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Autore: thewhitelady    13/04/2012    4 recensioni
1993-2009
Come deve essere vivere la storia degli Oasis e della scena rock britannica dagli anni 90' ad oggi? Cassandra Walsh è forse l'unica persona al mondo a saperlo. In più in tutto il caos della sua vita di sex, drugs, and rock n roll sa solo una cosa, che a volte il posto migliore da cui godersi un concerto è da dietro il palco.
Per chi ama gli Oasis e quei due pazzi fratelli, ma anche solo per chi ha sentito una volta nella vita Wonderwall o Don't Look Back In Anger e vuole scoprire chi sono Liam e Noel Gallagher. Per chi ha nostalgia dell'atmosfera degli anni '90, e chi neppure l'ha vissuta davvero. Per chi ama gli aneddoti del rock e della musica. Una canzone per ogni capitolo. Cheers!!
Gruppi/Artisti che compariranno: Oasis, Blur, Pulp, Red Hot Chili Peppers, Radiohead, Kasabian, Paul Weller, The Stone Roses, The Smiths, Travis, Arctic Monkeys (un po' tutti)
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Gallagher, Noel Gallagher, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I don't know what it is 
That makes me feel alive 
I don't know how to wake 
The things that sleep inside 
I only wanna see the light 
That shines behind your eyes 

 

