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Autore: Sissi Bennett    20/04/2012    15 recensioni
Bonnie McCullough ha diciassette anni, i capelli rosso fuoco, il viso a forma di cuore ed è sempre stata considerata da tutti la classica ragazza dalla porta accanto. Circondata da amiche più popolari e speciali di lei, non si è mai distinta tra la folla e nemmeno ha mai desiderato farlo. La sua esistenza in fondo è tranquilla e ha tutto quello che una ragazza possa desiderare, compreso un migliore amico premuroso, affettuoso e piuttosto figo: Stefan Salvatore. Tanto è legata a quest’ultimo quanto non sopporta il fratello, Damon. I due Salvatore hanno sempre avuto degli attriti, ma ultimamente le cose si sono fatte più tese: Stefan è riuscito a conquistare il cuore della bella Elena, la giovane per cui Damon ha sempre avuto un debole. Ma cosa succederebbe se la gemella di Elena, Katherine, ricomparisse a Fell’s Church dopo anni trascorsi a Parigi?
E se Bonnie, dopo un’estate in Spagna, tornasse più matura, più bella, più affascinante, insomma più donna e iniziasse ad attirare gli sguardi dei ragazzi? Damon continuerebbe a considerarla solo come la migliore amica di suo fratello o cercherebbe di aggiungere il suo nome alla sua già lunghissima lista di ragazze con cui è stato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Katherine | Coppie: Bonnie McCullough/Damon Salvatore, Elena Gilbert/Stefan Salvatore
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Crazy Little Thing Called Love

Capitolo uno: Make a change!

 

“And I’ve been a fool and I’ve been blind
I can never leave the past behind
I can see no way, I can see no way
I’m always dragging that horse around

Tonight I’m gonna bury that horse in the ground
So I like to keep my issues strong
But it’s always darkest before the dawn

Shake it out, shake it out, shake it out

And it’s hard to dance with a devil on your back
So shake him off”

(Shake it out- Florence and The Machine).

Tornare a Fell’s Church dopo un mese trascorso a girare per la Spagna era stata per me, Bonnie McCullough, un’esperienza tutt’altro che piacevole; e a dirla tutta ne avrei fatto volentieri a meno.

Era stata una bella vacanza; uno stacco dalla solita vita. Per un mese intero  non ero stata classificata solo come ‘quella dai capelli rossi’, non ero rimasta all’ombra delle mie amiche. In Spagna, lontano da casa, ero finalmente riuscita a trasformarmi in una persona diversa, più sicura di me, meno ansiosa di ciò che pensavano gli altri.

Ma qui a Fell’s Church tutto sarebbe tornato come prima; sarei stata Bonnie, l’amica di questo o di quella, sarei stata solo la ragazza dai capelli rosso fuoco.

In fondo non mi era mai pesato molto; dopotutto avevo delle amiche fantastiche, che mi conoscevano per quella che ero veramente e non giudicavano.

In tanti si erano chiesti che diamine avessi di speciale per fare parte del gruppo di ragazze più popolari e benvolute della città.

Ero carina, ma non bella; simpatica, ma non propriamente uno spasso; intelligente, ma non un genio. Una ragazza totalmente ordinaria.

E questo provocava l’antipatia di tutte le altre che erano rimaste escluse dalle luci della fama. Il che era davvero strano, perché di me si sarebbe potuto dire di tutto tranne che fossi antipatica. Cercavo sempre di essere gentile con tutti e disponibile. Ero di una bontà disarmante.

Forse la mia amicizia con Stefan Salvatore non era molto di aiuto. Insomma, immaginate se nella vostra piccola città ci fosse stata una ragazza totalmente comune, apparentemente senza alcun merito, cui però era permesso di essere in confidenza con i più belli e popolari del liceo. La domanda sarebbe sorta spontanea: che diamine ha quella lì di tanto speciale che io non ho?

Non ero in grado di rispondere perché non lo sapevo neanche io. In realtà ero tutto fuorché speciale dal mio punto di vista; eppure ero stata così fortunata.

Stefan era un bel ragazzo, riservato ed educato, che con il suo fare misterioso e sfuggente aveva fatto battere il cuore a molte ragazze, ma solo in poche erano riuscite a conquistare il suo; anzi forse soltanto una avrebbe potuto arrogarsene il merito: Elena Gilbert, la cui bellezza folgorava chiunque.

Conoscevo Stefan da tutta la vita ed era stato inevitabile diventare amici. Avevamo la stessa età, eravamo vicini di casa, entrambi avevamo perso la mamma da piccoli. Eravamo cresciuti insieme, aiutandoci a vicenda, facendoci da spalla, supportandoci nei momenti di difficoltà.

