Alphonse
Elric era a
dir poco arrabbiato, dopo l’esplosione
dell’istituto, Tucker fu dato
automaticamente per disperso, ma tutti ovviamente sapevano che era
morto per
mano di suo fratello o al massimo era rimasto intrappolato tra le
macerie.
La
cosa lo sollevava e
non per essere sadico, però quell’uomo aveva fatto
soffrire milioni, se non
miliardi di persone senza battere ciglio e in fondo era ora che pagasse
per i
crimini commessi.
Ciò
che però gli dava
più fastidio, era il fatto che non gli avevano permesso di
muoversi dopo
l’accaduto, secondo il capo aveva bisogno di fare qualche
esame medico per
accertarsi della sua buona salute ma lui sapeva benissimo che era una
scusa,
per permettere a suo fratello di svignarsela chissà dove.
Perché
sarebbe subito
partito all’inseguimento di quell’elicottero se non
fosse stato trattenuto!
Però,
una cosa buona
c’era… Edward aveva fatto scappare tutti i
ragazzini presenti nella struttura e
ora l’agenzia si preoccupava di ritrovare la loro famiglia e
riportarli a casa,
dalla famiglia che sicuramente li attendeva.
Ora
capiva,
quell’inguaribile testardo in fondo non era cattivo, forse
non lo voleva dare a
vedere… ma lui lo aveva capito.
Le
parole che gli
aveva detto lì dentro le avrebbe ricordate per sempre,
testimoniavano il fatto
che fosse cambiato, magari lo avrebbe trattato anche meglio, senza
chiamarlo
matricoletta o sminuirlo o farlo infuriare.
-Stai
pensando a lui
vero…?-
Chiese
Trisha
risvegliandolo dai suoi pensieri, era rimasta al suo fianco per tutta
la
nottata.
-Si,
chissà dov’è
quell’imbecille-
Borbottò.
-Vedrai
che si farà
vivo…-
-Lo
spero, non può
scaricarmi così!-
-Ti
ha mentito a fin
di bene, sono sicura che quello che ha detto però non era
una bugia…-
-Si
questo lo penso
anche io…-
Cercò
di alzarsi dal
letto per cambiarsi, visto che le infermiere gli avevano fatto
indossare un
camice bianco che gli lasciava scoperto il di dietro, per di
più…
Quando
uscì con i suoi
vestiti, trovò una persona: Il suo capo, ultimamente
più presente che mai.
-Come
stai Elric?-
Chiese
sedendosi su
una delle piccole poltrone presenti nella sua stanzetta
d’ospedale.
-Benissimo,
ieri e
anche oggi…-
L’uomo
rise capendo
ciò a cui alludeva il ragazzo, le analisi forzate come
diversivo tanto per
tenerlo occupato.
-Mi
fa piacere-
-Di
lui non c’è
traccia…?-
Chiese
debolmente
sedendosi al suo fianco.
-E’
vivo, ne sono
certo…-
Ma
parve rassicurare
più che altro se stesso.
Poi
una voce scandì le
zone circostanti dall’altoparlante:
“Attenzione, una porche nera sta per essere rimossa, si prega
il proprietario
di recarsi nel parcheggio”
-Capo,
ma non è la sua
macchina…?-
L’uomo
si alzò di
scatto allarmato ma al contempo confuso.
-Non
credo di aver
parcheggiato su divieto di sosta… ma è meglio che
controlli-
Uscì
di corsa dalla
stanza affrettandosi verso il parcheggio.
Ma
il giovane Elric sapeva
bene di chi poteva essere stata quell’idea, forse si illudeva
ma aveva qualcosa
di familiare.
-Vado
a prenderti da
mangiare allora-
Si
propose Trisha
amorevolmente uscendo a sua volta dalla stanzetta, eppure intorno
c’era
qualcosa di fin troppo strano…
Infatti
pochi secondi
dopo, bussò sullo stipite della porta aperta
l’unica persona di cui stava
seriamente sentendo la mancanza, per quanto fosse irritante.
-Ti
faccio uscire da
quel postaccio e ti ritrovo comunque in ospedale?-
Con
aria da finto
esasperato, Edward entrò sorridendogli sghembo.
-Senti
chi parla, se
non ricordo male l’ultima volta che ti ho visto stavi per
saltare in aria… che
hai combinato?-
Non
che non fosse
felice di vederlo, anzi tutto il contrario.
