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Autore: EffieSamadhi    17/04/2012    5 recensioni
[Dedicata a Dada (specialissima socia, Mercer-inside, Profilingologa e Wrestlemaniaca), alla quale chiedo scusa per questa intrusione nel ‘suo’ fandom.]
Ci ripensa e si sente ancora peggio, perché è proprio per quel carattere orrendo – per quell’enorme difetto che lei per prima gli attribuisce – che non riesce a fare quello che qualunque altro uomo farebbe: farle un complimento, invitarla a bere qualcosa.
Non è quel suo strano ombrello a frenarlo, non sono quei vestiti sgargianti a fargli mancare il coraggio, non sono nemmeno quei suoi occhi curiosi, sempre intenti a studiare il mondo – no, la colpa arriva sempre da una parte sola. La sua.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Troubles.

Salve a tutti, mi presento.

Sono una futura fan sfegatata di “Profiling”. Dico ‘futura’ perché la mia conoscenza della serie, per ora, si limita alle nozioni apprese da Wikipedia e a quei pochi spezzoni di episodi visti in tv. Ma ho in programma di recuperare il tempo perduto.

Il fatto è che mi è venuta in mente una cosuccia, e siccome tendo a non rimuginare troppo sulle storie scritte prima di pubblicarle, ho deciso di condividerla nonostante la mia ignoranza in materia (ma sappiate che ho dalla mia DadaOttantotto, la fondatrice della sezione qui su EFP, e dunque cercherò di apprendere da lei ogni dettaglio su Chloé Saint-Laurent e compagnia bella).

Se qualcuno dovesse (malauguratamente) passare di qui, tenga conto di queste brevi avvertenze.

Vi augurerei buona lettura, ma non voglio prendervi in giro.

Effie*

 

 

 

Dedicata a Dada (specialissima socia, Mercer-inside, Profilingologa e Wrestlemaniaca), alla quale chiedo scusa per questa intrusione nel ‘suo’ fandom.

 

 

 

 

 

SE TROVERO’ IL CORAGGIO, TI TELEFONO DOMANI1

 

 

 

 

 

“Dovrei odiarti, lo sai?”

 

Nascosto dietro un faggio, qualche metro più in là, Rocher alza gli occhi al cielo.

Quella Saint-Laurent… non solo è completamente pazza, ma parla anche con i morti.

 

“Non dovevi farmi una cosa simile, te l’ho detto. Non dovevi morire. Avevi appena iniziato a capirmi. E io avevo appena iniziato a capire te.”

 

Gli occhi di Rocher tornano a fissarsi ad un’altezza normale.

Sembra sia in atto un qualche tipo di confidenza.

 

“Insomma, finalmente stavamo raggiungendo un qualche tipo di equilibrio… e adesso tu sei morto, e io devo ricominciare tutto da capo.”

 

Rocher cerca di fare ordine tra i propri pensieri.

Gli risultava che Pérac avesse una moglie, ma da quello che sente ora, potrebbe sembrare che…

 

“Non so se sono pronta a ricominciare tutto da capo con lui. Se vuoi la mia opinione, non mi sembra nemmeno così sveglio.”

 

Le sopracciglia di Rocher si aggrottano, indice di irritazione.

La voglia di uscire allo scoperto e prenderla a male parole è forte, ma in qualche modo riesce a dominarsi.

 

“Anche se… non so, deve pur avere qualche lato positivo.”

 

Una smorfia teoricamente divertita si dipinge sulle labbra del detective.

Sembra strano, ma è la stessa cosa che ha pensato all’inizio lui di lei.

 

“Ecco, di sicuro è meno indeciso di te. Ha un carattere orrendo, questo è vero, però sa tirare fuori gli attributi quand’è il momento di farlo.”

 

Il disappunto si scioglie come neve al sole, lasciando soltanto stupore negli occhi di Rocher.

Rimane in piedi, in silenzio, nascosto dietro un faggio, ascoltando parole che non dovrebbe sentire.