Neanche mi ricordavo quando avessimo iniziato a considerarci quasi come fratello e sorella; era accaduto e basta. Tutto così naturale e spontaneo, come se fossimo stati destinati a divenire così intimi.

Non ci eravamo visti per un mese intero e non era mai successo. Di solito facevamo tutti le vacanze insieme; non eravamo abituati a stare così lontano.

L’unico mio pensiero, appena finiti di disfare la mia valigia, fu quello di attraversare la strada, fiondarmi a casa sua e abbracciarlo fino a soffocarlo.

“Mary” urlai a mia sorella “Vado da Stefan”.

Mary bofonchiò qualcosa in risposta che io non recepii. Uscii e andai dall’altra parte della via, trovandomi subito sotto il portico di casa Salvatore.

Aprii la porta con il duplicato delle chiavi che il mio amico mi aveva dato qualche anno prima per le emergenze.

“Stefan” chiamai.

Non ci fu risposta.

Proseguii su per le scale. Ero certa che il signor Giuseppe Salvatore non ci fosse; a quell’ora doveva essere al lavoro. Sperai di avere la stessa fortuna con Damon, il fratello maggiore di Stefan.

Non ero mai andata molto d’accordo con quel ragazzo, nemmeno quando eravamo bambini. Damon era bellissimo e questo era innegabile. Di una bellezza disumana, quasi irreale. Ma era anche egoista, arrogante, opportunista, donnaiolo, sfacciato e troppo sicuro di se stesso e aveva l’innata capacità di farmi venire i nervi a fior di pelle con una sola occhiata.

Sapeva di avere un certo ascendente sulle persone, in particolare sulle donne, e se ne approfittava senza ritegno.

Ogni ragazza che contava a Fell’s Church era passata per il suo letto; tranne Elena. Damon aveva un debole per lei, da sempre. Il costante rifiuto della ragazza non faceva altro che alimentare la sua fissazione.

“Stefan! C’è nessuno in casa?”.

Mi sentii improvvisamente sollevare da dietro e urlai d’istinto. Quando ritoccai terra, feci qualche passo avanti e mi girai.

“Stef!” boccheggiai “Volevi farmi venire un infarto?!”.

Il ragazzo non  mi ascoltò nemmeno e mi riabbracciò, sollevandomi di nuovo “Sei tornata finalmente!” esclamò facendomi fare un mezzo giro “Fatti un po’ vedere” mi disse “Ti sei fatta riccia?”.

“Sì” confermai toccandomi i capelli con un sorrisino soddisfatto “Ti piacciono?”.

“Stai molto bene” mi squadrò da capo a piedi “Hai fatto qualcos’altro, sembri più … più …”.

“Tonica? Allenata? Tutta colpa di Caroline” spiegai “Mi faceva svegliare tutte le mattine alle sette per andare a correre sulla spiaggia. Uno strazio” mi lamentai.

“Sei in gran forma, Bonnie” si complimentò “Farai girare la testa a tutti i ragazzi quest’anno” e strizzò l’occhio.

“Ma smettila!” gli tirai uno schiaffetto sulla spalle e mi buttai sul letto “Dimmi di te piuttosto, com’è andata al campo estivo per il football con Matt?”.

“Alla grande” rispose stendendosi accanto a me “Il posto era completamente immerso nel verde, ho conosciuto un sacco di gente e soprattutto sono stato lontano da Damon”.

“Va ancora così male con lui?”.

“Ora va anche peggio”.

Sapevo perfettamente a cosa si riferiva: Damon non aveva accettato la storia del fratello con Elena e questo non aveva avuto altro risultato che aumentare la tensione tra loro. Da che ricordassi i due non erano mai andati molto d’accordo; non certo per volere di Stefan, che aveva sempre fatto di tutto per non scontentare il fratello, specialmente durante gli anni dell’infanzia. Stefan cercava di stargli alla larga, di non dargli noia, di recuperare il loro rapporto, ma Damon aveva sempre e solo un obiettivo: tormentarlo. Lo accusava infatti della morte della madre, deceduta poco dopo aver dato alla luce il figlio più giovane, per delle complicazione post-parto. Aveva covato questo rancore nei confronti del suo fratellino ed era cresciuto nel corso degli anni allontanandoli uno dall’altro. Senza contare, poi, che, mentre Stefan sembrava incarnare l’essenza del figlio perfetto, Damon risultava sempre una delusione su tutti i fronti; cosa che il padre non dimenticava di sottolineare ogni volta che ne aveva occasione.

Stefan avrebbe pagato vagonate d’oro per cambiare la sua situazione, per farsi accettare dal fratello, ma era ben consapevole che Damon non lo avrebbe mai perdonato; e ne soffriva senza trovare pace.

Gli posai una mano sul braccio “Vedrai che prima o poi la smetterà”.