 
Stressante, pesante, ripetitivo, stancante e soprattutto noioso. Queste erano le caratteristiche che mai il mio lavoro come roadie per gli Oasis nei precedenti due anni e mezzo aveva avuto, mentre ora mi accorgevo di come i pomeriggi si susseguissero lunghi e uguali, di come mi pesasse lo smontare l'attrezzatura la notte dopo i concerti, di come le vesciche sulle mani, o le corde bastarde che ti bucano i polpastrelli quando le cambi, facessero male. Cercavo di imputare tutto questo alla stanchezza fisica dello star lavorando senza orari praticamente da sei mesi, da quando era iniziata la stagione dei festival, e al fatto che il tour fosse più grande. In effetti era tutto più grande: i posti dove suonavamo, le folle, l'ego di Liam, le stanze d'albergo, il senso d'onnipotenza di Noel, il conto nei locali. E tutto questo pensavo si traducesse giustamente in stress.
La realtà era che forse però tutto mi veniva più difficile da sopportare perchè le serate non le passavo quasi più a cazzeggiare con Liam e Bonehead, e Noel non restava più con me a chiacchierare mentre finivo di smontare la batteria, magari dandomi una mano quando s'accorgeva che un amplificatore era troppo pesante per essere spinto solo da me. Mi mancavano quelle risate con Ourkid, quella compagnia e aiuto di The Chief e il mio “grazie” appena soffiato tra i denti perchè ero troppo indipendente per ammettere che non avevo forza abbatanza.
Iniziai quasi a domandarmi se non fosse vero quello per qualche tempo avevano sussurrato i maligni, che tutto quel che avevo era solo perchè andavo a letto con i Gallagher e che in realtà non ero neppure davvero capace come un vero tecnico delle chitarre, che ero solo una ragazzina qualunque che aveva aperto le gambe alle persone giuste al momento giusto. Non era da me pensare certe cose, ma nelle lunghe giornate di fine Autunno passate con la fronte incollata al finestrino del tourbus a guardare fuori le auto che si rincorrevano, non trovavo niente di meglio su cui riflettere. L'unico altro pensiero ricorrente di tanto in tanto era John, mi chiedevo che stesse facendo in quella casa che pur trovandosi nel bel mezzo della terra delle stelle pareva estraniata dal mondo come pure colui che vi abitava. Anche se nella mia testa me lo immaginavo perennemente seduto sul pavimento a gambe incrociate a scarabocchiare sul suo quaderno, mi domandavo se stesse facendo musica con quella sua chitarra sgangherata – che poi era una Martin degli anni '50, mi ci sarebbe voluto un anno di stipendio per comprarla – e se avrebbe mai scritto ancora qualcosa come Niandra LaDes & Usually Just A T-Shirt, o se si era ridotto solo ad un guscio vuoto... a proposito di Niandra, avevo scoperto dove avevo già sentito il nome Clara: era stampato sulla copertina dell'album, era a lei che era dedicato. Questa Clara dovevo proprio incontrarla una volta o l'altra, se aveva ispirato un tale pezzo di musica.
Le ultime due date che facemmo del tour 1995 furono a Los Angeles, la seconda proprio al Viper Room di Depp, con cui fratelli erano ormai entrati in confidenza, tanto che durante la mia assenza avevano registrato assieme a lui – e la sua fidanzata-grissino Kate Moss – una versione di Fade Away per Warchild. I Gallagher che incidono una canzone con un attore e una modella per beneficenza, me l'avessero detto a metà del 93' non c'avrei mai creduto.
Per un po' avevo sperato di veder comparire John, con quel suo passo strascicato, in una sorta di dejà vù, ma quella sera intravidi appena persino la zazzera colorata di Flea che era tutto preso a parlare con il suo cantante, Kiedis. Da quando ero tornata al lavoro, mi pareva d'essere tenuta piuttosto sotto torchio, non mi potevo permettere neppure una pausa sigaretta, apparentemente. Fatto sta che nei due giorni di passaggio a LA non riuscii neppure a muovere un passo, figurarsi inerpicarmi sino alla villa di Hollywood Boulevard. Avevo promesso che l'avrei rivisto, ma quando chiesi a Depp se sapeva qualcosa di John - i due erano stati amici quando River Phoenix camminava ancora su questa terra – lui diede semplicemente una scrollata di spalle dicendo che non lo sentiva da mesi. Mi diede sui nervi: abitava nella stessa città eppure mi aveva guardata come se non sapesse neppure se fosse ancora vivo o meno. Cazzo, era suo amico! Da quel momento quell'idea mi si avvinghiò allo stomaco e non mi lasciò più andare ogni volta che il mio pensiero ricadeva sul chitarrista, e lo fece con ancora più forza quando con l'aereo stavo decollando alla volta della Gran Bretagna. Avrei potuto non rivederlo mai più.
Nonostante il pensiero di John, mi sentii abbastanza sollevata quando finalmente tornammo a casa per le vacanze di Natale, l'atmosfera in tour stava diventando quasi insopportabile, e forse lo sarebbe stata se non avessi avuto almeno la compagnia del buon vecchio Coyley – che però si sarebbe ritarato, dato che un tecnico del suono mezzo sordo non è una buona cosa – e di Jason. I giorni successivi al rientro dovetti riaffrontare il mio vecchio appartamento, che era rimasto completamente immutato da quando me ne ero andata, considerato che non avevo avuto la forza mentale nè di sistemare il letto nè di vuotare il posacenere, e il solito casino che vi aleggiava. Qualcuno avrebbe potuto dire che vivevo nel degrado, o almeno così mi faceva notare Gem quando mi veniva a trovare, mentre con un piede spostava uno scatolone che mi ero ripromessa di svuotare ai tempi del trasloco, molti, troppi mesi prima. Gem però non era costretto a soffrire più di tanto il disordine della mia dolce dimora dato che ero più o meno perennemente a casa sua, ospite fissa, tanto che Lou aveva imparato ad apparecchiare sempre per tre. Dovevo dire che questo nostro triangolo non mi dispiaceva, anche se sapevo che più che altro mi serviva per non restare a casa da sola a fissare le pareti della mia camera da letto mentre me ne stavo avvolta a bozzolo, sotto le coperte perchè il riscaldamento era rotto. Presto tutto sarebbe dovuto finire, un po' perchè non mi potevo – forse – arrogare il diritto di invadere la privacy della famiglia Archer, ma soprattutto perchè Lou aveva scoperto d'essere incinta e entro fine estate in casa non ci sarebbe più stato spazio fisico per me. Non che l'idea di un pargolo urlante nella mia stessa stanza mi entusiasmasse granchè. Non un bambino qualunque, un mini-Colin oltretutto, diamine, ancora prima di mettere i denti da latte sarebbe stato di certo ostentatamente e odiosamente saggio come il padre. Me lo vedevo già con quegli occhietti castano scuro tanto sinceri.
Ad ogni modo, per quanto non avessi voluto, la vigilia di Natale mi ritrovai a un party che la Creation aveva organizzato per festeggiare quell'anno di grazia che pareva aver praticamente salvato la casa discografica e per brindare ad un 1996 ancora più straordnario, se possibile. Sarebbe dovuta essere un momento di euforia, ma mentre percorrevo il vialetto d'entrata della villa dove la festa era stata organizzata potevo ben percepire la sensazione di trovarmi nel posto sbagliato, al momento sbagliato con le persone più sbagliate che potessi immaginare. Per mia fortuna ero troppo impegnata a cercare di non uccidermi cascando da un tacco un dodici – cazzo servono sti cosi? - che mi aveva prestato Lou, assieme al vestito di pizzo nero effetto vedo-non-vedo – o così almeno l'aveva chiamato lei, io sapevo solo d'avere troppi spifferi da cui passava l'aria gelida – per poter riflettere seriamente sul perchè stessi andando a quella festa. Tanto più che Gem m'aveva gentilmente abbandonato dicendo che doveva andare a casa dai suoi nel Nord, anche perchè suo fratello s'era appena laureato e bla bla bla. Poche storie, in sintesi m'aveva paccato. Quasi scivolai sul ghiaietto del viale, mi vidi passare davanti tutta la mia vita, all'ultimo però mi aggrappai alla fiancata di un auto riuscendo a ristabilire l'equilibrio, per quanto precario. Mi accorsi che l'auto a cui stavo appoggiata non era una qualunque, ma una chilometrica Rolls-Royce tirata così a lucido che per soggezione levai le mie mani plebee per paura di sporcare la carrozzeria e continuai il mio arduo percorso verso l'entrata della villa.
Un'ora e mezza dopo mi trovavo con un gomito, poggiato al bancone del bar, praticamente in cancrena dato che non cambiavo posizione da non so quanto, a buttare giù le ultime gocce di birra da una bottiglia, il barman avrebbe voluto servirmela in un bicchiere, ma da quando mondo è mondo, se la birra non è alla spina, la si scola dalla bottiglia. Sinceramente i Gallagher ero riuscita appena a distinguerli in quella massa informe di persone, e ogni volta che avevo avuto la mezza intenzione di muovermi per andare almeno a scambiare un diplomatico augurio di buon Natale erano stati inghiottiti dai loro astanti. Una mezz'oretta prima mi ero intrattenuta per un po' con Whitey che pareva quanto mai euforico per la serata, ma il poveretto s'era allontanato dopo un po' notando come io non fossi sulla stessa sua onda. Penso sia stato colpa di quel paio di sbadigli che avevo esibito un po' troppo ostentatamente.
Alla fine riuscii ad inquadrare Liam, ed ero già saltata giù dallo sgabello del bar quando una voce amplificata da un microfono risuonò in tutta la sala, dopo un paio di secondi tutta la gente presente tacque, io mi avvicinai per verificare se era proprio colui che pensavo. Scorsi una pelata lucente spruzzata di capelli rossastri: McGee.
- Volevo solo dire che questo è stato un grandissimo anno per tutti qua alla Creation -, applauso, un paio di grida d'approvazione, McGee fece una pausa che voleva essere carica di pathos – e aggiungere, 'fanculo i giapponesi della SONY -. A quel punto non potei non unirmi pure io alla risata collettiva, McGee era un istrione ed io ero fiera d'essere Scozzese come lui, in quei momenti. Ma sì, 'fanculo ai giapponesi anche se erano loro i proprietari della Creation. Tutti levammo i bicchieri a brindare assieme a McGee, che concluse il proprio discorso con un esplicito invito a tutti a ubriacarsi fino a star male.
Io di mio ero già abbastanza brilla – quella sera avevo messo abbastanza alla prova il barista – e forse era quello il motivo per cui quando vidi tutti i membri degli Oasis radunarsi attorno a McGee, non feci dietro front ma rimasi in zona. Era giunto il momento di rompere la barriera di ghiaccio che s'era creata in quelle ultime settimane di tour. Dopo qualche birra e un White Russian mi sentivo abbastanza baldanzosa pure per affrontare Noel.
Rimasi discosta di qualche passo e osservai mentre McGee tirava fuori quattro scatolette ricoperte di velluto blu e le consegnava a tutti, The Chief escluso. Il discograifco aveva fatto le cose in grande, in ognuna delle confezioni si trovava un Rolex d'oro bianco. Mi trattenni dal ridere, mentre Liam rimirava il suo con espressione da bambino e se lo infilava poi – sbagliando ovviamente il verso, ma gli diedi il beneficio del dubbio per via dell'alcool che doveva aver ingerito -. Bonehead e Guigsy parevano altrettanto stupiti, anche se si prendevano in giro a vicenda
- Guigs, ora ti manca una bella pelliccia e sembrerai una vecchia signora di Chelsea – scherzò il chitarrista.
Il bassista sbuffò, - Per essere così aggiornato sui dettagli, dev'essere che te le scopi quelle vecchie -
- Non sono tanto male quanto pensi – grugnì Bonehead – almeno, tua madre non lo è -. I due ero certa che avrebbero continuato a insultarsi, ma in quell'istante ero concentrata di nuovo su McGee che dalla tasca interna della giacca estrasse un mazzo di chiavi scintillante.
- E questo per il nostro songwriter -, il tono era solenne e un po' mellifluo, sarà che avevo ancora ben in mente le grida di McGee quando Definitely Maybe non era ancora pronto e il “nostro songwriter” era più comunemente conosciuto come il “delinquente di Manchester”.
- E' la Rolls-Royce? - ribattè Noel serafico, come se per Natale non si aspettasse nulla di diverso. Quella specie di transatlantico era per The Chief? Io ero ancora un po' incrudula, come lo era di certo anche Liam che fissava alternativamente le chiavi e il suo orologio che tutto a un tratto non sembrava più poi così speciale, il che suscitò nel fratello maggiore una risata, quasi vagamente malvagia. Per una volta non era Ourkid al centro dell'attenzione.
McGee per qualche motivo era rimasto stupito che la sua sorpresa non fosse stata poi tanto sorprendente e cominciò a chiedere a tutti gli astanti chi diamine avesse rivelato la cosa a Noel. Anche il vecchio McGee aveva superato il bicchiere della staffa.
Era il momento di agire, avrei fatto gli auguri di Natale e poi me ne sarei tornata a casa, questo era il piano, che però dovetti rivedere da subito dato che Ourkid mi sgusciò da sotto le dita, ancora un po' imbronciato per lo smacco ricevuto ma con sotto braccio una mora che riconobbi come una certa Lisa Moorish – che di lavoro, se tale poteva definirsi, faceva la mangiauomini professionista -. Quindi mi trovai a fissare davanti a me Noel, potevo leggergli negli occhi gelidi, come ormai ero abitutata, che sapeva perchè ero lì. Volevo far sembrare che le cose tra noi due fossero tornate normali, volevo crederci almeno per quei due secondi che avrei impiegato per augurargli un buon Natale e basta. Ma compresi subito che lui non me l'avrebbe permesso, neanche dopo un giusto numero di birre e magari una striscia o due di coca. Noel Gallagher non perdona, anche se il realtà non sapevo neppure di che cosa mi sarei dovuta scusare. Va bene, me ne ero andata dopo che lui aveva detto che mi amava, ma era forse colpa mia se lui l'aveva fatto? Era adulto, avrebbe potuto accettare le conseguenze di quanto combinava. Qualcosa mi diceva che nel mio ragionamento c'era una falla, forse era il vedere davanti a me l'immagine di Gem che scuoteva con aria grave la testa – ripensandoci, i White Russian dovevano essere almeno un paio -.
Ci fissavamo da parecchio, ignorando la gente attorno che parlava, McGee che indagava da novello Sherlock Holmes, Bonehead e Guigsy che inspiegabilmente avevano preso ad insultare collettivamente Whitey, aspettando solamente che uno dei due facesse una mossa qualunque.
- Ho bisogno entro due giorni che mi riporti la pedaliera riparata – disse infine lui, con fare professionale. La pedaliera di cui parlava pensavo di ripararla entro la ripresa del tour, non gli serviva di certo entro un paio di giorni, e dovevo già controllare il resto dell'attrezzatura e potevano sempre chiamarmi quelli della Creation per del lavoro extra. Ora capivo perchè ero sempre oberata di lavoro, era lui che non mi lasciava un minuto di respiro.
- La darò a Jason – ribattei.
- Jason è a casa a festeggiare coi suoi -
E a me cazzo fregava cosa faceva Jason? A lui non era stata lasciata alcuna incombenza - E allora? -
- Tu non hai nessuno con cui passare le festività, non sarà un problema riparare la pedaliera -, commentò indifferente.
Come ero stata ingenua, me lo dovevo aspettare. Eppure perchè sentivo un cratere aprirmisi nello stomaco? Era forse peggio di quando m'aveva licenziata, almeno quella cosa l'avevo tenuta in conto come possibilità, questa no, non immaginavo potesse dire certe parole. Per una frazione di secondo mi parve di vedere nei suoi occhi che nemmeno lui lo immaginasse, ma forse era solo un'impressione.
- Sei uno stronzo – riuscii solo a balbettare, mi si stava formando un groppo in gola, e la cosa non mi piaceva per nulla. Io non piangevo, non l'avevo fatto neppure quando Melissa Crow m'aveva domandato sibillina perchè io non facessi il lavoretto per la festa della mamma, ma me ne stavo a disegnare un drago. Alla bastarda avevo tirato un destro sul naso.
- No, sei tu la stronza – replicò Noel a denti stretti, qualsiasi cosa avesse baluginato prima nei suoi occhi era sparita di nuovo, inghiottita dal grande gelo.
Risi senza gioia, - No -, vidi Meg che si stava facendo largo tra le persone e veniva verso di noi, - E' che non sono abbastanza bionda, o magari non ti lecco a sufficienza il culo come fanno questi coglioni qua attorno -. Non sapevo perchè sputassi fuori quelle cose senza senso, solo era che rivedevo le immagini del Natale passato da Peggy e tutto ciò non faceva che farmi arrabbiare di più, a quel punto avrei potuto rinfacciargli qualsiasi cosa, pure che m'aveva vomitato sui jeans una volta. Mi bastava che provasse anche solo un po' del dolore che avevo aggrovigliato nello stomaco io, in quel momento.
Ma non dovevo essere così brava con gli insulti, almeno non quanto lui dato che quando arrivò Meg dal dietro e intrecciare una mano con la sua, lui non pareva minimamente turbato dalle mie parole. Probabilmente non c'era nulla che potesse realmente toccarlo, turbarlo. Fottuto muro, Wonderwall di 'sto cazzo.
Mi girai e marciai decisa verso l'uscita, ignorando quei pochi che mi riconoscevano e che mi volevano fare gli auguri. Rischiai nuovamente la vita mentre scendevo la scalinata della villa, per cui decisi di togliermi i tacchi, e mi avviai a piedi nudi sulla ghiaia, passando accanto di nuovo alla Rolls-Royce. Improvvisamente, venni colta da una folgorazione, forse quelle maledette scarpe non si sarebbero rivelate poi tanto inutili...
Il novello proprietario della Rolls avrebbe trovato la macchina con i fanali rotti e un tacco dodici incastrato nel finestrino retrovisore infranto.

