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Autore: Fiamma Drakon    17/04/2012    0 recensioni
Erika cercò di districarsi dalle lamiere contorte del mezzo, senza riuscirci.
Della piramide che aveva gelosamente custodito, nessuna traccia.
Le lacrime le pungevano gli occhi e il fumo le impediva di respirare. Gli occhiali erano volati chissà dove a seguito dell’impatto e tutto il mondo circostante le appariva come una sfocata chiazza di colori.
Tossì, lacrimando.
«Papà! Papà!» chiamò, piangendo e imprecando tra sé.
Ma io, come diavolo ci sono finita in questo inferno...?!

[Linguaggio colorito; possibile cambio di rating]
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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15_A tu per tu Quando Erika si risvegliò, era come nuova: i muscoli erano carichi d’energia, pronti ad affrontare qualsiasi problema e a sorreggerla quando se ne fosse presentato il bisogno.
Nonostante quello strano “sogno rivelatore”, che in verità aveva occupato solo una parte piuttosto esigua del suo sonno, aveva riposato benissimo.
«’Giorno» la salutò cordialmente Alan, seduto accanto al suo cuscino, stirando le labbra in un sorriso pieno di calore e affetto.
La ragazza si mise seduta e prese la borsa, infilandovi dentro la mano alla cieca ricerca della custodia contenente i suoi occhiali.
«Buongiorno» replicò una volta che li ebbe trovati ed inforcati, spostando poi la propria attenzione attorno a sé «Dov’è Marcus?» chiese l’attimo dopo, constatando in pochissimi secondi che non c’era nessun altro là dentro con loro.
Lo sguardo di Alan si velò debolmente di tristezza, un cambiamento che provocò in Erika un momento di smarrimento e confusione: perché quello sguardo?
«È partito all’alba» si limitò a dirle suo padre.
Erika si affrettò a sbirciare l’orologio che teneva al polso: erano le nove del mattino!
«Perché non mi hai svegliata?! Volevo salutarlo!» lo aggredì, furiosa.
«Avresti solo tentato di fargli cambiare idea...» disse suo padre, alzandosi, lasciandola spiazzata del tutto.
«Coraggio, andiamo» proseguì subito, avviandosi verso l’ingresso al corridoio, ma lei lo richiamò: «Papà...».
Il suo sguardo era annebbiato da una patina di lieve melanconia, che però attirò l’attenzione del redivivo, che si fermò.
«Che cos’hai contro Marcus?» chiese la ragazza dopo alcuni istanti di silenzio.
«Niente» si affrettò a rispondere Alan, facendo sì che la sua risposta apparisse ancor meno credibile di quanto già non fosse in sé e per sé.
«E allora perché ti scoccia tanto che... che io mi preoccupi per lui?!» sbottò l’alchimista, lasciando di stucco l’uomo, che serrò i pugni, irrigidendo le spalle.
«Quella che provi tu nei suoi confronti è più che preoccupazione. Ti angosci per lui, come se fosse la cosa più importante che hai al mondo... e non è forse così?! Non è forse... che tu lo ami
«E se anche così fosse? Non dovresti essere felice per me?!».
A quel punto, Erika non era più riuscita a trattenere le lacrime, che adesso le irroravano copiosamente le guance.
Alan si sentì un verme per aver risposto così a sua figlia, il fiore che non aveva visto germogliare a causa del suo sciocco egoismo e per quella maledetta piramide che adesso giaceva abbandonata nella tracolla della piccola alchimista.
Si sentì un emerito idiota per quella gelosia che provava per le attenzioni che lei dimostrava nei confronti di Marcus e non per lui.
«Io... mi dispiace, Erika. Sono un egoista e un idiota» sussurrò, avvicinandosi a lei e inginocchiandosi, cingendola in un forte abbraccio carico d’affetto.
La ragazza si abbandonò tra le sue braccia, dimentica delle lacrime: in quel momento, l’unica cosa che contava era che fosse con suo padre.
«Andiamo» disse dopo un poco, sciogliendosi dall’abbraccio e alzandosi, imitata dal redivivo pochi attimi dopo.
Ripercorsero per l’ennesima volta il corridoio e le scale, quindi uscirono dal mausoleo e si diressero verso l’ingresso del camposanto, attorniati dal silenzio dei morti.
Nella strada che costeggiava il cimitero passavano sparute auto a velocità sostenuta, alle quali si unì ben presto quella su cui viaggiavano Erika e suo padre.
Il viaggio - come aveva preannunciato Marcus - li impegnò per più di un giorno, rispettivamente per ben due lunghi giorni e ciò semplicemente perché, durante la notte, Alan si rifiutava - a ragion veduta - di guidare.
Erika dovette nutrirlo due volte, nonostante il continuo ostinarsi dell’uomo nell’estrema opposizione di resistenza al bisogno.
Alle prime ore dell’alba del terzo giorno di viaggio, finalmente iniziarono a scorgere, in lontananza, il profilo della città.