“No Bonnie, mi odia”affermò “Ma ormai ci sono abituato” e sorrise tristemente “Non voglio annoiarti con i solito discorsi. Dai, parlami della Spagna”.

Passammo così le due ore successive, a raccontarci le nostre rispettive estati, a ridere e a scherzare; almeno fino a che il rombo di quella che sembrava una macchina da corsa non ci interruppe bruscamente.

Io guardai stranita fuori dalla finestra e Stefan m’imitò. Una Ferrai nera luccicante stava percorrendo la via. Ma di chi poteva essere?

Il mio stupore crebbe ancor più quando la vidi fermarsi davanti a casa Salvatore e parcheggiare nel vialetto d’ingresso.

“E’ di Damon” spiegò Stefan quasi avesse letto i miei pensieri.

“E quando l’ha presa???”.

“Qualche giorno dopo la tua partenza. Papà era furioso! Credo si sia pentito di avergli cointestato il conto in banca” ridacchiò Stefan.

“Tuo fratello è completamente fuori dal mondo” commentai sempre più sbalordita. La famiglia Salvatore era ricca e lo sapevano tutti, ma viveva in un quartiere normalissimo, in una casa normalissima che non faceva sfoggio di nessuno sfarzo. Era una famiglia che preferiva mantenere un profilo basso, anche se avrebbe potuto permettersi i lussi più sfrenati. Ma Damon era un caso a parte.

“Credo fosse geloso del fatto che io guidi una Jaguar” ipotizzò Stefan.

“Sì ma è della tua famiglia!” replicai io “Non hai speso una fortuna per un capriccio”.

“Ma papà l’ha data a me e non a lui” precisò il mio amico “Sai che smacco per il suo ego! Battuto un’altra volta da suo insignificante e odioso fratellino”.

“Tu non sei né odioso né insignificante” ribattei “Se lui la smettesse di fare lo spaccone, forse tuo padre non lo tratterebbe come uno stupido incapace”.

“Oh Bonnie, ti assicuro che Damon è ben lontano da essere uno stupido incapace” lo difese Stefan.

“Hai ragione; è peggio!”.

Stefan rise di gusto e andò a prendere il cellulare che aveva preso a vibrare insistentemente. “E’ Elena” disse.

“Rispondi”.

Stefan rifiutò la chiamata e prese a guardarmi seriamente “Non te l’ho mai chiesto e credo che sia il momento di farlo” incominciò facendomi un po’ preoccupare “Ti dà fastidio che io mi sia messo con la tua migliore amica?”.

Un paio di secondi e io scoppiai a ridere tenendomi la pancia “N-no” pronunciai tra una risata e l’altra “Stefan, siete due persone meravigliose e meritare di stare insieme più di chiunque altro” questa era una chiara allusione a Damon “Sono strafelice che vi siate trovati, davvero” lo rassicurai “E adesso richiamala, perché se la conosco si starà facendo un mucchio di paranoie sul perché non le hai risposto”.

“Te l’ho già detto che sei la ragazza migliore del mondo?” mi disse baciandomi sulla fronte con fare fraterno.

“Lo so” scherzai. Lo salutai con un gesto della mano, uscì dalla sua camera e scesi le scale. 

Raggiunsi l’ultimo gradino e mi bloccai all’ingresso: la porta di casa si stava aprendo. Per un momento considerai l’idea di nascondermi da qualche parte o di ritornare di corsa in camera di Stefan e rinchiudermi dentro finché la via non fosse stata libera, ma non ebbi nemmeno il tempo di mettere in atto nessuno dei due piani. Ero letteralmente in mezzo all’entrata, in piena vista e la porta ormai era completamente spalancata. Lui mi aveva già beccata e io non avevo possibilità di svignarmela.

Richiuse la porta con un semplice gesto del polso. Come al solito era vestito di nero, portava sempre abiti neri o per lo meno molto scuri. Era un po’ abbronzato; non molto dato la carnagione bianchissima, ma quel colore dorato gli donava parecchio. Lo osservai togliersi gli occhiali da sole e il giubbotto di pelle. Fuori c’erano quaranta gradi all’ombra, ma pur di apparire superfigo si sarebbe sciolto al sole. Probabilmente nel tragitto verso casa aveva fatto svenire metà della popolazione femminile di Fell’s Church, la metà cui era permesso di uscire dopo le sei di sera.

Alzai il mento con fare altezzoso e lo superai salutandolo con un freddo “Ciao Damon” e lui mi rispose con lo stesso identico tono “Bon Bon”.

Damon Salvatore aveva coniato un’innumerevole sfilza di soprannomi appositamente per me, uno più idiota dell’altro. Andavano dal più sopportabile ‘Bon Bon’ al denigrante e canzonatorio ‘Uccellino’.