I hope that I can say 
The things I wish I'd said 
To sing my soul to sleep 
And take me back to bed
Who wants to be alone
When we can feel alive instead?

 



Ripensandoci, avrei potuto far di meglio invece di sfasciargli l'auto, magari una bella testa di cavallo mozzata nel giardino anteriore di quella sua nuova casa che aveva chiamato Supernova Heights. Perchè gli volevo bene, altrimenti avrei potuto pure tirar sotto con l'auto Benson o Hedges, i suoi gatti. Di certo sacrificare le scarpe di Lou era stata però una mossa azzardata dato che m'ero dovuta poi subire l'ira funesta della proprietaria – tutti quegli estrogeni in circolo le stavano dando alla testa – e poi accompagnarla a fare una seduta di shopping terapeutico, con grande disappunto di Gem. Avevo comprato o meglio, ero stata costretta a comprare pure io qualche cosa che m'andasse bene per delle serate, ed era per questo motivo che mi trovavo nuovamente in pericolo sopra dei tacchi e fasciata in un vestito a stampa optical ad una festa. Avevo un certo senso di dejà vù, ma a questa non ero potuta mancare: i Brit Awards erano l'evento dell'anno. L'invito ce l'avevo già da tempo, e comunque, a parte gli Oasis, si sarebbe esibito pure Jarvis con i suoi Pulp, quindi non è che fossi lì solo per loro eh, giusto per chiarire.
A presentare c'era quel pel di carota di Chris Evans, un tipo famoso per le cazzate che sparava in radio, e per questo decisi di escludere l'audio sino a che non avesse cominciato a dire qualcosa di vagamente interessante. Decisi di prendere posto accanto a Thom Yorke, certa che almeno lui non m'avrebbe rivolo parola per tutta la sera dato che pareva disprezzare più o meno l'intero genere umano. Mi stava simpatico.