 

“E se posso essere davvero sincera, credo che gli perdonerei qualunque cosa. Ha un viso straordinario, come si fa a restare arrabbiati davanti a un viso del genere?”

 

Rocher si volta, rapido, lasciando che la propria testa abbandoni il riparo offerto dall’albero.

Si sente confuso, confuso come mai in vita sua, più confuso dei tempi della sua adolescenza.

Vorrebbe parlarle, chiederle scusa per aver perso ancora le staffe a quel modo, o forse vuole solo guardarla, riappropriarsi delle linee del suo volto e della sua figura, o forse vuole solo essere sicuro che sia stata proprio lei a pronunciare quelle parole.

Non ha nemmeno il tempo di chiedersi ciò che vorrebbe fare, perché lei si sta già allontanando, senza nemmeno essersi accorta di lui.

Gli occhi di Rocher si abbassano, fermandosi sulle proprie mani.

Si sente confuso e prova vergogna per quella personalità mal costruita, che non riesce mai ad esprimere nulla nel modo corretto.

Si sente confuso e prova vergogna per quello che sente, per quelle mille parole che ogni giorno pensa di dirle e mai pronuncia, per quei mille pensieri – leciti o meno – che riempiono i suoi giorni, le sue notti, i suoi sogni e i suoi incubi.

Si sente confuso e prova vergogna per tutte le volte che – e solo Dio sa quante sono davvero – si è sorpreso a desiderarla come la maggior parte degli uomini desidera le donne, si vergogna per tutte le volte in cui ha cercato di rimediare alla sua assenza usando soltanto la propria fantasia e le proprie mani, come un adolescente alle prime armi, impacciato e privo di speranza.

Prova vergogna per quella mancanza di rispetto, soprattutto dopo averla sentita parlare in modo tutto sommato positivo di lui. Prova vergogna per quella sua incapacità di relazionarsi con lei, e d’istinto gli viene da chiedersi se mai riuscirebbe, l’illuminata Chloé, a perdonargli i pensieri spinti e al limite dell’ossessivo che nascono in lui in certe sere solitarie.

Ripensa a quei complimenti appena sentiti – e sa che erano veri, perché la Saint-Laurent sarà pure piena di difetti, ma di certo è sincera.

Ci ripensa e si sente ancora peggio, perché è proprio per quel carattere orrendo – per quell’enorme difetto che lei per prima gli attribuisce – che non riesce a fare quello che qualunque altro uomo farebbe: farle un complimento, invitarla a bere qualcosa.

Non è quel suo strano ombrello a frenarlo, non sono quei vestiti sgargianti a fargli mancare il coraggio, non sono nemmeno quei suoi occhi curiosi, sempre intenti a studiare il mondo – no, la colpa arriva sempre da una parte sola. La sua.

Distingue, ormai lontana, la macchia rossa dei suoi capelli. Recuperando un po’ della sicurezza perduta, esce dal proprio nascondiglio, muove qualche passo e raggiunge il punto in cui lei stava in piedi fino a pochi minuti fa.

“Suonerà terribilmente egoista da parte mia, però… devo ringraziarla di non esserci più, Pérac.”

Si mette le mani in tasca, si guarda ancora intorno. Sta calando la sera, un altro giorno volge al termine – e ancora una volta, Thomas non ha concluso nulla.

Rimane fermo di fronte alla lapide, con lo sguardo fisso sulle lettere dorate ma con la mente altrove, a chilometri e chilometri di distanza.

No, non avrebbe dovuto perdere le staffe a quel modo.

Magari la chiamerà, domani, e le chiederà scusa.

O forse no, meglio lasciare che sia lei a cercarlo.

Ma che importa, gli viene da sorridere, in fondo come si fa a restare arrabbiati davanti al suo viso?”

 

 

1 “Se troverò il coraggio, ti telefono domani” – frase tratta dalla canzone Replay, di Samuele Bersani.

   
 
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