Uccellino. Poteva apparire come un nomignolo dolce e affettuoso, ma le sfumature che gli aveva conferito Damon erano di natura ben peggiore. Perché io ero fragile e fastidiosa come gli uccellini che cantavano al mattino svegliando la sua regale persona!

Avevo quasi raggiunto la porta e stavo per uscire trionfante, quando la sua voce pronunciò con una nota derisoria “Cosa cavolo hai fatto ai capelli?!”.

Mi voltai e lo guardai stranita “Si chiama permanente, Damon”.

“Somiglia a quelle parrucche rosse che usano i clown” sentenziò tra una risata e l’altra.

“Nessuno ha chiesto il tuo parere” replicai.

Damon ghignò alzando le spalle “Senza offesa. Lo dicevo per te, ma se preferisci andare in giro come una che ha messo le dita nella presa della corrente, fa’ pure”.

“Quanto sei idiota” commentai indispettita marciando fuori di casa.

Lo odiavo, lo odiavo, lo odiavo!

C’era stato un tempo in cui aveva cercato di farmelo piacere: non volevo stringerci amicizia, ma almeno provare ad avere un rapporto civile. Ma con Damon Salvatore non esistevano le vie di mezzo: o tutto o niente, o odio o amore.

No, forse odio era una parola troppo forte. Io non ero certo capace di provare un sentimento così forte e netto nei confronti di qualcuno.

Più che altro non sopportavo il suo modo di fare da “sono il più figo del pianeta e tu sei soltanto uno sgorbio che non merita la mia attenzione”.

Da che potessi ricordare non aveva mai avuto molto rispetto nei miei confronti; mi considerava solo una bambina, fastidiosa e sprovveduta, una che non poteva prendersi cura di se stessa, un’inetta in tutto. Era la migliore amica del suo odiato fratello e questo bastava per disonorarmi.

Il grande difetto di Damon era la sua immensa superbia. A volte mi stupivo di come la sua testa non venisse schiacciata dal suo enorme ego. Si riteneva dieci gradini sopra tutti e se, per un malaugurato caso, decideva che qualcuno non era degno della sua compagnia, non si abbassava nemmeno a fare un saluto.

Avrei preferito di gran lunga essere ignorata come tanti altri, ma il mio legame con Stefan, il fatto che fossimo vicini, che i nostri padri fossero amici, tutto ciò ci obbligava a stare a contatto.

Comunque dovevo ammettere che i nostri rapporti erano parecchio migliorati da quando Damon si era diplomato. A scuola mi aveva fatto piangere quasi ogni settimana; trovava sempre un modo per imbarazzarmi davanti a tutti. Di norma non era un tipo gentile, ma sembrava sfogare tutta la sua rabbia su Stefan e la sua arroganza su di me, per cui si era prodigato con particolare cura a rendere il nostro primo anno un inferno. Poi finalmente la sua esperienza liceale si era conclusa (con gran sollievo degli insegnanti) ed era arrivata l’università. Si era trasferito a Dalcrest* e ritornava raramente a casa. Forse la lontananza dal padre oppressivo o dal fratello perfetto, forse l’incontro con una nuova realtà; non so dire di preciso che cosa avesse causato il suo cambiamento, ero solamente certa che fosse maturato.

Rimaneva sempre il solito spaccone, a tratti maleducato, ma almeno aveva smesso di torturarmi. Io stessa ero cresciuta, ero diventata meno impressionabile e capitava che gli tenessi perfino testa. Non era più così facile portarmi sull’orlo delle lacrime.

In definitiva potevo affermare che il nostro rapporto si basava più che altro sulla sopportazione forzata. Non eravamo amici e mai lo saremo diventati. Ognuno dei due avrebbe proseguito per la sua strada e non ci saremmo mancati; e se dopo vent’anni ci fossimo incontrati di nuovo, ci saremmo salutati cordialmente e niente di più.

Perché io e Damon Salvatore eravamo due anime incompatibili. Costretti dalle circostanze a condividere una parte della nostra vita e più che felici di separarci definitivamente quando sarebbe giunto il momento.

Io amavo** e rispettavo un solo Salvatore e Damon ne era decisamente l’opposto.

 

Me ne stavo semistesa sul dondolo che avevamo in veranda. Risi ironicamente.

Il dondolo in veranda. Che cliché. Se ne vedeva almeno uno in ogni serie tv americana. Gettando un’occhiata intorno ci si rendeva conto che tutta la via rispecchiava l’essenza della famiglia media americana: casette con il portico, vialetto d’ingresso, giardinetto retrostante, strade tranquille che ad Halloween si riempivano di zucche intagliate.

Era fine estate, la scuola sarebbe ricominciata in pochi giorni e volevo godermi gli ultimi momenti di pace. Mia sorella e mio padre stavano litigando come al solito.