-Roy
ha tolto
l’esplosivo con un coltellino… e ho qualche punto
che lo dimostra-
Si
massaggiò
delicatamente il collo dietro i capelli che per questa volta aveva
lasciato
sciolti, lisci e perfetti sulle spalle.
-Deve
essere stato
doloroso…-
-Più
che altro mi
preoccupavo che non saltasse in aria con me…
quell’idiota-
-Mmh…-
Mugolò
Al assumendo
un’espressione sospetta ma allo stesso tempo compiaciuta,
prendendo il giornale
sul comodino.
-Che
c’è…?- Chiese
Edward.
-Ricordi
tutti i furti
che ci sono stati…? Pare che i gioielli siano tornati al
loro posto… che
strano-
Lo
stava provocando
deliberatamente! Sapeva benissimo che erano stati lui e Roy a fare
tutto,
accompagnati da qualche complice, e chissà perché
erano tornati sui loro passi…
che la spia perfetta si fosse messa una mano sulla coscienza?
-Si
è strano, si
tratta di un ladro smidollato…-
Scaricò
tutta la colpa
su Roy facendo finta di nulla.
-Se
lo dici tu… ma
comunque, ora che farai?-
-Che
intendi…?-
-Continuerai
a stare
nell’altra agenzia… o posso sperare che torni con
noi?-
Dopotutto
ormai i
crimini commessi erano stati risolti, e magari con un po’ di
lavori socialmente
utili se la sarebbe scampata, anche se dubitava del fatto che si
abbassasse a
tanto.
-Mmh…
direi nessuna
delle due-
Infatti…
-Cosa?!-
Si
scandalizzò il
minore… bé almeno ci aveva provato.
-Già,
la spia perfetta
non è più in servizio-
-C-che?!-
Come
sarebbe che non
era più in servizio?
-Come
devo
spiegartelo?! Ho lasciato l’incarico, ho mollato
l’agenzia, non sono più una
spia-
-M-ma…
e adesso che
farai?!-
-Non
lo so… mi
dedicherò a recuperare il tempo perso-
Fece
con un’alzata di
spalle indifferente.
-Questo
vuol dire che
starai più tempo con me…?-
Chiese
speranzoso.
-Ho
detto recuperare
il tempo perso, non impiccarmi con un laccio da scarpe…-
-Fa
pure lo spiritoso,
ma quello che mi hai detto là dentro non me lo dimentico-
Incrociò
le braccia al
petto con aria sostenuta.
-Sono
stato addestrato
a mentire, ergo, quando mento neanche te ne accorgi-
-Io
so che non stavi
mentendo, punto!-
-Se
vuoi crederlo…-
-Si
lo credo!-
-Bene-
Sorrise
continuando
con quel suo modo di fare da presa in giro.
-Dove
andrai…?-
Chiese,
nella speranza
che comunque rimanesse nei paraggi, per continuare a vederlo.
-Non
ho ancora
deciso…-
-E
Roy?-
-Verrà
con me
ovviamente, ma lui vuole rimanere una spia-
-Sospetto
che tu non
voglia dirmi dove siete diretti…-
Lo
fulminò con
un’occhiataccia.
-Nah…
perché non
dovrei dirtelo?-
-Perché
ti seguirei…!-
-Bé
allora è deciso,
tu non saprai niente-
-Non
ti azzardare!!
Devi dirmelo!-
-Non
credo proprio,
hai altro a cui pensare… quel ragazzino, la tua
vita…-
-Dillo:
Non mi vuoi
tra i piedi-
-Lo
hai detto tu non
io, sia chiaro… ma se proprio ci tieni, si è
così-
Sorrise
innocentemente
prendendo il cellulare per scrivere un sms veloce a Roy.
-Ho
il tuo numero, non
mi scappi-
-Ah
si? Spiacente il
telefonino è rimasto nella torre, che è andata
distrutta…- Attimo di commozione
per tutti i soldi che aveva speso per quel dannato telefono e, anche
per la
ferrari andata ugualmente persa –Questo è nuovo e
anche il numero-
-Dammelo-
-No-
-Bé
almeno dimmi che
ti farai sentire…!-
Il
biondo si alzò e
teatralmente posò una mano sulla spalla del ragazzo,
immensamente più alto di
lui, messi a confronto.
