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Autore: Lenni    17/04/2012    0 recensioni
[Finale alternativo di "Ridicoli. Orgogliosi quanto basta per dividerci.", ambientata durante i 21 anni di Luca e i 20 di Clara. Non importa aver letto la fanfiction per dare un'occhiata.]
Clara e Luca, ancora. Le loro storie, i loro errori e il loro futuro.
Perché nonostante tutto, sono e saranno il miglior errore di sempre.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E la luna bussò
alle porte del buio.




Erano le tre e mezza del mattino.
La pioggia scrosciava ininterrottamente da ore, ormai, abbattendosi violentemente su tutto e tutti. Il vento sibilava sinistro tra le fronde degli alberi, scuotendoli teatralmente come decine di braccia inanimate, protese verso l’altro per implorare aiuto. Una notte da cani.
Dormivo di un sonno leggero, scampato quasi per miracolo ad una fantomatica uscita in discoteca con Matte: nonostante l’allettante proposta di un folto gruppo di ragazzine svestite e vogliose, cocktail di pasticche colorate e fiumi di alcol, qualcosa mi aveva ancorato al divano davanti all’ennesima replica di una puntata di Friends. Dopo diverse prese per il culo e implorazioni, Matte se ne era finalmente andato, lasciandomi in compagnia del telecomando.



Chi cazzo stava cercando di buttare giù la porta? Una pioggia di pugni e calci la stava martoriando, mentre fuori la tempesta impazzava.
Aprii impercettibilmente gli occhi, asciugandomi poi un rivolo di bava all’angolo della bocca con aria schifata. Facendo leva sulle braccia mi alzai, procedendo a tentoni fino alla porta. Mi girava la testa, probabilmente per il fatto che dormivo accartocciato sul divano da ormai un paio d’ore, e avvicinarsi allo spioncino fu una vera impresa. Non vidi niente, dato che i contorni erano sfumati e il volto che avevo davanti poco chiaro, ma maledicendo Matte e la sua mania di scordare le chiavi sul tavolo della cucina, girai la maniglia e aprii la porta senza chiedere niente.
Già stringendo un paio di imprecazioni tra i denti la lasciai entrare, ma tutto si cancellò non appena mi si parò davanti.
«Clara» constatai, incredulo.



Erano cinque anni che non la vedevo così vicina.
«Beh? Che cazzo hai da guardare?» mi chiese dura, strizzando i capelli completamente fradici dentro il lavello della cucina con gesti bruschi. Alcuni si staccarono, vorticando insieme a delle misere gocce di pioggia giù per lo scarico argentato, in una danza convulsa e disordinata.
Cercai di mascherare lo stupore, ma era cambiata tantissimo.
I capelli si erano allungati sulle sue spalle, ma adesso, gonfi di pioggia, le si appiccicavano alla fronte e alle guance, incorniciando la cicatrice sulla tempia e le guance rosate per l’ira, unica nota di colore nel volto di porcellana. Il corpo esile si era fatto ancora più sottile e minuto, i vestiti bagnati aderivano perfettamente alle curve ancora dolci e appena accennate, come a voler accentuare l’estrema fragilità di quella figura. Nascosta dentro una felpa, i jeans sdruciti e le Converse coperte di scritte fatte con la Bic: se l’involucro era lo stesso di sempre, la consistenza era completamente opposta. La guardavo e mi rendevo conto che quasi niente era rimasto come prima.
Gli occhi suoi scuri, così belli e indecifrabili, adesso erano vacui, a tratti attenti, ora sornioni e adesso imploranti: sembravano navi sperdute nella tempesta, incapaci di trovare ristoro e riposo. Era successo qualcosa.
«Sai, sono le tre e mezza del mattino e una tizia che non vedo da cinque anni è venuta a buttarmi giù la porta» decisi anch’io di attaccare, pronto a ricominciare l’ennesima battaglia «Sarebbe carino sapere quale sono le sue intenzioni, no?»
Lei cercò di sostenere lo sguardo, ma inevitabilmente lo fece scivolare lungo le piastrelle del pavimento - segno decisamente brutto.
«Ho bisogno di un posto in cui stare» sussurrò, più a se stessa che a me «Io … non sapevo dove altro andare»
«Perché sei venuta proprio qui? Che è successo?» le chiesi, avvertendo lo sconforto nella sua voce. Non era un bel segno.
Feci per avvicinarmi, ma lei si ritrasse.
«Luca, ti prego, solo per stanotte!» mi implorò, seriamente sconvolta «Non è successo niente, è solo che c’è un tempo da cani e ho bisogno di un posto in cui stare, tutto qui!» «Clara, ma ci sei o ci fai?!» vederla così fuori di sé mi faceva impazzire «Sono le quattro del mattino, non ci vediamo da cinque anni e tu vieni qui a chiedermi un posto in cui dormire? Ma credi davvero che sia così cretino? Mi dici che cazzo è successo?»
«NIENTE!» gridò ancora esasperata, la voce rotta dal pianto «Basta, io me ne vado!»
«TU NON VAI DA NESSUNA PARTE, CAZZO!» urlai io di rimando, trattenendola con forza per il braccio. Lei allora cominciò a colpirmi, pugni e calci uno dietro all’altro, lottando disperatamente per la sua liberta. E più lei si dimenava, più la stringevo, in preda al terrore. Finalmente si abbandonò alla presa, sciogliendosi in singhiozzi convulsi. La strinsi più forte, mentre lei annaspava sulla mia spalla.
«Clara, Clara stai calma, è tutto finito, ci sono io qui adesso» lei non rispose, si limitò a piangere più forte, nascondendo il viso sul mio petto «È tutto apposto, tranquilla, ci sono io»
La lasciai piangere ancora e ancora, fin quando le lacrime non finirono e i singhiozzi non si spensero. Poi, alzando il viso stravolto verso il mio, cercò di dire qualcosa prima che la interrompessi.
«Dormi qua stanotte, ok?»













Angolo dell'Autrice.
E' un finale alternativo di una fanfiction già conclusa. Perché? Perché Clara sono io, perché lei vive, la percepisco e dovevo raccontare l'altro lato della storia. 
Se quella notte a casa sua non fosse significato niente, se lei e Luca non avessero saputo aspettare? Quale sarà il segreto di Clara? Bene, eccoci di nuovo, Clara e Luca e i loro errori.
Ci tengo a questo finale alternativo, non chiedetemi perché: è importante, tutto qua. Spero che possa piacervi come la fic in sé, nel caso, liberi di andarvene: grazie comunque per essere arrivati fin qua.
#Piccia.
  
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