A Mary mancavano pochi esami per ottenere la sua laurea in infermeria  e aveva deciso di trasferirsi in un piccolo appartamento preso in affitto con il suo fidanzato.

Papà aveva dato ovviamente di matto. Da quando nostra madre ci aveva lasciato, lui aveva fatto il possibile per crescerci al meglio e per colmare quella mancanza; d’altra parte si era talmente attaccato a noi da non riuscire nemmeno ad immaginare che un giorno che ne saremmo andate.

In realtà il problema per me non sussisteva nemmeno: mi piaceva Fell’s Church, era casa mia, era il mio guscio protettivo. Mi lamentavo spesso di quanto le persone fossero provinciali, di come avrei voluto essere guardata in modo diverso, ma in fondo al mio cuore avevo una paura matta di lasciare il luogo in cui ero nata e cresciuta.

Ormai mi ero troppo abituata al ruolo di Bonnie la brava ragazza, mi trasmetteva una sicurezza confortante. Qui avevo delle amiche, una famiglia, avevo Stefan e potevo anche fregarmene dell’opinione di tutti gli altri; ma là fuori? Come sarebbe stato?

Non credevo che sarei riuscita ad essere qualcosa di diverso. Quel mese in Spagna era stata una specie di prova, ma si era trattato di poco tempo. Cosa ne sarebbe stato davvero della mia vita una volta finita la mia adolescenza?

Le mie amiche avevano tutto dei piani, più o meno realizzabili: Meredith avrebbe fatto domanda ad Harvard, Caroline voleva trasferirsi a Los Angeles per una carriera da modella, Elena probabilmente avrebbe seguito Stefan a New York e sarebbe diventata dirigente di qualche azienda. Lei era forte e decisa; ce la vedevo proprio a comandare a bacchetta delle povere stagiste.

Io al contrario non ne avevo la più pallida idea. Quasi certamente sarei finita in un college di serie B e avrei trovato un lavoro mediocre a Fell’s Church. Non ero un tipo ambizioso; avevo una visione più romantica della vita: un matrimonio, dei figli, un cane. Eppure … eppure sentivo che mancava qualcosa. Avevo solo un anno di tempo per capire che cosa fosse e mi pareva pochissimo tempo.

Abbandonai la testa sul cuscino dietro di me. La porta di casa si aprì e uscì papà sbuffando. Si appoggiò contro il muro con fare esasperato.

“Tu sei sempre stata più semplice da gestire” commentò.

Certo, pensai amaramente, io dico sempre di sì.

“Dovresti lasciarla andare, sai” gli consigliai piegando le gambe per fargli posto sul dondolo.

Lui si voltò verso di me fulminandomi “Due contro uno non vale”.

“E’ grande papà, ha quasi ventitre anni. Studia e ha già cominciato un apprendistato; praticamente si mantiene da sola. Non sta andando a vivere con uno sconosciuto, ma con Alec e lo conosci da anni. Non mi sembra tanto male come prospettiva”.

“Da quando sei tu a dare consigli a me?!” chiese incredulo “Stai crescendo anche tu, gattina?”.

Gattina. Uccellino. Avrei tanto voluto sapere perché la gente si divertiva tanto a darmi quei nomignoli; mi facevano sentire ancora più piccola di quanto già non fossi.

“Sì, papà, capita anche a me” risposi “Ho diciott’anni”.

“Ne hai diciassette e sette mesi***. Non barare” precisò lui “E comunque ci devo pensare, non posso cacciare tua sorella fuori di casa da un giorno all’altro”.

“In realtà non la stai cacciando, è lei che se ne vuole andare” gli feci notare con un sorrisino furbo.

“Non starò a discuterne con te” ribadì mio padre “Piuttosto, che ne dici di raccontarmi com’è andata in Spagna. Non ne hai ancora fatta parola”.

“Bene. E’ molto diverso da qui … i loro orari sono pazzeschi”. Era stato abbastanza destabilizzante abituarsi a mangiare alle undici tutte le sere. Negli Stati Uniti cenare alle sette era considerato già tardi.

“E ti sei divertita?”.

“Certo! Ero con le mie migliore amiche … non potevo chiedere di meglio” confermai.

“Tutto qui? Non c’è nient’altro che vorresti dirmi?”.

Alzai un sopracciglio: so dove voleva andare a parare e non erano certo cose di cui volevo discutere con lui. “Non tirare in ballo l’argomento ragazzi. La mia bocca rimarrà sigillata”.

“E’ solo che non ti vedo mai con nessuno e beh, so che preferiresti parlarne con una donna; potrei mettere una parrucca se ti fa sentire più a tuo agio”.

Io scoppia a ridere tirandogli un leggerissimo pugno sulla spalla “Ma smettila!”.

