Nevermind.
3. Smeraldo
“No.”
Irene stava indossando il suo abito più elegante. Lo stava
facendo con estrema lentezza, con movenze che avrebbero affascinato e
sedotto
ogni genere d’uomo.
Eppure l’unico che avrebbe davvero voluto ammaliare non
c’era
più.
O per meglio dire, c’era.
Solo, non emetteva un suono da un paio di giorni.
Esattamente da quando quella famigerata copia dal
‘Sun’ era stata lanciata da una
rumorosissima motoretta davanti all’anonimo e riservato
appartamento che la
donna aveva comprato dopo la sua mirabolante fuga da Londra e dal suo
mondo di
perversione ed erotismo
Aveva staccato la spina, ben consapevole che sarebbe stato
un allontanamento breve e fugace.
E infatti, nemmeno sei mesi dopo, qualcuno si era presentato
alla sua porta. Emotivamente e fisicamente distrutto, le aveva chiesto
un
rifugio.
“Era troppo per me. Troppo.”,
furono le uniche parole usate da Sherlock Holmes come scusante. E
sapeva che a
Irene non sarebbero bastate, ma poco gli importava, al momento.
E nemmeno lei ci diede troppo peso. Tutti i suoi sforzi
erano concentrati nel nascondere quella sorprendente sensazione di
felicità che
rischiava di soffocarla, tanto premeva sul suo petto.
Irene Adler,
Perché alla fine il suo polso non mentiva.
“Quindi non hai intenzione di aiutarmi con la
lampo?”
Irene si girò verso Sherlock, l’abito scuro che le
pendeva
mollemente sulle spalle, coprendo a malapena il seno. L’uomo
aveva interrotto
il suo digiuno dalle parole con una semplice sillaba, cosa che non
aveva
creato molto stupore in lei.
Si aspettava una reazione simile a quell’articolo. Non
potè
non sorridere, soddisfatta di come la sua previsione fosse stata tanto
azzeccata.
Non solo tu sei in
grado di scrutare l’animo delle persone, Sherlock. In questo
momento tu sei
trasparente, per me.
“Oh, non importa. Noi donne siamo molto più abili
degli
uomini, almeno per quanto riguarda il nostro vestiario.”
Irene marcò leggermente le ultime parole, scoccando uno
sguardo eloquente all’uomo.
Sherlock era in vestaglia. Indossava un paio di ciabatte
troppo grandi per lui –e non era mancato nel farlo notare a
Irene più e più
volte. Nient’altro indosso.
Sherlock era in quella tenuta da due giorni e non sembrava
avere la minima intenzione di mutare il proprio abbigliamento.
“E’ sorprendente il fatto che emani ancora un buon
odore.
Chiunque altro avrebbe cominciato a puzzare come il Tamigi ai tempi del
Great
Stink.”
Irene cominciò ad armeggiare con la cerniera lampo
dell’abito, riuscendo in poco tempo a chiuderlo senza fatica.
Rimase un poco
amareggiata notando che Sherlock non aveva reagito in alcun modo alla
sua
provocazione igienico-storica, anzi
era ancora più impassibile di prima.
E’ un uomo poco
permaloso, evidentemente.
“Caro, io andrei. A quanto ho capito, non hai la
benché
minima intenzione di accompagnare la qui presente Miss Taylor alla
presentazione di quella nuova mostra. O hai cambiato idea?”
Non le creava alcun fastidio, usare nomi falsi. Anzi la
elettrizzava ancor di più.
Irene lo sapeva: anche se si era allontanata da quel mondo
perverso e malizioso che aveva creato a Londra, non poteva fare a meno
di
mettersi in mostra. Di stare sotto i riflettori e di avere tutti gli
occhi
delle gente più in
puntati su di lei.
E sapeva di non essere l’unica, in quella stanza, ad avere
manie simili.
“Non credo ti sia sfuggito il fatto che sarà
presente il
capo della polizia. Praticamente è un invito a nozze, per
te.”, disse mentre
indossava al collo un elegante ciondolo di smeraldo. Sensuale, ma
comunque
raffinato. Un chiaro invito per i suoi possibili nuovi
amici.
Il suo agghindarsi però non le impedì di notare
il guizzo
che ebbe la mano destra dell’uomo, poggiata sul manico della
poltrona sulla
quale era accovacciato.
A cosa poteva essere dovuto? Alla perdita di quella succosa
occasione, forse.
Ma no, Irene sapeva che quell’uomo non sarebbe mai stato
tanto gasato
dall’incontrare gente di intelletto e perspicacia inferiore.
Doveva essere
qualcos’altro.
Ma quando se ne rese conto, quando capì di aver fatto
un’infelice scelta di parole, era tardi.
“Devo andare.”
Irene si fermò, la mano bloccata in aria mentre cercava di
sistemare una ciocca ribelle. Cercando di assumere un’aria
distaccata e distesa
–cosa che le era abbastanza difficile, al momento-
spostò lo sguardo dallo
specchio e lo rivolse verso Sherlock.
L’uomo si era alzato dalla poltrona, animato da
chissà quale
spirito. La guardò, impenetrabile, e uscì dalla
stanza.
La donna rimase sospesa nel vuoto.
Era quello che volevi,
sciocca. Non dovresti reagire così.
Gli occhi ora vagavano sullo specchio, sul suo viso. Era una
maschera, era solo quello.