Finalmente mi arrivò all'orecchio qualcosa che valeva la pena di sentire: Mastercard British Album. Nello schermo principale scorrevano le immagini dei vari gruppi che erano in lizza: Oasis, Blur, Pulp, Paul Weller e Radiohead. Pure l'algido Thom Yorke si raddrizzò un attimo sulla sedia.
Alzai appena gli occhi dalla mia coppa di champagne mentre Evans dichiarava il vincitore. (What's The Story) Morning Glory?. Tutta la sala esplose in un applauso composto, bevvi un sorso dal bicchiere: e una era andata. Intanto lo schermo mostrava un pezzo di Don't Look Back In Anger fatta a Earl's Court, la canzone era stata rilasciata proprio quel giorno come nuovo singolo, strinsi con forza superflua lo stelo della coppa di champagne. Forse avrei potuto mandarlo in frantumi se una mano non mi si fosse posata sulla spalla.
- Sei incantevole stasera – osservò una voce bassa, dall'accento dello Yorkshire, - dovresti mettere in libera uscita più spesso quelle gambe -.
- Non sono ancora abbastanza brilla, Jarvis -, mi voltai, - perchè tu ci possa provare con me -.
Lui alzò gli occhi al cielo, un sorriso leggero sulle labbra, - Prima o poi cadrai nella mia rete – ribattè lui, senza demordere, mandò giù un sorso di birra e poi indicò il palco da cui erano appena scesi gli Oasis. - Hai visto che ha in mente di combinare Micheal Jackson? -
- Stasera sono qui come ospite, niente lavoro -
- Be', vedrai più tardi -, Jarvis era un filo irritato, il che mi sembrava strano, ma non ci feci troppo caso.
- Mi devo aspettare qualche sorpresa? -. Stavo iniziando ad incuriosirmi, chissà che diavolo aveva in mente l'americano.
Con la coda dell'occhio colsi appena il sorriso enigmatico e furbo di Jarvis, - Forse -, appoggiò la lattina di birra vuota al mio tavolo – Scusami pupa, ma mi dicono che devo andare a far ballare un po' sta gente – e con le gambe lunghe si avviò a passi scattanti verso il backstage.
Subito dopo lo show dei Pulp, venne annunciato il miglior singolo, che venne vinto dai Take That. La categoria seguente era miglior video, ancora una volta scorsero le immagini dei contendenti per il titolo e per questo venne trasmesso uno spezzone di Wonderwall. Era un po' strano vedere quel video per me, di solito sapevo cosa c'era dietro ad ogni singolo videoclip, ma quello era stato girato dopo la mia fuga per cui non avevo idea di cosa fosse accaduto nel backstage.
A vincere ancora una volta furono gli Oasis, personalmente però alla categoria davo poca importanza, certo un video era importante però la cosa centrale era la musica, nient'altro. La cosa migliore era probabilmente la faccia leggermente scocciata di Damon Albarn che in quella categoria partecipava con ben due canzoni, e lui era un tipo che a quelle cose ci stava attento, ed effettivamente The Universal meritava parecchio, anche solo per vedere lui mezzo truccato.
Andai a fare rifornimento di alcolici e questa volta mi procurai una bella lattina di birra, tornai appena in tempo al tavolo, i Radiohead erano spariti, rimpiazzati da tre tizi un po' inquietanti uno con capelli tinti biondi e occhiaie profonde sottolineate dalla matita nera, uno un po' stralunato dalla capigliatura rosso pomodoro e un terzo che non mi degnai neppure di guardare attentamente dato che su uno dei palchi era cominciato lo show di Jackson.
Era una delle cose più pacchiane che avessi mai visto, decine e decine di comparse, quasi tutti bambini che cantavano, uno scenario quasi biblico e tra fumo e luci compariva Jackson su di una specie di palco sopraelevato che si muoveva gradualmente verso il basso. Poi la mia attenzione venne attirata da una figura vestita di nero che non si muoveva secondo l'elaborata coreografia, si piegava puntando il sedere in direzione del cantante, scappava dalla security e tirava su la camicia. Risi di gusto mentre Jarvis evitava per l'ennesima volta la sicurezza correndo in giro tra le comparse. Infondo lui l'aveva detto che ci sarebbe stata una sorpresa. Alla fine riuscirono ad agguantarlo e lui si fece portare via senza protestare, mantenendo il suo inconfondibile aplomb, quando mi passò di fianco mi fece il suo solito occhiolino da don giovanni.
Lo spettacolo di Jackson intanto andava avanti, mentre lui cantava Earth Song, tutto calato nella parte di un novello Messia, ma senza Jarvis il tutto era troppo tedioso, per cui ripresi ad osservare i tre tizi che sedevano al mio tavolo e che parlottavano tra di loro, ridendo, con l'inconfondibile accento californiano. Dovevano essere i Green Day, di loro avevo rubato pure un album o due...o forse l'ultimo l'avevo pure comprato? Non ricordavo molto bene...sì, Dookie l'avevo decisamente pagato – ero quasi sbalordita da me stessa -.
Ero talmente persa nelle mie elucubrazioni che quando rialzai lo sguardo sullo schermo gigante stavano già passando i volti dei contendenti per la miglior band di Gran Bretagna, cazzo! Non feci quasi in tempo a leggere che il nome venne annunciato. Accadde tutto tremendamente in fretta, nel giro di pochi secondi mi ritrovai a seguire Liam che camminava con la sua tipica andatura sballonzolante verso il palco, levando le braccia in segno di vittoria, e dietro di lui tutti gli altri membri della band che, nonostante fosse già la terza volta che venivano chiamati sul palco, esultavano grandiosamente.
Evans aveva piazzato in mano a Liam il premio a forma di dito medio dei Brits e mentre Noel provava a dire qualcosa che rassomigliasse anche solo vagamente a un discorso di ringraziamento, Ourkid con movenze da cavernicolo aveva preso a cercare di...infilarsi il premio su per il culo. Ero sbigottita, un po' come tutti, ma dopo un secondo inziai a ridere, subito accompagnata dai miei compagni di tavolo. Non tutti lo fecero, qualcuno era ancora sbalordito o come Thom Yorke arricciava dignitosamente il naso davanti a un'espressione di tale rozzeza. E lo era, diamine se lo era. Però per me, che avevo paura che i Gallagher venissero addomesticati dallo showbiz, quella era la prova che non bastava ancora qualche Rolex e delle feste lussuose per cambiare quello che erano: genuini, stupidi, buzzurri coglioni. I miei coglioni, riflettei asciugandomi una lacrima per il troppo ridere con il dorso della mano.
Alla fine Liam parve contento di quanto aveva mostrato alle telecamere e decise per cui d'andare a interrompere suo fratello e incominciare con il proprio di discorso. - Vorrei ringraziare tutte le persone... -. Sapevo dove voleva andare a parare, e pure Noel visto che all'unisono presero a cantare sguaiatamente: - All the people -, mi alzai pure io in piedi e inziai a cantare come anche altri attorno a me, - so many people -, Noel mi stava guardando e per un attimo dimenticai tutto e forse pure lui, – May all go hand in hand, hand in hand through their...SHITE-LIFE! -. Finito di cantare mi sentivo riempita da una strana euforia: gli Oasis avevano vinto tre Brits. Esitai ancora un attimo, il mio sguardo dritto in quello di Noel che era leggermente meno freddo, un sorriso idiota stampato in faccia. Ce l'avevano fatta. Avrei voluto dire che ce l'avevamo fatta, ma il ricordo della festa di Natale era vivo in me più che mai, per cui approfittai di un istante in cui aveva volto l'attenzione verso Chris Evans e me ne andai via.
Non c'era nessuno lungo i corridoi della Earls Court Exhibition Centre, ovviamente erano ancora tutti dentro per la cerimonia. Cercai di mantenere un'andatura dignitosa mentre scendevo le scale e arrivavo in strada dove erano parcheggiate due auto della polizia. E dentro una, ci stavano facendo salire Jarvis, che vedendomi si sporse dal finestrino.
- Signor Cocker, dobbiamo portarla in centrale – lo ammonì un agente.
- E un attimo, Ispettore Callaghan – si lamentò Jarvis – Cassandra, dimmi che abbiamo vinto come miglior band, vedo già il titolo del Sun: “I Pulp vincono i Brits, ma Cocker si trova nel braccio della morte”. Sarebbe epico! - disse a raffica con la sua parlantina.
Feci una smorfia, - Spiacente, abbiamo vinto noi -. Hanno vinto gli Oasis, volevo dire. L'espressione di Jarvis non mutò, se lo aspettava. - Ti terranno dentro molto? -, cambiai discorso. L'agente della polizia sembrava abbastanza impaziente.
- Non ti preoccupare, pupa –, rispose pronto, – sarò fuori in tempo per portarti a prendere un aperitivo a Chelsea -, al che il poliziotto gli fece cacciare dentro la testa nell'abitacolo e fece segno al collega di partire. Mentre la volante si allontava salutai con la mano il cantante, speravo sinceramente che non passase troppi guai per quella sua bravata, quello da mettere in galera era Jackson, non Jarvis.
Smontai giù dai tacchi che mi stavano torturando i piedi e mi diressi verso la fermata dell'autobus più vicina. Chissà se Gem era ancora sveglio, e aveva voglia di fare quattro chiacchiere... Ma sì, lui era sempre sveglio.