“Se mi dici che va tutto bene, gattina, io ti credo” disse mio papà “Però cerca di trovartene uno con la testa a posto, ok? Il giovane Salvatore qui davanti sarebbe una scelta che approverei”.

“Stefan è il mio migliore amico” replicai indignata. Soltanto l’idea mi sembrava assurda “E poi lui sta con Elena”.

“In realtà mi riferivo all’altro” precisò lui abbassando la voce e indicando con la testa la casa di fronte a noi. Mi voltai anche io e vidi Damon uscire di casa, sicuramente pronto a una nottata di baldoria.

Non avevo mai capito come mio padre potesse ritenerlo un ragazzo a posto. Lui lo adorava! Davvero non so quell’ammirazione da dove saltasse fuori, dato che era risaputo che Damon fosse un’emerita testa di cazzo. Tutti i padri di Fell’s Church avrebbero pregato che loro figli stessero lontane da un tipo del genere e invece il mio avrebbe festeggiato per il contrario. Vallo a capire!

Mio padre si alzò per salutarlo, sventolando la mano “Ehi Damon! Mi farai fare un giro prima o poi, vero?”.

Io mi schiaffai una mano in fronte: papà che chiedeva a quell’imbecille di fargli provare la macchina era una delle situazioni più imbarazzanti cui avessi assistito.

“Certo, signor McCulluogh” rispose Damon avvicinandosi al nostro portico “Per lei questo ed altro”.

Rotei gli occhi irritata. Ovvio che mio padre avesse una predilezione per lui: Damon era un vero maestro della captatio benevolentiae****. Come riusciva quel ragazzo ad arruffianarsi le persone, nessuno mai!

Iniziarono a parlare di automobili, potenza dei motori, numero dei cavalli … tutte cose assolutamente incomprensibili per me e sostanzialmente inutili.

Cosa diamine serviva comprare una macchina così veloce quando non la si poteva usare al massimo delle sue possibilità senza rischiare una sanzione o addirittura la vita? Un grande spreco di soldi.

“Sa signor McCullough, dovrebbe parlare con mio padre; lui non sa godersi la vita come fa lei”.

Il mio papà mise su un’espressione un po’ più seria, senza però mostrare tutto il rimprovero che avrebbe voluto “Beh Damon, forse avresti dovuto avvisarlo prima di prelevare tutti quei soldi per comprarti l’auto”.

“Che posso dire in mia difesa?” alzò le spalle lui “Anche io so godermi la vita”.

Mio padre ridacchiò “Avresti dovuto esserci, gattina! Il giorno in cui l’ha portata a casa … le urla di suo padre arrivavano fino alla fine della strada!”.

Tirai un sorriso e allungai le gambe sul dondolo con fare annoiato. Certo che avrei voluto esserci: vedere Giuseppe mentre cercava di staccare la testa a quel disgraziato di suo figlio, sarebbe stato uno dei momenti più belli della mia vita.

“Tuo fratello è tornato oggi, giusto? Non l’ho ancora visto. Come sta? Si è divertito?” s’informò mio padre.

“Sì” rispose Damon con fare suppositivo. Era chiaro che non ne avesse la più pallida idea “Stefan adora il baseball”.

“Era un campeggio di football” lo corressi tagliente. L’indifferenza verso suo fratello era vergognosa e non potevo proprio accettarla.

“Sempre di sport si parla” dissimulò Damon con incredibile nonchalance, anche se aveva percepito perfettamente tutta la mia ostilità.

Quando si trattava di Stefan diventavo estremamente protettiva.

Anche mio padre fiutò la tensione che si stava creando e preferì ripiegare in casa e congedare Damon per impedire che ci addentrassimo troppo nell’argomento ‘Stefan’.

“Beh, è stato un piacere vederti! Salutami tanto tuo padre”.

“Lo farò” gli assicurò Damon osservandolo entrare in casa.

Come no!

Credevo che a quel punto il ragazzo se ne sarebbe andato, magari con un saluto accennato. Invece si lasciò scivolare sul dondolo, nel posto prima occupato da mio padre, sedendosi quasi sui miei piedi. Li ritirai in fretta e ne arricciai la punta innervosita per quell’invasione di spazio.

Si stiracchiò portando le mani dietro la testa, poi mi guardò piegando leggermente il collo “Perché sei sempre così fredda con me, gattina?” mi chiese con un finto broncio, calcando bene quel nomignolo per prendermi in giro.

“Non sai nemmeno dove ha passato l’estate tuo fratello” lo biasimai “Sei così pieno di te stesso! E non chiamarmi così”.

“Adoro quando tiri fuori il tuo lato tenero” ironizzò lui solleticandomi la pianta del mio piede sinistro con un dito. Lo calciai via con poca forza per non fargli male; volevo solo levarmelo di dosso.