Seduzione al posto del dolore e dell’amore che provava.
Piantala, Irene. Era
quello che volevi. Basta, fregatene del resto.
Irene distolse lo sguardo, abbassandolo. Non voleva vedere
la sua tanto curata e suadente maschera andare in frantumi.
Non te ne importa
niente, Irene. Non te ne deve importare niente.
Una lacrima cadde sull’abito scuro, accanto allo smeraldo.
Era quello che volevi.
Sherlock entrò velocemente nella sua stanza.
Tutto era pronto: i pochi abiti che Irene era riuscita a
procurargli erano stati accatastati e gettati alla rinfusa in una
piccola
valigia.
Si tolse la vestaglia e indossò gli unici vestiti rimasti
fuori dal suo bagaglio. Senza pensare, senza riflettere su quello che
faceva.
Lanciò un’ultima occhiata alla copia del
‘Sun’, gettata con
malcelata noncuranza sul suo letto.
Aveva letto talmente tante volte quell’articolo, da saperlo
a memoria.
E quell’ultima domanda, e soprattutto quell’ultima
risposta,
erano la chiave di tutto.
Afferrò il manico della borsa e uscì.
Attraversò rapidamente
il salotto, afferrò il pomello della porta. Si
fermò.
Irene era dietro di lui.
“Cos’era quel ‘no’, Sherlock?
Che significava?”
L’uomo si girò verso la donna, per
l’ultima volta.
Un sorriso lieve gli increspò le labbra.
“Significa che questa volta non posso dare ascolto al tuo
polso, Irene.”
La porta si chiuse.
Ma chi vuoi prendere
in giro, Irene?
Era lui, quello che
volevi.
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Allora, eccoci qui.
Questo capitolo ha una storia abbastanza controversa. Nel senso che
è stata una faticaccia iniziarlo -la mia pigrizia prendeva
il sopravvento, diciamo così.
Ma quando ho cominciato, bum.
Sono partita in quarta.
E rileggendolo...mi piace. Oh, mi piace un sacco.
*pride*
Ho sempre amato il personaggio di Irene Adler e lo amerò
sempre. Mi è sembrato doveroso e giusto dedicarle un
capitolo, mostrando i suoi pensieri e i suoi sentimenti.
Perchè sì, mi pare ovvio che lei provi
qualcosa per Sherlock. La metafora del polso mi sembra più
che evidente, sotto questo punto di vista. u.u
E li shipperei con tutto il cuore, lo giuro. Ma c'è un terzo
incomodo mica da ridere, e
lo sapete bene tutti quanti.
Poi.
La cosiddetta provocazione 'igienico-storica' (LOL) fa riferimento ad
un fatto accaduto a Londra, nell'estate del 1858. Il Tamigi venne
praticamente sommerso da acque reflue (ovviamente non purificate o
trattate in alcun modo) di origine umana. In pratica il fiume
diventò quello che al giorno d'oggi noi chiameremo
allegramente 'fossa biologica'.
Questo evento, che ebbe un notevolissimo
impatto sulla popolazione (e ci mancherebbe anche, dico
io), è passato alla storia come la 'Grande Puzza', o 'Great
Stink'.
A me personalmente fa morire dal ridere. Non so voi.
(tra l'altro, Arthur Conan Doyle nacque praticamente un anno dopo. Se
l'è scampata, il signorino :D)
Spero si sia capita "l'amara scelta di parole" fatta da Irene.
Altrimenti, andate a vedere cosa dice a Sherlock due o tre righe prima
e focalizzatevi sulla fine.
Andiaaaamo,
l'avete capito, vero? :)
Ultima cosa.
Come avrete notato, si parla di un medaglione.Anche qui c'è
una storia abbastanza curiosa dietro.
Per motivare la mia Immaginazione (la maiuscola è d'obbligo
u.u), ogni tanto mi diverto a cercare qualche frase/immagine che possa
darle una spinta, diciamo così.
L'immagine che questa volta ho ripescato dal mio archivio immenso (e lo
è davvero) è questa.
Prima reazione:
oh buon Dio. Che cosa ci faccio con 'sta roba?! D:
Seconda reazione:
ma in realtà ci vedrei davvero bene Irene nei Serpeverde...
Terza reazione:
cerchiamo qualcosa sugli smeraldi.
E ho praticamente scoperto che, oltre a derivare dalla parola
greca
Lo smeraldo viene inoltre considerato come la pietra consigliata per
chi ha problemi a far emergere la sua vera personalità e i
suoi reali sentimenti.
Ecco cosa ha collegato il mio cervello -e da questo capirete che
sì, sono pazza.
Il riferimento al matrimonio è lampante. Unito al fatto che
Irene ha come supremo obiettivo e valore il far emergere la
verità, e che lei stessa non sa essere sincera, è
geniale.
In più si è detto che Irene indossa una maschera,
dietro la quale nasconde i suoi veri sentimenti.
Bingo.
(amo la mia Immaginazione.)
Ancora una volta ringrazio chi mi segue, chi mi legge, chi mi appoggia.
Siete meravigliosi e mi fate sentire bene. <3
Nel prossimo capitolo...John.
Cosa farà? Affronterò di nuovo l'appartamento?
Oppure si limiterà a guardare da lontano?
Dipende tutto dalla signorina qui presente. *indica Immaginazione*
Allora, io vi saluto. :)
A presto, miei cari. Baci baci!
Vale