 

Because we need each other
We believe in one another
And I know we're going to uncover
What's sleepin' in our soul


A fine Febbraio, a soli pochi giorni dalla vittoria schiacciante ai Brits e quando in patria si stava ancora parlando del caso di Jarvis – l'avevo fatto uscire dopo una sola notte di galera e lui aveva dovuto tenere una conferenza stampa –, noi atterrammo per l'ennesima volta negli States. Sia la Creation che The Chief parevano quanto mai decisi a sfondare pure nella terra dello zio Sam, e la tecnica adottata era quella di battere ferro finchè era caldo. Nonostante la settimana stressante e ricca d'impegni, i Gallagher erano riusciti lo stesso a ritagliarsi una serata con Depp all'ormai caro Viper Room. Io ero presente mio malgrado, come anche tutta la crew, e non so per quale motivo ero riuscita pure a finire proprio al tavolo delle celebrità, al mio fianco c'era però Maggie, con la quale di tanto in tanto scambiavo due chiacchiere, lei che era troppo presa a controllare e ricontrollare il programma della giornata seguente. Qualche volta provavo a stare dietro alle conversazioni tra Depp, la Moss e i fratelli, ma con ben poco successo, l'ultima volta stavano parlando dell'organizzazione di una possibile vacanza in una delle molte case sulla spiaggia dell'attore. Avrei voluto tanto dire che Noel non sapeva nuotare, che odiava la spiaggia e che l'ultima volta che c'era andato in vacanza era stato qualcosa come il lontano 88' a Creta, ma non mi sembrò il caso di scombussolare i piani a tutti. Tornai a pensare ai fatti miei, al pedale della cassa di Alan che aveva qualcosa che non andava.
Quando infine mi girai nuovamente verso il tavolo, trovai Depp che mi fissava interrogativo, tutti avevano un'aria un po' confusa e guardavano me. Dovevo essermi persa qualcosa, ma non sapevo come tirarmi fuori d'impiccio.
- Ho detto, sei tu quella che m'aveva chiesto di John? - ripetè allora Depp, con aria più amichevole.
- Ah, sì – bofonchiai, con il casino che c'era e la sua pronuncia tutta soffiata non mi stupivo di non averlo sentito la prima volta, - Perchè? -, avvertii una leggera torsione allo stomaco, e lo sguardo teso che mi rivolse l'attore certo non mi aiutò.
- Flea m'ha detto che si trova in ospedale da qualche giorno -, tirai un sospiro di sollievo, ospedale era sempre meglio che cimitero, - l'ha scampata bella, quelli della terapia intensiva l'hanno tirato fuori all'ultimo -, l'aria al tavolo era decisamente diventata più greve.
- Ora come sta? -, sapevo che era una domanda stupida, ma davvero non avrei saputo che altro chiedere. Depp diede una vaga scrollata di spalle: - Lo stanno facendo disintossicare -, modo pacato per dire che stava soffendo come un cane, i sintomi dell'astinenza da eroina erano molto forti.
- Sapevo che domani Flea voleva passare a trovarlo, se vuoi puoi andare con lui -
- Tu non ci vai? -
Depp si mosse, come se la seduta gli fosse improvvisamente scomoda, – Impegni di lavoro – rispose alla fine.
- E anche tu hai impegni di lavoro -, mi voltai, ad intervenire era stata Maggie, che stava di nuovo scartabellando, - dobbiamo prendere l'aereo domattina, nel pomeriggio abbiamo un set acustico in una radio a St. Louis -. Cazzo, me ne ero dimenticata. Avrei voluto protestare ma sapevo che c'era poco da fare...
- Annullalo -, disse deciso Noel, mi girai verso di lui, completamente spiazzata.
- Ma è già tutto sistemato! - esclamò Meggie scandalizzata.
The Chief rimase impassibile, - E tu chiamali e digli che noi non suoniamo – spiegò semplicemente. Cercai di capire perchè stesse facendo una cosa del genere, ma l'espressione era intelleggibile. O forse voleva pulirsi la coscienza per quel che m'aveva detto alla festa di Natale? Oh, se pensava che sarebbe bastato così perchè mi prostrassi davanti a lui tutta riconoscente si sbagliava di grosso.
- No, Maggie, non annullare niente. Questi sono affari miei privati, non posso bloccare l'intera crew -, lo sguardo di Noel fremette un attimo e lo vidi contrarre le sopracciglia, mentre cercava di leggere la mia mossa, ma subito si riprese e soggiunse, con una mezza risata – Questo mi pare ovvio -, c'era una punta di scherno, poi si rivolse a Meggie – sono giorni che non siamo fermi, mi serve una pausa. Meg doveva arrivare domani a St. Louis, le dirò di cambiare e venire qui a LA per un po' di shopping -. Di fianco a lui pure Patsy sembrava essere d'accordo e si mise a parlare nell'orecchio a Liam che annuì, passandole una mano tra i capelli.
Maggie rimase ancora un attimo irrigidita poi, con un'imprecazione soffiata tra i denti, s'alzò con il cellulare già attaccato all'orecchio pronta a risistemare il programma del giorno seguente.

 

There are many things
That I would like to know
And there are many places
That I wish to go
But everything's depending
On the way the wind may blow