“Comunque quei posti sono tutti uguali per me” sembrò quasi giustificarsi “Niente divertimento, niente vita sociale, niente ragazze. Solo allenamenti e contatto con la natura. La solita noia”.

“Tu sì che sei un uomo profondo, Damon” commentai con sarcasmo.

Fece un sorriso di falsa modestia e continuò “Parliamo di te piuttosto. Un intero mese in Spagna? Ti devi essere divertita parecchio”.

Mi chiesi come facesse a sapere dove avevo passato l’estate, poi mi ricordai che con me c’era anche Elena. Era chiaro che lui fosse così ben informato sui nostri spostamenti “Sì, mi sono divertita molto”.

“Anche Elena si è divertita?”.

Bingo! Capii perché era rimasto a parlare con me. Normalmente mi evitava come la peste e quella sera era troppo gentile per essere sincero.

“Anche lei si è divertita, ma non come intendi tu” ci tenne a specificare “Elena si diverte solo con il suo ragazzo”.

Gli occhi di Damon per un attimo s’indurirono. Odiava quando qualcuno gli ricordava di quanto suo fratello fosse migliore di lui e se a farlo ero io, la sua irritazione aumentava. Mi chiamava la paladina di Stefan.

Io non potevo fare altro che difenderlo; gli ero troppo affezionata e ai miei occhi Damon era una sorta di carnefice e cercavo di punirlo ogni volta che mi si presentava l’occasione.

“Questo perché non ha ancora provato cosa significa stare con me”.

“Il tuo ego prima o poi chiederà una stanza tutta per sé”dissi.

Le sue labbra si tirarono in un mezzo sorriso, probabilmente intenerite dal mio pallido tentativo di fare del sarcasmo.

Mi chiesi pure io da dove venisse tutta quella spavalderia. Non che normalmente volassero della parola gentili tra noi, ma quella sera ero particolarmente sicura di me; cosa che non capitava quasi mai, soprattutto quando Damon era coinvolto. Di solito mi metteva soggezione, a volta paura, e non mi azzardavo a tirare troppo la corda. Piuttosto chiudevo la conversazione, me ne andavo o evitavo di rispondere.

Avrei potuto rifugiarmi in casa e sottrarmi a quel confronto, ma qualcosa mi aveva fermato. Era la mia casa, la mia veranda, il mio dondolo! Semmai era lui a dover sloggiare. Per cui ero rimasta lì con lui tenendogli testa.

Sapevo bene che mi stava permettendo di essere così sfrontata. Se avesse alzato di un pelo la voce o se avesse indurito il tono, probabilmente avrei abbassato le orecchie come un cucciolo impaurito.

Sembrava, però, di buon umore e io ne approfittai per rimetterlo al suo posto. In quel momento mi resi conto che il mio viaggio in Spagna era stato più utile del previsto per la mia autostima.

“Rinfodera gli artigli, gattina. Volevo soltanto scambiare due parole con la mia adorata vicina di casa” mi stuzzicò. Si alzò decidendo finalmente di liberarmi della sua fastidiosa presenza “Comunque oggi ho detto una bugia”.

Spostai lo sguardo su di lui, confusa.

“I tuoi capelli” si spiegò “Non ti stanno male”.

Incredula, storsi la schiena e seguii i suoi movimenti fino all’altro lato della strada, dov’era parcheggiata la sua Ferrari.

Damon Salvatore mi aveva appena fatto un complimento? Forse quella era una parola un po’ forte.

Riformulai il pensiero: Damon Salvatore aveva appena detto una cosa gentile sul mio aspetto?

Era la prima volta da quando ci conoscevamo e mi sorprese parecchio. Non aveva detto chissà che, non era neanche un commento lusinghiero, anzi era piuttosto mediocre, ma sentirlo proprio da lui appariva una cosa di un altro mondo.

Infine mi rigirai e mi toccai i capelli attorcigliandomeli tra le dita. Mi piacevano molto; di natura li avevo dritti e abbastanza fini, per cui la maggior parte delle volte non avevano una vera forma. Quella permanente mi dava un tocco grintoso.

Sembrava una massima banale, ma il look influiva molto sulla personalità di una ragazza. Bastava un piccolo accorgimento per farci sentire subito più forti.

Ed era così che volevo essere: forte; una che non si piegava.

Ero soddisfatta di come mi ero comportata quella sera con Damon, di come ero riuscita a rispondergli a tono senza abbassare la testa.

Non potevo più continuare con la storia della ragazza timida ed indifesa, non a quasi diciott’anni, non al mio ultimo anno di scuola superiore.

Non potevo promettere a me stessa dei grandi risultati, ma mi sarei impegnata per far sì che quel lato più aggressivo del mio carattere, di solito latente, emergesse un po’ di più.

Saltai giù dal dondolo e entrai in casa, canticchiando una canzone che avevo sentito in auto, alla radio, di ritorno dall’aeroporto.