-Pratica
un po’ di
autoconvinzione…-
-La
stessa cosa che fai
tu con la tua altezza?-
Lo
provocò
squadrandolo nel suo metro e cinquanta, rialzato solo grazie agli
stivali con
una leggera zeppa.
-Così
non ti aiuti…-
-Non
importa… vorrà
dire che me ne farò una ragione, posso accompagnarti fuori,
così saluto anche
Roy?-
Strano,
si stava
arrendendo senza scassare esageratamente le scatole…era un
comportamento fin
troppo insolito.
-Se
ci tieni…-
Insieme
si
incamminarono verso il parcheggio, in silenzio, cosa che tra quei due
non c’era
mai stata, di solito a regnare erano insulti e provocazioni.
Fuori
c’era il moro
che con un grande sorriso, a bordo di uno scintillante fuori strada
metallizzato salutò entrambi felice di poter rivedere anche
Alphonse.
-Chi
te l’ha fatto
fare a salvargli le penne?-
Chiese
subito il
minore funereo.
-Lui
avrebbe fatto lo
stesso per me-
Si
giustificò
scoccando un’occhiata al biondo per riceverne conferma.
-Ovvio
che l’avrei
fatto…- Rispose guardandolo per la prima volta in sua
presenza dolcemente, come
due veri innamorati.
-Che
teneri…- Malignò il
ragazzo avvicinandosi al moro per tirarlo alla sua altezza per il
colletto
della camicia –Dimmi dove andate, quel perfido non ha fiatato-
Sibilò
minaccioso.
-Spiacente,
ma se te
lo dico mi ammazza… ci faremo sentire-
-Tu
di sicuro, lui non
penso proprio-
Edward
si intromise
tra lo scambio di battute dei due spingendo all’interno
dell’auto la spia più
grande, che nel frattempo si sentiva alla stregua di un giocattolo.
-Bene,
ora che vi
siete salutati, possiamo andare-
Il
biondino fece per
aggirare l’auto e montare, ma la mano del minore sul suo
polso lo fermò.
-Che
c’è?- Chiese
voltandosi verso il ragazzo che sembrava guardarlo con occhi
indecifrabili, da
una parte teneri ed indifesi, gli occhi di chi non vuole separarsi dal
fratello
che ha appena ritrovato, dall’altra occhi decisi, infuocati.
-Non
ti lascerò andare
così facilmente… non adesso-
Era
come se si fossero
incontrati la sera addietro per la prima volta, finalmente il loro
rapporto
aveva fatto un notevole passo avanti, Edward gli aveva parlato con
sincerità,
lo aveva protetto e anche se non amava ammetterlo si era aperto
notevolmente
nei suoi confronti capendo che forse avere un fratello non era poi
così male.
-Che
cosa vuoi
ancora?-
Lo
fulminò con lo
sguardo.
-Che
resti…-
Il
biondo sbuffò non
sapendo come tirarsi fuori da quel casino, ecco, si ritrovò
a pensare che se
fosse giunto alla decisione di ritirarsi, prima di conoscere
quell’idiota di
fratello minore, sarebbe stato più facile, avrebbe benissimo
potuto fare i
propri comodi senza una petulante palla al piede.
-Ascolta…-
Iniziò
cercando di essere più delicato possibile –Ora
come ora, ho solo voglia di
lasciarmi tutto alle spalle e prendermi una bella vacanza…
posso?- Marcò
quell’ultima parola trasmettendo un desiderio abbastanza
forte di gridare al
mondo: Sono stato rinchiuso per sedici anni in un istituto maligno, ho
passato
una vita d’inferno, senza amici né famiglia,
uccidendo e spargendo sangue
ovunque… posso prendermi un po’ di riposo o
è chiedere troppo?!?!
-Si
che puoi, ne hai
tutto il diritto… però non voglio che tu
sparisca… che ti dimentichi anche di
me-
Mirò
dritto al cuore
cercando di farlo sentire almeno un po’ in colpa, ma doveva
giocarsele bene le
sue carte per farlo restare al suo fianco, lo voleva con tutto se
stesso!
-Tu
occupati di quel
ragazzino e della tua vita…-
Ci
teneva a regalare
al bambino di cui aveva sentito parlare un’infanzia felice,
ora che era in
tempo… poiché lui non ne aveva avuta una e ne
portava addosso i segni.
