tempo a
torturare quel lembo di pelle pallida, facendola arrossire e strappandogli
qualche gemito, mentre la mia mano proprio non ne voleva sapere di scivolare
sul suo membro turgido che ormai svettava contro il mio addome.
Scesi
con la lingua sulla fossetta della clavicola e strusciai volontariamente contro
il suo sesso, facendolo gemere. Teneva le mani strette nei miei capelli mentre,
senza fretta, torturavo il petto e quel lembo di pelle tatuata, attorno al
capezzolo.
Continuai
la mia lenta discesa fra baci e leccate sul suo sterno, fermandomi a giocare
con l’ombelico e poi a mordicchiare e succhiare quel sottile lembo di pelle
sottostante, strappandogli dei gemiti acuti e delle preghiere di darmi una
mossa. Sollevai il viso e le mie labbra si posarono nell’interno ginocchio,
salendo e arrivando pericolosamente vicine alla sua apertura. Fremeva e gemeva,
mentre teneva una mano su una mia spalla e l’altra incastrata fra i capelli.
Fece
scivolare una mano lungo il mio viso e poi se la portò fra le gambe, cercando
da solo quel contatto che non gli avevo dato io. Feci scivolare la mia mano
sulla sua, sul suo sesso e lui gemette ancora, mentre gli baciavo ancora il
collo. Sollevò la mia mano e se la portò alla bocca, baciando prima due
polpastrelli e poi facendovi scivolare la lingua, dannatamente calda.
Portò
di nuovo la mia mano fra le sue gambe, stavolta spingendola più verso il basso
e facendole invadere il suo corpo caldo e stretto. Le sue labbra si posarono
sul mio collo, lasciandomi dei baci frenetici.
“Per
favore Bri, voglio venire insieme a te, per favore” m’implorò rapido fra gli
ansiti e mentre le mie due dita si muovevano dentro di lui per prepararlo al
meglio, la sua mano si spostò fra le mie gambe, toccandomi intimamente per la
prima volta nella serata. Gemetti sonoramente nel suo orecchio e sfilai le due
dita dal suo corpo, provocandogli un fremito.
Mi
portai meglio sopra di lui e gli allargai le gambe, scivolando dentro il suo
corpo e rimanendo immobile mentre gli baciavo il viso e il collo.
Fu
lui a stringere le mani sulle mie spalle e cominciare a muoversi facendomi
gemere sonoramente.
Spostai
le mie mani su i suoi fianchi e uscii quasi completamente da lui, per poi
affondare di nuovo, mentre mi guardava, gli occhi di quell’insolita tonalità, fissi
nei miei con uno sguardo liquido e dolce.
Era
dolce, per la prima volta fare sesso con lui fu bello anche a livello emotivo e
non solo fisico.
Fu
così fino alla fine, quando raggiungemmo l’orgasmo contemporaneamente e
incastrò le gambe attorno alla mia vita perchè venissi dentro, inondandolo col
mio seme caldo e facendo arrossire leggermente le sue guance.
Sfiancato
mi abbandonai sul suo corpo, ancora incastrati mentre provavamo a riprendere
fiato, sconvolti da quello che era stato l’orgasmo migliore di tutta la nostra
vita. O almeno per me era così.
Cominciò
a carezzarmi la testa e baciare i capelli, mentre riprendevo fiato sul suo
collo, senza avere il coraggio di uscire dal suo corpo.
Posai
le mani su i suoi fianci per allontanarmi, ma lui strinse il mio bacino con le
ginocchia, alzandomi il viso e prendendo a baciarmi ancora.
“Un
momento Bri, solo un momento ancora, è stato troppo bello per farlo finire”
feci scivolare la lingua sulle sue labbra e poi lo baciai prendendogli il
mento.
“Potrebbe
succedere tante volte ancora, una meglio dell’altra, se tu volessi, sai?”
sospirai speranzoso e lui sorride dolcemente e mi baciò.
Quella
notte interpretai tutti i suoi gesti dolci, i baci, le carezze mai date e quel
sesso adorante che non ci eravamo mai concessi, come un si, un segno che
finalmente l’avrebbe piantata di avermi solo come compagno di giochi sotto le
lenzuola, di volere qualcosa di più da me di un orgasmo ben fatto, ma il
mattino dopo, quando mi svegliai, lui non c’era.
Odoravo
ancora di lui, avevo addosso ancora il suo sudore e le sue labbra, ma lui se
n’era andato, come sempre, come ogni volta.
Per
un secondo, ingenuamente, pensai che fosse andato in bagno. Mi alzai, andai a
cercarlo in bagno e niente, non c’era. Lo cercai per tutto il bus, senza
nemmeno preoccuparmi di riuscirci e ad ogni passo in più che facevo, ad ogni
secondo che passava, sentivo di essere stato un coglione un’ennesima volta.
Ero
un illuso, un fottutissimo illusi mentre, sotto la doccia, cantavo “I Dont’
care” degli Apocalyptica per farmi coraggio.
Tanto
sono solo un fottuto illuso, no? Meglio esserlo con dignità.
You
tried to break me
You
wanna break me
Bit
by Bit
That’s
jut part of you
If
you were death or still alive,
I
don’t care.
And
all the things you left behind
I
don’t care
I try
to make you see my side
Always
trying to stay in line
But
you’re all I see right through
That’s
all they do
I’m
getting tired of this shit
I got
no room when inside this
But
if you wanted me just deal with it
So,
If
you were death or still alive,
I
don’t care.
And
all the things you left behind
I
don’t care
Fanculo.
Questa
è l’ultima volta che mi riduci così, a piangere mentre elimino quello che resta
di te.
Non
lo farò più.
Si Haner,puoi anche crederci, finché non
arriverà un’altra notte.
Si
ragazzi, sono allegra, che ci volete fare v.v
Forse
avrei dovuto pubblicarla nella sezione Multiband/Crossover ma lì non mi caga
nessuno c.c
ho
scritto una Matt Shadows x Ville Valo e ha riscosso meno successo di quanto
sperassi e.e
sto
peggiorando, che ci volete fare v.v
Tornando
a questa OS, boh, volevo scrivere qualcosa su quei due ed è saltato fuori
questo °-°
Non
ridete troppo, mi raccomando. Devo un diaframma nuovo già a troppe persone.
Amore
mio, perdonami per aver fatto di tuo marito un mostro v.v I love you
Vi
consiglierei di ascoltare la canzone di
cui si parla ^-^ i don’t care- Apocalyptica feat. Adam Gontier
Io
la adoro e inizialmente non c’entrava una mazza con la fan fic, ma poi boh, è
saltata fuori °-°
Sarà
che a me salta fuori sempre quando sto male.
Mi
infonde coraggio, non so perché.
Che
ero esaurita mi sa che s’era già capito v.v
Vabbè,
stasera sono logorroica (toh’ che novità)
Recensite,
belve feroci che non stiamo qua a sfogliare le verze (O.o ho bisogno di una
vacanza, mi sa)
xoxo
(che poi che cazzo significa? Come si possono interpretare quattro lettere come
“baci baci”? Boh, fa figo, lo metto pure io. Cazzo sto divagando O_O) (Miiii i
saluti so più lunghi della OS. Woooow °O°)
The
Cactus Incident