Mondo preparati alla nuova me.

 

Il mio spazio:

Prima cosa: non sto trascurando la mia storia Ashes&Wine (anzi ne approfitto per avvisarvi che posterò il nuovo capitolo mercoledì); solo che mi sono trovata con una voglia matta di iniziare questa nuova storia e ho buttato giù il primo capitolo. Sarà che con l’avvicinarsi dell’estate ho voglia di un di leggerezza, ma alla fine ho scelto la prima delle trame che vi avevo proposto.

Seconda cosa: parliamo di Crazy Little Thing Called Love.

Questo è solo un capitolo di assaggio, una specie di sneak peek. Ho deciso di postarlo così voi lettrici potevate farvi un’idea di come sarebbe stata questa nuova storia e magari darmi delle idee per gli eventi futuri, dato che non ancora programmato niente.

Non credo verrà più aggiornata fino a che non avrò terminato Ashes&Wine, quindi mi sa che passerà molto tempo prima che potrete vedere il secondo capitolo. Ma vi prometto che ci lavorerò su e se mi renderò conto di riuscire a portare avanti due storie contemporaneamente, lo farò con piacere!

Crazy Little Thing Called Love è ambientata sempre a Fell’s Church, ma i nostri protagonisti sono tutti umani. Non ci sarà il dramma che avete incontrato nell’altra mia storia; ho intenzione di scrivere qualcosa che si avvicini più alla commedia! Ho voglio di farmi quattro risate e di essere un po’ ironica. Non so quanto ci riuscirò ma spero che apprezzerete.

Ho messo anche l’avvertimento OOC perché si tratta appunto di un “altro universo” e si conoscono tutti fin da bambini, quindi le loro relazioni saranno un po’ diverse da quelle del libro e di conseguenza anche i loro atteggiamenti. Tranquille, non ho intenzione di sconvolgere la personalità di nessuno (solo quella di Caroline, scusate ma amo troppo quella della serie tv!).

Più che altro credo che Bonnie sarà quella che affronterà i cambiamenti più significativi. Sono un po’ stufa di vedere , sia nei libri sia nella serie, il suo personaggio un po’ sottovalutato; insomma si merita di ricevere le stesse attenzione che hanno le altre ed è il momento che qualcuno dei nostri uomini si accorga di lei!

Non la trasformerò in una diva o in una mezza sgualdrina che si ubriaca e si lascia andare con i ragazzi, non ho intenzione di farla nemmeno troppo seducente o sfacciata; non sarebbe più Bonnie altrimenti. Le voglio solo dare un po’ di sicurezza!

La stessa che ha mostrato in questo capitolo con Damon, anche se, come lei stessa ha detto, è stato lui a permetterglielo. Bonnie lo conosce da quando è nata quindi può prendersi la confidenza di parlargli così schiettamente, ma rimane comunque la solita ragazza tenera e sensibile, ancora soggetta al carisma di Damon, anche se non ne è affascinata come nei libri.

Sarà principalmente narrata dal punto di vista di Bonnie, ma anche Damon avrà i suoi i spazi.

Spero davvero che vi piacerà quanto Ashes&Wine e spero continuerete a lasciarmi i vostri splendidi consigli e commenti.

A mercoledì! E grazie in anticipo!!!

 

*In Phantom i ragazzi decidono di frequentare il college di Dalcrest; ho seguito questa linea per Damon.

** Tra Bonnie e Stefan ci sarà solo un amore fraterno! Sarà pieno di bei momenti tra loro, ma non vedrete mai un’interazione romantica. Anche perché in questa storia Elena rimarrà SOLO con Stefan. Nessuno dubbio sulla sua fedeltà. Damon ha bisogno di un altro percorso.

***Allora la questione dell’età per me è abbastanza un problema. Mi spiego meglio: da quanto ne so io, negli Stati Uniti le superiori durano solo quattro anni, quindi i ragazzi all’inizio dell’ultimo anno, hanno solo diciassette anni (quante volte ho scritto anno in questa frase?? Ahah). Però in alcune serie tv (TVD per esempio) compiono diciott’anni prima di gennaio. Ora io mi atterrò alle mie conoscenze e qui gli studenti diventeranno maggiorenni solo dopo gennaio del loro ultimo anno di scuola, come dovrebbe essere. In ogni caso se qualcuno ha capito come funzione questa cosa, per favore mi dia delle delucidazioni perché comincio a credere di essere stupida e di non sapere fare nemmeno dei calcoli elementari. Anche Internet la pensa come me, ma fidarsi è bene, non fidarsi è meglio ahah.

****Captatio benevolientiae: letteralmente “accattivarsi la simpatia”; era una tecnica dei retori classici per portare il favore delle giuria dalla loro parte.

  
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