-Ma
anche tu ne fai
parte… e io voglio fare parte della tua-
Roy
intanto li
osservava tifando segretamente per Alphonse, secondo lui era
indispensabile per
il suo fagiolino riallacciare i rapporti con la propria famiglia, per
costruirsi una nuova e normale vita e poi quel ragazzo era anche
simpatico e ci
teneva tanto a Edward.
L’interessato
sbuffò
nuovamente fin troppo combattuto.
Mentre
Alphonse
aspettava una sua decisione, sperando in un ripensamento con tutto se
stesso.
-Se
lo dici a qualcuno
ti ammazzo chiaro?- Chiese del tutto serio, prima di guardarsi intorno
per
assicurarsi che nessuno li stesse osservando, oltre Roy.
-Cosa
dovrei--?
Improvvisamente
il
maggiore lo abbracciò superando ogni sua più
rosea aspettativa, insomma chi
l’avrebbe mai detto? Eppure fu felice di stringerlo a
sé per la prima volta da
quando si erano incontrati.
E
anche se non avrebbe
voluto separarsi da lui fu costretto a lasciarlo, altrimenti si sarebbe
beccato
un bel pugno.
-Non
me ne andrò va
bene? Mi prenderò solo una piccola vacanza di... due
settimane o giù di lì e
poi torno-
-Sul
serio?-
-Si-
-Non
stai mentendo
vero?-
-No-
-E
chi mi dice che tu
non stia mentendo adess—
-Non
sto mentendo
punto! Fidati per l’amor del cielo-
-Va
bene, ti darò un
po’ di fiducia… ma se non torni ti vengo a cercare-
Minacciò
godendosi a
pieno l’espressione del più grande, che quasi
sbiancò.
-Oh
no non sia mai,
torno in tempo non temere-
-Allora
ci vediamo-
-Ci
vediamo-
Infine
si strinsero la
mano e si salutarono definitivamente.
Dopo
che il fuori
strada fu lontano dalla sua vista si ritrovò a rimpiangere
il calore di suo
fratello, che poco prima aveva tra le braccia, il suo profumo e la
sensazione
dei suoi capelli morbidi sulla pelle.
Sperava
davvero che
mantenesse la promessa, altrimenti nessuno lo avrebbe fermato dal
corrergli
dietro.
…
3
Settimane dopo.
Alphonse
passeggiava
tranquillamente intorno al parco della città, immerso
totalmente nei suoi
pensieri che non avevano smesso, neanche per un giorno di roteare
intorno
all’immagine di suo fratello.
Forse
era la vicinanza
di Jamie a fargli questo effetto, non avevano potuto riportarlo alla
sua
famiglia poiché non ne aveva una, purtroppo i suoi unici
parenti erano deceduti
così all’unanimità avevano deciso di
adottarlo, in un certo senso, e a sua
madre piaceva tantissimo, sembrava un modo per recuperare il tempo
perso con il
suo primo figlio ed era contenta che il piccolo non fosse destinato ad
avere la
stessa vita di una spia, ma che fosse un bambino normale, come tanti
altri.
Anche
se il così detto
gene alle volte si faceva notare, non sapevano se dipendesse da questo,
ma era
strabiliante quanto fosse intelligente già in tenera
età, agile e forte.
E
andavano davvero
d’accordo, come se avesse un fratellino più
piccolo, era una bella cosa… eppure
continuava a mancargli quel rompiscatole del più grande.
Erano
già passate tre
settimane, senza nemmeno una chiamata.
Nel
frattempo Trisha
seduta su una panchina vegliava silenziosamente sul piccolo biondino,
che
giocava tranquillo all’aria aperta in quella fortunatamente
soleggiava
giornata.
Sentì
improvvisamente
il rombo del motore di una macchina abbastanza grande, un fuoristrada
forse,
accostare sul marciapiede vicino.
E
pochi secondi dopo
inquadrò la figurina all’apparenza esile di
Edward, coi lunghi capelli biondi
sciolti sulle spalle, a coprire una piccola garza dietro il collo.
Dopo
aver salutato il
conducente si voltò incamminandosi verso la panchina, dove
la donna già se la
rideva per la gioia di rivederlo.
