Salve a tutti, mi presento.
Sono una futura fan sfegatata di “Profiling”. Dico
‘futura’ perché la mia conoscenza della serie, per ora, si limita alle
nozioni apprese da Wikipedia e a quei pochi spezzoni di episodi visti in tv. Ma
ho in programma di recuperare il tempo perduto.
Il fatto è che mi è venuta in mente una cosuccia,
e siccome tendo a non rimuginare troppo sulle storie scritte prima di
pubblicarle, ho deciso di condividerla nonostante la mia ignoranza in materia (ma
sappiate che ho dalla mia DadaOttantotto, la fondatrice della sezione qui su
EFP, e dunque cercherò di apprendere da lei ogni dettaglio su Chloé
Saint-Laurent e compagnia bella).
Se qualcuno dovesse (malauguratamente) passare di
qui, tenga conto di queste brevi avvertenze.
Vi augurerei buona lettura, ma non voglio
prendervi in giro.
Effie*
Dedicata a Dada (specialissima
socia, Mercer-inside, Profilingologa e Wrestlemaniaca), alla quale chiedo scusa
per questa intrusione nel ‘suo’ fandom.
SE TROVERO’ IL CORAGGIO, TI TELEFONO DOMANI1
“Dovrei odiarti, lo sai?”
Nascosto dietro un faggio, qualche metro più in là, Rocher
alza gli occhi al cielo.
Quella Saint-Laurent… non solo è completamente pazza, ma
parla anche con i morti.
“Non dovevi farmi una
cosa simile, te l’ho detto. Non dovevi morire. Avevi appena iniziato a capirmi.
E io avevo appena iniziato a capire te.”
Gli occhi di Rocher tornano a fissarsi ad un’altezza
normale.
Sembra sia in atto un qualche tipo di confidenza.
“Insomma, finalmente
stavamo raggiungendo un qualche tipo di equilibrio… e adesso tu sei morto, e io
devo ricominciare tutto da capo.”
Rocher cerca di fare ordine tra i propri pensieri.
Gli risultava che Pérac avesse una moglie, ma da quello che
sente ora, potrebbe sembrare che…
“Non so se sono pronta a
ricominciare tutto da capo con lui. Se vuoi la mia opinione, non mi sembra
nemmeno così sveglio.”
Le sopracciglia di Rocher si aggrottano, indice di
irritazione.
La voglia di uscire allo scoperto e prenderla a male parole
è forte, ma in qualche modo riesce a dominarsi.
“Anche se… non so, deve
pur avere qualche lato positivo.”
Una smorfia teoricamente divertita si dipinge sulle labbra
del detective.
Sembra strano, ma è la stessa cosa che ha pensato all’inizio
lui di lei.
“Ecco, di sicuro è meno
indeciso di te. Ha un carattere orrendo, questo è vero, però sa tirare fuori
gli attributi quand’è il momento di farlo.”
Il disappunto si scioglie come neve al sole, lasciando
soltanto stupore negli occhi di Rocher.
Rimane in piedi, in silenzio, nascosto dietro un faggio,
ascoltando parole che non dovrebbe sentire.
“E se posso essere
davvero sincera, credo che gli perdonerei qualunque cosa. Ha un viso
straordinario, come si fa a restare arrabbiati davanti a un viso del genere?”
Rocher si volta, rapido, lasciando che la propria testa
abbandoni il riparo offerto dall’albero.
Si sente confuso, confuso come mai in vita sua, più confuso dei tempi della sua adolescenza.
Vorrebbe parlarle, chiederle scusa per aver perso ancora le staffe a quel modo, o forse
vuole solo guardarla, riappropriarsi delle linee del suo volto e della sua
figura, o forse vuole solo essere sicuro che sia stata proprio lei a
pronunciare quelle parole.
Non ha nemmeno il tempo di chiedersi ciò che vorrebbe fare,
perché lei si sta già allontanando, senza nemmeno essersi accorta di lui.
Gli occhi di Rocher si abbassano, fermandosi sulle proprie
mani.
Si sente confuso e prova vergogna per quella personalità mal
costruita, che non riesce mai ad esprimere nulla nel modo corretto.
Si sente confuso e prova vergogna per quello che sente, per
quelle mille parole che ogni giorno pensa di dirle e mai pronuncia, per quei
mille pensieri – leciti o meno – che riempiono i suoi giorni, le sue notti, i
suoi sogni e i suoi incubi.
Si sente confuso e prova vergogna per tutte le volte che – e
solo Dio sa quante sono davvero – si è
sorpreso a desiderarla come la
maggior parte degli uomini desidera le donne, si vergogna per tutte le volte in
cui ha cercato di rimediare alla sua assenza usando soltanto la propria
fantasia e le proprie mani, come un
adolescente alle prime armi, impacciato e privo di speranza.
Prova vergogna per quella mancanza di rispetto, soprattutto
dopo averla sentita parlare in modo tutto sommato positivo di lui. Prova vergogna per quella sua incapacità di
relazionarsi con lei, e d’istinto gli viene da chiedersi se mai riuscirebbe, l’illuminata
Chloé, a perdonargli i pensieri spinti e al limite dell’ossessivo che nascono
in lui in certe sere solitarie.
Ripensa a quei complimenti appena sentiti – e sa che erano
veri, perché la Saint-Laurent sarà pure piena di difetti, ma di certo è
sincera.
Ci ripensa e si sente ancora peggio, perché è proprio per
quel carattere orrendo – per quell’enorme difetto che lei per prima gli
attribuisce – che non riesce a fare quello che qualunque altro uomo farebbe:
farle un complimento, invitarla a bere qualcosa.
Non è quel suo strano ombrello a frenarlo, non sono quei
vestiti sgargianti a fargli mancare il coraggio, non sono nemmeno quei suoi
occhi curiosi, sempre intenti a studiare il mondo – no, la colpa arriva sempre
da una parte sola. La sua.
Distingue, ormai lontana, la macchia rossa dei suoi capelli.
Recuperando un po’ della sicurezza perduta, esce dal proprio nascondiglio,
muove qualche passo e raggiunge il punto in cui lei stava in piedi fino a pochi
minuti fa.
“Suonerà terribilmente egoista da parte mia, però… devo
ringraziarla di non esserci più, Pérac.”
Si mette le mani in tasca, si guarda ancora intorno. Sta calando
la sera, un altro giorno volge al termine – e ancora una volta, Thomas non ha
concluso nulla.
Rimane fermo di fronte alla lapide, con lo sguardo fisso
sulle lettere dorate ma con la mente altrove, a chilometri e chilometri di
distanza.
No, non avrebbe dovuto perdere le staffe a quel modo.
Magari la chiamerà, domani, e le chiederà scusa.
O forse no, meglio lasciare che sia lei a cercarlo.
Ma che importa, gli viene da sorridere, in fondo come si fa a restare arrabbiati davanti al
suo viso?”
1 “Se troverò il
coraggio, ti telefono domani” – frase tratta dalla canzone Replay, di Samuele Bersani.