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Autore: Stregh    13/04/2012    4 recensioni
“A giudicare dal tuo aspetto e dai graffi sulla pelle, sembri reduce da un baccanale. Che il tramonto anticipato non sia una coincidenza? forse Apollo aveva necessità impellenti, sempre che sgattaiolare nel tuo letto rientri nella categoria”. Baccò alzo gli occhi al cielo, sbuffando annoiato. Addentò i pochi acini rimasti e rispose piccato. “Frena, bel biondo. Non sono io quello che stava per essere scoperto in atteggiamenti alquanto compromettenti. Sempre che la cintura di mia sorella non si allenti da sola.”
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Breath, per i suoi unici, veri amorini
 
“Madre, per carità, l’umanità mi dà già abbastanza problemi senza che vi ci mettiate anche voi”.
Cupido prese con eleganza una freccia dalla sua faretra e con un unico movimento fluido la scoccò giù da una nube, colpendo un mortale diritto al cuore: l’uomo esitò per un attimo, poi girò sui tacchi e riprese la via di casa.
Venere lanciò uno sguardo stupito a suo figlio, mentre questi gongolava soddisfatto.
“Sta tornando sui suoi passi: si dichiarerà presto alla sarta del villaggio. Mi duole ammettere così la mia bravura, fare centro ogni volta è… sfiancante”.
“Le lamentele che mi giungono dai mortali sono di diverso parere. L’ultima preghiera che mi è stata rivolta pare contenesse imprecazioni impronunciabili. Fossi in te, starei più attento: quando colpisci qualcuno, assicurati almeno che l’altro corrisponda, di grazia”.
Sordo alle lamentele della madre, Cupido si abbandonò su un triclinio, allungando una mano bramosa verso un grappolo d’uva. Ne piluccò qualche acino, mentre lanciava a Venere uno sguardo divertito.
“Madre, l’acidità non vi si addice, oggi fate concorrenza ad Eris. Problemi con Adone? Non mi pare ne aveste molti ieri notte, a giudicare dalle vostre urla almeno.”
Venere assottigliò le labbra, contrita,  mentre afferrava con decisione un melograno: sembrò soppesarne il peso, prima di lanciare il frutto contro il figlio.
“Erano urla giustificate dal litigio, per tua informazione. E piantala con quell’uva, evita di finirla prima che arrivi tuo zio”.
“Bacco comprenderà… e risolverà anche i vostri dilemmi, dopotutto è il protettore delle orge”.
“Rettifico: mangia quell’uva e strozzatici”.
Venere si alzò dal suo trono camminando con eleganza fin sulla soglia del palazzo: appoggiò una mano bianchissima sulla liscia superficie dorata del portale e spinse leggermente. Una folata di vento le fece turbinare i lunghi capelli, attorcigliandoli all’impalpabile veste color avorio, mentre migliaia di voci rimbalzarono sulle lucide pareti di marmo.
“Che Cupido sia dannato”
“Non ci provare mai più!”
“Credo sia giunta l’ora di convertirmi ai baccanali”
“Posa quelle dannate frecce”
“Che si impicchi con il suo arco! Galatea mi odia”
La dea lanciò al figlio uno sguardo eloquente, mentre questi agitava la mano infastidito, quasi quelle lamentele fossero mosche fastidiose.
“Avete vinto voi, vi coprirò anche stavolta. Ma se Marte mai lo venisse a sapere… non voglio essere coinvolto. Amore e guerra creano già abbastanza problemi nel mondo dei mortali. Scegliete un giardino e vi farò da guardia, ma solo per questa notte”.
Venere si avvicinò al figlio, mentre con fare materno gli disegnava il delicato profilo della mascella.
“Marte sa già tutto, Gelosia lo ha avvertito stamani stesso. Adone morirà domani e questa sarà la nostra ultima notte”.
“Necessitate di aiuto?” Cupido sfiorò con eloquenza una freccia della sua faretra, mentre la dea dissentiva amareggiata.