-Al
non ha fatto altro
che parlare di te in queste settimane-
-Pensavo
di trovarlo
qui…-
Quando
fu abbastanza
vicino Trisha lo abbracciò nuovamente per salutarlo e dargli
il bentornato,
sperando che non si allontanasse ancora, avevano così tante
cose da fare
insieme, da recuperare…
-Si,
è andato a farsi
un giro…-
Il
biondino sospirò da
una parte sollevato, almeno aveva un po’ di tempo da godersi
in santa pace
senza alcuna sfuriata, dall’altra si chiedeva quando mai
quell’idiota avrebbe
imparato a rilassarsi, senza arrovellarsi il cervello con i suoi
pensieri
contorti.
-No…
sta tornando… e
sembra arrabbiato- Disse notando una figura dirigersi verso di loro a
passo
spedito, peggio di un treno.
E
infatti era Alphonse
ma non parve accorgersi della presenza del fratello, almeno non a primo
impatto.
-Basta
adesso vado a
cercarlo!-
Sbraitava,
prendendo
la giacca con rabbia, quasi fosse uno straccio.
-A
cercare chi…?-
I
due sorrisero tra
loro complici, chiedendosi quando se ne sarebbe accorto.
-Quell’imbe—Si
voltò
rabbioso, poi però incontrando gli occhi dorati che tanto
aveva immaginato e
sognato in quei giorni, le parole gli morirono in gola –Sei
qui…-
E
la rabbia finalmente
calò del tutto dal suo fragile organismo.
-Già,
sai com’è, io le
mantengo le promesse-
Era
così diverso da come
se lo ricordava, o forse dipendeva dal fatto di vederlo per la prima
volta in
un contesto normale.
I
capelli biondi
sciolti sulle spalle, lucenti e lisci, i grandi occhi dorati sereni e
vivaci,
la pelle un po’ abbronzata –forse i due piccioncini
si erano regalati una fuga
romantica in una località tropicale- i soliti jeans stretti,
stivali e un
maglioncino.
-Meglio
così…-
Sorrise
anche lui
abbracciandolo, tenendolo nuovamente stretto al petto, ed era una
sensazione
piacevole avere quel contatto che tanto aveva sognato, peccato che
Edward non
si facesse abbracciare spesso…
-Si…
ora vedi di non
strillare quando ti darò questa notizia, altrimenti riparto
chiaro?-
Minacciò
con aria
superiore, non volendo sentire alcuno schiamazzo da fratello minore.
-Okay…
posso provarci,
dipende dal genere di notizia-
-Roy…
ha comprato una
casa, qui, in città-
Sussurrò
temendo una
reazione esagerata, che parve non arrivare immediatamente, ma il tempo
di
comprendere quelle parole e Alphonse esplose come una teiera dalla
felicità.
-Sul
serio? Allora
staremo più tempo insieme! E faremo tutto quello che non
abbiamo mai potuto
fare… tipo… andare a pesca! E fare un pigiama
party tra fratelli, e passare le
feste insieme e—
-Meglio
se stavo
zitto…-
Si
pentì spegnendo
automaticamente il cervello, in modo da non essere costretto ad
ascoltare tutte
quelle inutili e frivole chiacchiere.
Poi
un ometto biondo
sgambettò verso di loro, guardandoli attentamente,
studiandoli, per poi
sorridere.
-Tu
sei Edward!-
Lo
indicò gioioso, il
biondo più grande si abbassò alla sua altezza,
come mai prima aveva avuto
occasione di fare e ricambiò il sorriso.
-Si-
-Io
sono Jamie,
Alphonse non smetteva mai di parlare di te, per questo ti conosco-
-Alphonse
a volte sa
essere pesante-
Lo
fulminò con lo
sguardo, vedendolo ridere come se avesse fatto una battuta.
-Non
sei più una
spia…?-
Chiese
il piccolo
incuriosito: Nell’istituto gli avevano insegnato che essere
una spia era il
fine ultimo, la meta che soltanto uno di loro avrebbe raggiunto, essere
la spia
perfetta, prevalere su tutti.
-No,
non è una bella
cosa-
-E
perché…?-
-Perché…
non esiste
una spia perfetta, nessun essere umano è perfetto, capisci?
La cosa più bella
che tu possa fare, è essere un bambino normale-
-Si
Alphonse me l’ha
raccontato che fanno gli altri bambini, e tu che farai adesso?-
Era
sorprendente
quanto fosse intelligente quel bambino, capiva perfettamente la
situazione e
forse era l’unico in grado di comprendere in parte
ciò che Edward si teneva
dentro.