Non ero mai stata in un ospedale, avevo sempre avuto una salute ferrea e parecchia fortuna quando si trattava di cadere, dall'ultima volta che ero stata in un posto del genere erano passati circa dieci anni, ed era stato per via di mamma, anche se per l'esattezza ero andata in un obitorio. Ed effettivamente il luogo dove mi trovavo ora non era niente di molto diverso, stavo passando di fianco alla terapia intensiva come m'aveva spiegato un infermiere ed ero diretta verso le stanze dove stavano i pazienti appena dimessi da essa. Leggevo veloce i numeri sulle porte beige, sino a che non trovai quello che stavo cercando. Frusciante John Anthony, camera 611B.
Bussai ma nessuno rispose, magari stava dormendo, ma aprii la porta comunque, al massimo me ne sarei andata in silenzio. Appena oltrepassai la soglia però mi trovai due occhi color caffè puntati addosso, il proprietario attorniato da un gran numero di macchinari e tubicini: pareva di stare in una puntata di Star Trek. John quando ero entrata era praticamente scattato sull'attenti, ma ora che m'aveva riconosciuta era tornato a stendersi sui cuscini che gli sostenevano la schiena, emettendo un sospiro lieve, lo sguardo sempre attento però.
Sopra l'unica sedia che c'era era stato posato un mazzo di fiori, come d'altronde ce ne erano anche molti altri sparsi un po' ovunque, pure una scatola di cioccolatini, di quelli economici che si trovano al supermercato, gli avevano portato. Con tutti quei fiori mi sembrava di stare in una camera ardente, io non gli avevo portato nulla, ma non mi pentii d'averlo fatto. Presi la sedia e la trascinai, con rumore metallico, vicino al letto.
Avrei detto che l'aspetto di John era peggiorato, ma forse era perchè gli avevano rasato i capelli e, senza essi a coprirgli il volto, le occhiaie erano più evidenti che mai, così come anche gli zigomi ossuti. L'aria trasandata era però completamente sparita, forse perchè non indossava più quei vestiti che davano l'idea di star per avvilupparlo da un momento all'altro, ma un camice bianco dell'ospedale che quasi si mimetizzava con il colore della sua pelle.
- Sono tornata – esordii dopo qualche secondo di silenzio, a parte il ronzio delle luci al neon, a lui si incurvarono appena gli angoli della bocca.
- Gli spiriti me l'avevano detto, non avevo dubbi – commentò sicuro, la voce era leggermente gracchiante e stentata, non doveva averla usata molto negli ultimi mesi. Chissà se i suoi spiriti gli avevano pure detto quanto fossi stata vicina dal non venire, non glielo chiesi però.
- Che hai avuto? -, con John era inutile nascondere persino la curiosità, l'avevo ormai capito, se non l'avessi domandato io, me l'avrebbe raccontato di certo lui.
Si strinse appena nelle spalle spigolose, - Infezione del sangue, me ne era rimasto ben poco e tutto quello che avevo in circolo era merda – spiegò, come se non stesse parlando di se stesso, ma di un altro. - I medici dicono che ho rischiato la vita, è per questo che adesso mi tengono pulito. Be', a parte il metadone -. Le sue dita si muovevano nervose , stropicciando l'angolo del lenzuolo.
- Va tanto male? -
Piantò di nuovo i suoi occhi nei miei, era pazzesco come potesse spostare completamente l'attenzione da una cosa all'altra, sino a un attimo prima stava fissando distratto la lucetta dell'elettrocardiogramma, come se io neanche esistessi. - Penso di riuscire a sopportare ancora qualche giorno, poi mi dimettono e allora non avrò problemi a trovarmi la roba -, rispose inclinando un poco la testa.
Non poteii trattenermi e sbottai – Ma hai appena rischiato di morire! -. Non era indignazione, solo mi si stava torcendo di nuovo lo stomaco.
Lui sbattè un paio di volte le palpebre, sapevo che capiva, ma se ne fregava lo stesso – Non mi importa se vivo o muoio, anche in questto stesso istante. Ho bisogno dell'eroina -, si fermò un secondo, borbottò qualcosa di indistinguibile, stava forse rincorrendo una parola, - ne ho bisogno per vedere la bellezza, senza è tutto...andato -, scosse la testa, concetrandosi adesso sulle proprie mani, - non riesco a fare nulla senza l'ero, lo dicono pure i miei amici che senza perdo la luce negli occhi -. In quell'istante, quando levò proprio gli occhi su di me, non ebbi il coraggio di guardarli. Non volevo sapere se era vero, e d'improvviso il motivetto a rombi del copriletto era tremendamente avvincente. Avrei voluto dargli del coglione, dirgli che non capiva cosa stesse buttando al vento e cosa avesse già buttato, ma con John avevo sempre la sensazione che a non capire potessi essere io in realtà. Per cui rimasi in silenzio, ora attirata dal movimento rapido e preciso delle sue dita, non le stava muovendo a caso: stava suonando. Al che mi si accese una lampadina, con una rapida associazione di idee, arrivai a pensare alla copertina di Niandra e insinuai: – Non mancheresti a Clara? -, lo dissi con naturalezza, come se avessi precisamente in testa l'immagine di quella donna che invece ancora mi sfuggiva totalmente.
Al solo sentir pronunciare quel nome lui sorrise in maniera gentile, quasi timida, ma subito si rabbuiò, credo quando gli arrivò del tutto il messaggio della mia domanda. Si stropicciò gli occhi, per la prima volta ero riuscita a metterlo a disagio e la cosa non mi piacque per nulla, era come vedere un bambino indifeso.
- Lei... -, borbottò, - lei ha Flea. Strarebbe bene pure senza di me, credo -. Vedevo come la sua stessa risposta non lo convincesse a pieno, e mi pentii d'aver nominato Clara, mettendo a memoria di farlo con più cautela se mai fosse ricapitata l'occasione. Silenzio.
- Hai delle sigarette? -, sembrava aver già dimenticato quanto era successo trenta secondi prima.
Esitai un istante.
- Sono un eroinomane, mica mi ucciderà un po' di fumo -, il tono era scherzoso, gli era tornato il buon umore.
- E invece pare di sì, dicono che faccia venire il cancro – replicai. Ottima pubblicità progresso da una che si fumava minimo un pacchetto al giorno.
- Mi devi ancora una boccata di Pall Mall – mi rammentò allora. Dio, lui e la sua memoria!
Cominciai a tirar fuori le B&H dalla borsa, - Era pure una boccata di seconda mano – mi lamentai io, allungandogli comunque la sigaretta e accendendogliela. Meno male che non aveva le cannule per l'ossigeno o avrei rischiato di far esplodere mezzo ospedale. - Facciamo a mezzo? -
- Facciamo a mezzo – confermai.
Un'ora dopo stavamo discutendo con fervore su chi fosse stato più fondamentale per il glam rock tra Marc Bolan e David Bowie, di cui lui era una specie di groupie: in un momento di particolare agguerrimento aveva provato pure ad accennarmi Rock 'n' Roll Suicide, ma la voce gli aveva ceduto quasi subito. Ora invece mi stava spiegando perchè Under The Bridge avesse qualcosa che mi faceva proprio pensare ai T. Rex di Bolan.
- Sta tutto nella chiusura della seconda strofa, in quell'accordo di settima che è uguale in una delle loro. Il bello è che si chiama Rip Off, la canzone da dove ho preso quell'accordo. Ho rubato da una canzone che si chiama rubare – spiegò, ingarbugliandosi un poco con il gioco di parole, finendo per trovarsi a tossicchiare. Gli presi il mozzicone di sigaretta e lo spensi in una scatoletta di metallo che mi portavo sempre dietro assieme alle B&H, e non potevo fare a meno di sorridere, non per l'aneddoto in sè, ma per il modo in cui John raccontava: faceva sembrare tutto più vivido, a tratti anche distorto e confuso. Il suo modo di parlare lo rispecchiava a pieno.
Sentivo come spilli i suoi occhi su di me, su ogni mio singolo movimento, questo un po' mi infastidiva, per cui mi limitai a continuare a sistemare i vari oggetti nella borsa, cercando il posto perfetto per il pacchetto di sigarette quando di solito lo lanciavo dentro e casaccio.
- Ti posso baciare? -
Aggrottai le sopracciglia, dovevo aver sentito male: l'ultima volta che qualcuno m'aveva chiesto il permesso di baciarmi avevo nove anni, e a farlo era stato Richie Frost. No, no, dovevo aver capito male, era colpa di quella stupida pronuncia incomprensibile. Però quando alzai lo sguardo, trovai John che mi guardava paziente, limpido, nonostante l'aria malaticcia, come era stata anche la domanda che avevo sentito. Richie Frost l'avevo mandato a 'fanculo, mi faceva schifo l'idea di baciare un maschio, uno dei miei migliori amici. E in più aveva anche l'eczema!
Dai meandri della mi borsa arrivò il bip fastidioso del cerca-persone, ma al momento non importava, ero ancora troppo spiazzata.
John era ancora lì che aspettava una risposta, imperturbato. Ma bastò che inclinassi leggermente il capo, in segno d'assenso, perchè si tirasse più su a sedere e s'avvicinasse quel tanto che bastava per far combaciare le nostre labbra. Le sue erano fredde come le ricordavo, e innaturalmente secche – lo dovevano star idratando via flebo -, mi venne naturale passarci sopra la lingua, su quella pelle screpolata. Lo sentii trasalire anche solo a quel minimo contatto, ma non si scostò prima di qualche altro secondo, quando infine tornò a sdraiarsi contro i cuscini, l'espressione completamente immutata. Mi sentivo tanto l'esperimento di un bambino, e non sapevo neanche se ero un esperimento fallito o meno, abbassai lo sguardo scoprendo come la mia mano destra fosse tra quelle di John che avevano smesso di suonare, la sua concentrazione era ora rivolta verso le fronde degli alberi che si vedevano fuori dalla finestra.
Suonò nuovamente il cerca-persone, e dovetti sottrarre la mano alle sue per poter frugare nella borsa. Come immaginavo, era Meggie. Doveva essere una visita breve e invece ero stata lì sin troppo, quindi m'alzai e m'affrettai a mettere a posto la sedia, tra un movimento e l'altro riuscii a borbottare un: - E' tardi, non posso restare -
- Sei sempre di fretta – osservò allora John, il tono non era negativo ma neanche positivo, - Cambierebbe forse qualcosa se ti fermassi invece di andare via? Smetterebbe il mondo di girare? -. Oddio che domande, dovevo andare, non l'avessi fatto Meggie m'avrebbe sclerato dietro e magari l'intera crew avrebbe perso l'aereo e... ok, avremmo potuto prendere anche un altro aereo e no, la Terra non avrebbe smesso di girare però non potevo neppure certo rimanere con lui in quella stanza. Era come se il mondo reale e la stanza di John – il suo mondo - non coincidessero, e non potessero neppure farlo. Forse era per quello che il bacio che avevamo condiviso solo qualche minuto prima mi pareva già lontano anni luce. Mi rassettai in un attimo e mi voltai a guardare John nel letto, avevo già intenzione d'andarmene con un cenno di saluto quando mi venne in mente una cosa e per l'ennesima volta mi misi a rimestare nella borsa sino a trovare una penna portata via da un qualche hotel. Ora mi serviva solo della carta, aprii i cassetti del comodino di John ma non c'era nulla, alzai gli occhi al cielo e quando li riabbassai trovai lui che mi offriva con noncuranza un avambraccio.
- Meglio che niente, no? -, mise assieme un mezzo sorriso.
Cominciai a scrivere veloce, ma cercando di non calcare troppo, proprio sopra l'asterisco dei Peppers, - Questo è il numero di cellulare della nostra tour manager. Non preoccuparti di controllare l'orologio quando chiami, se vuoi chiamare, tanto per parlare un po', nel caso Flea non fosse abbastanza... anche se penso che Flea abbia fiato per poter intrattenere conversazione con l'intero Stato della Californa... - stavo divagando, io non divagavo mai, - ecco, Maggie soffre di insonnia cronica per cui non farti problemi – conclusi chiudendo il cappuccio della biro.
Lui si limitò a muovere la testa in segno d'assenso, così io non aggiunsi altro e me ne uscii dalla stanza veloce, dato che avevo solo venti minuti per arrivare all'aereoporto.
Junkie era la parola specifica che si usava per indicare il dipendente da eroina, ed era anche stessa che John usava per definirsi. E derivava da junk, spazzatura, e una cosa la sapevo mentre ero in viaggio con il mio taxi nel traffico di LA: John non era spazzatura.