“Per Zeus, ci manchi solo tu. E poi conosci le Parche e la loro volubilità. Sempre lì a srotolare matasse, filare, tagliare… che vadano all’Ade loro e i dannati voleri del Fato”.
Venere sprofondò nei cuscini purpurei del trono, sospirando.
“Che almeno tu faccia buona guardia ai Giardini dei Sensi” .
“Tutti e cinque?” cupido quasi si strozzò con un acino d’uva, mentre fissava sbalordito la madre: un’ancella corse premurosa ad aiutarlo, detergendogli la fronte con un panno bagnato.
“Tutti e cinque. Vista, tatto, olfatto, udito e gusto. Li voglio sorvegliati da frotte di amorini, se necessario. Necessito di un paio di giardini solo per iniziare ad abituarmi alla sua assenza e almeno di uno per convincerlo ad odiarmi. Che poi odiare me, la dea dell’amore…” .
Venere si perse nei suoi vagheggiamenti, mentre Cupido asseriva convinto  quanto le uniche cose che le sarebbero mancate di Adone sarebbero stati gli orgasmi da lui procurati.
                                                                                                        ***
“Ti ho sposato”
“Lo so benissimo”
“E allora cos’altro vuoi?”
“Voglio te” Adone si avvicinò alla dea, afferrandola per i fianchi: l’impalpabile veste si scostò leggermente, mentre un seno faceva capolino.
“Per Zeus, non qui” Venere si aggiustò la cintura scintillante, che si era allentata durante quel breve scambio di battute, mentre Bacco faceva il suo ingresso nella reggia.
Il dio osservò con rammarico i grappoli d’uva completamente spiluccati sui grandi vassoi d’argento, mentre si accomodava su un triclinio. aveva le gote rosate e segni rossastri sulla pelle diafana. A giudicare dalla tunica sgualcita, sembrava reduce da un combattimento.
Adone si accomodò in trono, tirando Venere a sedergli in grembo. La dea lo fulminò con lo sguardo, contrita, ma il suo sposo sembrò non farci caso, mentre si rivolgeva a Bacco con un sorriso sardonico.
“A giudicare dal tuo aspetto e dai graffi sulla pelle, sembri reduce da un baccanale. Che il tramonto anticipato non sia una coincidenza? forse Apollo aveva necessità impellenti, sempre che sgattaiolare nel tuo letto rientri nella categoria”.
Baccò alzo gli occhi al cielo, sbuffando annoiato. Addentò i pochi acini rimasti e rispose piccato.
“Frena, bel biondo. Non sono io quello che stava per essere scoperto in atteggiamenti alquanto compromettenti. Sempre che la cintura di mia sorella non si allenti da sola.”
Venere rise di gusto, accomodandosi meglio in grembo al marito.
“Cosa ti conduce qui, fratello? Le tue baccanti si sono arrampicate fin qui per annunciarmi il tuo arrivo. Quelle povere menadi, non ti stanchi mai di invasarle, possederle e farle danzare sfrenatamente ebbre di vino? Anche se, riflettendoci, credo di aver appena descritto la festa migliore che un dio possa desiderare”.
“Includi anche l’umanità, mia dea. Il figlio di Agave1 perse la vita pur di curiosare, ricordi? Se ti riferisci agli dei invece, credo Bacco si compiacerebbe di più nel vedere ballare Apollo coperto solo dalla nebride2”.
“Ricordami di diseredare Mercurio, odio il fatto che vi abbia unito in matrimonio”. Bacco roteò gli occhi divertito, mentre si rigirava tra le mani il tirso3.
“In ogni caso, sono in procinto di spiegarti come mai mi trovo qui, se il tuo nuovo bambolotto spocchioso non me lo impedisce con le sue battute salaci. Sulle cime dell’Olimpo si vocifera che tu abbia problemi a tenere a bada Marte e che la Gelosia non ti abbia in simpatia è appurato:sono qui per proteggerti. Credo che tutte le divinità transitate qui negli ultimi giorni ti avessero insospettita abbastanza per tacerti ancora la verità. Nostro padre è molto preoccupato.  Giunone invece non si è ancora ripresa dall’episodio della mela, credo bofonchiasse qualcosa a proposito di una certa Troia… non so se comprendi”. Bacco lanciò alla sorella uno sguardo eloquente, mentre agitava la mano infastidito.