-Mentre
tu farai il bambino
normale, io farò l’adulto normale…-
-Capito-
Gli
tese la mano per
batterla con la sua, prima il biondo non capì non avendo mai
fatto una cosa del
genere, poi assecondò battendo il cinque col bambino.
-A
proposito…-
Interruppe Alphonse con un sorriso, osservato da Edward che intanto di
alzava
–Ti ricordi la tua matricola?-
-La
matricola…?-
-Si,
il numero, non so
come lo chiami tu, il coso con cui vi riconoscevate tra spie in quel
postaccio-
-Ah…
il nome-
-Un
numero non è un
nome…-
-Va
al punto, che vuoi
sapere? Era 7…-
-No
tutta la
matricola…-
-030299n°07…-
-E
per caso… vuol
dire…-
-E’
la data e l’ordine
di nascita, sono stato il settimo a nascere nel 1899, precisamente il 3
Febbraio-
Iniziava
a
spazientirsi con tutti quei dannati giri di parole inutili, quel
bamboccio
stava tramando qualcosa…
-Devo
dedurre che non
sai che giorno è oggi…?-
-Arriva
al punto-
Lo
fulminò.
-Tanti
auguri...-
Voleva
riabbracciarlo,
ma per quel giorno se n’erano dati troppi di abbracci.
-E
che c’è da
festeggiare…?-
Aveva
sempre visto il
suo compleanno come una data da maledire, altro che una bella
ricorrenza, ergo
non l’aveva mai festeggiato.
-Che
sei qui, d’ora in
poi si festeggia-
-Come
ti pare…-
Fece
per voltarsi e
farsi una passeggiata per il parco ma venne prontamente seguito dal
minore che
zompettandogli a fianco non accennava a lasciarlo in pace.
E
sarebbero stati
tanti i giorni come quello…!
-Sei
tornato freddo
nei miei confronti! Che c’è, qualche altro
esplosivo?-
-Melodrammatico…-
-Posso
sperare in
qualche atto di gentilezza da parte tua? O affetto…?-
Il
biondo si girò
sorridendogli, il vento intanto sferzava gli alberi e i suoi capelli.
-Grazie…
Al-
Gli
costò immensamente
dire quelle parole, ma almeno il minore si placò e insieme
continuarono a
camminare per tutto il parco, parlando e scherzando.
Il
giorno seguente,
Roy inaugurò la casa nuova con un Birra party, al quale
parteciparono tutti i
suoi amici e anche qualche bella ragazza semi nuda, la cosa inutile a
dire fece
arrabbiare Edward, che se la prese col compagno spaccando
più di qualche
bottiglia per corrergli dietro, qua e là, come quando si
erano conosciuti e
come praticamente ogni giorno della loro vita assieme.
Alphonse
li visitò molto
spesso, visto che la casa, una bella villetta nel verde, era nello
stesso
quartiere dell’abitazione di sua madre, qualche isolato
più in là.
Edward
lentamente si
abituò alla sua presenza iniziando a costruire un rapporto
fraterno, e non
mancarono gesti d’affetto tra loro, anche se rari e a volte
del tutto
inaspettati.
Trisha
passò davvero
molto tempo con il suo primogenito recuperando per così dire
il tempo perso,
tra madre e figlio.
Il
padre per continui
viaggi di lavoro non si fece sentire molto spesso, e tra i due non
c’era certo
amore e tolleranza… non si sopportarono fin da subito.
Jamie
continuò ad
essere un normale bambino, campione della squadra d’atletica
della sua scuola e
studente modello, crebbe senza conoscere le difficoltà che
invece avevano
afflitto Edward, nella totale armonia e tranquillità.
E
dopo qualche mese,
finalmente, Alphonse convinse il fratello a rincontrare il suo ex
capo… i due
rimasero tutto il giorno nell’ufficio di
quest’ultimo a parlare di chissà cosa,
ma al termine della chiacchierata entrambi sembravano più
leggeri e soprattutto
sereni.
E
così, Alphonse trovò
il fratello che tanto cercava… e Edward la famiglia che non
aveva mai avuto, ma
solo sognato.
E
vissero tutti felici
e contenti :)