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Autore: Sunny_Blue    18/04/2012    1 recensioni
Bellatrix Black sa di essere diversa dalle due sorelle; Bellatrix Black sa di essere un essere a sè. Solo che ancora, bambina di 8 anni, non ha capito in cosa risieda la sua particolarità.
Ma un giorno, leggendo un libro che le è caduto tra le mani senza una spiegazione logica, per quella che sembra una semplice casualità, scopre una massima che orienterà per sempre la sua vita e che la porta a fare un test inquietante per provare le sue reali potenzialità...
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellatrix Lestrange
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Anima nera e mani sporche di sangue

Ho scritto la storia per il Scegli un classico - Contest classificandomi 1°

Il mio Pacchetto - Il ritratto di Dorian Gray :
-Frase: “Le buone intenzioni sono inutili tentativi di interferire con le leggi scientifiche. Nascono dalla pura vanità. Il risultato è il nulla assoluto. Ogni tanto ci procurano una di quelle sterili e voluttuose emozioni che hanno un certo fascino sulle persone deboli. Tutto qui. Non sono altro che assegni a vuoto.”

-Personaggio: Bellatrix Lestrange
-Oggetto: libro
-Prompt: casualità
-Obbligo: Descrivere un'uccisione
-Divieto: Inserire Lord Voldemort



Il personaggio di Bellatrix nell'ultimo periodo è una costante fonte di ispirazione. Non ho resistito a parlare un'altra volta di lei... ^^
Questa volta però l'ho immaginata bambina – lo ammetto, anche per stupire un po', visto quello che il contest richiedava! 
Andromeda avrà quindi 9 anni circa, Narcissa 7.

Non è facile immaginare il passato di una "bestia nera" come Bellatrix, perché si tende sempre a pensarla cattiva, bestiale e punto. Quando io parlo di lei, invece, cerco di "mettermi nei suoi panni", anche se non è facile, e di essere credibile.

La frase tratta da Dorian Grey l'ho collocata in un altro libro (anni a parte, non mi sembrava molto realistico immaginare una biblioteca di casa Black con testi Babbani!), inventato da me all'occorrenza, che ho chiamato "Anima nera e mani sporche di sangue" - per l'appunto.




Anima nera e mani sporche di sangue


Primavera 1959




La vita è quello che ti capita mentre stai facendo altri progetti* – Questa era la massima associata alla mia sorella maggiore, Andromeda.
Quella di Narcissa, invece, era:
La bellezza è la miglior lettera di raccomandazione**.
Nel primo caso era stato nostro padre, l'esimio Cygnus Black, a trovarla e legarla alla vita della sua figlia prediletta. Nel secondo, nostra madre l'aveva magicamente fatta comparire sulla coperta che avvolgeva la neonata, quando un sorriso appena accennato dell'infante le aveva irrimediabilmente e senza appello rubato il cuore.
Nessuno si era preso la briga di trovare qualcosa di adatto per me, né alla mia nascita né negli anni successivi. Al momento, ero la sola delle sorelle Black a essere sprovvista di frase-guida.

Nonostante questa mancanza, dentro di me sapevo di essere diversa dalle altre.
Lo sapevo con una certezza che andava oltre la comprensione, lo sapevo da sempre e con ogni fibra del mio essere.
Io ero speciale... solo che al momento non mi era ancora chiaro dove risiedesse la mia unicità.

Ma io non sono come
loro, su questo non c'è alcun dubbio!
Me lo ripetevo spesso, come un mantra, come una formula magica. E quando lo pensavo caricavo quel 'loro' di forte risentimento, quasi di disgusto.
Era delle mie sorelle che stavo parlando! Avrei dovuto provare amore, affetto verso di loro, eppure... Dentro di me la fiamma del risentimento ardeva come fuoco vivo.
Nonostante in teoria non avrei neppure dovuto conoscere simili sentimenti, nonostante fossi solo una bambina di otto anni.
Quello in vero me lo sentivo ripetere spesso - “S
ei troppo piccola, Bellatrix, crescendo ti si sveleranno tante cose che ora non comprendi.”
Ma le parole degli adulti non erano abbastanza per me. Non mi rassicuravano, non mi trasmettevano i sentimenti positivi che avrebbero dovuto.
Soprattutto, non smuovevano di una virgola quelle che erano le mie convinzioni.
Anche se ero piccola, ero irrimediabilmente più consapevole di me rispetto ad Andromeda e Narcissa; senza dubbio ero più matura.
Nessun discorso con voce suadente mi avrebbe mai potuto convincere del contrario.
Io ero un essere speciale.
Io ero diversa da
loro.
Forse perché le mie sorelle avevano ricevuto negli anni un diverso genere di amore - quello che va oltre le raccomandazioni e le ramanzine di rito che erano rivolte a me –, che non le aveva portare a crescere così in fretta come avevo fatto io.
Forse perché loro erano state da sempre oggetto di quelle mille piccole attenzioni che io mai avevo provato e non avevano avuto alcun bisogno di accelerare il processo di maturazione. Forse perché loro avevano accanto da sempre, uno per parte, i nostri genitori, pilastro e sostegno per delle giovani vite, mentre io ero del tutto sola.
Tre figlie per un solo padre e una sola madre. Era nell'ordine delle cose che una di noi restasse esclusa. Era capitato a me.
Casualità? Solo uno scherzo beffardo del destino? Non credevo in nessuna di queste cose.
Avevo otto anni soltanto, ma già ero certa che la mia vita, il mio futuro, dipendessero da qualcosa di più forte, di più mio, che parole astratte e forze superiori.
Se le cose erano andate così doveva esserci un motivo più profondo, e certo ne avrei tratto tutti i vantaggi possibili.