«Papà, siamo arrivati! Quella è Yoris!!!» esclamò Erika, eccitata: finalmente avrebbe potuto ritrovare Marcus.
«Menomale, mi stavo stufando di stare in macchina!» commentò Alan con una sottesa nota di sollievo nella voce, mentre lo sguardo della figlia indagava, assorto, i profili dei palazzi offuscati dalla bruma mattutina.
Ripensare a Marcus le aveva fatto sorgere un odioso tarlo nella mente, che non si preoccupò minimamente di nascondere a suo padre: «Papà... non ti sembra tutto troppo... facile?».
«In che senso?»
«Cioè, il viaggio... avrebbero potuto attaccarci in qualsiasi momento, dato che quello stregone percepisce la tua presenza, eppure non ci hanno fatto niente. Ci siamo pure fermati e per due volte ti sei nutrito, per cui eri debole e sopraffarti sarebbe stato facilissimo. Però... niente».
Alan rinsaldò la presa sul volante.
«Ora che mi ci fai pensare... è strano» asserì, la postura irrigidita per l’improvviso nervosismo dovuto a quella nuova consapevolezza.
«A meno che...» continuò Erika, completamente persa nelle sue elucubrazioni.
«A meno che?» ripeté il redivivo, in fatidica attesa di responso.
«A meno che non fosse tutto programmato, ma ciò vorrebbe dire che...!».
RATATATATATATATATATATANNNNN.
Una pioggia di proiettili investì il cofano della macchina e Alan fece per sterzare, ma la figlia gridò: «Accelera, è un’imboscata!!».
L’uomo eseguì e, invece di frenare, premette l’acceleratore, superando un’auto nera posteggiata lungo il bordo della strada, dalla quale erano pervenuti gli spari.
«Ci hanno aspettato al varco! Come facevano a sapere che saremmo venuti qui, dannazione?!» sbottò Alan, inviperito, schizzando a velocità supersonica lungo le strade della periferia. Era pericoloso, era vero, ma lo sarebbe stato molto di più se fosse stato pieno pomeriggio. Essendo l’alba, molti abitanti della città non erano ancora usciti dai loro appartamenti per recarsi a lavoro o a scuola o in qualsiasi altra meta, e ciò era un bene.
«Non lo so, ma dobbiamo seminarli!! Non possiamo condurli da Alejandro!» disse l’alchimista, stringendo a sé la tracolla che teneva in grembo, nella quale s’intravedeva la sagoma della piramide.
La ragazza si sporse un poco dal sedile per guardare indietro attraverso lo spazio tra i due sedili anteriori: ce li avevano alle calcagna.
Alan svoltò bruscamente in un’altra grande strada, mancando di poco un lampione sul marciapiede.
Gli spari riecheggiavano contro le mura degli edifici circostanti, rimbombando nelle orecchie di Erika con forza inaudita, togliendole il respiro. Acquattata sul sedile, le mani premute sulla testa come a proteggersi, teneva un occhio chiuso e con l’altro guardava la strada davanti a sé.
«Papà, per favore, cerca di guidare dritto!!!» esclamò, spaventata.
«Che cosa credi che stia cercando di fare?!».
Un ennesimo sparo e un proiettile perforò il vetro posteriore dell’auto, fendendo lo spazio tra i due sedili, mandando in frantumi il parabrezza. Fortunatamente, la maggior parte della pioggia di vetri si riversò all’esterno dell’abitacolo, anche se qualche frammento riuscì a ferirla.
La giovane strinse a sé con maggior forza la piccola piramide di granati che aveva nella tracolla sulle sue gambe.
«Papà... - chiamò la ragazza, le lacrime agli occhi - ... fa male morire...?».
Era una domanda dannatamente stupida, lo sapeva, eppure non poteva fare a meno di porla, men che meno a suo padre: chi, meglio di lui, poteva risponderle?
Questo fece per risponderle, quando un secondo colpo lo centrò in pieno al petto, schizzando fuori dallo sterno assieme a del sangue scuro, sfrecciando fuori dal parabrezza rotto.
«PAPÀ!» urlò Erika, presa dal panico, ma Alan non diede assolutamente segno di aver incassato il colpo. Fu come se il proiettile non l’avesse minimamente sfiorato, fatta eccezione per le tracce tangibili del suo passaggio attraverso il suo torace.
L’uomo sterzò e girò in una stretta stradina laterale, troppo per il veicolo, al quale furono bruscamente asportati gli specchietti laterali.
Era un vicolo cieco, ma se ne accorsero troppo tardi.
Un’esplosione rimbombò nell’aria e una vampata di fuoco si affacciò dal vicolo, costringendo i loro inseguitori a fermarsi.
Scesero dall’auto e si scambiarono poche, semplici battute.
«Dici che sono morti?».
«Che cazzo di domande fai? Certo che sono morti! Nessuno riuscirebbe a sopravvivere ad una simile esplosione!»
«Allora, che facciamo?»
«Andiamo a fare rapporto al capo».
Rientrarono senza neppure avvicinarsi al vicolo e ripartirono sgommando.

Erika cercò di districarsi dalle lamiere contorte del mezzo, senza riuscirci.
Della piramide che aveva gelosamente custodito, nessuna traccia.
Le lacrime le pungevano gli occhi e il fumo le impediva di respirare. Gli occhiali erano volati chissà dove a seguito dell’impatto e tutto il mondo circostante le appariva come una sfocata chiazza di colori.
Tossì, lacrimando.
«Papà! Papà!» chiamò, piangendo e imprecando tra sé.





Angolino autrice
E questo è l'ultimo capitolo, anche se non sembra. Un po' mi mancherà questa storia, ad essere sincera. Ringrazio infinitamente quanti hanno seguito la storia, in particolare coloro che l'hanno aggiunta alle preferite/ricordate/seguite.
Bye bye <3
F.D.
   
 
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