Venere rise dolcemente, risvegliando le fantasie di Adone. “Fratello caro, non ho bisogno di protezione, né tua, né di altri. Ho scacciato Nettuno tre giorni fa, le sue Oceanine mi stavano allagando il palazzo. Due settimane  fa ho ricevuto Apollo e Diana e ho sopportato con pazienza le loro battute di caccia. E come se non ne avessi avuto abbastanza di frecce, Cupido mi gira intorno da ben due giorni non facendo altro che scoccare dardi a caso, facendo innamorare metà olimpo e metà umanità. Ora” la dea puntò un dito verso l’esterno, indicando i giardini del palazzo “anche le tue Menadi scorrazzano ebbre d’amore nei miei giardini dei sensi. Sono circondata da invasati, senza offesa per il tuo culto: più che proteggermi, mi state facendo impazzire, quando l’unica cosa che vorrei è… inebriarmi d’amore, con mio marito”.
Adone gongolò soddisfatto, stringendosi Venere in grembo. “Uno a zero ubriacone, incassa e porta a casa!”
Bacco ingollò un sorso di vino, rischiando di strozzarsi sull’ultima battuta. “Mi ha chiamato ubriacone! Venere, tuo marito mi dà del fattone!”
Non ottenendo nessun aiuto da parte della sorella, ma al contrario solo risate divertite, il dio del vino girò sui tacchi, gonfiando le guance per lo sdegno.
“Mai fidarsi dei biondi,sempre detto io! Fattezze da amorino, occhi di ghiaccio e cuore di serpe! Tutti uguali, voi. Arrangiati da solo, bel biondo. Torno dalle mie Baccanti”.
Spostò lo sguardo su Venere, addolcendolo leggermente.
“Mi dispiace, abbi cura di te” . Con quell’ultima frase enigmatica, abbandonò il palazzo seguito da un coro di menadi danzanti.
                                                                                                    ***
“Cosa significa abbi cura di te?” Adone scivolò di nuovo sul corpo sudato della dea, lasciandole un bacio nell’incavo tra i seni. Venere gemette incontrollata, mentre scompigliava spasmodica i capelli del suo amante.
“Non è importante ora”.
“Lo è” .
Adone scivolò fuori dal suo corpo, quel tanto che bastava per farla cedere. Lei voleva amore? Lui esigeva risposte.
“Apollo è biondo. Apollo l’avrà mandato in bianco. Bacco odia i biondi. Tu sei biondo, ergo Bacco ti odia. Fine della storia” Il tono della dea si inacidì leggermente, senza che lei lo volesse. Non desiderava perdere Adone, era stato molto gentile con lei. Se non fosse stata la dea dell’amore, perennemente innamorata di tutto e tutti, avrebbe sicuramente amato solo lui, il primo semidio che l’aveva fatta sentire dea. Mosse il bacino, spingendolo contro quello di lui. Si persero nella pace dei sensi del primo giardino.
                                                                                                      ***
“ Questo giardino non è piacevole, è una tortura! Cosa significa che posso guardarti e non toccarti?”
“Si chiama giardino della vista. Ci si ama guardando.”
“Sei bellissima”
“Se solo la bellezza potesse anche salvare e non dannare” Adone distolse lo sguardo, confuso.
“Guardami”
“ Al diavolo la vista!” Spinse la dea contro di sé, preparandosi a rifarla sua almeno un milione di volte.
                                                                                                       ***
“Insaziabile credo sia la parola giusta per descriverti”
“In verità, sarebbe dea. O veneranda, amabile, bellissima, perfetta, Saffo mi elogia anche di un trono adorno. Insaziabile non me lo aveva mai detto nessuno”
“Io non sono nessuno!” Adone si difese risentito, mettendo il broncio come un bimbo.
“Infatti tu sei amore”
“Amore? È questa la parola chiave del giardino del tatto?”