 

I don't know what it is
That makes me feel alive
I don't know how to wake
The things that sleep inside
I only wanna see the light
That shines behind your eyes

- Che fai? -
Il silenzio durava da un po', e sentivo solo vaghi rumori di sottofondo dall'altro capo del telefono.
- Quello per cui impiego una gran parte del tempo: respirare un sacco. Mi piace l'aria -, sarei anche potuta scoppiare a ridere, ma sapevo che era del tutto, genuinamente serio. E d'altronde non potevo neppure dargli torto. Per cui rimasi immobile, la cornetta appiccicata alla guancia, a sentirlo respirare.
Era passato circa un mese da quando ero andata a trovare John in ospedale. Lui aveva chiamato il numero che gli avevo dato dopo solo un giorno, giusto per dirmi che su Los Angelese pioveva e che mi salutava Flea, poi non aveva chiamato per più di una settimana e quella volta m'aveva chiesto di parlare e basta, io, da sola, lui non aveva praticamente aperto bocca. E per tutto il mese più o meno così, senza uno schema, e ogni tanto udivo dall'altro capo del telefono pure una voce di donna. Doveva essere Toni, mi tranquillizzava il pensare che non fosse completamente da solo in cima a quella collina, con i suoi spiriti e gli uccellini che cinguettavano fuori dalla finestra.
Quella volta però l'avevo chiamato io, dal telefono a gettoni della sala bar dell'hotel in cui ci trovavamo a Dublino. Non ci eravamo detti granchè, ma nonostante ciò eravamo al telefono da circa mezz'ora – non avevo finito la moneta perchè ne tenevo una in bilico nella fessura del contatore, non era comodo ma parecchio economico sì -.
- Stavo pensando – cominciò ad un certo punto, io che mi ero quasi lasciata andare, addormentata, contro la parete di legno, regolando il mio respiro al suo, -...come ti chiami? -. Che domanda assurda, sbuffai, com...oh cazzo, io non gli avevo mai detto il mio nome. Ero quasi tentata di non dirglielo, infondo fino a quel momento come mi chiamassi era superfluo, però dovetti cedere a quel suo tono curioso, che non era poi tanto facile da stimolare.
- Cassandra – dissi un po' titubante, come aspettandomi che cambiasse qualcosa da un istante all'altro.
- Cassandra –, ripetè lui, – come la profetessa inascoltata dell'Iliade -. Non me lo vedevo per niente a leggersi vecchi libroni di Omero.
- O come la zia preferita di mia madre – replicai io, sogghignando.
Non riuscii a sentire la risata appena accennata di John, un rumore di sedie spostate e di grida la coprì. Lasciai cadere il ricevitore, e scostata la tenda che concedeva un po' di privacy a coloro che dovevano telefonare mi ritrovai nel bar dell'hotel.
Liam era di fianco al bancone, rosso di furore come mai l'avevo visto, completamente trasfigurato, sembrava avere il diavolo in corpo. Le braccia di Bonehead lo trattenevano all'indietro, non fosse stato così sarebbe certo saltato addosso all'uomo di mezza età che invece lo fissava con un ghigno che mi faceva venire i brividi su per la schiena. Viscido
- Voglio solo fare quattro chiacchiere, William – disse con voce baritonale, le folte sopracciglia erano contratte sopra degli occhi di un bell'azzurro, ma un po' iniettati di sangue. Assomigliava vagamente a Noel, e in quell'istante capii: era Tommy Gallagher, che tornava dopo ben tredici anni. Dietro di lui c'era un cameraman e una giornalista con il cartellino di riconoscimento. - Solo parlare un po' e sistemare le vecchie questioni -.
Liam cercò di divincolarsi, - Vieni un paio di passi più vicino che le questioni le sistemiamo come dico io, eh?-. Ourkid non aveva certo voglia di una chiacchierata amichevole.
Al pugno levato di suo figlio, Tommy replicò con una risata profonda – Non essere ridicolo, non faresti male neppure ad una mosca! -
Dalla porta che dava sulla reception entrò come una tempesta Noel, seguito a ruota da Maggie, con la faccia più preoccupata che le avessi mai visto, lui stava gridando: - Dov'è?! - quando il suo sguardo si bloccò sulla figura un po' curva del padre. - Vai via – sibilò a denti stretti, a malapena udibile.
- Oh, eccoti, stavo dicendo a tuo fratello come sarebbe ora di una bella rimpatriata – fece gioviale Tommy.
Liam si dibatteva ancora tra le braccia di Bonehead, che però non mollava la presa. - Lasciami, idiota! E' una vita che aspetto questo momento, il giorno in cui gli avrei spaccato la faccia -.
Noel si voltò verso Ourkid, - Smettila, Liam. Non dargli questa soddisfazione -, era perfettamente calmo, l'antitesi dell'altro.
Tommy stava sorridendo, - Sei sempre stato un bravo fratello maggiore, eh? Magari un po' codardo, però per Ourkid c'eri sempre -.
Vidi le dita di Noel contrarsi a pugno, più e più volte, la mascella chiusa in una morsa. - Non...chiamarlo così – minacciò, la voce che si stava incrinando per la rabbia, si girò verso Maggie – Lo voglio fuori di qui, ora – ordinò lapidario, ma la tour manager era stata più rapida e aveva già chiamato la sicurezza che allontanò Tommy dall'hotel. Bonehead lasciò andare Liam che però subito cercò di precipitarsi fuori dalla stanza per correre dietro e suo padre, per fortuna io e Alan lo intercettammo un attimo prima che potesse uscire dall'albergo e fare qualche cazzata. Mi guardai attorno, Noel era sparito. In compenso la giornalista e il cameraman erano ancora lì, la telecamera accessa. Cristo, quanto li odiavo!
- Spegnila! – latrai loro contro, mi accorsi solo allora di quanto fossi veramente incazzata pure io. - Spegnila, cazzo! -. Il cameraman si limitò a indietreggiare solo di qualche passo, per prendere un tutto campo di Liam che aveva appena mandato a gambe all'aria un tavolo e ora si stava accanendo su tutti I poveri suppellettili presenti nella reception.
Guigsy strappò di mano la telecamera all'uomo, - Non hai sentito la signorina? -, mi passò il maledetto aggeggio, io premetti bottoni a casaccio sino a che non si aprì il cassettino che conteneva il nastro, lo stracciai. Era l'unica possibile da farci con quello schifo di roba.
Dalla faccia della giornalista si sarebbe detto che l'avevano appena schiaffeggiata, - Lei non può... - stava balbettando indignata, -...quella era la mia intervis... -- Ma taci, troia -, tagliai corto io, seguendo Ourkid nel bar dell'hotel, dove ora era impegnato a sfasciare sgabelli. Era ancora fumante, e sinceramente non avrei saputo che fare per fermare quella furia – a parte mettermi in mezzo e prendere una sediata -.
- Lascialo sfogare -, Maggie era arrivata da dietro, aveva l'aria stravolta e il cellulare in mano, pronta a fare una serie di chiamate per mettere a tacere il casino che sapevo sarebbe scoppiato. - Almeno ora hanno grana abbastanza per ripagare quanto distruggono -.
Feci un sorriso stanco e stavo per replicare qualcosa, ma Maggie stava già parlando al telefono con la Creation a Londra.
Spinta da non so cosa decisi di vedere dov'era andato a cacciarsi Noel, per un secondo pensai con orrore che nel marasma generale potesse essere uscito lui a cercare Tommy per dargli una bella lezione, ma poi trovai la porta della sua camera socchiusa ed entrai. Lui era di spalle, guardava fuori dalla finestra il cielo uggioso e incombente di Dublino, guardò appena indietro per mezzo secondo, per capire chi lo stesse disturbando.
- Hai fatto la cosa giusta – mormorai dopo qualche secondo, quella sua immobilità mi dava fastidio, più di Liam che distruggeva mezzo albergo.
Si voltò, i suoi movimenti erano inquieti, - Avrei dovuto picchiarlo a sangue – ribattè lui, aveva il respiro affannoso – o l-lasciarlo far-e a Liam -, stava ricomparendo la vecchia balbuzie, fece un ghigno pieno di sarcasmo – dato c-che sono un co-codardo -. Non fosse stato perchè tartagliava, dalla sua faccia non si sarebbe capito quanto era veramente incazzato, come sempre era senza espressione quando parlava di suo padre.
Provò a dire qualcos'altro ma faceva fatica ad articolare le parole, e più faticava, più si arrabbiava e la rabbia non faceva altro che peggiorare la balbuzie. Si arrese, e mi guardò fisso con quegli occhi gelidi, le mani che tremavano appena.
Per un secondo pensai che finalmente stesse provando tutta la frustrazione e il dolore che m'aveva causato alla festa di Natale, con quelle parole buttate lì quasi per caso, ma da tutto ciò non riuscivo a trarre nessuna soddisfazione, provavo solo un senso di disfacimento interiore, di impotenza. Mi faceva male. Non volevo vederlo così, aveva fin gli occhi lucidi, non volevo vederlo così, cazzo. Avrei solo voluto essere chiusa in una stanza con Tommy Gallagher e avere in mano una mazza da baseball.
Feci due o tre passi in avanti e gli presi il viso tra le mani, lo baciai. Non se lo aspettava, ma dopo un secondo potevo sentire la rabbia che stava riversando in quel bacio, e una serie d'altre cose che non si possono registrare in situazioni del genere. Lasciai che si sfogasse per un po', che ci sfogassimo entrambi, poi mi lasciai ricadere sul letto rifatto da poco dalla donna delle pulizie.
Presi un attimo d'aria, sentivo le labbra gonfie e mi concentrai sul sapore misto di tè e sigaretta che avevo sempre associato a Noel, non pensavo mi potesse mancare così tanto. Le orecchie mi rimbombavano del suo respiro affannoso – la rabbia però era un fattore secondario ormai – e aveva anche lui le labbra rosse, sembrava un po' un ragazzino. Mi stavo quasi incantando a guardarlo, era qualcosa di meraviglioso poterlo scrutare negli occhi senza sentirli come spilli gelidi, quando lui mi tirò un morsetto, per cui ripresi a baciarlo, questa volta lentamente senza alcun altro fine se non quello di sentire la barba ruvida, il fiato caldo e i capelli lisci sotto le dita. - Non sei una stronza -, riuscì a dirmi tra un bacio e l'altro, più o meno quando m'aveva infilato la mano sotto la maglia, fermandola sulla cassa toracica, a poca distanza da dove il mio cuore stava pompando ancora furiosamente. - Almeno, - si corresse, - non lo sei sempre -. Per un secondo o due provai a guardarlo in maniera truce, ma non mi riusciva proprio, - Tu sì invece che sei uno stronzo – provai a ribattere, ma in viso mi spuntava spontaneo un sorriso, che nascosi nella fossetta tra le sue due clavicole, respirando l'odore della sua pelle e della felpa che aveva addosso. - Mi sei mancato -, mi lasciai sfuggire quella frase all'ultimo e, solo una volta che la dissi, mi accorsi di quanto fosse vero. A quel punto temevo però che avrebbe tirato in ballo il perchè me ne fossi andata via a Settembre, e infondo quasi avrei voluto che lo facesse per quanto mi intimorisse la cosa, invece mi strinse soltanto di più, intrecciò le gambe con le mie e per riconoscenza non feci altro che lasciargli un ultimo bacio sul collo.
Mi svegliai per via di una gamba compleatamente intorpidita, ma con una sensazione di benessere che non provavo da un bel po'. Girai appena un po' il collo e fissai il soffitto senza scopo per qualche secondo, mi sarebbe andato bene rimanere così per sempre, non c'era nulla di speciale ma ero straodinariamente in pace in quella stanza d'albergo anonima, con il petto di Noel a farmi da cuscino. Rimasi a godermi quel momento che avvertivo compleatamente fuori dal tempo e dallo spazio, come se non sapessi neppure chi fossi io e chi l'uomo che avevo accanto. Tolto tutto, reso all'osso, rimanevamo solo noi due abbracciati e nient'altro.
Feci attenzione e mi scostai appena un poco, quel che bastava per poter guardare Noel mentre dormiva. Caldo, pace, sensazione di appartenza e una canzone in testa.
Scopriremo quanto giace nella nostra anima...
Speravo davvero che fosse così, prima o poi.



