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Autore: Mikage    14/04/2012    2 recensioni
Profumo di Meridione, veli neri delle comari e cappelli abbassati dagli uomini. Una folla di occhi puntati su due donne vicine, molto vicine, e non per loro scelta...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo è plumbeo.   

                                                                                                                                

Sotto di me i sampietrini, già resi lisci dal continuo pestaggio, sono ancora più scivolosi. Cerco di mantenere l’equilibrio e il mio contegno, mentre ad ogni passo il velo nero che ho messo sulla testa mi offusca la vista, sobbalzando.

Intorno a me decine di teste velate o senza capello cercano di lasciarmi spazio, e fanno ala al mio passaggio, cercando di trasmettermi con i loro sguardi le loro più sentite condoglianze. Per quello che valgono. Di certo già tra mezz’ora, a funzione finita, faranno scivolare via ogni traccia di commozione con un bicchiere di vino, e tutto questo sarà solo chiacchiera da paese per i mesi a venire.

Mi stringo nelle spalle, mi faccio forza e vado avanti. Mani grassocce mi sorreggono, e so che Donna Carmela è dietro di me. Povera donna. Lei sa e non parla, fulmina con lo sguardo le comari che scopre a parlarsi all’orecchio e darsi gomitate, il faccione rosso pieno di sdegno. Non sa che a me non importa, che voglio solo riposarmi, dimenticare, chiudermi in casa e serrare la porta…

“ Non vi preoccupate, ‘onna Sofì, sicuramente non avrà il coraggio di venire” mi sussurra convinta all’orecchio. Ma io so che non è così. Ma non temo l’incontro. La mia dignità è stata già spazzata via e le chiacchiere di paese non mi toccano. Non siamo qui per piangere quel sant’uomo di mio marito? Ed è quello che farò. Piangerò con gli occhi asciutti, piangerò per l’incertezza del futuro, piangerò sulle rovine che mi ha lasciato.

Una volta ero felice. Vivevo su di una montagna di zucchero, quello industriale, sbiancato e raffinato. Anche se sapevo che era tutto così effimero, godevo di quel mondo soffice, dolce ed immacolato, dov’era così facile seppellire le paure.

Ma poi ha cominciato a piovere.

Lo zucchero si è sciolto, mescolandosi all’acqua, ed è diventato una soluzione melmosa ed appiccicosa, che mi si è avvinghiata alle cosce e mi ha trascinato verso il basso, senza pietà. “ Non è vero”, mi ripeteva accarezzandomi le spalle, ma intensificando la sua stretta. “ Come puoi stare a sentire quelle capere del palazzo di fronte? Quelle cercano il marcio ovunque. Inventano. Ciarlano. Falle parlà, Sofì, a te che t’importa?” e rideva meccanicamente. Una risata vuota, fasulla, come quella di un mascherone greco.

Ma io sapevo che non era così. Sapevo che andava da lei, quasi tutte le sere, che i turni alla fabbrica si allungavano per un motivo ben specifico, glielo leggevo in quegli occhi pieni di colpa. Eppure ero contenta. Osservando le macerie della nostra vita insieme, mi rendeva più forte l’idea di aver scoperto la vera natura di quella montagna, che si reggeva solo su imbrogli e bugie. Ed io ero zitta, accondiscendente, mentre dentro appassivo. Ed ora che non c’è più, mi ha lasciato sola a spalare via la melma. A cosa mi è servito vivere di illusioni?Non ha senso illudersi per sopravvivere, anzi bisogna sopravvivere alle illusioni, che ci distorcono la vista con il loro inebriante profumo e con le loro colorate allucinazioni. Quanto tempo sono stata in angolo buio, con gli occhi socchiusi, a sognare accecanti esplosioni di arcobaleni… quanto tempo perso…

Una pesante mano sulla spalla e i rintocchi lenti della campana mi riportano alla realtà. La folla si accalca, vuole sapere, vedere, cerca di strappare con gli occhi ogni piccola parte di me. Subito dietro al feretro io salgo le scale lenta, composita. Come immaginavo, in fondo al sagrato c’è lei. Continuo con il mio passo cadenzato e vedo dipingersi un moto di sorpresa nei suoi occhi. Forse pensava che l’avrei affrontata di petto, che l’avrei picchiata e spintonata in questo luogo sacro. Io non ho neanche la forza per immaginare una cosa del genere. Sono esaurita, stanca, demotivata, come una candela arrivata al moccolo. Sprigiono solo un fumo sottile, l’ombra di me stessa.

Mi siedo tra le prime file e lei invece rimane in fondo alla chiesa, inghiottendo silenziosa i commenti e gli sguardi della gente. Io non voglio fare nulla. In fondo non ha il diritto di stare qui come tutti? Non ha amato anche lei quel bugiardo manipolatore? Non è stata ingannata, non ha sofferto come me?

Il tempo passa ed io non me ne accorgo, estraniata come sono, ipnotizzata dai miei pensieri, dall’odore dolciastro dei fiori e da quella moltitudine di mani sudate, di occhi nervosi pur nella loro compostezza. Ma non mi importa. C’è solo un pensiero che ora mi affolla la mente, più forte del dolore e della vergogna. E’ la realizzazione che ora sono libera. Mi volto, la cerco con lo sguardo e vedo che lei mi ricambia con uno sguardo timoroso, quasi subito pianta lo sguardo per terra. Io le sorrido. Spero che possa superare il dolore e rendersi conto che alla fine di tutto… ora anche lei è libera.

  
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