Forse c'era stato un tempo in cui la cosa mi aveva fatto soffrire, ma quel momento era passato per sempre. Avevo anche smesso di dare la colpa dei mie mali a entità indefinite.
Io non credevo nel caso, io non credevo nel fato.

Sarò io a plasmare il mio futuro, nessun altro
. Forse poteva essere quella la mia massima...


* * * * * *


Un giorno mi annoiavo girovagando tra i libri della biblioteca.
Leggere non era tra le mie passioni, anche ammesso che io ne avessi una. Le attività virtuose erano tutte appannaggio della mia sorella maggiore, quelle frivole della minore, io come al solito mi trovavo nel mezzo e in nessun luogo.
Scivolavo tra i libri impilati sulle pareti, sui tavoli, in ogni spazio libero, come un serpente tra l'erba. Il mio corpo esile di bambina si infilava in ogni interstizio.
Allora, forse davvero, ad agire fu l'invisibile e infida mano della casualità.
Un libro mi cadde letteralmente tra le braccia.
Non ho mai potuto spiegarmi quello che successe quel giorno, nemmeno anni dopo quando la mia conoscenza delle arti magiche – di ogni genere di arte, anche la più oscura – raggiunse livelli sconosciuti alle mie care sorelle e a quasi tutti gli altri maghi e streghe del mondo.
Ho cercato un motivo razionale all'accaduto, ho fatto esperimenti, ho provato magie...
Non ho trovato nulla.
Per l'unica volta nella mia vita, ancora oggi, la sola spiegazione plausibile della cosa sembra risiedere nella forza del caso.
Di primo acchito osservai l'oggetto con scarsa curiosità, ma il titolo in rilievo attirò il mio sguardo e mi sedetti a terra per sfogliare qualche pagina.

Anima nera e mani sporche di sangue”, almeno non sembrava una storia da bambini.
Lessi.
Non lo era.
Le pagine raccontavano la vita di un mostro, un mago che aveva sacrificato tutto per il potere e la gloria, macchiandosi di ogni genere di nefandezze e crimini. Erano pagine intrise di assassinii, crudeltà, morte. Il dolore trasudava quasi dalle righe vergate in inchiostro nero sulla carta bianca un po' consumata dal tempo.
Le mie sorelle sarebbero fuggite davanti a un simile libro; sarebbe fuggite e avrebbero cercato rifugio tra le braccia rassicuranti dei nostri genitori.
Io non ero come loro.
Andai avanti per diverse ore a leggere, pagina dopo pagina, atrocità dopo atrocità, finché trovai una frase che catturò la mia attenzione come nessun'altra:

Le buone intenzioni sono inutili tentativi di interferire con le leggi scientifiche. Nascono dalla pura vanità. Il risultato è il nulla assoluto. Ogni tanto ci procurano una di quelle sterili e voluttuose emozioni che hanno un certo fascino sulle persone deboli. Tutto qui. Non sono altro che assegni a vuoto.”


C'era qualcosa in quelle parole che mi dava un brivido lungo la schiena.
Ebbi l'impressione che contenessero un segreto, qualcosa di celato al mondo. Di più, pensai d'istinto che quel qualcosa fosse destinato solo a me.
Scorsi le poche righe con gli occhi una, due, dieci volte. A ogni passaggio era come se più elementi mi apparissero davanti, come se mi venissero rivelati una miriade di significati...

Nessuna inutile buona intenzione in cui crogiolarsi la sera per sentirsi una persona migliore per te, Bellatrix. Nessun rammarico o pentimento per le azioni compiute.
Un fine, un obiettivo, tu l'unica arma con cui realizzarli.

Ecco il mio futuro, ecco il mio destino. Scritto nero su bianco in un vecchio libro.
Strinsi al petto il volume consunto, come se potesse darmi un barlume di quell'affetto che non avevo mai ricevuto dalle persone intorno a me.
Fu solo un attimo.

Non hai bisogno di loro.”
Prima fu solo un sussurro tremolante che uscì dalle mie labbra quasi di propria volontà.

Non hai bisogno di loro.”
La seconda volta la mia voce acquistò sicurezza.