Because we need each other
We believe in one another
And I know we're going to uncover
What's sleepin' in our soul



 

Siete ancora vivi dopo questo never-ending chapter? Complimenti *stretta di mano* Che posso dire, mi son fatta prendere la mano da i vari aneddoti di questo periodo. Un po' di references: 
http://www.youtube.com/watch?v=TGz307o0JRA Fade Away Warchild Version con Depp, la Moss e Lisa Moorish
Coyley è il tecnico del suono dell'epoca nonchè grande amico di Noel, Jason il tecnico delle chitarre attuale di Noel (penso sia con lui da parecchio)
La stori del Rolex e della Rols è vera e prima o poi troverò il link del video in cui Noel la racconta, che fa troppo scompisciare :'D
http://www.youtube.com/watch?v=ouAzRI5yo7I il video degli Oasis ai Brits ATTENZIONE: potreste perdere la vostra (ne avrete mai avuta?) stima residua per Liam Gallagher. Quando i Gallagher cantano "All the people..." è una rivisitazione del pezzo dei Blur Parklife http://www.youtube.com/watch?v=DyyApnI6PrA
http://www.youtube.com/watch?v=dZEWomOQVno Jarvis vs Jackson
Della parte di Los Angeles è più o meno tutto vero, pure che Noel è andato in vacanza a Creta LOL e quanto dice John Frusciante, i suoi pensieri sulla droga, sulla morte, è praticamente tutto ripreso da interviste. Pure il fatto che gli piaccia l'aria :)) http://www.youtube.com/watch?v=xZNgRn2054Y Johnny che in un paio di minuti suona Bowie, i T. Rex e spiega la storia dell'accordo rubato, se volete vedere come sono le spiegazioni di Frusciante.
Anche il pezzo finale è purtroppo vero, Tommy fu mandato dai fratelli pagato da un giornale e Liam perse le staffe. 
La canzone è Acquiesce http://www.youtube.com/watch?v=k7Cr9KvSIxQ
Ok, vi ho riempito per bene di note, per cui il mio lavoro da wikipedia deambulante è fatto e vado in pace. Cheers^^
 

   
 
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