“Se apra davvero le porte segrete di questi giardini? Non ne ho idea.  A cucirti la bocca, però, funziona benissimo”
“Passiamo all’azione allora” e la depositò su un letto di viole.
                                                                                                       ***
“A che numero siamo?” Adone fissò Venere, con un malizioso luccichio negli occhi, mentre la dea lo fissava basita.
“Al terzo giardino… quindi all’udito. Perché?”
“Intendevo a che punto siamo con gli orgasmi. Li ho sentiti tutti, tesoro, ne ho solo perso il conto”
                                                                                                       ***
“ Ti odio”
“Non era il mio principale obiettivo questa sera, ma grazie tante. Il distacco sarà meno…”
La dea si bloccò improvvisamente, mordendosi le labbra a sangue. nascose il viso nell’incavo della spalla di Adone, mentre questi la abbracciava, tremando un po’.
“E’ la peggior cosa che tu potessi dirmi nel giardino del gusto. Non morderti la lingua ora, dedicati a ben più proficue occupazioni”
Il suo tono tagliente le fece capire che qualcosa tra di loro si stava inesorabilmente logorando.
                                                                                                         ***
Anche sul quinto giardino erano calate le tenebre e una leggera brezza portava con sé un delicato profumo di rose. Venere si riscosse dai torpori dell’amore, girandosi su un fianco e accoccolandosi meglio contro Adone. Osservò il delicato profilo della sua mascella e si perse nella sua contemplazione, sfiorando leggera con un dito i suoi lineamenti. Accarezzò la fronte, appianando una immaginaria ruga al suo centro, scese lungo la pronunciata gobba del naso, deviando il corso verso un orecchio: ci girò intorno, proseguendo verso le labbra. Ne definì i contorni, soffermandosi sul labbro inferiore, leggermente più carnoso. Una voglia impellente la spingeva a baciarlo, ma si trattenne, sapendo che non c’era più tempo. E quando lui le strinse delicatamente il dito tra le labbra, suggendolo come fosse una ciliegia matura, sorrise mesta, scoprendolo sveglio. Una lacrima le scivolò su una guancia, cadendo sul petto di Adone: gli sorrise mesta, accennando ad alzarsi. Il semidio la prese per un braccio e la strinse a sé con forza, beandosi dei suoi sospiri.
“Sono più contento quando gemi a causa mia, non per il dolore”
Venere gli morse l’incavo del collo, lanciandogli un leggero pugno sulla spalla.
“E sei più triste tu di me, che devo morire”
La dea sbarrò gli occhi, alzandosi di scatto.
“Come fai… tu… non dovevi sapere”
“Sapevo, so e saprò anche dopo, Venere. La consapevolezza del nostro amore non mi abbandonerà mai” adone si avvicinò alla dea, cingendole delicato la vita con le braccia. Il suo respiro caldo le solleticò un orecchio, mentre le lasciava il suo ultimo saluto.
“Abbi cura di te”
Il mattino seguente, un amorino giurò di aver visto Venere che, la sera prima, correva singhiozzando fuori dai giardini del palazzo.
 
 
 
Ammetto che Venere/Adone sia un pairing non tradizionale, ma durante una lezione di italiano mi sono perdutamente innamorata della trama dell ‘Adone’ di Marino, esponente italiano del Barocco. Da lì ho preso spunto, ricamandoci sopra e aggiungendo anche riferimenti ad altre due divinità che personalmente adoro: Bacco ed Apollo. Interessante pairing anche questo XD Concludo subito, ringraziando te, lettore, se sei arrivato fin qui e se vorrai lasciare anche un commento.
Strègh.
1        Nelle ‘Baccanti’ di Euripide, tragedia greca, il figlio di Agave vuole a tutti i costi assistere ad un baccanale. Verrà punito con la morte: lo ucciderà la madre stessa, invasata dal dio.
2        La nebride è un manto fatto di pelle di cervo, indumento tipico delle Baccanti.
3        Il tirso è il bastone di Dioniso.
 
  
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