NON HAI BISOGNO DI NESSUNO!!”
Lo dissi infine quasi gridando; lo dissi alle pile di tomi vetusti, ascoltatori ignari della mia confessione. Lo dissi, e per la prima volta ne fui convinta davvero.
Avevo appena trovato la mia strada.


Ma dovevo provarlo.
Dovevo fare qualcosa per capire se quello che credevo di avere appena appreso – nessun rimorso, nessun pentimento, nessuna buona intenzione - era davvero il filo rosso della mia esistenza o se era solo la suggestione di una bambina.
Mi alzai dal pavimento, il libro ancora tra le braccia, un sorriso appena accennato, ma terribilmente cattivo sulle labbra.
Sapevo perfettamente cosa fare per mettermi alla prova.


Intorno alla nostra dimora di famiglia si estendeva un immenso e florido giardino. Era l'orgoglio di mia madre, che se ne prendeva cura con grande dedizione. Ogni giorno passava ore e ore all'aperto, innaffiando le aiuole, potando gli alberi, sistemando i vialetti. Non aveva mai voluto saperne di assumere qualcuno che si caricasse di quelle incombenze al posto suo.
Ognuna di noi tre sorelle ne aveva ricevuto in dono alla nascita un piccolo appezzamento, per farci crescere o costruire quello che preferiva.
Andromeda aveva voluto solo rose nello spazio destinato a lei. Aveva chiamato ogni spazio con il nome di una costellazione, e così c'era l'Orsa polare, dove crescevano splendidi fiori purpurei, i Gemelli, dove svettavano gialli boccioli, e ovviamente, il Cigno, dove solo rose bianchissime e pure trovavano spazio.
In accordo con il mio carattere ribelle, io avevo lasciato incolto il mio pezzo di terra. Avevo permesso alle erbacce di prosperare, l'edera ricopriva la vecchia altalena che un tempo era stata il mio passatempo preferito. Mia madre non aveva obiettato apertamente a questa decisione, ma vedevo bene dal cipiglio che compariva sul suo bel viso quando i suoi occhi si posavano su quella piccola oasi trascurata e scura quanto la cosa la disturbasse.

Narcissa aveva sorpreso tutti, visto il suo egoismo di bambina e il suo narcisismo, chiedendo dei coniglietti da allevare. Il pensiero comune era che le bestiole non sarebbero sopravvissute una settimana, che lei li avrebbe dimenticati passato il primo periodo di eccitazione.
In ogni caso, a nessuno era passato per la mente di opporsi al capriccio. Nella piccola area a lei destinata erano stati fatti comparire un recinto e una casetta in legno, e dopo qualche giorno erano arrivati anche i primi due coniglietti.
Nonostante le perplessità generali, la mia sorella minore si era presa cura sul serio di quelle creature e non si era stancata, tanto che nel corso degli anni la popolazione del recinto si era moltiplicata ed era stato necessario un ampliamento.
Narcissa amava i suoi animali. Ogni giorno passava molto tempo con loro, li nutriva con amore e pazienza, e loro la seguivano come figlioletti ubbidienti.


Le piccole palle di pelo non fecero molto caso a me, quando aprii il cancelletto del recinto ed entrai nel loro piccolo mondo. Erano avvezzi da sempre alle intrusioni umane e non si aspettavano niente di diverso che cibo o attenzioni.
Un coniglietto più intraprendete degli altri si spinse fino ad annusare con il nasino rosa l'orlo della mia veste.
Mi abbassai e lo presi tra le mani.
Era piccolo, era morbido, era del tutto indifeso...
N
essun rimorso, nessun pentimento, nessuna buona intenzione.


Gli spezzai il collo con un gesto secco e deciso. Sentii il rumore delle ossa che si rompevano risuonarmi nelle orecchie forte come uno scoppio.
Non provai nulla.
Lascia cadere a terra il corpicino senza vita. Sembrava niente più che una bambola spezzata, bianco contro il verde dell'erba.
Con passo fermo e mente lucida mi avvicinai agli altri animali, che si erano ritirati verso la loro casetta, quasi fossero consapevoli di quello che si prospettava per loro...

Una, due, dieci volte, ripetei la macabra operazione con gesto quasi meccanico.
Quando restai la sola cosa viva nel recinto, mi fermai come in trance.
Con i corpi dei conigli candidi riversi tutto intorno a me come un macabro tappeto, le braccia indolenzite per lo sforzo compiuto, provai per la prima volta un senso di potere assoluto.
L'onnipotenza mi attraversava il corpo come una scarica elettrica.
Fu solo un momento, ma fu sufficiente per darmi le conferme di cui avevo bisogno.
Avevo trovato la mia strada.
Mi avviai verso casa con passo fermo, l'anima un po' più nera e per la prima volta, le mani sporche di sangue altrui.
Nessuna emozione a turbare la mia micidiale calma.

* * * * * * * * * * * * * *


* John Lennon

** Aristotele

   
 
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